SIENA

Fondata dai discendenti di Remo, la splendida città toscana trae le sue origini da una leggenda medievale che la proclama a tutti gli effetti «città sorella» della Città Eterna.

MITI
  1. La fondazione di Siena
  2. La Diana
  3. I misteri del sottosuolo senese

SAGGI
  1. Siena: un mito...
  2. ...con un fondo di verità
  3. La leggenda della Diana
  4. Le leggende collegate ai «bottini»

1 - LA FONDAZIONE DI SIENA

opo che Romolo, fondatore e primo re di Roma, ebbe ucciso suo fratello Remo, stabilì di uccidere anche i due figli di questi, Senio e Aschio, al fine di togliere di mezzo dei possibili pretendenti al trono. Il dio Apollo fornì ai due giovani due cavalli, uno bianco ed un nero, sui quali essi fuggirono nottetempo, portando con loro una lupa marmorea rubata a Romolo.

Dopo alcuni giorni di cammino, i due fratelli giunsero sulle rive di un piccolo corso d'acqua, la Tressa, e qui incontrano alcuni mandriani e boscaioli. In quel luogo eressero un accampamento e in breve, per il loro rango e la loro maestria nelle armi, divennero i capi di quella piccola comunità. Successivamente essi costruirono un fortilizio sulla collina più alta.

Romolo nel frattempo inviò due condottieri, Camelio e Montorio, per catturare i due fratelli e trascinarli a Roma. I due generali costruirono a loro volta altri due forti nelle vicinanze di quello costruito dai nipoti di Remo. Tra i gruppi si accesero vari scontri, dopo i quali si aggiunse finalmente ad una tregua.

Ma, in seguito, fra gli abitanti originari della zona e i Romani ricominciarono le contese. Roma inviò così gli ambasciatori Pirro e Flaminio che riportarono la pace e fecero sì che le due comunità si fondessero in una.

Per festeggiare l'evento si tributarono sacrifici ad Apollo e Diana. Dall'altare di Apollo si alzò un fumo nero mentre dall'ara di Diana si levò un fumo bianco.

Il fortilizio che Senio e Aschio costruirono in cima alla collina è oggi Castelvecchio, la parte più antica di Siena. Le fortezze erette da Camelio e Montorio corrispondono alle odierne Camollia e Camporegio.

 

 

 

 

 

Bottino nel sottosuolo senese.

 

Duccio Balestracci: I bottini, acquedotti medievali senesi, Siena 1987.

   

2 - LA DIANA

iena, come si sa, non è bagnata da alcun fiume. La penuria d'acqua ha costretto i suoi abitanti a scavare nella roccia, fin dai tempi antichi, un'estesa rete di acquedotti sotterranei, i «bottini», per portare acqua alle case. Ma in alcune parti della città si udiva spesso, quando c'era silenzio, il rumore dello scorrere dell'acqua, tipico di un fiume, di un grande fiume. Un fiume sotterraneo, la Diana, più volte cercato e mai trovato.

Si udiva questa voce continua, che illudeva i senesi di poter avere l'acqua per le case e per le botteghe, senza troppa fatica. Si scavarono pozzi su pozzi e si consultarono astrologi, per trovare l'ubicazione di questo fiume. Fu il governo stesso di Siena a sobbarcarsi gli oneri di tale ricerca. Per circa due secoli, si cercò la Diana, ma invano. Nessuno l'ha mai trovata.

La fama di questa ricerca senza risultato giunse fino a Dante, che la riportò nel Purgatorio.

E la Diana - ammesso che esista - rimase un mistero, un segreto custodito dalla terra, un'affascinante una leggenda.

Adesso l'acqua arriva a Siena senza problemi, un moderno acquedotto ha soppiantato da pochi decenni l'antico acquedotto sotterraneo, che, però, è ancora funzionante e rifornisce tuttora le sue fonti. L'esigenza di trovare la Diana  è dunque svanita, ma non il suo ricordo e il suo mito.

 

3 - I MISTERI DEL SOTTOSUOLO SENESE

a il sottosuolo di Siena non racchiude solo il segreto della Diana. Si narra infatti che, all'epoca in cui si costruivano i bottini, capitava che gli operai adibiti al lavoro sotterraneo, detti «guerchi»,  fuggissero dai cunicoli, spaventati per aver visto alcune creature che si annidavano nelle profondità della terra.

I guerchi affermavano di aver incontrato, nel sottuosolo senese, due specie di creature, gli omiccioli e i fuggisoli.

Gli omiccioli erano degli ometti, simili a folletti, che però non facevano dispetti. Si limitavano a ballare ed a mettere allegria. Diversamente, le creature chiamate fuggisoli apparivano come lampi di luce improvvisi e repentini.

I maligni spiegavano queste strane apparizioni col fatto che i guerchi venivano pagati in vino. Non bisogna però dimenticare che i guerchi trascorrevano molto tempo nei meandri angusti e bui dei bottini senesi, impegnati in un lavoro impegnativi e pericoloso, e non erano pochi coloro che perdevano la vita in quei cunicoli oscuri, a volte senza nemmeno che fosse possibile recuperarne il corpo. Ancora oggi nei bottini si trovano molte statuette della Madonna in terracotta, murate nelle pareti, e molte croci, a volte solo incise con il piccone sulla roccia friabile. Come per richiedere la protezione di chi sta in cielo laggiù, dentro la terra.

 

I - SIENA: UN MITO...

 

 

 

 

Il monumento della lupa in una via di Siena. La tradizione popolare vede Senio e Aschio nei due gemelli allattati dalla lupa.

   

Il mito della fondazione di Siena si è originato nel XIII secolo e sviluppato nei sec. XV-XVI. È da attribuire, nella forma più completa, ad Agostino Patrizi, vescovo di Pienza e Montalcino e nobile senese, in epoca rinascimentale. Il suo scopo, come in altre leggende analoghe, è sia quello di glorificare la città sia quello, un po' più spicciolo, di fornire una sorta di spiegazione mitica sull'origine della stessa, del suo nome e dei suoi simboli tradizionali.

Vediamolo nel dettaglio.

Innanzitutto il nome della città, Siena, che viene fatto risalire all'eroe fondatore, o meglio ad uno dei due, Senio. Un eroe eponimo, esattamente come Romolo, che del resto era suo zio. A ricordo si ciò, la parte alta e più antica della città, è chiamata Castelvecchio, un riferimento alla presenza di un antico fortilizio, che sarebbe stato, nell'immaginario di chi elaborò la leggenda, il forte fondato da Senio e dunque il primo nucleo della città.

Un'altra leggenda fa derivare il nome da un nobile egiziano Felice Senio o Sene, che, al tempo di Ottaviano Augusto, sarebbe passato per il luogo e avrebbe dato in sposa sua figlia, Sena, ad un nobile romano del posto.

Altro particolare interessante sono i condottieri inviati da Romolo: Camelio (o Camillo) e Montorio (o Montonio). I due avrebbero fatto costruire dei fortilizi e i loro nomi sarebbero rimasti impressi nella toponomastica stessa della città. Questo discorso vale soprattutto per Camelio/Camillo, in quanto una zona, uno dei terzi in cui è divisa la città, è denominato Camollia (si legga camollìa). Un nome singolare sulla cui origine ci sono ipotesi ma nessuna certezza, ma che assomiglia a Camelio/Camillo (o forse è Camelio che assomiglia a Camollia...).

Diverso è il caso Montorio. Egli avrebbe costruito il proprio castello in una zona poi chiamata Camporegio, sempre nella zona nord della città. Tuttavia, nella parte sud della città, quindi relativamente distante da Camporegio, c'è la zona di Val di Montone, un'area verde sita entro le mura cittadine dalla quale prende nome la contrada omonima, e la tradizione dice che «Montone» venga da Montorio (significativamente detto anche Montonio), che lì avrebbe edificato il suo forte.

Il mito, inoltre, spiega l'origine dei simboli senesi, quali la «Balzana» e la lupa senese (del tutto simile a quella romana tranne che per la posizione della testa: la lupa senese guarda davanti a sé, la lupa romana tiene il capo piegato da una parte).

 
 
 

Il tradizionale vessillo di Siena, detto la «Balzana», è divisa in orizzontale in due, la parte in alto è bianca, quella in basso nera. Colori che si ritrovano nella leggenda in ben due occasioni. I due cavalli forniti da Apollo per far fuggire i due figli di Remo sono infatti uno bianco ed uno nero e i due pennacchi di fumo che si levano durante il sacrificio che stabilisce la pace sono ancora una volta l'uno bianco e l'altro nero.

C'è da dire che questo simbolo fu adottato da Siena abbastanza tardi, si parla degli inizi del Trecento e che, quindi, non faceva parte delle più antiche tradizioni cittadine.

Anche la lupa che allatta due gemelli rimanda, inutile a dirsi, alla città eterna.

Come abbiamo visto, una variante della leggenda afferma che i due figli di Remo, nel fuggire da Roma, rubarono una lupa marmorea e la portarono nel luogo dove fondarono la nuova città. Una ragione in più per adottare la lupa come simbolo come simbolo. Oltre a questo, bisogna anche dire che una certa consuetudine popolare identifica gli stessi Senio ed Aschio con i due gemelli raffigurati nella lupa senese. Un'ulteriore variante, questa volta popolare, dato che non compare nelle versioni ufficiali della leggenda.

 

 

La Balzana è la bandiera di Siena. I colori bianco e nero rimandano sia al manto dei cavalli di Aschio e Senio, sia al colore assunto dal fumo dei sacrifici nella vicenda della fondazione della città.

 
   
     

 

II - ...MA CON UNA RADICE DI VERITÀ

Come si è potuto vedere tutto combacia alla perfezione o quasi: a tutta una serie di particolari, apparentemente senza una spiegazione razionale, viene trovata una giustificazione mitologica e leggendaria. Il nome Siena deriva dunque da Senio, Camollia da Camelio e così via. Tutto torna, insomma, a patto che si creda a questa leggenda inventata di sana pianta nel Medioevo, naturalmente.

Ma, come sempre accade quando si ha a che fare con le leggende, c'è una radice di verità: Siena è una città romana e, prima di esser romana, fu etrusca. Questo a dispetto di chi, come il commentatore fiorentino del '300, Giovanni Villani, le attribuiva un'origine addirittura gallica e, dunque, barbara, secondo la sua ottica. Secondo lui (che non fu mai benevolo verso Siena…), fu Brenno, re dei Galli Senoni, che invase l'Etruria, a fondare la città, lasciandovi gli uomini invalidi e feriti del suo esercito, mentre si stava dirigendo a Roma, dove poi sarebbe stato respinto dai Romani, svegliati dalle oche del Campidoglio.

Le tombe etrusche trovate in città, oltre ad alcune gallerie, spesso riutilizzate nel Medioevo per i «bottini» (l'acquedotto sotterraneo senese), e a parti di muratura dalla fattura tipicamente etrusca ancora oggi visibili, indicano che gli Etruschi già dal IV secolo a.C. erano stanziati in questi luoghi.

Fonti antiche ed epigrafi testimoniano poi la romanità di Siena (in latino Sæna Iulia), che ottenne la cittadinanza romana nel 90 a.C., con la Lex Iulia. Tacito, nel IV libro delle Storie, narra un episodio abbastanza curioso. Al tempo di Vespasiano, un senatore romano, Manlio Patruito, durante una visita ufficiale, fu malmenato e ridicolizzato addirittura con la messinscena di un finto funerale.

Manlius Patruitus senator pulsatum se in colonia Seniensi coetu multitudinis et iussu magistratuum querebatur; nec finem iniuriae hic stetisse: planctum et lamenta et supremorum imaginem praesenti sibi circumdata cum contumeliis ac probris, quae in senatum universum iacerentur. vocati qui arguebantur, et cognita causa in convictos vindicatum, additumque senatus consultum quo Seniensium plebes modestiae admoneretur.

Il senatore Manlio Patriuto si lamentava di essere stato percosso nella colonia senese durante un tumulto popolare e per ordine di quei magistrati; né l'oltraggio s'era fermato lì: la plebaglia aveva inscenato intorno a lui vivo una ostentazione di grida e di lamenti funebri, una parodia di funerale tra contumelie e insulti che colpivano l'intero senato. Citati in giudizio gli indiziati e istruito il processo, furono puniti i responsabili e fu aggiunto un decreto del senato per il quale si ammoniva la plebe dei Senesi alla moderazione

Tacito: Storie [IV: 45]
(Traduzione di Enzio Cetrangolo)

Il senato romano richiamò all'ordine la popolazione e punì i responsabili, ma questo fatto la dice lunga sul carattere scherzoso e irriverente dei senesi di un tempo. Un'indole mantenuta immutata ancora oggi.

 

III - LA LEGGENDA DELLA DIANA

Siena e l'acqua. Un problema con cui la città ha dovuto fare i conti per secoli.
Siena e il sottosuolo. Un intrico di cunicoli e canali lungo quasi 25 chilometri che ha risolto il problema dell'acqua: i «bottini»
.

L'importanza strategica dei bottini per la città di Siena è stata grandissima. Almeno due volte fu progettato di entrare in città attraverso di essi. Un primo tentativo si ebbe nel 1554 da parte dei soldati imperiali di Carlo V di prendere la città per questa via, ma fu sventato per un soffio, mentre nel giugno del 1944, in tempi assai più vicini a noi, i partigiani avevano progettato di liberare la città dalla guarnigione tedesca entrando per questa via.

Lo stesso imperatore Carlo V, durante la visita alla città, siamo nel 1536, pare che abbia affermato che la città sotterranea fosse più bella di quella alla luce del sole. E in effetti, i bottini, con le loro gallerie percorse da canali e punteggiate da concrezioni di calcio, da stalattiti e da stalagmiti, sono una meraviglia d'ingegneria umana e una meraviglia della natura. E ancora oggi funzionano, alimentando le fonti senesi, anche se un altro acquedotto, più moderno, porta l'acqua alle case, e sono anche visitabili. 

Ma il sottosuolo di Siena nasconderebbe ben altro.

Qualcosa, un miraggio, dirà poi la storia, aveva fatto intuire che la risoluzione del problema era sotto la città, a portata di mano, e che non c'era la necessità di scavare tutte quelle gallerie o di riutilizzare quelle già esistenti.

Tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch'a trovar la Diana;
ma più vi perderanno li ammiragli.

Dante: Commedia > Purgatorio [XIII: 151-154]
(Traduzione di Enzio Cetrangolo)

Chi parla è Sapìa e chi scrive è Dante. Siamo al tredicesimo canto del Purgatorio. Un'eco di questo miraggio fissato per sempre nella Divina Commedia. È il segno che la storia è arrivata fino a Dante. È il segno che la credenza era diventata forse una sorta di ossessione... tanto da suscitare la derisione da parte del poeta fiorentino, per bocca di una nobildonna senese.

Le prime testimonianze di gallerie da usarsi per l'approvvigionamento idrico sono del 394 d.C.. Tuttavia, i grandi lavori di ricerca di falde acquifere relativamente lontane e di canalizzazione di esse verso la città attraverso cunicoli sotterranei perlopiù scavati nella roccia, si effettuano in Siena fra il XIII e il XV secolo (l'attuale estensione risale sostanzialmente al 1466). Non senza progetti ambiziosi: per esempio nel 1267-1268 si parlò di deviare il corso del Merse, il corso d'acqua più vicino alla città, verso Siena. Non se ne fece di nulla, probabilmente anche per difficoltà tecniche, ma ciò basta a far capire quanto il problema fosse sentito.

In questo filone si inserisce, appunto, la storia della Diana, il mitico fiume che scorrerebbe sotto la città e che nessuno ha mai potuto vedere,  nonostante le assidue ricerche.

 

 

 

Disegno di Leonardo Conti. Clicca per ingrandire.

 
   

In due punti del centro abitato, nella zona di Porta Ovile, ma soprattutto nella zona di Pian dei Mantellini (attigua a questa larga strada c'è una via chiamata, non a caso, Via della Diana) in molti hanno sentito il caratteristico suono dello scorrere dell'acqua, ma ovviamente non esiste un qualcosa, almeno un qualcosa di visibile, che lo giustifichi. Il fiume, stando alle informazioni, passerebbe proprio in mezzo alla città, in direzione sud-est. In altri luoghi, ipoteticamente percorsi dalla Diana (si veda la mappa), non si sentirebbe il rumore dell'acqua semplicemente perché sono zone collinari: il suono dovrebbe quindi attraversare più terra, disperdendosi. Questa una possibile spiegazione al fatto che il fenomeno è localizzato in due zone distanti e apparentemente non collegate fra loro.

Nel 1176 i frati del Convento del Carmine (zona di Pian dei Mantellini, la più battuta dalle ricerche del mitico fiume) scavarono un primo pozzo nel loro chiostro. La vena d'acqua trovata era abbondante e giustificò altri interventi in questo senso.

Nel 1295  il Consiglio Generale della Repubblica di Siena deliberò il proseguo dei lavori, anche in località abbastanza lontane dalla zona interessata. Fra il '200 e il '300, si registrarono spese continue per pagare gli astrologi, i quali cercavano di scoprire l'ubicazione esatta della vena d'acqua. Ma il fiume, il mitico fiume, che molti fino ai giorni nostri hanno udito, non si trova. Dante prende in giro i Senesi, che sperano di rendere Talamone un importante porto e di cercare appunto la Diana, spendendovi soldi inutilmente. Ma questo è un segno che il mito della Diana aveva varcato i confini della città. Che, insomma, molti credevano di poterlo trovare.

Venute meno le ricerche ufficiali, la voce della Diana, ha forse richiamato altri uomini,  nei secoli successivi, che si sono avventurati fra le gallerie alla sua ricerca, senza più tornare. O forse è soltanto la fantasia di scrittori che vi hanno ricamato sopra storie probabilmente prive di fondamento. Non ci è dato di saperlo, per l'esigua documentazione esistente a riguardo.

Ma Via della Diana è lì e il suo nome la dice lunga. Di recente, è stato trovato lì vicino il pozzo che ha probabilmente dato inizio alla storia. I nonni senesi raccontano ancora oggi di aver udito lo scroscio dell'acqua in certe zone della città, durante la notte, quando tutto, a quei tempi, scivolava nel silenzio e nel buio. E le pareti delle cantine della zona tra Pian dei Mantellini e Porta San Marco pare trasudino un'insolita, abbondante umidità. Quella della Diana è, dunque, una leggenda che si intreccia con la storia e con la realtà, permettendo ancora di fantasticare e di credere nell'esistenza del mitico fiume, o forse di sperarvi.

 

 

 

 

 

Rara fotografia di un fuggisole! Macché, è solo il riflesso del flash.
Duccio Balestracci: I bottini, acquedotti medievali senesi, Siena 1987.

   

IV - LE LEGGENDE COLLEGATE AI «BOTTINI»

Narrano i documenti dell'epoca in cui i Bottini venivano costruiti, che molti operai che scavavano le gallerie, uscissero dai cunicoli spaventati per aver visto alcune creature che si annidavano nelle profondità della terra.

Gli operai che prestavano questo tipo di servizio venivano detti «guerchi». Non sappiamo se questo nome derivasse dal fatto che, lavorando per molte ore nella semi-oscurità, ci vedessero poco (quindi guerco, starebbe per «guercio»), oppure se si impiegasse manovalanza tedesca (il termine, in questo caso, deriverebbe dal tedesco Werk «lavoro»). L'unica cosa certa è che parte del compenso dato loro consisteva in vino, il che può spiegare le loro visioni.

I guerchi, infatti, dicevano di vedere vedevano sostanzialmente due specie di creature, gli omiccioli e i fuggisoli. Gli omiccioli erano degli ometti, simili a folletti, che non facevano dispetti, però. Ballavano e facevano tanto ridere, invece. Diverso è il discorso dei fuggisoli, i quali erano descritti come lampi di luce improvvisi e repentini (la parola indicherebbe proprio questo: una luce simile a un sole che compare per poi spegnersi subito dopo, cioè che fugge).

Forse i fumi del vino davano queste visioni. Può anche darsi che i fuggisoli fossero stati delle esalazioni di gas racchiuso nella terra, che, liberato, produceva un lampo di luce fosforescente, simile ai fuochi fatui. Il sottosuolo da sempre incute nell'uomo un senso di mistero e di paura, e il vino serviva ad addormentare la mente, esorcizzando così la paura che si provava a scendere e a scavare nella roccia.

Sono leggende, ma a cui molti hanno creduto. Infatti, nei bottini si trovano molte statuette della Madonna in terracotta, murate nelle pareti, e molte croci, a volte solo incise con il piccone sulla roccia friabile. ma ci si può chiedere: da chi o da che cosa voleva esser protetto chi disseminò le gallerie di statuette della Madonna e di croci?

 

Bibliografia

  • BALESTRACCI Duccio: I bottini, acquedotti medievali senesi. Alsaba, 1987.
    BILIORSI Massimo: Il mistero di Diana. Tipografia Senese, 1981.

  • BILIORSI Massimo: Al di là di Siena. IFI, 1988.

  • CAGLIARITANO Ubaldo: Storia di Siena. Periccioli, 1982.

  • CATONI Giuliano: Breve storia di Siena. Pacini, 1999.

  • DOUGLAS Langton: Storia della Repubblica di Siena. Multigrafica, 1969.

  • FUSAI, Luca: La storia di Siena dalle origini al 1559. Il Leccio, 1991.

  • GIGLI Girolamo:  Diario Sanese. Ristampa anastatica: A. Forni, 1974.

  • TACITO Cornelio (a cura di Enzio Cetrangolo): Tutte le opere. Sansoni, 1993.

Ringraziamenti

La Redazione ringrazia Leonardo Conti, per aver gentilmente fornito il materiale relativo alle leggende senesi ed aver steso i testi presentati in questa pagina. Uno speciale ringraziamento va a Gabriele Clementi che, a suo tempo, effettuò insieme all'autore alcune ricerche sulla Diana, ricerche che portarono a rintracciare alcuni elementi che si sono rivelati importanti, se non determinanti, nella stesura di questo testo.

Area Italiana - Fuggisole e Galiana.
 

Creazione pagina: 28.02.2006
Ultima modifica:
20.02.2006

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