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Hēsíodos

ÉRGA KAÌ HĒMÉRAI

LE OPERE E I GIORNI
AutoreἩσίοδος (VIII sec. a.C. - VII sec. a.C.)
Hēsíodos
Titolo Ἔργα καὶ Ἡμέραι
Érga kaì Hēmérai
Genere Poema didascalico a carattere parenetico e normativo
Lingua Greco antico (ionico)
Epoca Forse inizi VII sec. a.C.
Hēsíodos
ÉRGA KAÌ HĒMÉRAI
LE OPERE E I GIORNI
Le Érga kaì Hēmérai
Struttura del poema
Teodicea
LE ÉRGA KAÌ HĒMÉRAI

Theókritos, idillio X (1922)
William Russell Flint (1880-1969). Illustrazione (Lang 1922)

Nel corso della sua descrizione del monte Helikṓn, l'infaticabile periegeta Pausanías riferisce che i Beoti attribuivano a Hēsíodos un'unica opera, le Érga kaì Hēmérai, dimostrando di preferire il canto della sapienza umana all'opera filosofica e teologica delle origini della mondo, estranea ai loro interessi pratici. Pausanías testimonia anche di aver veduto il poema esiodeo inciso su una lastra di piombo, resa ormai illeggibile dal tempo, deposta presso la sacra sorgente dell'Hippokrḗnē. (Periḗgēsis [IX: 31, ])

Gli Érga kaì Hēmérai, di solito tradotti come «Le opere e i giorni» (érgon vuol dire «opera, lavoro, fatica, impresa»), costituiscono un poema didascalico pervenutoci in 828 esametri. Fu composto da Hēsíodos alla fine dell'VIII secolo, o forse agli inizi del VII; Aristide Colonna ne colloca la composizione tra il 710 e il 700 a.C., quando il poeta era ormai tornato nella natia Boiōtía, dopo aver trionfato all'agṓn poetico organizzato per le gare funebri di Amphidámas, nell'isola di Eúboia (Colonna 1977). Letto, ammirato, citato in ogni epoca, il poema illustra la necessità del lavoro dell'uomo e fornisce precetti pratici per gli agricoltori, ordinati cronologicamente secondo le stagioni. L'opera riporta alcuni miti e apologhi, e anche degli importanti dettagli autobiografici.

Negli Érga kaì Hēmérai l'elemento autobiografico diviene occasione per investigare la condizione umana, proporre una meditata, profonda etica del lavoro, e innalzare infine una personalissima teodicea, dove Zeús viene invocato quale garante del trionfo della Díkē, la giustizia, nel mondo.

STRUTTURA DELL'OPERA

Meno denso e convulso della Theogonía, meno complesso dal punto di vista formale, le Érga kaì Hēmérai appaiono essere un'opera più compatta e personale, forse più semplice nell'individuazione di una struttura interna:

  1. [-] Proemio, costituito da un'invocazione alle Moûsai. I Beoti – i quali attribuivano a Hēsíodos soltanto le Érga kaì Hēmérai –– consideravano apocrifi questi primi dieci versi, forse perché le Moûsai invocate erano quelle della Piería, non quelle dell'Helikṓn.

    Introduzione autobiografica:
  2. [-] Mito delle due Éris. Parabola della «contesa» buona, elemento indispensabile al progresso umano, opposta alla «contesa» distruttiva, responsabile delle lotte tra gli esseri umani.
  3. [-] La cattiva Éris ha diviso Hēsíodos e suo fratello Pérsē sulla questione dell'eredità paterna; esortazione a definire la lite secondo la retta giustizia, proveniente da Zeús, e non secondo quella dei magistrati corrotti da Pérsē. Vantaggi morali delle sostanze ottenute con un onesto lavoro, in contrasto con la ricchezza trafugata disonestamente.

    Origini mitiche della necessità del lavoro
  4. [-]. Mito di Promētheús e Pandṓra. La condizione umana viene esplorata con un primo apologo: si narra, in sintesi, la vicenda dell'inganno ordito da Promētheús a Zeús nell'episodio del sacrificio di Mēkṓnē (più diffusamente esposto in Theogonía [-]), quindi si espone dettagliatamente il mito di Pandṓra (in una versione lievemente più ampia e diversa in alcuni dettagli rispetto a Theogonía [-]). Quest'ultimo racconto viene completato con l'episodio del píthos dischiuso da Pandṓra, da cui fuoriescono i mali che si spargono sulla terra.
  5. [-]. Mito delle età dell'uomo. Resoconto dalle cinque stirpi umane ciclicamente create e annientate dagli dèi nel corso della storia mitica: la generazione dell'oro, dell'argento, del bronzo, la stirpe eroica e quella del ferro. Questa storia esiodea dell'umanità disegna la parabola dallo stato di perfezione iniziale fino alla nostra età, dominata dalla violenza e dalla sopraffazione, per concludersi con la fosca visione escatologica della fine del mondo.

    La giustizia
  6. [-]. Apologo dell'usignolo e dello sparviero: uno sparviero cattura un usignolo e, legittimato dalla sua forza, ne ignora i lamenti e dichiara che deciderà del suo destino.
  7. [-]. Così i giudici divoratori di doni amministrano la giustizia secondo il loro interesse. Hēsíodos confronta un mondo retto dalla giustizia, benedetto dagli dèi, a uno dove regnano prepotenza e ingiustizia, destinato al castigo divino. I giudici vengono ammoniti a comportarsi rettamente e a improntare i loro giudizi ai principi di equità e di giustizia: gli emissari di Zeús osservano tutto quello che accade tra i mortali e la dea Díkē denuncia ogni sopruso. All'occhio di Zeús non sfugge quale sia la giustizia amministrata sulla terra.
  8. [-]. Hēsíodos torna quindi a rivolgersi al fratello, lo «stoltissimo» Pérsē, ammonendolo a perseguire la difficile via del bene, rifuggendo la facile disonestà. Lo esorta all'etica del lavoro, gli indica la soddisfazione di un sudato ma onesto guadagno, e depreca ogni tipo di furto e violenza.

    Ammaestramenti
  9. [-]. Ha inizio la parte normativa del poema. Hēsíodos spiega quale sia il corretto modo per onorare gli dèi nel corso della giornata, e quindi come comportarsi con amici e vicini.
  10. [-]. Una lunga sezione fornisce istruzioni sul modo di compiere i lavori agricoli. Si parla di come arare, seminare, mietere, nelle varie stagioni dell'anno; ma anche come tenere in ordine gli attrezzi, cacciare, vestirsi, costruire capanne.
  11. [-]. Hēsíodos fornisce consigli ai naviganti. Ma prevale qui la diffidenza, per via delle difficoltà e dei pericoli legate ai viaggi per mare. L'autore ricorda a Pérsē i rovesci del padre, il quale sognava una vita agiata ma non ebbe alcun guadagno dai suoi commerci e dovette ritirarsi a vivere ad Áskrē.
  12. [-]. Segue una serie di consigli sul modo di condurre la vita quotidiana. Si parla del matrimonio, del rapporto con la moglie e gli amici. Si incita alla moderazione, alla misura. Al modo più consono di bere, orinare e lavarsi.
  13. [-]. L'ultima parte del poema definisce una sorta di calendario religioso; i giorni vengono divisi in fausti e infausti. Si danno consigli sul come comportarsi in ogni periodo e quali attività convenga intraprendere.
LA TEODICEA

Il passaggio dalla vasta esposizione mitologica presentata nella Theogonía e nel Gynaikôn katálogon, al discorso etico, quotidiano, personale, presente nelle Érga kaì Hēmérai, non è facile da giustificare. È comprensibile la perplessità degli esegeti, in questo brusco passaggio dalle architetture cosmogoniche al duro lavoro dei campi, sempre che vi sia necessità di giustificare le scelte di un poeta nel corso della propria vita. Eppure sono proprio le Érga kaì Hēmérai a fornire una chiave di lettura per le due altre opere di Hēsíodos, permettendoci di indovinare una coerenza nella parabola artistica del poeta di Áskrē.

Come l'explicit della Theogonía si agganciava idealmente al Gynaikôn katálogon, seguito ideale al disegno mitologico di Hēsíodos, possiamo trovare la raison d'être delle Érga kaì Hēmérai proprio nel Katálogon. Se la Theogonía trattava delle origini del mondo e degli dèi, il Katálogon si svolge quasi completamente durante l'epoca eroica (la quarta delle cinque età esiodee). Per quanto pervenuto mutilo, il lungo catalogo delle eroine amate dagli dèi risulta chiuso tra due episodi piuttosto significativi, i quali aprono e chiudono, rispettivamente, l'età dei semidei generati da tali connubi. All'inizio, troviamo un momento iniziale in cui dèi e uomini vivevano insieme, in concordia e letizia:

  Comuni in quel tempo erano infatti le mense, comuni le adunanze,
e per gli dèi immortali, e per gli uomini dal destino mortale.
Né invero la durata della vita era la stessa - come quella dei mortali di ora,
che nell'animo hanno sempre dinanzi la vecchiaia funesta -
per quegli uomini e quelle donne, sia giovani che anziani;
 invece, fra loro, alcuni possedevano a lungo
il fiore dell'amabile giovinezza, altri tratteneva subito la nera terra,
e per volere degli dèi erano simili agli immortali.
Gynaikôn katálogon [fr.1 > I, -]
Alla fine del Gynaikôn, trattando del matrimonio tra Helénē e Meneláos, Hēsíodos descrive il segreto progetto di Zeús di sterminare la stirpe eroica in quella che sarebbe stata la guerra di Troía.

  ...E infatti fu proprio in quel tempo
che Zeús altitonante meditava un disegno portentoso,
di mischiare sulla terra infinita tumulti e discordie;
e così si affrettava ad annientare per buona parte la stirpe degli uomini mortali,
con il pretesto di distruggere la schiatta dei semidèi...
[...]
[Zeús] scagliò dolori su dolori, ed annientò quella stirpe gloriosa.
[E ai mortali quindi versò mali infiniti, così che i piccoli]
alla mammella [non potessero suggere il latte], né alcuno degli uomini
avesse facile vita, né potesse salire sulle nere navi.
Gynaikôn katálogon [fr. 96b > V, -]

Questi due momenti – l'aprirsi e il chiudersi dell'età eroica – connettono la Theogonía, resoconto primordiale sugli esordi del dominio di Zeús, alle Érga kaì Hēmérai, incentrato sull'umanità presente, esposta alla vecchiaia, alla fame, alle malattie, e condannata alla violenza e all'ingiustizia. Il mito delle cinque età dell'uomo, nelle Érga, svela l'intero affresco, e Hēsíodos ci fa assistere al passaggio sulla terra di cinque stirpi umane, perlopiù create e distrutte da Zeús, che spostano l'asse ontologico dalla perfezione originaria fino alla situazione di estrema debolezza etica e fisica in cui versa l'umanità attuale. Il trapasso dalla perfezione originaria all'odierna condizione umana era suggerita nella Theogonía con il mito del sacrificio di Mēkṓnē, della ribellione di Promētheús e della creazione di Pandṓra. Tale episodio è ora ripreso nelle Érga kaì Hēmérai, adattato agli scopi peculiari del poema; vi si aggiunge anche il motivo del píthos aperto da Pandṓra, che offre una ragione alla presenza nel mondo di mali e dolori incessanti.

La sobria invocazione iniziale alle Moûsai della Piería, ora risolta in soli dieci versi (a dispetto del lunghissimo inno che apre la Theogonía), è una preghiera levata a Zeús, presentato come occulto giudice delle azioni umane, sempre pronto a esaltare gli umili e abbattere i superbi. È Zeús il centro del canto di Hēsíodos, il cui oggetto è la sapienza umana nei suoi moltissimi aspetti pratici.  Zeús viene ad essere l'oggetto dell'intera opera esiodea. Quello stesso Zeús che nella Theogonía debellava i Titânes per imporre un kósmos basato sulla ragione e sulla giustizia, e che nel Gynaikôn katálogon annientava la stirpe eroica e seminava la terra di mali affinché gli uomini non avessero vita facile, è lo stesso Zeús che Hēsíodos canta ora, nelle Érga kaì Hēmérai, come garante della giustizia nel mondo.

...hón te dià brotoì ándres homôs áphatoí te phatoí te,
rhētoí t' árrētoí te Diòs megáloio hékēti.
rhéa mèn gàr briáei, rhéa dè briáonta chaléptei,
rheîa d' arízēlon minýthei kaì ádēlon aéxei,
rheîa dé t' ithýnei skoliòn kaì agḗnora kárphei
Zeùs hypsibremétēs, hòs hypértata dṓmata naíei.
...per opera sua gli uomini sono illustri e oscuri,
noti e ignoti, per volere del grande Zeús.
Facilmente, infatti, egli dona la forza, abbatte chi è forte,
facilmente umilia chi è grande ed esalta l'umile,
facilmente raddrizza chi è iniquo ed abbatte il superbo,
Zeús che tuona profondo ed abita le eccelse dimore.
Érga kaì Hēmérai [-]

Il potere assoluto di Zeús, già al centro delle precedenti opere di Hēsíodos, viene ora illustrato esplicitamente. Ma l'onnipotenza di Zeús diviene adesso una sorta di teodicea, la garanzia del dominio della giustizia sulla terra, e il volere di Díkē si applica attraverso il rispetto della consuetudini sociali degli esseri umani.

L'invocazione a Zeús ha però, questa volta, un sapore più intimo: «tu emetti le sentenze con giustizia e io esporrò il vero a Pérsē» [díkēi d' íthyne thémistas týnē: egṑ dé ke Pérsēi etḗtyma mythēsaímēn] (Érga kaì Hēmérai [-]). È il messaggio che il poeta vuole lanciare al fratello che lo ha tradito, corrompendo i magistrati, e svelargli le cose che sgorgano sinceramente dal suo cuore, e pertanto schiette e veraci. L'inserimento del dettaglio autobiografico fa sì che l'opera acquisti, accanto al valore religioso ed etico, anche un carattere parenetico. L'opera passa infatti, in maniera continuativa, dall'esposizione generale a quella particolare: le ingiustizie subite da Hēsíodos per colpa di Pérsē divengono paradigmatiche della condizione umana, ma anche una profonda occasione di riflessione morale.

Punto di partenza è la constatazione del profondo stato di ingiustizia in cui si dibattono gli uomini, presentato da Hēsíodos con una storia di animali, di fatto la prima favola dell'intera letteratura occidentale: uno sparviero cattura un usignolo e, legittimato dalla sua forza, dichiara che può farne quello che vuole. È a fronte di questa visione pessimistica di una società dominata dal male e dalla sopraffazione che Hēsíodos afferma il suo ideale: due quadri contrapposti, di dieci versi ciascuno, mostrano la città della giustizia, benedetta dagli dèi, e quella dell'ingiustizia. Ad essi segue la necessaria conclusione: l'ordine cosmico garantito da Zeús deve riflettersi, necessariamente, nel comportamento dei mortali. E questa giustizia risulta essere, per Hēsíodos, insita nei costumi della società tradizionale, che egli ben conosce, nell'etica del lavoro e dei corretti rapporti sociali.

Così, mentre il cantore omerico celebrava il mondo aristocratico ed eroico, Hēsíodos è il poeta degli umili. Il mondo di Hēsíodos non è più un mondo di guerrieri pronti a dimostrare l'eccellenza del loro valore sul campo di battaglia, ma un ambiente prevalentemente agricolo e rurale, abitato da piccoli proprietari terrieri (contadini e pastori), artigiani (fabbri, carpentieri, vasai) e piccoli commercianti, anche marittimi, e basato su una primitiva economia di produzione e scambio. Quello di Hēsíodos è un mondo arretrato, povero, conservatore (il motto hŷs Boiōtía «porca Beozia» scherniva la durezza d'ingegno della popolazione). Eppure egli si fa banditore di questo ambiente, dei suoi valori, della sua dignità, e la sua ispirazione trova forza nella religiosità, nell'esigenza morale della giustizia, nell'etica del lavoro.

Theókritos, idillio V (1922)
William Russell Flint (1880-1969). Illustrazione (Lang 1922)
Hēsíodos
ÉRGA KAÌ HĒMÉRAI
LE OPERE E I GIORNI
  1. Proemio (-)
  2. Le due Éris (-)
  3. La lite con Pérsē (-)
  4. Zeús, Promētheús e il mito di Pandṓra (-)
  5. Il mito delle età dell'uomo: la stirpe dell'oro (-)
  6. Il mito delle età dell'uomo: la stirpe dell'argento (-)
  7. Il mito delle età dell'uomo: la stirpe del bronzo (-) 
  8. Il mito delle età dell'uomo: la stirpe degli eroi (-) 
  9. Il mito delle età dell'uomo: la stirpe del ferro (-)
  10. L'usignolo e lo sparviero (-)
  11. Giustizia e ingiustizia (-)
  12. Ammonimento ai giudici (-)
  13. La legge degli uomini (-5)
  14. La via del bene (-)
  15. Necessità del lavoro (-)
  16. La violenza e il furto (-)
  17. La devozione verso gli dèi (-)
  1. I vicini (-)
  2. Precetti vari (-)
  3. L'aratura e la mietitura (-)
  4. L'aratura e l'autunno (-)
  5. L'inverno (-)
  6. La primavera (-)
  7. L'estate (-)
  8. L'autunno (-)
  9. La navigazione (-)
  10. Il matrimonio (-)
  11. Gli amici (-)
  12. La moderazione, la convenienza e la fama (-)
  13. I giorni fausti (-)
  14. Giorni fausti e infausti (-)
  15. Altri giorni fausti (-)
  16. Giorni né fausti né infausti ( -)
  17. Epilogo (-)
   
 ÉRGA KAÌ HĒMÉRAI LE OPERE E I GIORNI
   
Proemio 
Moûsai Pieríēthen aoidêisi kleíousai,
deûte Dí' ennépete, sphéteron patér' hymneíousai.
hón te dià brotoì ándres homôs áphatoí te phatoí te,
rhētoí t' árrētoí te Diòs megáloio hékēti.
rhéa mèn gàr briáei, rhéa dè briáonta chaléptei,
Moûsai di Piería, che donate la gloria con il vostro canto,
cantate e celebrate ora il padre Zeús;
per opera sua gli uomini sono illustri e oscuri,
noti e ignoti, per volere del grande Zeús.
Facilmente, infatti, egli dona la forza, abbatte chi è forte,
 rheîa d' arízēlon minýthei kaì ádēlon aéxei,
rheîa dé t' ithýnei skoliòn kaì agḗnora kárphei
Zeùs hypsibremétēs, hòs hypértata dṓmata naíei.
klŷthi idṑn aíōn te, díkēi d' íthyne thémistas
týnē: egṑ dé ke Pérsēi etḗtyma mythēsaímēn.
facilmente umilia chi è grande ed esalta l'umile,
facilmente raddrizza chi è iniquo ed abbatte il superbo,
Zeús che tuona profondo ed abita le eccelse dimore.
Ascoltami, volgendo lo sguardo e l'orecchio: tu emetti le sentenze
con giustizia ed io esporrò il vero a Pérsē.
Le due Éris 
 Ouk ára moûnon éēn Erídōn génos, all' epì gaîan
eisì dýō: tḕn mén ken epainḗseie noḗsas,
hḕ d' epimōmētḗ: dià d' ándicha thymòn échousin.
hḕ mèn gàr pólemón te kakòn kaì dêrin ophéllei,
schetlíē: oú tis tḗn ge phileî brotós, all' hyp' anáŋkēs
Sulla terra non vi è un solo genere di Éris,
ma ve ne sono due: una viene lodata da chi la conosce,
l'altra è degna di biasimo: hanno infatti un'indole diversa;
l'una infatti favorisce la guerra luttuosa e la discordia:
nessun mortale la ama, ma per necessità
 athanátōn boulêisin Érin timôsi bareîan.
tḕn d' hetérēn protérēn mèn egeínato Nỳx erebennḗ,
thêke dé min Kronídēs hypsízygos, aithéri naíōn,
gaíēs [t'] en rhízēisi kaì andrási pollòn ameínō:
hḗ te kaì apálamón per homôs epì érgon egeírei:
e per volontà degli immortali rispettano la triste Éris.
L'altra venne generata per prima dall'oscura Nýx
e il Kronídēs dall'alto trono, che ha dimora nell'etere,
la pose alle radici della terra; per gli uomini è assai meglio:
essa, infatti, esorta al lavoro anche il pigro;
 eis héteron gár tís te íden érgoio chatízōn
ploúsion, hòs speúdei mèn arómenai ēdè phyteúein
oîkón t' eû thésthai: zēloî dé te geítona geítōn
eis áphenos speúdont': agathḕ d' Éris hḗde brotoîsin.
kaì kerameùs kerameî kotéei kaì téktoni téktōn,
perché questi volge lo sguardo ad un ricco
che si sforza per seminare, coltivare e far prosperare
la casa; allora il vicino emula il vicino che si adopera
per arricchirsi; e questa è una sana Éris tra gli uomini;
il vasaio gareggia con il vasaio, l'artigiano con l'artigiano,
  kaì ptōchòs ptōchôi phthonéei kaì aoidòs aoidôi. il povero con il povero, il cantore con il cantore.
La lite con Pérsē 
 Ô Pérsē, sỳ dè taûta teôi enikáttheo thymôi,
mēdé s' Éris kakóchartos ap' érgou thymòn erýkoi
neíke' opipeúont' agorês epakouòn eónta.
ṓrē gár t' olígē péletai neikéōn t' agoréōn te
Pérsē, poniti questo in mente:
l'Éris che gioisce del male non ti distolga dal lavoro
per ascoltare la piazza o le liti.
Poco tempo rimane per le contese e i discorsi
 hôitini mḕ bíos éndon epēetanòs katákeitai
hōraîos, tòn gaîa phérei, Dēmḗteros aktḗn.
toû ke koressámenos neíkea kaì dêrin ophéllois
ktḗmas' ep' allotríois. soì d' oukéti deúteron éstai
hôd' érdein: all' aûthi diakrinṓmetha neîkos
a chi non ha in casa i mezzi sufficienti per vivere,
la spiga di Dēmḗter e i frutti di stagione che la terra produce.
Tu, quando di ciò avrai abbondanza, muovi pure liti e contese
per i beni altrui. Non ti sarà possibile farlo
una seconda volta: definiamo ora la nostra contesa
 itheíēisi díkēis, haí t' ek Diós eisin áristai.
ḗdē mèn gàr klêron edassámeth', álla te pollà
harpázōn ephóreis méga kydaínōn basilêas
dōrophágous, hoì tḗnde díkēn ethélousi dikássai.
nḗpioi, oudè ísasin hósōi pléon hḗmisy pantòs
secondo retta giustizia che, provenendo da Zeús, è la migliore.
Avevamo già diviso le nostre parti, ma tu volevi
prendere altro e portartelo via, lusingando i giudici
divoratori di doni, i quali sono disposti ad emettere tali sentenze.
Stolti! Non sanno che la metà vale più dell'intero
  oud' hóson en maláchēi te kaì asphodélōi még' óneiar. né quanta ricchezza si cela nella malva e nell'asfodelo.
Zeús, Promētheús e il mito di Pandṓra 
 Krýpsantes gàr échousi theoì bíon anthrṓpoisin.
rhēidíōs gár ken kaì ep' ḗmati ergássaio,
hṓste se keis eniautòn échein kaì aergòn eónta:
aîpsá ke pēdálion mèn hypèr kapnoû katatheîo,
Gli dèi infatti tengono nascosti agli uomini i mezzi di sostentamento;
se così non fosse, lavorando un solo giorno facilmente
ti procureresti da vivere per un anno, restando poi nell'ozio;
presto appenderesti il timone sul focolare
 érga boôn d' apóloito kaì hēmiónōn talaergôn.
allà Zeùs ékrypse cholōsámenos phresì hêisin,
hótti min exapátēse Promētheùs aŋkylomḗtēs:
toúnek' ár' anthrṓpoisin emḗsato kḗdea lygrá,
krýpse dè pŷr: tò mèn aûtis eùs páis Iapetoîo
e sarebbe finito il lavoro dei buoi e delle mule pazienti.
Ma Zeús li nascose adirato dentro il suo cuore
perché Promētheús dagli astuti pensieri lo aveva ingannato;
per questo meditò tristi sciagure a danno degli uomini
e celò il fuoco; ma il nobile figlio di Iapetós
 ékleps' anthrṓpoisi Diòs parà mētióentos
en koílōi nárthēki, lathṑn Día terpikéraunon.
tòn dè cholōsámenos proséphē nephelēgeréta Zeús:
Iapetionídē, pántōn péri mḗdea eidṓs,
chaíreis pŷr klépsas kaì emàs phrénas ēperopeúsas,
lo rubò, a beneficio degli uomini, a Zeús dai saggi consigli:
ingannò Zeús che si rallegra della folgore e lo pose in un bastone cavo.
Adirato, Zeús adunatore di nubi disse:
“Figlio di Iapetós, tu che sei il più ingegnoso di tutti,
ti rallegri di avermi ingannato e del fuoco rubato:
 soí t' autôi méga pêma kaì andrásin essoménoisin.
toîs d' egṑ antì pyròs dṓsō kakón, hôi ken hápantes
térpōntai katà thymòn heòn kakòn amphagapôntes.
Hṑs éphat', ek d' egélasse patḕr andrôn te theôn te:
Hḗphaiston d' ekéleuse periklytòn hótti táchista
un grande male verrà per te stesso e per gli uomini futuri:
in cambio del fuoco, io darò loro un male, del quale tutti
nel cuore si rallegreranno, circondando d'amore il loro male”.
Così parlò, poi rise il padre degli uomini e degli dèi:
ordinò poi all'illustre Hḗphaistos di impastare
 gaîan hýdei phýrein, en d' anthrṓpou thémen audḕn
kaì sthénos, athanátēis dè theêis eis ôpa eískein
parthenikês kalòn eîdos epḗraton: autàr Athḗnēn
érga didaskêsai, polydaídalon històn hyphaínein:
kaì chárin amphichéai kephalêi chryséēn Aphrodítēn
velocemente terra e acqua, ponendovi dentro voce umana
e vigore; di formare una figura bella e amabile di vergine,
simile nell'aspetto alle dee immortali; poi disse ad Athēnâ
di insegnarle le arti, come quella di tessere trame dai molti ornamenti;
disse ad Aphrodítē di effonderle grazia intorno alla fronte,
 kaì póthon argaléon kaì gyiobórous meledṓnas:
en dè thémen kýneón te nóon kaì epíklopon êthos
Hermeíēn ḗnōge, diáktoron Argeïphóntēn.
Hṑs éphath', hoì d' epíthonto Diì Kroníōni ánakti...
[autíka d' ek gaíēs plásse klytòs Amphigyḗeis
il tormentoso desiderio e le pene che distruggono le membra;
ordinò a Hermês, il messaggero argeïphóntēs,
di ispirarle un'anima impudente e un'indole scaltra.
Così disse, e quelli obbedirono ai voleri di Zeús Kronídēs;
allora l'illustre amphigýeis plasmò dalla terra
 parthénōi aidoíēi íkelon Kronídeō dià boulás:
zôse dè kaì kósmēse theà glaukôpis Athḗnē:
amphì dé hoi Chárités te theaì kaì pótnia Peithṑ
hórmous chryseíous éthesan chroḯ: amphì dè tḗn ge
Hôrai kallíkomoi stéphon ánthesi eiarinoîsin:
un'immagine simile a vergine casta, secondo la volontà del Kronídēs;
la dea glaukṓpis Athēnâ le annodò la cintura e l'adornò;
attorno a lei le Chárites e la veneranda Peithṓ
le posero sul corpo aurei monili;
le Hṓrai dalle belle chiome le intrecciarono collane di fiori di primavera;
 pánta dé hoi chroï̀ kósmon ephḗrmose Pallàs Athḗnē:]
en d' ára hoi stḗthessi diáktoros Argeïphóntēs
pseúdeá th' haimylíous te lógous kaì epíklopon êthos
teûxe Diòs boulêisi baryktýpou: en d' ára phōnḕn
thêke theôn kêryx, onómēne dè tḗnde gynaîka
Pállas Athēnâ adattò ogni ornamento al suo corpo.
Il messaggero argeïphóntēs le pose dentro al petto
indole ingannatrice, menzogne e astuti discorsi,
come voleva Zeús che tuona profondo; il divino
araldo degli dèi le diede la voce e chiamò questa donna
 Pandṓrēn, hóti pántes Olýmpia dṓmat' échontes
dôron edṓrēsan, pêm' andrásin alphēstêisin.
autàr epeì dólon aipỳn amḗchanon exetélessen,
eis Epimēthéa pémpe patḕr klytòn Argeïphóntēn
dôron ágonta, theôn tachỳn áŋgelon: oud' Epimētheùs
Pandṓra, perché tutti gli abitanti di Ólympos
le diedero un dono, rovina per gli uomini che mangiano pane.
Poi, dopo aver compiuto l'inganno profondo e difficile,
il padre mandò l'illustre argeïphóntēs, araldo veloce,
da Epimētheús, per portare il dono divino;
 ephrásath' hṓs hoi éeipe Promētheùs mḗ pote dôron
déxasthai pàr Zēnòs Olympíou, all' apopémpein
exopísō, mḗ poú ti kakòn thnētoîsi génētai:
autàr hò dexámenos, hóte dḕ kakòn eîch', enóēse.
Prìn mèn gàr zṓeskon epì chthonì phŷl' anthrṓpōn
Epimētheús non si preoccupò – come diceva Promētheús
di non accettare mai un dono da Zeús olimpio,
né di rimandarlo indietro, per evitare sciagure ai mortali:
egli comprese la disgrazia solo dopo aver accolto il dono.
Sino ad allora la stirpe degli uomini viveva
 nósphin áter te kakôn kaì áter chalepoîo pónoio
noúsōn t' argaléōn, haí t' andrási kêras édōkan.
[aîpsa gàr en kakótēti brotoì katagēráskousin.]
allà gynḕ cheíressi píthou méga pôm' apheloûsa
eskédas̱', anthrṓpoisi d' emḗsato kḗdea lygrá.
lontano e al riparo dal male, senza l'aspra fatica,
senza le malattie dolorose che portano alla morte
– rapidamente, infatti, invecchiano i mortali nel dolore –.
Ma la donna, levando di sua mano il grande coperchio dall'orcio,
disperse i mali e procurò agli uomini gli affanni luttuosi.
 moúnē d' autóthi Elpìs en arrḗktoisi dómoisin
éndon émeine píthou hypò cheílesin oudè thýraze
exéptē: prósthen gàr epémbale pôma píthoio
aigióchou boulêisi Diòs nephelēgerétao.
álla dè myría lygrà kat' anthrṓpous alálētai:

Solo Elpís, nella casa intatta,
rimase sotto le labbra dell'orcio, né volò fuori,
perché la donna aveva rimesso il coperchio sull'orcio
per volere di Zeús aigíokhos adunatore di nubi.
I mali infinti vagano tra gli uomini,

 pleíē mèn gàr gaîa kakôn, pleíē dè thálassa:
noûsoi d' anthrṓpoisin eph' hēmérēi, haì d' epì nyktì
autómatoi phoitôsi kakà thnētoîsi phérousai
sigêi, epeì phōnḕn exeíleto mētíeta Zeús.
hoýtōs oú tí pē ésti Diòs nóon exaléasthai.

di mali è piena è la terra, ne è pieno il mare;
le malattie si aggirano tra gli uomini, alcune di giorno, altre di notte,
portando dolore ai mortali a loro piacimento, in silenzio,
perché della voce le privò il saggio Zeús.
Non è possibile ingannare la mente di Zeús.

Il mito delle età dell'uomo: la stirpe dell'oro 
 Ei d' ethéleis, héterón toi egṑ lógon ekkoryphṓsō
eû kaì epistaménōs: sỳ d' enì phresì bálleo sêisin
[hōs homóthen gegáasi theoì thnētoí t' ánthrōpoi.]
Chrýseon mèn prṓtista génos merópōn anthrṓpōn
athánatoi poíēsan Olýmpia dṓmat' échontes.
Se lo desideri, darò coronamento al mio discorso con un altro racconto,
esposto bene e in modo opportuno: e tu convinciti
che gli dèi e gli uomini ebbero un origine comune.
Dapprima una stirpe aurea di uomini mortali
venne creato dagli immortali che hanno dimora in Ólympos.
 hoì mèn epì Krónou êsan, hót' ouranôi embasíleuen:
hṓste theoì d' ézōon akēdéa thymòn échontes
nósphin áter te pónōn kaì oizýos, oudé ti deilòn
gêras epên, aieì dè pódas kaì cheîras homoîoi
térpont' en thalíēisi, kakôn éktosthen hapántōn:
Erano i tempi di Krónos, quando egli regnava nel cielo;
gli uomini vivevano come dèi, senza affanni nel cuore,
al riparo da pene e miseria; né per loro arrivava
la triste vecchiaia, ma erano sempre forti nelle gambe e nelle braccia;
si rallegravano nei conviti, lontano da tutti i malanni;
 thnêiskon d' hṓsth' hýpnōi dedmēménoi: esthlà dè pánta
toîsin éēn: karpòn d' éphere zeídōros ároura
automátē pollón te kaì áphthonon: hoì d' ethelēmoì
hḗsychoi érg' enémonto sỳn esthloîsin poléessin.
[aphneioì mḗloisi, phíloi makáressi theoîsin.]
morivano come vinti dal sonno e per loro c'erano
ogni sorta di beni: la fertile terra dava spontaneamente
ricchi ed abbondanti frutti; e loro, contenti e sereni,
si godevano i loro beni, tra gioie infinite,
ricchi di greggi e cari agli dèi beati.
 autàr epeì dḕ toûto génos katà gaîa kálypse,
toì mèn daímones hagnoì epichthónioi teléthousin
esthloí, alexíkakoi, phýlakes thnētôn anthrṓpōn,
[hoí rha phylássousín te díkas kaì schétlia érga
ēéra hessámenoi pántē phoitôntes ep' aîan,]
Poi, dopo che la terra ebbe nascosto i loro corpi,
essi divennero daímones, per volere di Zeús grande:
sulla terra, benigni, essi sono i custodi degli uomini mortali
e si prendono cura della giustizia e delle azioni malvagie;
vestiti di nebbia, si aggirano dovunque sulla terra,
  ploutodótai: kaì toûto géras basilḗion éschon. ed elargiscono ricchezza: essi ebbero questo regale onore.
Il mito delle età dell'uomo: la stirpe dell'argento 
 Deúteron aûte génos polỳ cheiróteron metópisthen
argýreon poíēsan Olýmpia dṓmat' échontes,
chryséōi oúte phyḕn enalíŋkion oúte nóēma:
all' hekatòn mèn paîs étea parà mētéri kednêi
Gli abitanti delle olimpie dimore crearono quindi
una seconda stirpe, assai peggiore della prima: quella argentea,
per nulla simile, né per l'aspetto né per la mente, a quella aurea;
per cento anni il fanciullo veniva allevato in casa,
 etréphet' atállōn, méga nḗpios, hôi enì oíkōi:
all' hót' ár' hēbḗsai te kaì hḗbēs métron híkoito,
paurídion zṓeskon epì chrónon, álge' échontes
aphradíēis: hýbrin gàr atásthalon ouk edýnanto
allḗlōn apéchein, oud' athanátous therapeúein
giocoso e stolto, presso la saggia madre;
quando poi crescevano e giungevano al fiore della giovinezza
essi vivevano ancora per poco, soffrendo dolori
per la loro stoltezza, perché non potevano astenersi
dalla tracotante violenza, né intendevano venerare
 ḗthelon oud' érdein makárōn hieroîs epì bōmoîs,
hêi thémis anthrṓpois katà ḗthea. toùs mèn épeita
Zeùs Kronídēs ékrypse choloúmenos, hoýneka timàs
ouk édidon makáressi theoîs hoì Ólympon échousin.
autàr epeì kaì toûto génos katà gaîa kálypse,
gli immortali o sacrificare ai beati sulle are consacrate,
come è legge tra gli uomini secondo il costume.
Zeús Kronídēs, sdegnato, li fece morire, perché non vollero
rendere gli onori agli dèi beati che abitano in Ólympos.
Poi, quando la terra ebbe ricoperto anche questa stirpe,
  toì mèn hypochthónioi mákares thnētoì kaléontai,
deúteroi, all' émpēs timḕ kaì toîsin opēdeî.
essi vennero chiamati presso i mortali inferi beati,
demoni inferiori: anche a loro si accompagna onore.
Il mito delle età dell'uomo: la stirpe del bronzo 
 Zeùs dè patḕr tríton állo génos merópōn anthrṓpōn
chálkeion poíēs̱', ouk argyréōi oudèn homoîon,
ek meliân, deinón te kaì óbrimon: hoîsin Árēos
Zeús padre generò una terza stirpe di gente mortale,
fatta di bronzo, in nulla simile a quella d'argento,
nata dai frassini, violenta e terribile: costoro avevano care
 érg' émele stonóenta kaì hýbries, oudé ti sîton
ḗsthion, all' adámantos échon krateróphrona thymón.
[áplastoi: megálē dè bíē kaì cheîres áaptoi
ex ṓmōn epéphykon epì stibaroîsi mélessi.]
tôn d' ên chálkea mèn teúchea, chálkeoi dé te oîkoi,
le opere dolorose e la violenza di Árēs, né mangiavano pane,
ma avevano il cuore di adamante, senza paura;
erano orrendi: grande era il loro vigore e braccia invincibili
spuntavano dalle loro spalle sopra le membra possenti;
di bronzo erano le loro armi, di bronzo le case,
 chalkôi d' eirgázonto: mélas d' ouk éske sídēros.
kaì toì mèn cheíressin hypò sphetérēisi daméntes
bêsan es eurṓenta dómon kryeroû Aídao,
nṓnymnoi: thánatos dè kaì ekpáglous per eóntas
heîle mélas, lampròn d' élipon pháos ēelíoio.
con il bronzo lavoravano perché il nero ferro non c'era.
Costoro furono distrutti dalle loro stesse mani,
partirono per la tenebrosa dimora del gelido Háidēs,
senza fama: la nera morte, per quanto temibili fossero,
li colse ed essi lasciarono la splendente luce del sole.
Il mito delle età dell'uomo: la stirpe degli eroi 
 Autàr epeì kaì toûto génos katà gaîa kálypsen,
aûtis ét' állo tétarton epì chthonì poulyboteírēi
Zeùs Kronídēs poíēse, dikaióteron kaì áreion,
andrôn hērṓōn theîon génos, hoì kaléontai
hēmítheoi, protérē geneḕ kat' apeírona gaîan.
Poi, dopo che la terra ebbe nascosto anche questa stirpe,
sopra la terra feconda Zeús Kronídēs creò di nuovo
una quarta stirpe divina, più giusta e migliore,
di uomini-eroi, detti semidèi, che venne prima
della nostra generazione sulla terra infinita.
 kaì toùs mèn pólemós te kakòs kaì phýlopis ainḕ
toùs mèn hyph' heptapýlōi Thḗbēi, Kadmēídi gaíēi,
ṓlese marnaménous mḗlōn hének' Oidipódao,
toùs dè kaì en nḗessin hypèr méga laîtma thalássēs
es Troíēn agagṑn Helénēs hének' ēykómoio.
La guerra malvagia e la battaglia terribile li distrusse,
alcuni a Thêbai dalle sette porte, nella terra di Kádmos,
combattendo per le greggi di Oidípous,
altri poi sulle navi che al di là del grande abisso del mare
vennero condotti a Troía, a causa di Helénē dalle belle chiome.
 [Énth' ê toi toùs mèn thanátou télos amphekálypse]
toîs dè dích' anthrṓpōn bíoton kaì ḗthe' opássas
Zeùs Kronídēs katénasse patḕr es peírata gaíēs.
tēloû ap' athanátōn: toîsin Krónos embasileúei.
kaì toì mèn naíousin akēdéa thymòn échontes
Accadde che là alcuni di essi li avvolse un destino di morte;
altri il padre Zeús Kronídēs li pose ai confini della terra,
lontano dagli uomini, dando loro una dimora e i mezzi per vivere:
lontano dagli immortali, essi hanno Krónos per re.
Essi abitano, con il cuore lontano da affanni,
  en makárōn nḗsoisi par' Ōkeanòn bathydínēn,
ólbioi hḗrōes, toîsin meliēdéa karpòn
trìs éteos thállonta phérei zeídōros ároura.
nelle makárōn nsoi, presso Ōkeanós dai gorghi profondi:
felici eroi, per i quali il suolo fecondo produce
un raccolto fiorente e abbondante per tre volte l'anno.
Il mito delle età dell'uomo: la stirpe del ferro 
Mēkét' épeit' ṓphellon egṑ pémptoisi meteînai
andrásin, all' ḕ prósthe thaneîn ḕ épeita genésthai.
Non avrei mai voluto vivere con la quinta stirpe
degli uomini: fossi morto già prima, oppure nato dopo.
 nŷn gàr dḕ génos estì sidḗreon: oudé pot' êmar
paúsontai kamátou kaì oizýos oudé ti nýktōr
phtheirómenoi: chalepàs dè theoì dṓsousi merímnas.
all' émpēs kaì toîsi memeíxetai esthlà kakoîsin.
Zeùs d' olései kaì toûto génos merópōn anthrṓpōn,
Ora, infatti, la stirpe è di ferro; mai le genti
cesseranno di tormentarsi per le fatiche e gli affanni,
né di giorno né di notte; e gli dèi manderanno loro aspre pene:
anche per costoro i mali si mischieranno con i beni.
Ma Zeús distruggerà anche questa stirpe di uomini mortali,
 eût' àn geinómenoi poliokrótaphoi teléthōsin.
oudè patḕr paídessin homoíios oudé ti paîdes
oudè xeînos xeinodókōi kaì hetaîros hetaírōi,
oudè kasígnētos phílos éssetai, hōs tò páros per.
aîpsa dè gēráskontas atimḗsousi tokêas:
quando gli uomini nasceranno già con le tempie bianche;
allora il padre non sarà simile ai figli, né i figli al padre;
l'ospite non sarà caro più caro all'ospite,
né l'amico all'amico e nemmeno il fratello;
i genitori, una volta invecchiati, subiranno ingiurie
 mémpsontai d' ára toùs chalepoîs bázontes épessi,
schétlioi, oudè theôn ópin eidótes: oudé ken hoí ge
gērántessi tokeûsin apò threptḗria doîen:
[cheirodíkai: héteros d' hetérou pólin exalapáxei:]
oudé tis euórkou cháris éssetai oudè dikaíou
e verranno rimproverati con male parole;
gli sciagurati, senza alcun timore degli dèi,
non daranno di che nutrirsi agli anziani genitori;
il diritto starà nella forza ed essi si distruggeranno a vicenda;
il giuramento non sarà rispettato, né lo sarà chi è giusto
 oud' agathoû, mâllon dè kakôn rhektêra kaì hýbrin
anéra timḗsousi: díkē d' en chersí: kaì aidṑs
ouk éstai, blápsei d' ho kakòs tòn areíona phôta
mýthoisi skolioîs enépōn, epì d' hórkon omeîtai.
zêlos d' anthrṓpoisin oizyroîsin hápasi
o buono; piuttosto, verranno rispettati il malvagio
e l'uomo violento; la giustizia si baserà sulla forza, non vi sarà
coscienza; il cattivo offenderà l'uomo buono
con parole perfide e spergiuri;
l'invidia dal volto impudente, amara di lingua e felice del male
 dyskélados kakóchartos homartḗsei stygerṓpēs.
kaì tóte dḕ pròs Ólympon apò chthonòs euryodeíēs
leukoîsin pháressi kalypsaménō chróa kalòn
athanátōn metà phŷlon íton prolipónt' anthrṓpous
Aidṑs kaì Némesis: tà dè leípsetai álgea lygrà
si accompagnerà a tutti i miseri uomini.
Sarà allora che Aidṓs e Némesis,
in candidi veli, nascondendo il bel corpo,
lasceranno i mortali e dalla terra con le sue ampie strade
si muoveranno verso Ólympos, dagli immortali;
  thnētoîs anthrṓpoisi: kakoû d' ouk éssetai alkḗ. gli affanni luttuosi resteranno ma non ci sarà difesa contro il male.
L'usignolo e lo sparviero 
 Nŷn d' aînon basileûsin eréō phronéousi kaì autoîs:
hôd' írēx proséeipen aēdóna poikilódeiron
hýpsi mál' en nephéessi phérōn onýchessi memarpṓs:
hḕ d' eleón, gnamptoîsi peparménē amph' onýchessi,
Ora io narrerò un apologo ai giudici sovrani, che pure sono assennati.
Ecco quello che lo sparviero disse all'usignolo dal collo screziato
mentre lo portava in alto, tra le nubi, dopo averlo ghermito;
l'usignolo, trafitto dagli artigli adunchi, pietosamente
 mýreto: tḕn hó g' epikratéōs pròs mŷthon éeipen:
«daimoníē, tí lélēkas? échei ný se pollòn areíōn:
têi d' eîs hêi s' àn egṓ per ágō kaì aoidòn eoûsan:
deîpnon d', aí k' ethélō, poiḗsomai ēè methḗsō.
áphrōn d', hós k' ethélēi pròs kreíssonas antipherízein:
gemeva; ma lo sparviero parlò con superbia:
“Sciagurato, perché ti lamenti? Sei preda di chi è più forte di te;
andrai là dove io ti porterò, anche se sei un bravo cantore;
ti divorerò oppure, se voglio, ti lascerò andare.
Stolto è chi vuole opporsi ai più forti:
  níkēs te stéretai prós t' aíschesin álgea páschei».
hṑs éphat' ōkypétēs írēx, tanysípteros órnis.
non riporterà vittoria e al danno aggiungerà la beffa”.
Così disse il veloce sparviero, l'uccello che vola con le ali distese.
Giustizia e ingiustizia 
 Ô Pérsē, sỳ d' ákoue díkēs mēd' hýbrin óphelle:
hýbris gár te kakḕ deilôi brotôi, oudè mèn esthlòs
rhēidíōs pherémen dýnatai, barýthei dé th' hyp' autês
O Pérsē, ascolta la giustizia e non alimentare l'hýbris;
la prevaricazione è un male per i deboli; nemmeno il potente
la può sopportare facilmente e ne resta schiacciato
 eŋkýrsas átēisin: hodòs d' hetérēphi pareltheîn
kreíssōn es tà díkaia: díkē d' hypèr hýbrios íschei
es télos exelthoûsa: pathṑn dé te nḗpios égnō.
autíka gàr tréchei Hórkos háma skoliêisi díkēisin:
tês dè Díkēs rhóthos helkoménēs hêi k' ándres ágōsi
quando si imbatte nella sventura; è migliore l'altra strada,
quella che conduce alla giustizia che, al termine del suo corso,
ha la meglio sulla prevaricazione: lo stolto lo impara a suo danno.
Subito Hórkos va assieme alle sentenze inique
e si leva la protesta di Díkē, trascinata dagli uomini
 dōrophágoi, skoliêis dè díkēis krínōsi thémistas:
hḕ d' hépetai klaíousa pólin kaì ḗthea laôn,
ēéra hessaménē, kakòn anthrṓpoisi phérousa,
hoí té min exelásōsi kaì ouk itheîan éneiman.
hoì dè díkas xeínoisi kaì endḗmoisi didoûsin
mangiatori di doni che amministrano la giustizia con sentenze inique;
ella piangendo li segue nelle città e nelle dimore dei popoli,
vestita di nebbia, portando sciagure agli uomini
che l'hanno bandita e non la amministrano rettamente.
Ma se i giudici esercitano la vera giustizia per i cittadini
 itheías kaì mḗ ti parekbaínousi dikaíou,
toîsi téthēle pólis, laoì d' antheûsin en autêi:
eirḗnē d' anà gên kourotróphos, oudé pot' autoîs
argaléon pólemon tekmaíretai eurýopa Zeús:
oudé pot' ithydíkēisi met' andrási limòs opēdeî
e i forestieri, mai allontanandosi dal giusto,
allora la città fiorisce e il popolo in essa risplende;
sulla terra regna la pace nutrice di giovani,
Zeús onniveggente non destina loro la guerra tremenda;
Agli uomini che seguono la retta giustizia non è compagna la fame
 oud' átē, thalíēis dè memēlóta érga némontai.
toîsi phérei mèn gaîa polỳn bíon, oúresi dè drŷs
ákrē mén te phérei balánous, méssē dè melíssas:
eiropókoi d' óies malloîs katabebríthasi:
tíktousin dè gynaîkes eoikóta tékna goneûsi:
né la sventura, nelle feste si godono i frutti dei sudati lavori;
per loro la terra produce frutti in abbondanza; la quercia sui monti
produce ghiande sulla cima e porta le api nel mezzo;
le greggi lanose sono oppresse dal vello,
le donne partoriscono figli simili ai padri;
 thállousin d' agathoîsi diamperés: oud' epì nēôn
nísontai, karpòn dè phérei zeídōros ároura.
hoîs d' hýbris te mémēle kakḕ kaì schétlia érga,
toîs dè díkēn Kronídēs tekmaíretai eurýopa Zeús.
polláki kaì xýmpasa pólis kakoû andròs apēýra,
essi fioriscono di beni senza fine e non andranno
sulle navi, perché la fertile terra produce frutti.
A coloro che invece hanno nel cuore la malvagità e le opere ingiuste
Zeús Kronídēs onniveggente assegna la pena;
spesso anche un'intera città viene punita per un uomo malvagio
 hóstis alitraínēi kaì atásthala mēchanáatai.
toîsin d' ouranóthen még' epḗgage pêma Kroníōn,
limòn homoû kaì loimón, apophthinýthousi dè laoí:
[oudè gynaîkes tíktousin, minýthousi dè oîkoi]
Zēnòs phradmosýnēisin Olympíou: állote d' aûte
che si rende colpevole e macchina scelleratezze:
il figlio di Krónos manda dal cielo un grande castigo,
la fame insieme alla peste; la gente muore,
le donne non partoriscono più, le case vengono distrutte
per il volere di Zeús olimpio; altre volte egli annienta
  ḕ tôn ge stratòn eurỳn apṓlesen ḕ hó ge teîchos
ḕ néas en póntōi Kronídēs apoteínytai autôn.
il loro possente esercito, oppure il Kronídēs
distrugge le mura o le navi sul mare.
Ammonimento ai giudici 
 Ô basilês, hymeîs dè kataphrázesthe kaì autoì
tḗnde díkēn: eŋgỳs gàr en anthrṓpoisin eóntes
athánatoi phrázontai hósoi skoliêisi díkēisin
O giudici sovrani, meditate, anche voi su
questa giustizia; tra gli uomini, infatti,
gli immortali guardano quanti commettono ingiustizia
 allḗlous tríbousi theôn ópin ouk alégontes.
trìs gàr mýrioí eisin epì chthonì poulyboteírēi
athánatoi Zēnòs phýlakes thnētôn anthrṓpōn,
hoí rha phylássousín te díkas kaì schétlia érga
ēéra hessámenoi, pántē phoitôntes ep' aîan.
con sentenze inique, senza timore degli dèi.
Trentamila sono, sulla terra feconda,
gli immortali mandati da Zeús come custodi degli uomini,
che osservano le sentenze e le opere scellerate,
vestiti di nebbia, sparsi ovunque su tutta la terra.
 hē dé te parthénos estì Díkē, Diòs ekgegauîa,
kydrḗ t' aidoíē te theoîs hoì Ólympon échousin,
kaí rh' hopót' án tís min bláptēi skoliôs onotázōn,
autíka pàr Diì patrì kathezoménē Kroníōni
gērýet' anthrṓpōn adíkōn nóon, óphr' apoteísēi
E vi è la vergine Díkē, nata da Zeús,
nobile e venerata dagli dèi che abitano in Ólympos;
quando qualcuno l'offende e, iniquamente, la disprezza,
ella si siede presso il padre Zeús, figlio di Krónos,
e a lui racconta gli ingiusti pensieri degli uomini affinché
 dêmos atasthalías basiléōn hoì lygrà noeûntes
állēi parklínōsi díkas skoliôs enépontes.
taûta phylassómenoi, basilês, ithýnete mýthous,
dōrophágoi, skoliéōn dè dikéōn epì páŋchy láthesthe.
hoî autôi kakà teúchei anḕr állōi kakà teúchōn,
il popolo paghi le follie dei giudici sovrani che meditano
inganni ed emettono le loro inique sentenze.
A questo pensate, o giudici sovrani, operate rettamente,
voi divoratori di doni, e dimenticate le sentenze ingiuste;
l'uomo che prepara il male altrui fa del male a se stesso
 hē dè kakḕ boulḕ tôi bouleúsanti kakístē.
pánta idṑn Diòs ophthalmòs kaì pánta noḗsas
kaí ny tád', aí k' ethélēis̱', epidérketai, oudé he lḗthei
hoíēn dḕ kaì tḗnde díkēn pólis entòs eérgei.
nŷn dḕ egṑ mḗt' autòs en anthrṓpoisi díkaios
e un cattivo pensiero porta danno a chi lo ha pensato;
lo sguardo di Zeús che tutto vede e tutto comprende
scorge anche questo, se vuole, né gli sfugge
quale sia la giustizia che si amministra in una città.
Ora io non vorrei essere giusto tra gli uomini
  eíēn mḗt' emòs hyiós, epeì kakòn ándra díkaion
émmenai, ei meízō ge díkēn adikṓteros héxei.
allà tá g' oúpō éolpa teleîn Día mētióenta.
e nemmeno che lo fosse mio figlio; perché è male essere
onesti se è il malvagio ad ottenere giustizia.
Ma io credo che Zeús non permetta tutto ciò.
La legge degli uomini 
 Ô Pérsē, sỳ dè taûta metà phresì bálleo sêisi
kaí ny díkēs epákoue, bíēs d' epilḗtheo pámpan.
O Pérsē, riponi nel cuore questi precetti:
ascolta la giustizia e dimentica la violenza.
 tónde gàr anthrṓpoisi nómon diétaxe Kroníōn,
ichthýsi mèn kaì thērsì kaì oiōnoîs peteēnoîs
ésthein allḗlous, epeì ou díkē estì met' autoîs:
anthrṓpoisi d' édōke díkēn, hḕ pollòn arístē
gínetai: ei gár tís k' ethélēi tà díkai' agoreûsai
Tale è la legge che agli uomini impose il figlio di Krónos:
ai pesci e alle fiere e agli uccelli alati impose
di divorarsi tra di loro, poiché tra loro non vi è giustizia;
ma agli uomini diede la giustizia, che è cosa molto migliore;
se infatti qualcuno, conoscendo il vero, emette
 ginṓskōn, tôi mén t' ólbon didoî eurýopa Zeús:
hòs dé ke martyríēisin hekṑn epíorkon omóssas
pseúsetai, en dè díkēn blápsas nḗkeston aasthêi,
toû dé t' amaurotérē geneḕ metópisthe léleiptai:
andròs d' euórkou geneḕ metópisthen ameínōn.
giuste sentenze questi viene beneficiato da onniveggente;
ma chi, deliberatamente commette spergiuro e rende
falsa testimonianza inganna Díkē e commette un crimine
senza rimedio; la sua progenie sarà oscura
e fiorirà la stirpe dell'uomo che ha giurato il vero.
La via del bene 
 Soì d' egṑ esthlà noéōn eréō, méga nḗpie Pérsē:
tḕn mén toi kakótēta kaì iladòn éstin helésthai
rhēidíōs: leíē mèn hodós, mála d' eŋgýthi naíei:
tês d' aretês hidrôta theoì propároithen éthēkan
athánatoi: makròs dè kaì órthios oîmos es autḕn
Pensando al tuo bene, stoltissimo Pérsē, io ti parlerò:
è facile avere una vita grama, anche in grande
abbondanza: la strada è piana ed è molto vicina.
Ma gli dèi hanno posto il sudore davanti alla prosperità:
lunga e difficile è la strada e, al principio,
 kaì trēchỳs tò prôton: epḕn d' eis ákron híkētai,
rhēidíē dḕ épeita pélei, chalepḗ per eoûsa.
Hoûtos mèn panáristos, hòs autôi pánta noḗsei
[phrassámenos tá k' épeita kaì es télos êisin ameínō:]
esthlòs d' aû kakeînos hòs eû eipónti píthētai:
ardua; ma quando sei giunto alla vetta
diventa agevole (per quanto sia difficile).
Migliore di tutti è l'uomo che capisce tutto da sé,
sapendo su ciò che alla fine sarà il meglio;
capace è anche colui che ascolta chi lo consiglia bene;
  hòs dé ke mḗt' autôi noéēi mḗt' állou akoúōn
en thymôi bállētai, hò d' aût' achrḗios anḗr.
ma chi non sa capire da solo e non dà retta
ai buoni consigli, costui è un uomo da poco.
Necessità del lavoro 
 allà sý g' hēmetérēs memnēménos aièn ephetmês
ergázeu, Pérsē, dîon génos, óphra se Limòs
echthaírēi, philéēi dé s' eustéphanos Dēmḗtēr
Ma tu ricorda sempre i miei consigli:
lavora, Pérsē, progenie divina, affinché Limós
ti abbia in odio e ti ami invece l'augusta Dēmḗtēr dalla bella corona
 aidoíē, biótou dè teḕn pimplêisi kaliḗn:
Limòs gár toi pámpan aergôi sýmphoros andrí:
tôi dè theoì nemesôsi kaì anéres hós ken aergòs
zṓēi, kēphḗnessi kothoúrois eíkelos orgḗn,
hoí te melissáōn kámaton trýchousin aergoì
e ti riempia il granaio di ciò che occorre per vivere.
Limós è sempre il compagno dell'uomo pigro;
gli uomini e gli dèi hanno in odio chi rimane inoperoso,
simili nell'indole agli inetti fuchi privi di pungiglione,
che consumano la fatica delle api mangiando;
 ésthontes: soì d' érga phíl' éstō métria kosmeîn,
hṓs ké toi hōraíou biótou plḗthōsi kaliaí.
ex érgōn d' ándres polýmēloí t' aphneioí te,
kaí t' ergazómenos polỳ phílteros athanátoisin
[ésseai ēdè brotoîs: mála gàr stygéousin aergoús.]
a te sia caro occuparti del lavoro al tempo giusto,
in modo che il granaio si riempia di cibo nella sua stagione.
Grazie al lavoro gli uomini diventano prosperi e ricchi di armenti;
lavorando diventerai molto più caro agli immortali
e anche agli uomini, perché hanno in odio i pigri.
 érgon d' oudèn óneidos, aergíē dé t' óneidos.
ei dé ken ergázēi, tácha se zēlṓsei aergòs
plouteûnta: ploútōi d' aretḕ kaì kŷdos opēdeî.
daímoni d' hoîos éēstha, tò ergázesthai ámeinon,
eí ken ap' allotríōn kteánōn aesíphrona thymòn
Il lavoro non è vergogna; è vergogna l'ozio;
se tu lavori, presto ti invidierà chi è senza lavoro,
mentre tu ti arricchisci; perché chi è ricco ha fama e benessere;
quale che sia la tua sorte, è meglio lavorare.
Distogli l'animo sconsiderato dai beni altrui
  es érgon trépsas meletâis bíou, hṓs se keleúō.
aidṑs d' ouk agathḕ kechrēménon ándra komízei,
aidṓs, hḗ t' ándras méga sínetai ēd' onínēsin:
aidṓs toi pròs anolbíēi, thársos dè pròs ólbōi.
e pensa al lavoro, ai mezzi per vivere, come ti consiglio.
Non è una buona vergogna quella che accompagna l'uomo indigente
(la vergogna può aiutare o danneggiare gli uomini):
alla miseria si aggiunge vergogna, alla fortuna l'ardire.
La violenza e il furto 
 chrḗmata d' ouch harpaktá, theósdota pollòn ameínō: La ricchezza non deve essere un furto: meglio quella che danno gli dèi;
 ei gár tis kaì chersì bíēi mégan ólbon hélētai,
ḕ hó g' apò glṓssēs lēíssetai, hoîá te pollà
gínetai, eût' àn dḕ kérdos nóon exapatḗsēi
anthrṓpōn, aidô dé t' anaideíē katopázēi,
rheîa dé min mauroûsi theoí, minýthousi dè oîkon
se qualcuno conquista grandi beni con la violenza
o con lo spergiuro, come spesso
suole accadere, quando la bramosia vince la mente
dell'uomo e allora la sfrontatezza vince la decenza;
allora gli dèi facilmente abbattono la casa
 anéri tôi, paûron dé t' epì chrónon ólbos opēdeî.
Îson d' hós th' hikétēn hós te xeînon kakòn érxei,
hós te kasignḗtoio heoû anà démnia baínēi
[kryptadíēis eunêis alóchou, parakaíria rhézōn],
hós té teu aphradíēis alitaínēt' orphanà tékna,
di quell'uomo: la fortuna lo seguirà per poco tempo.
Lo stesso avviene per colui che usa violenza all'ospite
o al supplice, o colui che viola il talamo del fratello
in amplessi furtivi con la sposa di lui, compiendo uno scellerato delitto;
per colui che – pazzo! - commette ingiustizia contro gli orfani,
 hós te gonêa géronta kakôi epì gḗraos oudôi
neikeíēi chalepoîsi kathaptómenos epéessi:
tôi d' ê toi Zeùs autòs agaíetai, es dè teleutḕn
érgōn ant' adíkōn chalepḕn epéthēken amoibḗn.
allà sỳ tôn mèn pámpan éerg' aesíphrona thymón.
per colui che insulta con aspre parole
l'anziano suo padre, sulla triste soglia della vecchiaia;
Zeús stesso si adira contro costoro e, alla fine,
dà aspro compenso alle azioni malvagie.
Ma tu allontana sempre la tua mente leggera da tali empietà.
La devozione verso gli dèi 
 Kàd dýnamin d' érdein hiér' athanátoisi theoîsin
hagnôs kaì katharôs, epì d' aglaà mēría kaíein:
állote dè spondêisi thýessí te hiláskesthai,
ēmèn hót' eunázēi kaì hót' àn pháos hieròn élthēi,
hṓs ké toi hílaon kradíēn kaì thymòn échōsin,
Fai sacrifici agli dèi immortali, santo e puro, secondo
le tue possibilità: brucia per loro lucenti cosce di animale;
in altri giorni rivolgiti a loro con libagioni ed offerte,
quando vai a dormire e quando spunta la sacra luce,
perché gli dèi siano benevoli verso di te
  óphr' állōn ōnêi klêron, mḕ tòn teòn állos. e perché tu possa comprare il podere di un altro, non gli altri il tuo.
I vicini 
 Tòn philéont' epì daîta kaleîn, tòn d' echthròn eâsai:
tòn dè málista kaleîn hóstis séthen eŋgýthi naíei:
ei gár toi kaì chrêm' eŋkṓmion állo ngénētai,
geítones ázōstoi ékion, zṓsanto dè pēoí.
Invita alla tua mensa l'amico, tieni lontano il tuo nemico;
e soprattutto invita chi ti abita accanto;
se accade qualcosa nel villaggio
il vicino accorre senza cintura; il parente deve annodarsela.
 pêma kakòs geítōn, hósson t' agathòs még' óneiar:
émmoré toi timês hós t' émmore geítonos esthloû:
oud' àn boûs apóloit', ei mḕ geítōn kakòs eíē.
eû mèn metreîsthai parà geítonos, eû d' apodoûnai,
autôi tôi métrōi, kaì lṓion aí ke dýnēai,
Un cattivo vicino è una rovina, quello buono un grande aiuto;
fortunato chi ha in sorte un buon vicino;
se hai un bravo vicino, il tuo bue non muore.
Fatti misurare bene dal vicino quello che tu prendi,
restituisci nella stessa misura e anche di più, se puoi;
  hōs àn chrēízōn kaì es hýsteron árkion heúrēis.
mḕ kakà kerdaínein: kakà kérdea îs̱' átēisi.
così che, se avrai bisogno, anche in futuro tu possa contare su di lui.
Non cercare i cattivi guadagni: sono pari alle sventure.
Precetti vari 
 tòn philéonta phileîn, kaì tôi prosiónti proseînai.
kaì dómen hós ken dôi kaì mḕ dómen hós ken mḕ dôi:
dṓtēi mén tis édōken, adṓtēi d' oú tis édōken:
Ama chi ti ama e frequenta chi ti cerca;
dona a chi ti sa dare, non dare a chi non sa donare;
si dona a chi ha dato, a chi nulla mai diede nessuno ha mai dato;
 dṑs agathḗ, hárpax dè kakḗ, thanátoio dóteira:
hòs mèn gár ken anḕr ethélōn, hó ge kaì méga, dṓēi,
chaírei tôi dṓrōi kaì térpetai hòn katà thymón:
hòs dé ken autòs hélētai anaideíēphi pithḗsas,
kaí te smikròn eón, tó g' epáchnōsen phílon êtor.
donare è un bene, rubare è un male che conduce alla morte;
perché l'uomo che dona con il cuore, anche se il dono è grande,
è felice e gioisce nel suo cuore;
colui che invece afferra, con sfrontatezza,
anche se poco, sente il gelo nel cuore.
 ei gár ken kaì smikròn epì smikrôi katatheîo
kaì thamà toût' érdois, tácha ken méga kaì tò génoito:
hòs d' ep' eónti phérei, hò d' aléxetai aíthopa limón.
oudè tó g' ein oíkōi katakeímenon anéra kḗdei:
oíkoi bélteron eînai, epeì blaberòn tò thýrēphin.
Se aggiungi il poco al poco,
ma lo fai spesso, presto diventerà molto.
Chi aggiunge a quello che ha tiene lontana la fame feroce;
quello che si ha in casa non dà pensieri;
il meglio è avere in casa: reca danno ciò che rimane fuori;
 esthlòn mèn pareóntos helésthai, pêma dè thymôi
chrēízein apeóntos: há se phrázesthai ánōga.
Archoménou dè píthou kaì lḗgontos korésasthai,
messóthi pheídesthai: deilḕ d' en pythméni pheidṓ.
[misthòs d' andrì phílōi eirēménos árkios éstō:
è bene prendere da ciò che si ha; è penoso per il cuore
avere bisogno di ciò che non c'è: questo ti esorto a pensare.
Saziati dell'orcio quando inizi o stai per finire,
risparmialo quando sei a metà: è inutile risparmiare alla fine.
Assicura all'amico il compenso pattuito;
 kaí te kasignḗtōi gelásas epì mártyra thésthai:
† písteis d' ára † homôs kaì apistíai ṓlesan ándras.]
mēdè gynḗ se nóon pygostólos exapatátō
haimýla kōtíllousa, teḕn diphôsa kaliḗn:
hòs dè gynaikì pépoithe, pépoith' hó ge philḗtēisin.
anche con un fratello, sia pure con il sorriso, chiama un testimone:
l'eccesso di fiducia e di sfiducia rovinano parimenti l'uomo.
La tua mente non sia ingannata da una donna dalle belle forme,
che parla seducendo: costei cerca la tua dispensa;
chi si fida della donna si fida dei ladri.
 mounogenḕs dè páis eíē patrṓion oîkon
pherbémen: hṑs gàr ploûtos aéxetai en megároisin:
gēraiòs dè thánoi héteron paîd' eŋkataleípōn.
rheîa dé ken pleónessi póroi Zeùs áspeton ólbon:
pleíōn mèn pleónōn melétē, meízōn d' epithḗkē.
Possa un unico figlio badare ai beni paterni
(così la ricchezza aumenta nella tua casa)
e, vecchio, possa morire lasciando un solo figlio;
anche se Zeús può dare infinita ricchezza a molti:
maggiore è il lavoro di molti, maggiore il profitto.
  soì d' ei ploútou thymòs eéldetai en phresì sêisin,
hôd' érdein, kaì érgon ep' érgōi ergázesthai.
Se il tuo cuore alberga desiderio di ricchezza,
ecco cosa devi fare: aggiungi lavoro a lavoro.
L'aratura e la mietitura 
 Plēiádōn Atlagenéōn epitellomenáōn
árchesth' amḗtou, arótoio dè dysomenáōn.
haì dḗ toi nýktas te kaì ḗmata tessarákonta
Quando sorgono le Pleiádes, figlie di Átlas,
comincia la mietitura; l'aratura, invece, al tramonto.
Esse infatti stanno nascoste per quaranta giorni
 kekrýphatai, aûtis dè periploménou eniautoû
phaínontai tà prôta charassoménoio sidḗrou.
hoŷtós toi pedíōn péletai nómos hoí te thalássēs
eŋgýthi naietáous̱' hoí t' áŋkea bēssḗenta
póntou kymaínontos apóprothi, píona chôron,
e per quaranta giorni; poi, volgendosi l'anno,
appaiono quando è il momento di affilare gli arnesi.
Questa è la legge dei campi, sia per quelli che dimorano
nei pressi del mare, sia per coloro che abitano le fertili pianure,
nelle valli profonde, lontano dal mare ondoso.
 naíousin: gymnòn speírein, gymnòn dè boōteîn,
gymnòn d' amáein, eí ch' hṓria pánt' ethélēistha
érga komízesthai Dēmḗteros, hṓs toi hékasta
hṓri' aéxētai, mḗ pōs tà métaze chatízōn
ptṓssēis allotríous oíkous kaì mēdèn anýssēis.
Semina nudo, ara nudo e vai a mietere nudo,
se vuoi compiere per tempo i lavori di Dēmḗter
e vuoi che i frutti crescano nella sua stagione,
affinché dopo non accada che, in preda al bisogno,
tu vada mendicando nelle case altrui senza ottenere nulla.
 hōs kaì nŷn ep' ém' êlthes: egṑ dé toi ouk epidṓsō
oud' epimetrḗsō: ergázeu, nḗpie Pérsē,
érga tá t' anthrṓpoisi theoì dietekmḗranto,
mḗ pote sỳn paídessi gynaikí te thymòn acheúōn
zēteúēis bíoton katà geítonas, hoì d' amelôsin.
Così anche ora tu sei venuto da me; ma io non ti darò
né ti presterò altro; bada, sconsiderato di un Pérsē,
a quei lavori che gli dèi hanno prescritto per gli uomini,
affinché tu non debba mai elemosinare il pane ai vicini
indifferenti, dolente nel cuore, assieme ai figli e alla moglie.
  dìs mèn gàr kaì trìs tácha teúxeai: ḕn d' éti lypêis,
chrêma mèn ou prḗxeis, sỳ d' etṓsia póll' agoreúseis,
achreîos d' éstai epéōn nomós. allá s' ánōga
phrázesthai chreiôn te lýsin limoû t' aleōrḗn.
Per due o tre volte potrai ottenere qualcosa; ma se li seccherai
ancora, non otterrai nulla: vano sarà il tuo parlare
e impossibile saziarsi di parole. Ma io ti esorto:
pensa a pagare i tuoi debiti e ad allontanare la fame.
L'aratura e l'autunno 
 Oîkon mèn prṓtista gynaîká te boûn t' arotêra, Prima di tutto prepara la casa, una donna e un bue per l'aratro:
 [ktētḗn, ou gametḗn, hḗtis kaì bousìn hépoito,]
chrḗmata d' ein oíkōi pánt' ármena poiḗsasthai,
mḕ sỳ mèn aitêis állon, hò d' arnêtai, sỳ dè tētâi,
hē d' hṓrē parameíbētai, minýthēi dé toi érgon.
mēd' anabállesthai és t' aúrion és te énēphi:
che la donna non sia la moglie, ma una schiava che segua i tuoi buoi);
prepara tutti gli arnesi adatti in casa, perché tu non debba
chiederli agli altri (e rimanere senza, se te li rifiutano):
la stagione propizia passerà e il lavoro sarà perduto.
Non rimandare mai nulla all'indomani, o al giorno successivo:
 ou gàr etōsioergòs anḕr pímplēsi kaliḕn
oud' anaballómenos: melétē dé toi érgon ophéllei:
aieì d' amboliergòs anḕr átēisi palaíei.
Ē̂mos dḕ lḗgei ménos oxéos ēelíoio
kaúmatos idalímou, metopōrinòn ombrḗsantos
perché chi fugge il lavoro o lo rimanda
non riempie il granaio; la diligenza giova al lavoro,
chi sempre rimanda si trova ad affrontare guai.
Quando si acquieta la forza del sole che brucia,
della vampa che spreme il sudore, e il potente Zeús
 Zēnòs eristhenéos, metà dè trépetai bróteos chrṑs
pollòn elaphróteros: dḕ gàr tóte Seírios astḕr
baiòn hypèr kephalês kēritrephéōn anthrṓpōn
érchetai ēmátios, pleîon dé te nyktòs epaureî:
têmos adēktotátē péletai tmētheîsa sidḗrōi
manda le piogge autunnali, allora il corpo dell'uomo è assai
più leggero a muoversi; in quel tempo la stella di Sirio occupa
una piccola porzione del giorno e prende una parte maggiore della notte,
viaggiando sopra le teste degli uomini mortali;
allora la legna tagliata dal ferro resiste meglio ai tarli:
 hýlē, phýlla d' éraze chéei, ptórthoió te lḗgei:
têmos ár' hylotomeîn memnēménos hṓria érga:
ólmon mèn tripódēn támnein, hýperon dè trípēchyn,
áxona d' heptapódēn: mála gár ný toi ármenon hoýtō:
ei dé ken oktapódēn, apò kaì sphŷrán ke támoio.
le sue fronde si riversano a terra e cessano di germogliare;
è l'ora di tagliare i tronchi (ricorda i lavori che la stagione richiede).
Taglia un mortaio di tre piedi, un pestello di tre cubiti
ed un asse di sette piedi (è la misura più adatta);
se dovesse essere di otto piedi, ne potresti ricavare un maglio;

 
trispíthamon d' hápsin támnein dekadṓrōi amáxēi,
póll' epikampýla kâla: phérein dè gýēn, hót' àn heúrēis,
eis oîkon, kat' óros dizḗmenos ḕ kat' árouran,
príninon: hòs gàr bousìn aroûn ochyrṓtatós estin,
eût' àn Athēnaíēs dmôos en elýmati pḗxas
per un carro di dieci palmi taglia ruote di tre spanne.
Ci sono molti legni ricurvi: se li trovi (cercando sui monti
o nel piano) porta a casa un vomere di leccio:
è il più saldo per il lavoro dei buoi,
quando [il fabbro], servo di Athēnâ, lo pianterà nel ceppo,





gómphoisin pelásas prosarḗretai histoboêi.
doià dè thésthai árotra, ponēsámenos katà oîkon,
autógyon kaì pēktón, epeì polỳ lṓion hoýtō:
eí ch' héteron [g'] áxais, héterón k' epì bousì báloio.
dáphnēs d' ḕ pteléēs akiṓtatoi histoboêes.
lo fisserà con i chiodi e lo adatterà al timone dell'aratro.
Costruisci due aratri in casa, uno fatto
di un solo pezzo, l'altro di molti; sarà molto meglio:
se uno si rompe, attaccherai ai buoi l'altro.
I timoni più saldi sono quelli di alloro e di olmo, immuni dai tarli;





dryòs élyma, prínou dè gýēn. bóe d' ennaetḗrō
ársene kektêsthai: tôn gàr sthénos ouk alapadnón:
hḗbēs métron échonte: tṑ ergázesthai arístō.
ouk àn tṓ g' erísante en aúlaki kàm mèn árotron
áxeian, tò dè érgon etṓsion aûthi lípoien.
il ceppo deve essere di quercia, il vomere di leccio. Compra
due buoi maschi di nove anni: sono vigorosi,
nel pieno di giovinezza e ottimi per lavorare;
non cozzeranno a metà del solco, né romperanno
l'aratro, lasciando il lavoro incompiuto.
 toîs d' háma tessarakontaetḕs aizēòs hépoito
árton deipnḗsas tetrátryphon, oktáblōmon,
hós k' érgou meletôn itheíēn aúlak' elaúnoi,
mēkéti paptaínōn meth' homḗlikas, all' epì érgōi
thymòn échōn: toû d' oú ti neṓteros állos ameínōn
Li segua un uomo robusto di quarant'anni
(nutrito con un pane spartito per quattro, di otto bocconi)
che, dedito al lavoro, tracci dritto il solco,
senza guardarsi intorno verso i compagni, ma con la mente
rivolta al lavoro; un altro più giovane è meno adatto
 spérmata dássasthai kaì episporíēn aléasthai:
kouróteros gàr anḕr meth' homḗlikas eptoíētai.
Phrázesthai d', eût' àn geránou phōnḕn epakoúsēis
hypsóthen ek nephéōn eniaúsia keklēgyíēs,
hḗ t' arótoió te sêma phérei kaì cheímatos hṓrēn
a spargere le sementi e ad evitare un'altra semina;
un uomo più giovane è tutto preso e distratto dai compagni.
Stai attento al verso della gru che ogni anno,
dall'alto delle nubi, ripete il suo lamento;
ti annuncia il momento di arare e la stagione piovosa
 deiknýei ombrēroû, kradíēn d' édak' andròs aboúteō:
dḕ tóte chortázein hélikas bóas éndon eóntas:
rhēídion gàr épos eipeîn: «bóe dòs kaì ámaxan:
rhēídion d' apanḗnasthai: pára [d'] érga bóessin».
phēsì d' anḕr phrénas aphneiòs pḗxasthai ámaxan:
dell'inverno: addolora il cuore di chi è privo di buoi;
allora che devi ingrassare nella stalla i buoi dalle corna ricurve;
è facile dire: “Prestami due buoi ed il carro”,
ma è altrettanto facile negarli: “I buoi sono al lavoro”.
L'uomo ricco di fantasia pensa di costruirsi un carro:
 nḗpios, oudè tò oîd': hekatòn dé te doúrat' amáxēs,
tôn prósthen melétēn echémen oikḗia thésthai.
Eût' àn dḕ prṓtist' árotos thnētoîsi phanḗēi,
dḕ tót' ephormēthênai, homôs dmôés te kaì autós,
aúēn kaì dierḕn aróōn arótoio kath' hṓrēn,
non sa, lo stolto, che cento sono i pezzi del carro
e che prima bisogna radunarli in casa.
Quando per i mortali viene il tempo di arare,
allora affrettati (tu e i tuoi schiavi) di buon mattino
a solcare il terreno, nella stagione dell'aratura,
 prōì mála speúdōn, hína toi plḗthōsin árourai.
éari poleîn: théreos dè neōménē oú s' apatḗsei:
neiòn dè speírein éti kouphízousan árouran.
neiòs alexiárē paídōn eukēlḗteira.
Eúchesthai dè Diì chthoníōi Dēmḗterí th' hagnêi
con il tempo secco o umido, per riempire i campi di spighe;
ara in primavera e d'estate la terra dissodata non ti deluderà.
Semina il maggese quando le zolle sono morbide:
il maggese allontana i mali e placa i fanciulli.
Prega Zeús ctonio e la venerabile Dēmḗter
 ekteléa bríthein Dēmḗteros hieròn aktḗn,
archómenos tà prôt' arótou, hót' àn ákron echétlēs
cheirì labṑn hórpēki boôn epì nôton híkēai
éndryon helkóntōn mesábōn. ho dè tytthòs ópisthe
dmôos échōn makélēn pónon orníthessi titheíē
affinché la spiga di Dēmḗter sia robusta quando è matura,
quando - non appena incominci ad arare – impugni
l'estremità del manubrio e pungoli la schiena dei buoi
che tirano i cavi del giogo. Dietro, un piccolo schiavo,
tenendo la zappa, ricopra il seme
 spérma katakrýptōn: euthēmosýnē gàr arístē
thnētoîs anthrṓpois, kakothēmosýnē dè kakístē.
hôdé ken hadrosýnēi stáchyes neúoien éraze,
ei télos autòs ópisthen Olýmpios esthlòn opázoi,
ek d' aŋgéōn eláseias aráchnia, kaí se éolpa
a dispetto degli uccelli; l'ordine è la cosa migliore
per gli uomini, il disordine è la peggiore.
Così, le spighe mature si piegheranno al suolo
se l'Olýmpios manderà a buon fine il tuo lavoro;
pulirai i tuoi vasi dalle ragnatele: e io ho fiducia
 gēthḗsein biótou aireúmenon éndon eóntos.
euochthéōn d' híxeai poliòn éar oudè pròs állous
augáseai: séo d' állos anḕr kechrēménos éstai.
Ei dé ken ēelíoio tropêis aróōis chthóna dîan,
hḗmenos amḗseis olígon perì cheiròs eérgōn,
che potrai godere del raccolto messo al sicuro in casa
e arrivare alla chiara primavera nell'abbondanza; né gli altri
dovrai invidiare, ma saranno loro ad avere bisogno di te.
Se attenderai il solstizio per arare la sacra terra,
seduto tu mieterai quel poco che la mano riesce a tenere,
 antía desmeúōn kekoniménos, ou mála chaírōn,
oíseis d' en phormôi: paûroi dé se thēḗsontai.
állote d' alloîos Zēnòs nóos aigióchoio,
argaléos d' ándressi katathnētoîsi noêsai.
ei dḗ k' óps' arósēis, tóde kén toi phármakon eíē:
infelice legherai le spighe tra la polvere,
le porterai in un paniere e pochi staranno a guardarti.
La mente di Zeús aigíokhos, a volte, è ardua
a comprendersi per gli uomini mortali.
Se lavori la sacra terra in ritardo, questo può essere il rimedio:
 êmos kókkyx kokkýzei dryòs en petáloisi
tò prôton, térpei dè brotoùs ep' apeírona gaîan,
têmos Zeùs hýoi trítōi ḗmati mēd' apolḗgoi,
mḗt' ár' hyperbállōn boòs hoplḕn mḗt' apoleípōn:
hoýtō k' opsarótēs prōiērótēi isopharízoi.
quando il cuculo canta fra le fronde della quercia
e rallegra i mortali sulla terra infinita,
se per tre giorni Zeús dovesse mandar pioggia incessante
(l'acqua non superi lo zoccolo al bue, né le rimanga al di sotto),
allora chi lavora in ritardo potrà raggiungere l'aratore solerte.
  en thymôi d' eû pánta phylásseo: mēdé se lḗthoi
mḗt' éar ginómenon poliòn mḗth' hṓrios ómbros.
Custodisci nel cuore questi precetti e non ti sfugga
il sopraggiungere della primavera luminosa e la pioggia opportuna.
L'inverno 
 Pàr d' íthi chálkeion thôkon kaì epaléa léschēn
hṓrēi cheimeríēi, hopóte krýos anéra érgōn
ischánei, éntha k' áoknos anḕr méga oîkon ophélloi,
Tira dritto, davanti alla calda officina del fabbro,
nella stagione invernale, quando il freddo distoglie
l'uomo dal lavoro; allora l'uomo solerte si prende cura della casa,
 mḗ se kakoû cheimônos amēchaníē katamárpsēi
sỳn peníēi, leptêi dè pachỳn póda cheirì piézēis.
pollà d' aergòs anḗr, keneḕn epì elpída mímnōn,
chrēízōn biótoio, kakà proseléxato thymôi.
elpìs d' ouk agathḕ kechrēménon ándra komízei,
affinché il rigore dell'inverno crudele non ti sorprenda
nella miseria, mentre con la mano magra stringi il piede rigonfio.
L'uomo ozioso, che si culla di vane speranze,
rivolge molti rimproveri al suo cuore, quando il vitto manca;
la cattiva speranza accompagna l'uomo indigente,
 hḗmenon en léschēi, tôi mḕ bíos árkios eíē.
deíknye dè dmṓessi théreus éti méssou eóntos:
«ouk aieì théros esseîtai, poieîsthe kaliás.»
Mêna dè Lēnaiôna, kák' ḗmata, boudóra pánta,
toûton aleúasthai kaì pēgádas, haí t' epì gaîan
che siede sulla pubblica piazza e non ha di che mangiare.
Avverti i tuoi schiavi, a metà dell'estate:
“Non sarà sempre estate! Costruite delle capanne!”.
Guàrdati dal mese di Lēnaiṓn (le giornate sono tutte cattive,
fanno scorticare i buoi) e dal ghiaccio molesto
 pneúsantos Boréao dysēlegées teléthousin,
hós te dià Thrḗikēs hippotróphou euréi póntōi
empneúsas ṓrine, mémyke dè gaîa kaì hýlē:
pollàs dè drŷs hypsikómous elátas te pacheías
oúreos en bḗssēis pilnâi chthonì poulyboteírēi
che si forma sulla terra, quando spira Boréas,
che proviene dalla Thráikē nutrice di cavalli e soffia,
sconvolge il vasto mare, mentre gemono la terra e le foreste;
abbatte sulla terra feconda molte querce dalle alte chiome
e abeti frondosi nelle gole dei monti,
 empíptōn, kaì pâsa boâi tóte nḗritos hýlē:
thêres dè phríssous̱', ouràs d' hypò méze' éthento:
tôn kaì láchnēi dérma katáskion: allá ny kaì tôn
psychròs eṑn diáēsi dasystérnōn per eóntōn:
kaí te dià rhinoû boòs érchetai oudé min íschei,
picchiando contro di loro; e risuona la selva infinita.
Le fiere tremano: anche quelle che hanno la calda pelliccia
si mettono la coda vicino al ventre, perché il gelo
penetra anche in esse, benché abbiano il petto villoso;
soffia attraverso la pelle del bue, che non lo trattiene,
 kaí te di' aîga áēsi tanýtricha: pṓea d' oúti,
hoýnek' epēetanaì tríches autôn, ou diáēsi
ìs anémou Boréō: trochalòn dè géronta títhēsin
kaì dià parthenikês hapalóchroos ou diáēsin,
hḗ te dómōn éntosthe phílēi parà mētéri mímnei,
e attraverso il lungo vello della capra;
ma la forza del vento Boréas, che piega la schiena del vecchio,
non passa attraverso la pecora (troppo abbondante è il suo pelo),
né tocca le tenere membra della vergine,
che rimane in casa presso la cara madre,
 oúpō érga idyîa polychrýsou Aphrodítēs,
eû te loessaménē térena chróa kaì líp' elaíōi
chrisaménē mychíē kataléxetai éndothi oíkou,
ḗmati cheimeríōi, hót' anósteos hòn póda téndei
én t' apýrōi oíkōi kaì ḗthesi leugaléoisin:
ancora ignara, ancora, delle opere dell'aurea Aphrodítē;
lei bagna le tenere membra, le unge
di olio grasso e dorme dentro casa
nei giorni invernali, quando il senza ossa si rode il piede,
nella sua casa priva di fuoco e nelle sue tristi dimore;
 ou gár hoi ēélios deíkny nomòn hormēthênai,
all' epì kyanéōn andrôn dêmón te pólin te
strōphâtai, brádion dè Panellḗnessi phaeínei.
kaì tóte dḕ keraoì kaì nḗkeroi hylēkoîtai
lygròn mylióōntes anà dría bēssḗenta,
il sole non gli mostra i pascoli dove andare,
ma si volge sulla città e sui popoli delle genti nere
e tardi giunge ad illuminare tutti gli Elleni.
Allora, le fiere cornute e quelle senza corna, che abitano il bosco,
fuggono con penoso stridore per le valli boscose;
 pheúgousin, kaì pâsin enì phresì toûto mémēlen,
hoî sképa maiómenoi pykinoùs keuthmônas échousi
kàk gláphy petrêen: tóte dḕ trípodi brotoì îsoi,
hoŷ t' epì nôta éage, kárē d' eis oûdas horâtai:
tôi íkeloi phoitôsin, aleuómenoi nípha leukḗn.
e tutti hanno in mente lo stesso pensiero:
dove cercare riparo, trovare un folto giaciglio
ed una grotta profonda; i mortali sono uguali al treppiede
che ha la schiena piegata ed il volto chinato verso il suolo;
simili a quello essi vagano, fuggendo la candida neve.
 Kaì tóte héssasthai éryma chroós, hṓs se keleúō,
chlaînán te malakḕn kaì termióenta chitôna:
stḗmoni d' en paúrōi pollḕn króka mērýsasthai:
tḕn periéssasthai, hína toi tríches atreméōsi
mēd' orthaì phríssōsin aeirómenai katà sôma:
Indossa, come ti consiglio, un mantello morbido
e una lunga camicia (su trama larga
e povera di ordito) a riparo del corpo
e in quelli avvolgiti bene, di modo che i peli restino fermi
né levandosi sul corpo diano i brividi.
 amphì dè possì pédila boòs îphi ktaménoio
ármena dḗsasthai, pílois éntosthe pykássas:
prōtogónōn d' eríphōn, hopót' àn krýos hṓrion élthēi,
dérmata syrráptein neúrōi boós, óphr' epì nṓtōi
hyetoû amphibálēi aléēn: kephalêphi d' hýperthen
Calza scarpe fatte di cuoio di bue ucciso,
ben comode e imbottite di feltro.
Quando sopraggiunge il freddo della stagione,
cuci con nervo bovino le pelli dei capretti primogeniti,
che siano di riparo per la schiena. E sopra la testa
 pîlon échein askētón, hín' oúata mḕ katadeúēi.
psychrḕ gár t' ēṑs péletai Boréao pesóntos,
ēôios d' epì gaîan ap' ouranoû asteróentos
aḕr pyrophórois tétatai makárōn epì érgois,
hós te aryssámenos potamôn apò aienaóntōn,
metti un berretto lavorato con cura per non bagnarti le orecchie.
All'alba fa freddo, se soffia Boréas;
sulla terra scende dal cielo stellato
la nebbia che feconda il lavoro dei mortali fortunati;
essa sorge dai fiumi perenni
 hypsoû hypèr gaíēs artheìs anémoio thyéllēi,
állote mén th' hýei potì hésperon, állot' áēsi,
pyknà Thrēikíou Boréō néphea klonéontos.
tòn phthámenos érgon telésas oîkónde néesthai,
mḗ poté s' ouranóthen skotóen néphos amphikalýpsēi,
e si solleva in alto sopra la terra dai venti tempestosi;
talvolta si muta in pioggia alla sera, talvolta soffia
come vento quando il tracio Boréas fa turbinare le spesse nubi.
Tu affrettati a tornare a casa, dopo avere compiuto il lavoro,
perché la tenebrosa nebbia che scende dal cielo non ti avvolga,
 chrôta dè mydaléon thḗēi katá th' heímata deúsēi:
all' hypaleúasthai: meìs gàr chalepṓtatos hoŷtos,
cheimérios, chalepòs probátois, chalepòs d' anthrṓpois.
têmos tṓmisy bousín, ep' anéri dè pléon eíē
harmaliês: makraì gàr epírrothoi euphrónai eisín.
non ti bagni le membra e non ti inzuppi i vestiti.
Non ti fidare: questo è il mese peggiore,
funesto per gli uomini e gli animali
Dai ai buoi metà del cibo, per gli uomini ci sia abbondanza
di nutrimento: le notti sono lunghe e danno ristoro.
  [taûta phylassómenos tetelesménon eis eniautòn
isoûsthai nýktas te kaì ḗmata, eis hó ken aûtis
gê pántōn mḗtēr karpòn sýmmikton eneíkēi.]
Osserva questi precetti, sino a quando l'anno abbia compiuto
il suo corso, i giorni e le notti tornino uguali e di nuovo
la terra, madre di tutte le cose, dia i suoi frutti.
La primavera 
 Eût' àn d' hexḗkonta metà tropàs ēelíoio
cheiméri' ektelésēi Zeùs ḗmata, dḗ rha tót' astḕr
Quando Zeús abbia fatto passare
sessanta giorni invernali dopo il solstizio,
 Arktoûros prolipṑn hieròn rhóon Ōkeanoîo
prôton pamphaínōn epitélletai akroknéphaios.
tòn dè mét' orthogóē Pandionìs ôrto chelidṑn
es pháos anthrṓpois éaros néon histaménoio:
tḕn phthámenos oínas peritamnémen: hṑs gàr ámeinon.
l'astro di Arktoûros, lasciata la sacra corrente di Ōkeanós,
tutto splendente si innalza al far della sera;
quindi la rondine pandionide dall'alto lamento si lancia
verso la luce della primavera che di nuovo sorge per gli uomini;
tu previenila e pota le viti: è la cosa migliore.
 All' hopót' àn pheréoikos apò chthonòs àm phytà baínēi
Plēiádas pheúgōn, tóte dḕ skáphos oukéti oinéōn,
all' hárpas te charassémenai kaì dmôas egeírein:
pheúgein dè skieroùs thṓkous kaì ep' ēóa koîton
hṓrēi en amḗtou, hóte t' ēélios chróa kárphei:
Ma quando la chiocciola (colei che si porta addosso la casa)
dalla terra sale sulle piante fuggendo le Pleiádes, allora non è più tempo
di zappare le viti, ma di affilare le falci e di esortare gli schiavi;
evita di riposare all'ombra e di dormire sino all'alba,
quando è tempo di mietere e il sole dissecca la pelle.
 tēmoûtos speúdein kaì oíkade karpòn agineîn
órthrou anistámenos, hína toi bíos árkios eíē.
ēṑs gàr [t'] érgoio trítēn apomeíretai aîsan,
ēṓs toi prophérei mèn hodoû, prophérei dè kaì érgou,
ēṓs, hḗ te phaneîsa poléas epébēse keleúthou
Allora datti da fare e porta a casa il raccolto,
al sorgere dell'alba, affinché il vitto ti sia sufficiente.
L'alba, infatti, si prende la terza parte del lavoro giornaliero;
l'alba manda avanti il cammino, manda avanti il lavoro;
l'alba al suo apparire spinge gli uomini
  anthrṓpous polloîsí t' epì zygà bousì títhēsin. sulla strada e impone il giogo a molti buoi.
L'estate 
 Ē̂mos dè skólymós t' antheî kaì ēchéta téttix
dendréōi ephezómenos ligyrḕn katacheúet' aoidḕn
pyknòn hypò pterýgōn, théreos kamatṓdeos hṓrēi,
têmos piótataí t' aîges, kaì oînos áristos,
Quando il cardo fiorisce e la cicala canora,
posata su un albero, diffonde il suo acuto frinire
da sotto le ali, è giunto il tempo dell'estate che spossa gli animi;
le capre sono più grasse e il vino è migliore;
 machlótatai dè gynaîkes, aphaurótatoi dé toi ándres
eisín, epeì kephalḕn kaì goúnata Seírios ázei,
aualéos dé te chrṑs hypò kaúmatos: allà tót' ḗdē
eíē petraíē te skiḕ kaì bíblinos oînos
máza t' amolgaíē gála t' aigôn sbennymenáōn
le donne sono più ardenti, gli uomini sono più fiacchi,
perché Seírios brucia la testa e le ginocchia
e la pelle è secca per via della vampa. Ma allora
è bello avere un antro ombroso, del vino di Býblos,
una focaccia col latte impastata, del latte di capre che non allattano più,
 kaì boòs hylophágoio kréas mḗ pō tetokyíēs
prōtogónōn t' eríphōn: epì d' aíthopa pinémen oînon,
en skiêi hezómenon, kekorēménon êtor edōdês,
antíon akraéos Zephýrou trépsanta prósōpa:
krḗnēs d' aenáou kaì aporrýtou hḗ t' athólōtos
carne di giovenca nutrita nel bosco (che non abbia figliato)
e capretti di primo parto; e bere il vino scuro,
seduti all'ombra, sazi di cibo,
il viso rivolto al vivido soffio di Zéphiros;
e da una fonte che scorre perenne e pura
 trìs hýdatos prochéein, tò dè tétraton hiémen oínou.
Dmōsì d' epotrýnein Dēmḗteros hieròn aktḕn
dinémen, eût' àn prôta phanêi sthénos Ōríōnos,
chṓrōi en euaeî kaì eutrochálōi en alōêi.
métrōi d' eû komísasthai en áŋgesin: autàr epḕn dḕ
attingere tre parti di acqua e versare una parte di vino.
Comanda agli schiavi di trebbiare le sacre spighe di Dēmḗter
quando appare Ōríōn possente,
in un luogo ben ventilato, nell'aia rotonda.
Misuralo bene e riponilo negli orci. Poi, quando
 pánta bíon katáthēai epármenon éndothi oíkou,
thêtá t' áoikon poieîsthai kaì áteknon érithon
dízēsthai kélomai: chalepḕ d' hypóportis érithos:
kaì kýna karcharódonta komeîn, mḕ pheídeo sítou,
mḗ poté s' hēmerókoitos anḕr apò chrḗmath' hélētai.
il raccolto è riposto ed ordinato dentro casa,
prendi uno schiavo privo di casa, e una serva senza figli,
(una serva con i figli è molesta);
alleva un cane dai denti aguzzi, senza risparmiare sul cibo,
affinché mai un ladro che dorme di giorno si prenda i tuoi beni.
  chórton d' eskomísai kaì syrphetón, óphra toi eíē
bousì kaì hēmiónoisin epēetanón. autàr épeita
dmôas anapsŷxai phíla goúnata kaì bóe lŷsai.
Procurati fieno e strame perché tu ne abbia
abbondante per i buoi ed i muli. E dopo lascia
che gli schiavi si riposino e sciogli i buoi.
L'autunno 
 Eût' àn d' Ōríōn kaì Seírios es méson élthēi
ouranón, Arktoûron dè ídēi rhododáktylos Ēṓs,
Quando Ōríōn e Seírios sono giunti a mezzo
del cielo e Arktoûros vede Ēṓs dalle dita rosee,
 ô Pérsē, tóte pántas apodrépen oíkade bótrys,
deîxai d' ēelíōi déka t' ḗmata kaì déka nýktas,
pénte dè syskiásai, héktōi d' eis áŋge' aphýssai
dôra Diōnýsou polygēthéos. autàr epḕn dḕ
Plēiádes th' Hyádes te tó te sthénos Ōríōnos
cogli e porta a casa tutti i grappoli, o Pérsē.
Tienili al sole per dieci giorni e dieci notti,
per cinque conservali all'ombra; il sesto giorno versa
nei vasi i doni di Diónysos che dona gioia.
Poi, quando le Pleiádes, le Hyádes e il forte Ōríōn
  dýnōsin, tót' épeit' arótou memnēménos eînai
hōraíou: pleiṑn dè katà chthonòs ármenos eíē.
sono tramontati, ricordati di arare,
è il momento giusto; e che l'anno sia propizio per i tuoi campi.
La navigazione 
 Ei dé se nautilíēs dyspemphélou hímeros haireî:
eût' àn Plēiádes sthénos óbrimon Ōríōnos
pheúgousai píptōsin es ēeroeidéa pónton,
Se ti prende il desiderio della pericolosa navigazione,
sappi che quando le Pleiádes, fuggendo la forza terribile
di Ōríōn, si gettano nel mare tenebroso,
 dḕ tóte pantoíōn anémōn thyíousin aêtai:
kaì tóte mēkéti nêa échein enì oínopi póntōi,
gên d' ergázesthai memnēménos hṓs se keleúō:
nêa d' ep' ēpeírou erýsai pykásai te líthoisi
pántothen, óphr' íschōs̱' anémōn ménos hygròn aéntōn,
allora infuriano i soffi di tutti i venti.
Non tenere le navi nel fosco mare,
ma lavora la terra: così ti consiglio;
tira in secco la nave e metti attorno
delle pietre, che reggano salde l'umida forza dei venti;
 cheímaron exerýsas, hína mḕ pýthēi Diòs ómbros.
hópla d' epármena pánta teôi eŋkáttheo oíkōi,
eukósmōs stolísas nēòs pterà pontopóroio:
pēdálion d' euergès hypèr kapnoû kremásasthai.
autòs d' hōraîon mímnein plóon eis hó ken élthēi:
togli il cavicchio dal fondo perché la pioggia di Zeús non lo faccia marcire.
Riponi in casa tutti gli attrezzi, in buon ordine,
ripiega attentamente le ali della nave che solca il mare;
appendi sul focolare il timone ben costruito,
aspetta che giunga il tempo adatto per navigare.
 kaì tóte nêa thoḕn hálad' helkémen, en dé te phórton
ármenon entýnasthai, hín' oíkade kérdos árēai,
hṓs per emós te patḕr kaì sós, méga nḗpie Pérsē,
plōízesk' en nēysí, bíou kechrēménos esthloû:
hós pote kaì teîd' êlthe polỳn dià pónton anýssas,
Allora spingi la nave veloce nel mare; se vuoi portare
guadagno, riponi il carico in buon ordine;
così faceva mio padre, che è anche il tuo, sciocco Pérsē;
andava per mare, cercando una vita più agiata,
e giunse qui dopo aver percorso un gran tratto di mare,
 Kýmēn Aiolída prolipṑn en nēì melaínēi,
ouk áphenos pheúgōn oudè ploûtón te kaì ólbon,
allà kakḕn peníēn, tḕn Zeùs ándressi dídōsin.
nássato d' áŋch' Helikônos oizyrêi enì kṓmēi,
Áskrēi, cheîma kakêi, thérei argaléēi, oudé pot' esthlêi.
dopo aver lasciato l'eolica Kýmē sulla sua nave nera;
non fuggiva ricchezza o prosperità,
ma la cattiva povertà che Zeús manda agli uomini;
venne ad abitare presso l'Helikṓn, in un misero villaggio:
ad Áskrē, triste d'inverno, penosa d'estate, ma piacevole mai.
 týnē d', ô Pérsē, érgōn memnēménos eînai
hōraíōn pántōn, perì nautilíēs dè málista.
nê' olígēn aineîn, megálēi d' enì phortía thésthai:
meízōn mèn phórtos, meîzon d' epì kérdeï kérdos
éssetai, eí k' ánemoí ge kakàs apéchōsin aḗtas.
Pérsē, ricordati sempre che ogni cosa deve essere fatta
a suo tempo e soprattutto la navigazione.
Loda la nave piccola, ma affida la merce ad una grande:
maggiore è il carico, maggiore sarà il guadagno aggiunto
al guadagno, se i venti trattengono i soffi contrari.
 Eût' àn ep' emporíēn trépsas aesíphrona thymòn
boúlēai [dè] chréa te prophygeîn kaì limòn aterpéa,
deíxō dḗ toi métra polyphloísboio thalássēs,
oúte ti nautilíēs sesophisménos oúte ti nēôn.
ou gár pṓ pote nēì [g'] epéplōn euréa pónton,
Se rivolgerai l'animo imprudente al commercio,
per fuggire il bisogno e la fame funesta,
io ti dirò le leggi del mare tempestoso,
anche se sono inesperto di navigazione e di navi;
mai, infatti, ho percorso l'ampio mare
 ei mḕ es Eúboian ex Aulídos, hêi pot' Achaioì
meínantes cheimôna polỳn sỳn laòn ágeiran
Helládos ex hierês Troíēn es kalligýnaika.
éntha d' egṑn ep' áethla daḯphronos Amphidámantos
Chalkída [t'] eisepérēsa: tà dè propephradména pollà
se non verso l'Eúboia, da Aulís, dove una volta gli Achei
aspettando la fine della tempesta, raccolsero una vasta armata
per andare dalla sacra Hellás contro Troía dalle belle donne;
allora, attraversando il mare, mi recai a Chalkís
per gli agoni in onore del forte Amphidámas;
 áethl' éthesan paîdes megalḗtores: éntha mé phēmi
hýmnōi nikḗsanta phérein trípod' ōtṓenta.
tòn mèn egṑ Moúsēis̱' Helikōniádess̱' anéthēka
éntha me tò prôton ligyrês epébēsan aoidês.
tósson toi nēôn ge pepeírēmai polygómphōn:
i suoi figli magnanimi avevano messo in palio molti premi
nelle gare; là, io ti dico, vincendo la gara con il mio inno
conquistai un tripode con le anse, che consacrai alle Moûsai eliconie,
là dove all'inizio esse mi iniziarono alla poesia armoniosa;
questo solo conosco delle navi ferrate;
 allà kaì hṑs eréō Zēnòs nóon aigióchoio:
Moûsai gár m' edídaxan athésphaton hýmnon aeídein.
Ḗmata pentḗkonta metà tropàs ēelíoio,
es télos elthóntos théreos, kamatṓdeos hṓrēs,
hōraîos péletai thnētoîs plóos: oúte ke nêa
ma anche così io ti rivelerò la mente di Zeús aigíokhos
perché le Moûsai m'insegnarono a cantare un inno meraviglioso.
Per cinquanta giorni dopo il solstizio,
quando volge alla fine la stagione della faticosa estate,
allora è il tempo giusto di navigare per i mortali;
 kauáxais oút' ándras apophtheíseie thálassa,
ei dḕ mḕ próphrōn ge Poseidáōn enosíchthōn
ḕ Zeùs athanátōn basileùs ethélēisin oléssai:
en toîs gàr télos estìn homôs agathôn te kakôn te.
têmos d' eukrinées t' aûrai kaì póntos apḗmōn:
la nave non si infrangerà e il mare non inghiottirà gli uomini,
a meno che Poseidôn enosíchthōn non sia avverso,
oppure Zeús (re degli immortali) non ti voglia far perire:
sta a loro decidere parimenti del bene e del male.
Allora i venti spirano propizi e il mare è sereno;
 eúkēlos tóte nêa thoḕn anémoisi pithḗsas
helkémen es pónton phórton t' es pánta títhesthai:
speúdein d' hótti táchista pálin oîkónde néesthai
mēdè ménein oînón te néon kaì opōrinòn ómbron
kaì cheimôn' epiónta Nótoió te deinàs aḗtas,
sicuro allora, fidando nei venti, spingi nel mare
la nave veloce poni in essa tutto il carico;
ma affrettati prima che puoi a tornare a casa;
non aspettare il tempo del vino nuovo e la pioggia autunnale,
l'inverno che sopraggiunge e i terribili soffi di Nótos,
 hós t' ṓrine thálassan homartḗsas Diòs ómbrōi
pollôi opōrinôi, chalepòn dé te pónton éthēken.
állos d' eiarinòs péletai plóos anthrṓpoisin:
êmos dḕ tò prôton, hóson t' epibâsa korṓnē
íchnos epoíēsen, tósson pétal' andrì phanḗēi
che sconvolge i flutti accompagnando la pioggia di Zeús,
abbondante in autunno, che rende pericoloso il mare.
Anche la primavera è adatta alla navigazione,
quando le foglie in cima all'albero di fico
appaiono grandi come le impronte che lascia la cornacchia
 en krádēi akrotátēi, tóte d' ámbatós esti thálassa:
eiarinòs d' hoŷtos péletai plóos: oú min égōge
aínēm', ou gàr emôi thymôi kecharisménos estín:
harpaktós: chalepôs ke phýgois kakón: allá ny kaì tà
ánthrōpoi rhézousin aidreíēisi nóoio:
posandosi a terra: allora il mare è navigabile.
Questa è la navigazione di primavera;
io non la elogio: non è cara al mio cuore;
è rischiosa e difficilmente sfuggirai al male.
Gli uomini fanno ciò a causa della loro mente inesperta:
 chrḗmata gàr psychḕ péletai deiloîsi brotoîsin.
deinòn d' estì thaneîn metà kýmasin: allá s' ánōga
phrázesthai táde pánta metà phresìn hōs agoreúō.
mēd' en nēysìn hápanta bíon koílēisi títhesthai,
allà pléō leípein, tà dè meíona phortízesthai:
la ricchezza, infatti, è vita per gli uomini infelici.
È terribile morire tra i flutti; ma io ti esorto
a porre in mente queste cose, come ti dico.
Non mettere tutti i tuoi beni sulle navi concave:
lascia a casa il più ed imbarca il meno;
  deinòn gàr póntou metà kýmasi pḗmati kýrsai:
deinòn d' eí k' ep' ámaxan hypérbion áchthos aeíras
áxona kauáxais kaì phortía maurōtheíē.
métra phylássesthai: kairòs d' epì pâsin áristos.
è terribile incontrare la sventura tra le onde del mare
così come è duro se poni un carico eccessivo sul tuo carro,
l'assale si spezza e la mercanzia va perduta.
Bada alla giusta misura: l'opportunità è su tutto la cosa migliore.
Il matrimonio 
 Hōraîos dè gynaîka teòn potì oîkon ágesthai, A tempo debito conduci a casa la sposa:
 mḗte triēkóntōn etéōn mála póll' apoleípōn
mḗt' epitheìs mála pollá: gámos dé toi hṓrios hoŷtos:
hē dè gynḕ tétor' hēbṓoi, pémptōi dè gamoîto.
parthenikḕn dè gameîn, hṓs k' ḗthea kednà didáxēis,
[tḕn dè málista gameîn, hḗtis séthen eŋgýthi naíei]
quando non sarai molto lontano dai trent'anni
né da molto tu li abbia sorpassati; questo sia il tempo delle nozze.
La donna rimanga quattro anni in pubertà e al quinto si sposi;
sposala vergine perché tu le possa insegnare i buoni costumi.
Soprattutto sposane una che ti abiti vicino,
 pánta mál' amphìs idṓn, mḕ geítosi chármata gḗmēis.
ou mèn gár ti gynaikòs anḕr lēízet' ámeinon
tês agathês, tês d' aûte kakês ou rhígion állo,
deipnolóchēs, hḗ t' ándra kaì íphthimón per eónta
heúei áter daloîo kaì ōmôi gḗraï dôken.
dopo avere ben ponderato, perché la sposa non sia motivo di ilarità per i vicini.
Non vi è cosa migliore di una buona moglie,
nulla di peggio di una cattiva o dedita alle gozzoviglie;
per quanto l'uomo possa essere vigoroso, la moglie
lo brucia senza torcia e lo condanna ad una vecchiaia precoce.
Gli amici 
 [eû d' ópin athanátōn makárōn pephylagménos eînai.]
mḕ dè kasignḗtōi îson poieîsthai hetaîron:
ei dé ke poiḗsēis, mḗ min próteros kakòn érxai
mēdè pseúdesthai glṓssēs chárin: ei dé sé g' árchēi
ḗ ti épos eipṑn apothýmion ēè kaì érxas,
Sii timoroso e riverente verso gli immortali.
Non considerare un amico uguale ad un fratello;
ma, se lo consideri tale, non agire male per primo.
Non mentire per il piacere di parlare; ma se questi,
per primo, agisce male o ti insulta,
 dìs tósa teínysthai memnēménos: ei dé ken aûtis
hēgêt' es philótēta, díkēn d' ethélēisi parascheîn,
déxasthai: deilós toi anḕr phílon állote állon
poieîtai: sè dè mḗ ti nóos kateleŋchétō eîdos.
mēdè polýxeinon mēd' áxeinon kaléesthai,
ricorda di prenderti doppia vendetta; se poi di nuovo
ti ritorna amico e vuol fare ammenda, accettalo;
è un uomo da poco chi si fa amico ora l'uno ora l'altro;
il tuo pensiero mai contraddica il tuo volto.
Che tu non sia considerato né troppo ospitale né inospitale;
  mēdè kakôn hétaron mēd' esthlôn neikestêra. non essere compagno dei malvagi, né attaccabrighe con i buoni.
La moderazione, la convenienza, la fama 
 mēdé pot' ouloménēn peníēn thymophthóron andrì
tétlath' oneidízein, makárōn dósin aièn eóntōn.
glṓssēs toi thēsauròs en anthrṓpoisin áristos
pheidōlês, pleístē dè cháris katà métron ioúsēs:
Non rinfacciare ad un povero la povertà rovinosa,
ingrata al cuore: la mandano gli eterni beati;
la moderazione nel linguaggio è un grande tesoro per gli uomini,
la migliore virtù è seguirla secondo la giusta misura;
 ei dè kakòn eípois, tácha k' autòs meîzon akoúsais.
mēdè polyxeínou daitòs dyspémphelos eînai:
ek koinoû pleístē te cháris dapánē t' oligístē.
[mēdé pot' ex ēoûs Diì leíbein aíthopa oînon
chersìn aníptoisin mēd' állois athanátoisin:
se dici il male, lo ascolterai in misura maggiore.
Non essere sgarbato ad un convito numeroso,
fatto a spese di tutti: in quei casi il piacere è maggiore e minore è la spesa.
Non libare mai, all'alba, il vino scintillante a Zeús
o agli altri immortali, senza esserti lavato le mani;


ou gàr toí ge klýousin, apoptýousi dé t' arás.
mēd' ánt' ēelíou tetramménos orthòs omicheîn,
autàr epeí ke dýēi, memnēménos, és t' aniónta,
mḕ d' apogymnōtheís: makárōn toi nýktes éasin.
mḗt' en hodôi mḗt' ektòs hodoû probádēn ourḗsēis:
gli dèi non ti ascolteranno e non accoglieranno le tue preghiere;
non orinare in piedi rivolgendoti al sole;
quando il sole tramonta e sino al suo sorgere,
non orinare mentre cammini, né lungo la strada né fuori da essa,
e neppure nudo: le notti sono sacre agli dèi beati, ricordalo.
 hezómenos d' hó ge theîos anḗr, pepnyména eidṓs,
ḕ hó ge pròs toîchon pelásas euerkéos aulês.
mēd' aidoîa gonêi pepalagménos éndothi oíkou
histíēi empeladòn paraphainémen, all' aléasthai.
mēd' apò dysphḗmoio táphou aponostḗsanta
L'uomo pio che conosce i saggi pensieri compie questi atti
accosciato, oppure si avvicina al muro di un cortile.
Non mostrare in casa i genitali insozzati del seme,
vicino al focolare: evita questo.
Quando ritorni da un triste funerale
a




spermaínein geneḗn, all' athanátōn apò daitós.
mēd' epì krēnáōn oureîn, mála d' exaléasthai.
mēdé pot' aenáōn potamôn kallírroon hýdōr
possì perân prín g' eúxēi idṑn es kalà rhéethra
cheîras nipsámenos polyērátōi hýdati leukôi.
hòs potamòn diabêi kakótēt' idè cheîras ániptos,
non procreare: imbandisci prima un festino in onore degli dèi.
Non orinare mai alla foce di un fiume che sbocca nel mare
o presso le sorgenti; ma guardatene bene. Non attraversare mai
a piedi le acque correnti dei fiumi immortali prima di aver pregato
guardandone il limpido fluire, con le mani lavate nell'acqua amabile e pura.
gli dèi si sdegnano e preparano mali futuri contro coloro che attraversano
 tôi dè theoì nemesôsi kaì álgea dôkan opíssō.
mēd' apò pentózoio theôn en daitì thaleíēi
aûon apò chlōroû támnein aíthōni sidḗrōi.
mēdé pot' oinochóēn tithémen krētêros hýperthen
pinóntōn: oloḕ gàr ep' autôi moîra tétyktai.
un fiume senza purificarsi dalla malvagità o senza lavarsi le mani.
Durante un banchetto in onore degli dèi,
non tagliarti le unghie con il nero ferro;
non mettere mai il boccale del vino sopra il cratere,
mentre si beve: ciò è di cattivo augurio.
 mēdè dómon poiôn anepíxeston kataleípein,
mḗ toi ephezoménē krṓxēi lakéryza korṓnē.
mēd' apò chytropódōn anepirréktōn anelónta
ésthein mēdè lóesthai: epeì kaì toîs épi poinḗ.
mēd' ep' akinḗtoisi kathízein, ou gàr ámeinon,
Non lasciare incompiuta la costruzione di una casa
affinché la stridula cornacchia non vi gracchi sopra facendovi il nido.
Non lavarti e non prendere il cibo per mangiare
da vasi non consacrati: a ciò seguirebbe pena.
Non far sedere un bambino di dodici giorni
 paîda dyōdekataîon, hó t' anér' anḗnora poieî,
mēdè dyōdekámēnon: íson kaì toûto tétyktai.
mēdè gynaikeíōi loutrôi chróa phaidrýnesthai
anéra: leugaléē gàr epì chrónon ést' epì kaì tôi
poinḗ. mēd' hieroîsin ep' aithoménoisi kyrḗsas
sopra oggetti sacri: non è bene e toglie all'uomo il vigore;
(neppure un fanciullo di dodici mesi: accade la medesima cosa).
L'uomo non deve lavare il suo corpo nel bagno di una donna:
tremenda segue la pena, seppure breve.
Davanti ad offerte che ardono
 mōmeúein aídēla: theós ný ti kaì tà nemessâi.
mēdé pot' en prochoêis potamôn hálade proreóntōn
mēd' epì krēnáōn oureîn, mála d' exaléasthai:
mēd' enapopsýchein: tò gàr oú toi lṓión estin.]
hôd' érdein: deinḕn dè brotôn hypaleúeo phḗmēn:
non dileggiare i misteri: anche di ciò la divinità si sdegna.
Non orinare alla foce dei fiumi che corrono verso il mare
o nelle sorgenti (guardatene bene!)
e non defecare: questo non è cosa buona.
Agisci così: evita la brutta fama tra gli uomini.
  phḗmē gár te kakḕ péletai koúphē mèn aeîrai
rheîa mál', argaléē dè phérein, chalepḕ d' apothésthai.
phḗmē d' oú tis pámpan apóllytai, hḗntina polloì
laoì phēmíxousi: theós ný tís esti kaì autḗ.
La cattiva fama nasce facilmente, lievemente,
ma è dolorosa da sopportare ed è difficile liberarsene.
La fama non si spegne mai del tutto, se la gente la diffonde:
essa stessa è, alla fine, una divinità.
I giorni fausti 
 Ḗmata d' ek Dióthen pephylagménos eû katà moîran Osserva come si deve i giorni che provengono da Zeús



pephradémen dmṓessi triēkáda mēnòs arístēn
érga t' epopteúein ēd' harmaliḕn datéasthai.
Haíde gàr hēmérai eisì Diòs parà mētióentos,
eût' àn alētheíēn laoì krínontes ágōsin:
prôton énē tetrás te kaì hebdómē hieròn êmar:
e falli conoscere ai tuoi servi: il trentesimo giorno del mese è il migliore
per controllare i lavori e distribuire le razioni di cibo,
Questi sono i giorni che provengono dal saggio Zeús,
qualora gli uomini sappiano distinguere e seguire il vero.
Innanzi tutto sono sacri il primo, il quarto ed il settimo giorno
 têi gàr Apóllōna chrysáora geínato Lētṓ:
ogdoátē d' enátē te dýō ge mèn ḗmata mēnòs
éxoch' aexoménoio brotḗsia érga pénesthai:
hendekátē dè dyōdekátē t' ámphō ge mèn esthlaì
ēmèn óis peíkein ēd' eúphrona karpòn amâsthai:
(in questo giorno infatti Lētṓ partorì Apóllōn dalla spada d'oro);
poi l'ottavo ed il nono del mese che inizia: sono infatti
i due giorni migliori per compiere un lavoro;
l'undicesimo ed il dodicesimo sono entrambi buoni
per tosare le greggi e per raccogliere i frutti del raccolto;
  hē dè dyōdekátē tês hendekátēs még' ameínōn:
têi gár toi neî nḗmat' aersipótētos aráchnēs
ḗmatos ek pleíou, hóte t' ídris sōròn amâtai:
têi d' històn stḗsaito gynḕ probáloitó te érgon.
ma il dodicesimo è assai migliore dell'undicesimo;
è allora che il ragno, che sta sospeso nell'aria, tesse la sua tela:
nel giorno più lungo, quando la previdente formica raccoglie il suo mucchio;
in questo giorno la donna, drizzato il telaio, si disponga al lavoro.
Giorni fausti e infausti 
 Mēnòs d' histaménou treiskaidekátēn aléasthai Il tredicesimo giorno del mese che inizia guardati
 spérmatos árxasthai: phytà d' enthrépsasthai arístē.
héktē d' hē méssē mál' asýmphorós esti phytoîsin,
androgónos d' agathḗ: koúrēi d' ou sýmphorós estin
oúte genésthai prôt' oút' àr gámou antibolêsai.
oudè mèn hē prṓtē héktē koúrēi ge genésthai
dall'iniziare la semina; è ottimo invece per coltivare le piante.
Il sesto giorno del mese di mezzo è dannoso per le piante;
è buono per generare maschi, mentre è dannoso
per la nascita o il matrimonio delle fanciulle.
Il sesto giorno della prima parte del mese non è adatto
 ármenos, all' eríphous támnein kaì pṓea mḗlōn,
sēkón t' amphibaleîn poimnḗion ḗpion êmar:
esthlḕ d' androgónos: philéoi d' hó ge kértoma bázein
pseúdeá th' haimylíous te lógous kryphíous t' oarismoús.
Mēnòs d' ogdoátēi kápron kaì boûn erímykon
a far nascere una fanciulla, ma si presta per castrare i capretti
e gli agnelli del gregge, nonché per costruire un recinto per il bestiame;
è un bel giorno per far nascere un maschio, che sia incline
agli scherzi, alle menzogne, ai discorsi arguti e ai colloqui furtivi.
L'ottavo giorno del mese puoi castrare il porco e il toro muggente;
 tamnémen, ourêas dè dyōdekátēi talaergoús.
Eikádi d' en megálēi, pléōi ḗmati, hístora phôta
geínasthai: mála gár te nóon pepykasménos éstai.
Esthlḕ d' androgónos dekátē, koúrēi dé te tetràs
méssē: têi dé te mêla kaì eilípodas hélikas boûs
il dodicesimo giorno è adatto per i muli pazienti.
Nel grande ventesimo, in pieno giorno, se generi
un uomo prudente, la sua mente sarà molto assennata.
Il decimo giorno del mese è adatto per la nascita di un maschio;
il quarto giorno del mese di mezzo va bene per generare una femmina;
 kaì kýna karcharódonta kaì ourêas talaergoùs
prēÿ́nein epì cheîra titheís: pephýlaxo dè thymôi
[tetrád' aleúasthai phthínontós th' histaménou te]
álgea: thymoboreîn mála toi tetelesménon êmar.
En dè tetártēi mēnòs ágesth' eis oîkon ákoitin
allora addomestica (ponendo su di loro la mano) i montoni, i buoi
dalle corna ricurve che trascinano i piedi, il cane dai denti aguzzi e i muli pazienti.
Nella tua mente bada di evitare che nel quarto della fine
e dell'inizio del mese le pene ti opprimano: è un giorno sacro.
Nel quarto giorno del mese conduci in casa la sposa,
  oiōnoùs krínas hoì ep' érgmati toútōi áristoi.
Pémptas d' exaléasthai, epeì chalepaí te kaì ainaí:
en pémptēi gár phasin Erinýas amphipoleúein
Hórkon geinómenon, tòn Éris téke pêm' epiórkois.
dopo aver sentito gli auspici (per questo sono i migliori).
Guàrdati dal quinto giorno: è cattivo e nefasto;
si dice infatti che nel quinto giorno le Erinýes abbiano assistito
alla nascita di Hórkos, che Éris generò come castigo per gli spergiuri.
Altri giorni fausti 
 Méssēi d' hebdomátēi Dēmḗteros hieròn aktḕn Il settimo giorno del mezzo del mese getta sull'aia
 eû mál' opipeúonta eutrochálōi en alōêi
bállein, hylotómon te tameîn thalamḗia doûra
nḗiá te xýla pollá, tá t' ármena nēysì pélontai.
tetrádi d' árchesthai nêas pḗgnysthai araiás.
Einàs d' hē méssē epì deíela lṓion êmar:
con grande attenzione le sacre spighe di Dēmḗter;
il tagliaboschi raccolga la legna per costruire il letto nuziale
e quella necessaria per le navi, in grande quantità.
Il quarto giorno comincia a costruire le navi sottili.
Il nono giorno del mezzo del mese è migliore verso sera:
 prōtístē d' einàs panapḗmōn anthrṓpoisin:
esthlḕ mèn gár th' hḗ ge phyteuémen ēdè genésthai
anéri t' ēdè gynaikí, kaì oúpote páŋkakon êmar.
Paûroi d' aûte ísasi triseináda mēnòs arístēn
[árxasthaí te píthou kaì epì zygòn auchéni theînai
nella prima parte del mese è privo di mali per gli uomini;
anzi è buono sia per la piantagione sia per generare
un maschio o una femmina: non è mai un giorno del tutto funesto.
Pochi sanno che il ventisettesimo giorno del mese è il migliore
per iniziare una botte, per aggiogare
 bousì kaì hēmiónoisi kaì híppois ōkypódessi,]
nêa polyklḗida thoḕn eis oínopa pónton
eirýmenai: paûroi dé t' alēthéa kiklḗskousin.
Tetrádi d' oîge píthon: perì pántōn hieròn êmar
méssē: paûroi d' aûte met' eikáda mēnòs arístēn
buoi, muli e cavalli dai piedi veloci, per spingere
nel fosco mare la nave veloce dai molti banchi;
sono in pochi a conoscerlo come si deve.
Nel quarto giorno – fra tutti più sacro – apri l'orcio
nell'ora di mezzo; pochi sanno che quello dopo il ventesimo
  ēoûs geinoménēs: epì deíela d' estì chereíōn. è il giorno migliore del mese, all'alba; è peggiore verso sera.
Giorni né fausti né infausti 
 Haíde mèn hēmérai eisìn epichthoníois még' óneiar:
hai d' állai metádoupoi, akḗrioi, oú ti phérousai.
állos d' alloíēn aineî, paûroi dè ísasin.
állote mētryiḕ pélei hēmérē, állote mḗtēr.
Questi sono i giorni che ai mortali portano grande giovamento.
gli altri giorni sono mutevoli, innocui, non portano nulla;
chi loda questo, chi quello; ma pochi sanno la verità.
Ora la giornata è madre, ora è matrigna.
Epilogo 
  táōn eudaímōn te kaì ólbios hòs táde pánta
eidṑs ergázētai anaítios athanátoisin,
órnithas krínōn kaì hyperbasías aleeínōn.
Fortunato e felice colui che, sapendo tutto questo,
lavora senza colpa davanti agli Immortali,
conosce gli auspici e si guarda dal trasgredire.
   
Bibliografia
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  • ARRIGHETTI Graziano [cura]. Esiodo: Teogonia. Rizzoli, Milano 1984.
  • CASELLI Giovanni. Atlante di mitologia. I figli del Cielo e della Terra. Giunti, Firenze 1996.
  • CINGANO Ettore ~ VASTA Eleonora [cura]. Esiodo: Teogonia. Mondadori, Milano 2004.
  • COLONNA Aristide [cura]: Esiodo: Opere. Utet, Torino 1977.
  • FERRARI Anna. Dizionario di mitologia classica. UTET, Torino 1990. Tea, Milano 1994.
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  • KERÉNYI Károly: Die Mythologie der Griechen I-II. 1951-1958. ID. Gli dèi e gli eroi della Grecia. Il Saggiatore, Milano . Mondadori, Milano 1997-1998.
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  • LATACZ Ioachim: Homer. Der erste Dichter des Abendland. 1985. ID. Omero. Il primo poeta dell'occidente. Laterza, Bari 1998.
  • MORPURGO Giuseppe. Le favole antiche. Notizie e racconti di mitologia greca e romana. Petrini, Torino 1953.
  • STAPLETON Michael ~ SERVAN-SCHREIBER Elizabeth. Il grande libro della mitologia greca e romana. Mondadori, Milano 1979.
  • VERNANT Iean-Pierre. L'univers, les Dieux, les Hommes. Récits grecs des origines. 1999. ID. L'universo, gli dèi, gli uomini. Il racconto del mito. Einaudi, Torino 2000.
BIBLIOGRAFIA ►
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Ellenica - Odysseús
Traduzione di Daniele Bello.
Pubblicato su licenza Edizioni PerSempre.
Creazione pagina: 22.09.2013
Ultima modifica: 22.01.2016
 
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