SCHEDARIO

ELLENI
Greci
 

MITI ELLENICI
Hekátē
Ecate
HĒKÁTE
Dea infera, signora della notte e della stregoneria, figlia di Pérsēs e Asteríē. Descritta come dotata di tre corpi e tre teste, disponeva di una prodigiosa sfera d'azione e di multiformi poteri, per cui venne in seguito identificata con molte altre divinità.

* * *

 
MITOLOGIA
MITI
  • Figlia di Pérsēs e di Asteríē. Sebbene altri la dicano figlia di Zeús e Dēmtēr. Oppure di Nýx, o di Tártaros.
  • Pur appartenendo alla generazione titanica, mantiene il suo potere durante il regno di Zeús. Sommamente onorata da tutti gli dèi, ha timaí sulla terra, sul mare e sul cielo.
  • Vergine, non ha né sposo né figli.
  • Detta «triplice», viene rappresentata con tre corpi e tre teste.
  • Uccide con le sue fiaccole il gigante Klýtios.
  • A lei si rivolge Dēmtēr alla ricerca della figlia Persephónē. Zeús la invia agli inferi.
  • Mḗdeia è sua sacerdotessa; la guida nella pratica della magia.
  • La invoca Kírkē per trasformare in bestie i compagni di Odysseús.
  • Trasforma la regina Hekábē in una cagna e la pone al suo seguito.
  • Trasforma in martora la maga Galê/Galínthias.
  • Ha posto la Sibylla Cymæa sulla porta dell'Averno.
RELAZIONI
Stirpe:
Genitori:






Sposo:
Sposo¹:
Figlia:
Sposo²:
Figli:
Koionídai
Pérsēs ~ Asteríē
Pérsēs
Asteríē
Zeús ~ Dēmtēr
Zeús ~ Asteríē
Nýx
Tártaros
(virgo)
Phórkys
Skýlla
Aiḗtēs
Kírkē
Mḗdeia
Aigialeús

(Hesíodos | Apollódōros )
(Apollṓnios Rhódios | Lykóphrōn | Diódōros Sikeliṓtēs | Ovidius)
(Cicero)
(Kallímachos | Orphicorum Phragmenta)
(Musaîos)
(Bakchylídēs)
(Orpheōs Argonautiká )
(Apollṓnios Rhódios)
    «
    «

(Diódōros Sikeliṓtēs)
    «
    «
    «
  ¹ Identificata con Krataiḯs
² Identificata con Eidyía
EPITETI
Aidōnaia
Antaia
Apotropaia
Brimṓ
Chthonía
Daidoûchos/Daidophórē
Enodía/Einodía
Klēidoûchos
Liparokredḗmnos
Mounogenḗs
Kourotróphos
Nyktipolos
Persaíē
Propulaia/Propylaia
Propolos
Phōsphóros

Phýlax
Skylakagetis
Soteira
Triodia
/Triodîtin
Trímorphe
Zērynthía



















Trivia
Tergemina
«Signora del mondo sotterraneo»
«Colei che incontra»
«Protettrice»
«Furiosa»
«Del mondo sotterraneo»
«Portatrice di fiaccole»
«[Colei che è] sulla via»
«Che porta le chiavi»
«Dal diadema fulgente»
«Unigenita»
«Nutrice di fanciulli»
«Che si muove la notte»
«Figlia di Pérsēs»
«Colei che sta davanti alla porta»
«Colei che serve»
«Portatrice di luce»
«Protettrice»
«Signora dei cani»
«Sapiente»
«Che frequenta i trivi»
«Triplice»
«Del monte Zērýnthos» (Samothrákē).
 
ATTRIBUTI
Un corteo di cani infernali
Una o due fiaccole
Tre corpi e tre teste
Corona/e
 
CORRISPONDENZE
Identificazioni con divinità greche:
Identificazioni con divinità romane:
Ártemis | Selḗnē | Krataiḯs | Eidyía  
Diana | Luna
FILOLOGIA
ORTOGRAFIA
 

  ORTOGRAFIA EUCLIDEA ORTOGRAFIA POLITONICA
Greco ⱵΕΚΑΤΗ
ⱵEΚΑΤΑ
Ἑκάτη | Hekátē
Ἑκατη | Hekáta
  ORTOGRAFIA CAPITALE ORTOGRAFIA NORMALIZZATA
Latino HECATE
HECATA
Hecăte
Hecăta

ETIMOLOGIA
 

L'etimologia del nome Hekátē sarebbe, secondo alcuni, una forma abbreviata di hekatē-bólos «colei che colpisce da lungi»; e dunque l'equivalente femminile di Hekátos, un epiteto di Apóllōn). Per altri ancora il suo nome avrebbe la stessa radice della parola greca hekatón «cento» e sarebbe sinonimo di «multiforme».

LETTERATURA
 

Inni
Ascendenza
Discendenza
Dea infera
Ruolo nel mito del rapimento di Persephónē
Dea della stregoneria. Hekátē e Mḗdeia
Dea della stregoneria. Hekátē e Kírkē
Gli attributi. Portatrice di fiaccole
Gli attributi. I cani
Hekátē ed Hekábē
Hekátē e Galê/Galínthias

 


Inni

Non menzionata in Hómēros, Hekátē fa la sua prima apparizione «ufficiale» nella mitologia greca con la Theogonía di Hēsíodos, che le dedica un vero e proprio inno all'interno del poema:

Phoíbē d' aû Koíou polyḗraton êlthen es eunḗn;
kysaménē dḕ épeita thea theoû en philótēti
Lētṑ kyanópeplon egeínato, meílichon aieí,
meílichon ex archês, aganṓtaton entòs Olýmpou,
ḗpion anthrṓpoisi kaì athanátoisi theoîsin.
Geínato d' Asteríēn eyṓnymon, hḗn pote Pérsēs
ēgáget' es méga dôma phílēn keklêsthai ákoitin.
ḗ d' hypokysaménē Hekátēn téke, tḕn perì pántōn
Zeùs Kronídēs tímēse; póren dé hoi aglaa dôra,
moîran échein gaíēs te kaì atrygétoio thalássēs.
Hḗ dè kaì asteróentos ap' ouranoû émmore timês
athanátois te theoîsi tetiménē estì málista.
Kaì gar nûn, hóte poú tis epichthoníōn anthrṓpōn
érdōn hiera kala kata nómon hiláskētai,
kiklḗıskei Hekátēn; pollḗ té hoi héspeto timḕ
hreîa mál', hôı próphrōn ge thea hypodéxetai euchás,
kaí té hoi ólbon opázei, epeì dýnamís ge párestin.
Hóssoi gar Gaíēs te kaì Ouranoû exegénonto
kaì timḕn élachon, toútōn échei aîsan hapántōn.
Oudé tí min Kronídēs ebiḗsato oudé t' apēúra,
hóss' élachen Titêsi meta protéroisi theoîsin,
all' échei, ōs tò prôton ap' archês épleto dasmós,
kaì géras en gaíēı te kaì ouranōı ēdè thalássēı;
oud', hóti mounogenḗs, hêsson thea émmore timês,
all' éti kaì polỳ mâllon, epeì Zeùs tíetai autḗn.
Hôı d' ethélei, megálōs paragígnetai ēd' onínēsin;
én te díkēı basileûsi par' aidoíoisi kathízei,
én t' agorê laoîsi metaprépei, hón k' ethélēısin;
ēd' hopót' es pólemon phtheisḗnora thōrḗssōntai
anéres, éntha thea paragígnetai, hoîs k' ethélēısi
níkēn prophronéōs opásai kaì kûdos oréxai.
Esthlḕ d' aûth' hopót' ándres aethleúōsin agôni,
éntha thea kaì toîs paragígnetai ēd' onínēsin;
nikḗsas dè bíēı kaì kárteϊ kalòn áethlon
hreîa phérei chaírōn te, tokeûsi dè kûdos opázei.
Esthlḕ d' hippḗessi parestámen, hoîs k' ethélēısin.
Kaì toîs, hoì glaukḕn dyspémphelon ergázontai,
eúchontai d' Hekátēı kaì eriktýpōı Ennosigaíōı,
hrēidíōs ágrēn kydrḕ theòs ṓpase pollḗn,
hreîa d' apheíleto phainoménēn, ethélousá ge thymōı.
Esthlḕ d' en stathmoîsi sỳn Hermê lēíd' aéxein;
boukolías d' agélas te kaì aipólia platé' aigôn
poímnas t' eiropókōn oíōn, thymōı g' ethélousa,
ex olígōn briáei kaì ek pollôn meíona thêken.
Hoútō toi kaì mounogenḕs ek mētròs eoûsa
pâsi met' athanátoisi tetímētai geráessin.
Thêke dé min Kronídēs kourotróphon, hoì met' ekeínēn
ophthalmoîsin ídonto pháos polyderkéos Eoûs.
Hoútōs ex archês kourotróphos, haì dé te timaí.
Phoíbē l'amabile talamo ascese di Koíos,
concepì e poi, dea per l'amore di un dio,
partorì Lētṓ dal peplo azzurro, la sempre dolce,
benigna agli uomini e agli dei immortali,
lei mite fin dall'inizio, la più clemente dentro l'Olimpo.
Generò Asteríē famosa, che Pérsēs una volta
condusse nella sua grande casa perché fosse chiamata sua sposa.
Costei concepì e generò Hekátē, che fra tutti
Zeús Kronídēs onorò, e a lei diede illustri doni,
che potere avesse sulla terra e sul mare infecondo,
anche nel cielo stellato ha una parte d'onore
e dagli dèi immortali è sommamente onorata.
E infatti anche ora, quando qualcuno degli uomini
che abitano la terra fa sacrifici secondo le leggi e implora la grazia,
invoca Hekátē e grande favore lo segue;
facilmente, a lui benevola, la dea accoglie le preghiere,
a lui la ricchezza concede, perché di ciò pure ha potere.
Quanti infatti da e da Ouranós nacquero
e ricevettero onore, partecipa dei privilegi di tutti costoro;
lei nemmeno il Kronídēs d'alcuna cosa privò con violenza
di quelle che aveva ottenuto fra i Titânes, i primi degli dei,
bensì la possiede, come dapprima all'inizio fu la spartizione;
né, perché unigenita, la dea ricevette onori minori,
e ha potere in terra e nel cielo e nel mare,
molto di più, perché Zeús le fa onore.
A chi essa vuole largo favore e aiuto concede;
e nel tribunale essa siede presso i re rispettati
e nell'assemblea fra le genti fa brillare ciò che lei vuole;
o quando alla guerra assassina si armano
i guerrieri, la dea assiste colui che lei vuole
ornare, benigna, della vittoria e offrirgli la fama;
benigna assiste anche i cavalieri, quelli che vuole;
benigna anche quando gli uomini lottano in gara:
là la dea li assiste e soccorre;
e chi con forza e vigore consegue vittoria, bello il premio
coglie felice e i genitori orna di gloria.
E a coloro che l'azzurro tempestoso con fatica lavorano
e pregano Hekátē e il profondo tonante Ennosigaíōs,
facilmente una preda la nobile dea fornisce copiosa,
ma facilmente anche se la porta via,
non appena essa appare, se così vuole il suo cuore.
E con Hermês benigna nelle stalle le greggi fa crescere,
le schiere dei buoi e i branchi grandi di capre
e i branchi di lanose pecore, se così vuole il suo cuore,
da piccoli li fa grandi e da molti riduce a pochi.
Così, per quanto sia nata unigenita da sua madre,
fra tutti gli immortali è onorata di doni;
costei fece il Kronídēs nutrice di giovani, quanti a lei fedeli
videro con gli occhi la luce dell'aurora onniveggente.
Così fu, fin dall'inizio, nutrice di giovani e questi i suoi onori.
Hēsíodos: Theogonía [-]

Da Hēsíodos apprendiamo che i privilegi [timaí] di Hekátē si estendevano sulla terra, nel mare e nel cielo (circostanza piuttosto rara tra le divinità della Theogonía) e che essa aveva mantenuto le sue prerogative anche quando Krónos venne detronizzato dal figlio ella aveva evidentemente preso le parti di Zeús durante la Titanomachia. Da Apollódōros e altri mitografi apprendiamo anche che Hekátē aveva combattuto al fianco degli dei Olimpikoí durante la ribellione dei Gígântes.

Se con Hēsíodos siamo agli esordi del mito greco, il famoso inno orfico a Hekátē appartiene a un'epoca molto più tarda, quasi al tramonto del paganesimo ellenico.

Einodíēn Hekátēn klḗızō, triodîtin, erannḗn,
ouraníēn chthoníēn te kaì einalíēn, krokópeplon,
tymbidíēn, psychaîs nekýōn méta bakcheúousan,
Perseían, philérēmon, agalloménēn eláphoisin,
nykteríēn, skylakîtin, amaimáketon basíleian,
thēróbromon, ázōston, aprósmachon eîdos échousan,
tauropólon, pantòs kósmou klēidoûchon ánassan,
hēgemónēn, nýmphēn, kourotróphon, ouresiphoîtin,
lissoménois koúrēn teletaîs hosíēısi pareînai
boukólōı eumenéousan aeì kecharēóti thymōı.
Hekátē protettrice delle strade celebro, trivia, amabile,
celeste e terrestre e marina, dal manto color croco,
sepolcrale, baccheggiante, con le anime dei morti,
figlia di Pérsēs, amante della solitudine, superba dei cervi,
notturna, protettrice dei cani, regina invincibile, annunciata
dal ruggito delle belve, senza cintura, d'aspetto imbattibile,
domatrice di tori, signora che custodisce tutto il cosmo,
guida, ninfa, nutrice dei giovani, frequentatrice dei monti,
supplicando la fanciulla di assistere alle pie celebrazioni
benevola verso il bovaro sempre con animo gioioso.
Orphikôn hýmnoi [1] > Hekátēs

 



Ascendenza di Hekátē

Per Hēsíodos, Hekátē appartiene alla stirpe titanica, figlia unigenita [mounogenḗs] di Pérsēs e Asteríē (Theogonía [, ]). Il magistero esiodeo è accettato da Apollódōros (Bibliothḗkē [I: 2]). Pérsēs è citato quale padre di Hekátē negli Inni Omerici (Eis Dēmḗtran [2: ]), in Apollṓnios Rhódios (Tá Argonautiká [III: ]), in Lykóphrōn (Alexándra []) e in Ovidius (Metamorphoseon [VII: ]); diverse fonti si riferiscono alla dea con il patronimico di Persaíē, «figlia di Pérsēs». Asteríē, quale madre di Hekátē, è invece citata da Cicero (De natura Deorum [III: 18]).

Interessante voce fuori dal coro, il poeta Kallímachos, un cui frammento, riportato da uno scoliaste di Theókritos, afferma che Hekátē fosse invece figlia di Zeús e Dēmtēr, collocandola quindi nella generazione olimpica.

  Kallímachos dice alla lettera così: «Unitosi a Dēmtēr, Zeús generò Hekátē, che spicca fra gli dèi per forza e statura». Afferma che costei fu inviata da suo padre sotto terra alla ricerca di Persephónē. Perciò, ancora oggi, è chiamata Ártemis, Phýlax, Daidoûchos, Phōsphóros e Chthonía.
Kallímachos: Phragmenta [466]; ex Scholio apud Theókritos: Eidýllia [II: ]
=
Orphicorum Phragmenta [K42]

 La tradizione sembra condivisa anche da alcuni poeti orfici:

Kaì tóte dḕ Hekátēn Dēṑ téken eupatéreian. E allora Dēṓ [Zeús] generò Hekátē, figlia di un'illustre padre
Scholius apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ] = Orphicorum Phragmenta [K41]

Il poeta Bakchylídēs, pure citato da uno scoliaste di Apollṓnios Rhódios, anticipa invece Hekátē alla generazione protogonica, collocandola tra i figli della dea-notte, Nýx.

Hekáta daidophóre, Nyktòs megalokólpon thýgater'...

O Hekátē, portatrice di fiaccole, figlia di Nýx dall'ampio seno...

Bakchylídēs: Phragmenta [1B]; ex Scholio apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ]
=
Orphicorum Phragmenta [K41]

Che nell'antichità esistessero altre tradizioni, riguardo la genealogia di Hekátē, ci è confermato dal medesimo scoliaste, il quale riporta un'interessante serie di tradizioni alternative, perlopiù dipendenti da testi lirici e orfici:

  Alcuni sostengono che [Hekátē] sia figlia di Zeús. Nei poemi orfici viene fatta discendere da Dēmtēr: «E allora Dēṓ [Zeús] generò Hekátē, figlia di un'illustre padre». Bakchylídēs, invece, dice che ella è figlia di Nýx: «O Hekátē, portatrice di fiaccole, figlia di Nýx dall'ampio grembo». Mousaîos, invece, di Asteríē e di Zeús. Pherekýdēs di Aristaíos, figlio di Paíonos.
Scholius apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ] = Orphicorum Phragmenta [K41]

La versione di Mousaîos è riferita in un ulteriore scolio ad Apollṓnios Rhódios, nel quale si riferisce che Asteríē fu amante di Zeús prima di essere ceduta a Pérsēs. Poiché nulla avviene senza ragione, e i connubi degli dèi sono sempre fecondi, Hekátē era figlia di Zeús e non di Pérsēs:

  Mousaîos racconta che Zeús, innamoratosi di Asteríē, si congiunse con lei, e dopo essersi congiunto la diede a Pérsēs, al quale ella generò Hekátē.
Scholius apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ]

In Orpheōs Argonautiká [], Hekátē è indicata con l'epiteto Tartarópais, suggerendo che fosse figlia di Tártaros.

 



Discendenza

Hekátē sembra non avere né sposi né figli. Le due testimonianze conosciute riguardo a una discendenza di Hekátē sono infatti da prendere con prudenza. Apollṓnios Rhódios, identificandola esplicitamente con Krataiḯs, le attribuisce come figlia Skýlla, avuta da Phórkys.Poiché Krataiḯs è il nome della madre di Skýlla in Apollódōros (Bibliothḗkē [Ep.: 7]), è probabile che ci troviamo di fronte a una confusione tra personaggi diversi.

...Skýllēs Ausoníēs aloóphronos, hḕ téke Phórkōı,
nyktipólos Hekátē, tḗn te kleíousi Krátaiin.
...la terribile Skýlla ausonia, figlia di Phórkys,
e della notturna Hekátē, che chiamano anche Krataiḯs.
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [IV: -]

Una genealogia particolare è quella che Diódōros Sikeliṓtēs attribuisce alla dea, sostituendola all'oceanina Eidyía. Hekátē viene detta nipote di Hḗlios e madre di Mḗdeia e Kírkē. Si tratta di un racconto fortemente evemerizzato, e quindi priva di diretto valore mitologico, per quanto è possibile riecheggi versioni tradite della leggenda.

  Abbiamo detto che Hḗlios aveva due figli, Aiḗtēs e Pérsēs. Aiḗtēs divenne re di Kolchís e l'altro re del Chersónēsos, ed entrambi furono spaventosamente crudeli. Pérsēs ebbe per figlia Hekátē, che superò il padre in audacia e sregolatezza. [...]. Ella sposò Aiḗtēs ed ebbe due figlie, Kírkē e Mḗdeia, e un figlio, Aigialeús.
Diódōros Sikeliṓtēs: Bibliothḗkē Historikē [IV: 45: ]

Ma parleremo dopo dei rapporti tra Hekátē e le streghe, in particolare le incantatrici Mḗdeia e Kírkē.

 


Dea infera

Sebbene per Hēsíodos, Hekátē sia un personaggio assai complesso e sfaccettato, dalle molte timaí, a suo agio in cielo, in terra e in mare, la letteratura successiva farà della dea un personaggio dagli accentuati caratteri ctonici e infernali. Una traccia di questa «trasformazione» la troviamo già negli Inni Omerici, dove Hekátē viene in aiuto di Dēmtēr, alla disperata ricerca della figlia rapita da Háıdēs (Homḗrou hýmnoi [2]).

Non dimentichiamo le genealogie alternative che vogliono Hekátē figlia di Nýx o di Tártaros.

L'immagine di Hekátē si specializza ben presto in una figura notturna, oscura, legata alla stregoneria e al mondo infero. Brimṓ, la «furiosa», la definisce a più riprese Apollṓnios Rhódios...

  ...La dea Brimṓ, la grande nutrice,
Brimṓ notturna, infernale, la regina dei morti,
nella nera notte, coperta di abiti neri.
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: -]
  ...E chiamò anche la regina notturna, infernale,
che le fosse benevola, e le concedesse l'impresa.
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [IV: -]

L'aspetto di dea infera, signora della magia, è particolarmente spiccato in epoca tarda. Nelle Metamorphoseon, Ovidius trae aggettivi dal nome della dea usandoli come sinonimi di «infernale, terrifico, occulto». Spruzzando il succo di Hecateïdos herbae sulla sventurata Aráchnē, Athēnâ la farà diventare un ragno [VI: ]; recitando degli Hecateïa carmina, Kírkē prepara la pozione che trasformerà Skýlla in un orribile mostro [XIV: ].

Virgilius, nell'Æneides, dipinge Hekátē come una dea legata alla sfera infera. Quando Æneas si rivolge alla Sibylla Cymæa, affinché gli dia la possibilità di intraprendere il suo viaggio verso il regno dei morti, si appella all'autorità di Hekátē, in quanto è in suo nome che la Sybilla è stata posta a guardia dell'Averno

...Gnatique patrisque,
alma, precor, miserere (potes namque omnia, nec te
nequiquam lucis Hecate praefecit Auernis).
Del figlio e del padre,
ti prego, abbi pietà, o divina: tutto puoi, né
Hecate ti ha posto invano a guardia dei boschi dell'Averno.
Publius Virgilius Maro: Æneides [VI: -]

Ed è la Sibylla stessa a rincarare la dose, affermando che la stessa Hekátē l'aveva istruita, facendole da guida nelle regioni del Tártaros, precluse a ogni uomo pio.

...sed me cum lucis Hecate praefecit Auernis,
ipsa deum poenas docuit perque omnia duxit.
...ma quando mi pose Hecate a guardia dei boschi dell'Averno;
essa stessa mi condusse qua, mostrandomi le pene inflitte dagli dèi.
Publius Virgilius Maro: Æneides [VI: -]

Prima di accompagnare Æneas nell'Averno, la Sibylla Cymæa officia un sanguinoso sacrificio, in cui associa Hekátē a varie divinità dell'oscurità, della terra e degli inferi. La dea non tarda a fare la sua comparsa.

Quattuor hic primum nigrantis terga iuuencos
constituit frontique inuergit uina sacerdos,
et summas carpens media inter cornua saetas
ignibus imponit sacris, libamina prima,
uoce uocans Hecaten caeloque Ereboque potentem.
supponunt alii cultros tepidumque cruorem
succipiunt pateris. ipse atri uelleris agnam
Aeneas matri Eumenidum magnaeque sorori
ense ferit, sterilemque tibi, Proserpina, uaccam;
tum Stygio regi nocturnas incohat aras
et solida imponit taurorum uiscera flammis,
pingue super oleum fundens ardentibus extis.
Ecce autem, primi sub lumina solis et ortus,
sub pedibus mugire solum, et iuga coepta moveri
silvarum, visaeque canes ululare per umbram,
adventante dea.
Quattro buoi porta qui dapprima la sacerdotessa,
sparge del vino sulle loro fronti
e strappa un ciuffo di peli fra le corna
e lo depone sul fuoco sacro, quale prima offerta;
invocando a gran voce Hecate, signora potente del cielo e dell'Erebus.
Altri con dei coltelli squarciano il collo alle bestie e il sangue
raccolgono in tazze. Lui stesso, Æneas, sgozzata un'agnella nera
la offre a [Nox], madre delle Eumenides, e alla [Terra], sua grande sorella,
A Proserpina, invece, immola una vacca sterile.
A notte continua il rito: offrendo al re dello Styx
le interiora dei torelli, disposte sopra il fuoco,
e mentre quelle bruciano, vi versa olio grasso.
Ed ecco, appena il sole spunta alle soglie d'oriente,
la terra comincia a rimbombare sotto i piedi, fremono gli alti vertici
dei boschi, e nella fitta tenebra risuona l'ululo delle cagne
al sopraggiungere della dea.
Publius Virgilius Maro: Æneides [VI: -]

Può così cominciare, sotto gli auspici di Hecate, il viaggio di Æneas nel regno dei morti...

 


Ruolo nel mito del rapimento di Persephónē

Quale dea infera, Hekátē è presente nel mito del rapimento di Persephónē da parte di Háıdēs. Essa vi compare già negli Inni Omerici, dove soccorre Dēmtēr nella sua disperata ricerca della figlia.

...oudé tis athanátōn oudè thnētôn anthrṓpōn
kousen phōnês, oud' aglaókarpoi elaîai†
ei mḕ Persaíou thygátēr atalà phronéousa
áien ex ántrou, Hekátē liparokrḗdemnos,
Ēéliós te ánax, Hyperíonos aglaòs hyiós,
koúrēs kekloménēs patéra Kronídēn...
...ma nessuno degli immortali o degli uomini mortali
udì la sua voce e nemmeno gli olivi dai frutti lucenti.
Solo la figlia di Pérsēs, la sentì nel suo antro,
Hekátē dalla candida mente, dal velo splendente;
anche il divino Hḗlios, luminoso figlio di Hyperíōn,
la sentì invocare il nome del padre Kronídēs.
Homḗrou hýmnoi [2] > Eis Dēmḗtran [-]

È ancora Hekátē ad accompagnare Dēmtēr nel regno dei morti nella sua ricerca della figlia rapita.

...all' hóte dḕ dekátē hoi eplythe phainolìs ēṓs,
ntetó hoi Hekátē, sélas en cheíressin échousa
kaí rhá hoi angeléousa épos pháto phṓnēsén te:
pótnia Dēmtēr, hōrēphóre, aglaódōre,
tís theôn ouraníōn ēè thnētôn anthrṓpōn
hḗrpase Persephónēn kaì sòn phílon ḗkache thymón?
phōnês gàr ḗkous', atàr ouk ídon ophthalmoîsin,
hóstis éēn: soì d' ôka légō nēmertéa pánta.
hṓs ár' éphē Hekátē: tḕn d' ouk ēmeíbeto mýthōi
Rheíēs ēykómou thygátēr, all' ôka sỳn autêi
ḗix' aithoménas daîdas metà chersìn échousa...
Ma quando infine giunse per la decima volta la fulgente aurora
le venne incontro Hekátē reggendo con la mano una torcia;
e, desiderosa di informarla, le rivolse la parola, e disse:
«Dēmtēr veneranda, apportatrice di messi, dai magnifici doni,
chi fra gli dei celesti o fra gli uomini mortali
ha rapito Persephónē, e ha gettato l'angoscia nel tuo cuore?
Infatti, io ho udito le grida ma non ho visto con i miei occhi
chi fosse il rapitore: ti ho detto tutto, in breve e sinceramente».
Così dunque parlò Hekátē; e non le rispose
la figlia di Rhéa dalle belle chiome; invece, rapidamente, con lei
mosse, stringendo nelle mani fiaccole ardenti...
Homḗrou hýmnoi [2] > Eis Dēmḗtran [-]

Che Zeús abbia mandato Hekátē agli inferi alla ricerca di Persephónē, viene pure riferito nel succitato brano di Kallímachos (Phragmenta [466] = Orphicorum Phragmenta [K42]). Si veda al riguardo anche il Papyrus Berolinensis [44: ].

 


Dea della stregoneria. Hekátē e Mḗdeia

Particolarmente devota ad Hekátē, in tutte le fonti, è Mḗdeia, la maga e incantatrice della Kolchís.

Come abbiamo anticipato sopra, in una genealogia alternativa, Diódōros Sikeliṓtēs afferma che le due maggiori incantatrici del mito ellenico, Mḗdeia e Kírkē, fossero figlie di Hekátē, qui presentata come regina di grande sapienza e inaudita crudeltà. Il racconto di Diódōros, seppure evemerizzato, contiene forse elementi di qualche antico mito perduto su Hekátē.

  Abbiamo detto che Hḗlios aveva due figli, Aiḗtēs e Pérsēs. Aiḗtēs divenne re di Kolchís e l'altro re del Chersónēsos, ed entrambi furono spaventosamente crudeli. Pérsēs ebbe per figlia Hekátē, che superò il padre in audacia e sregolatezza. Ella amava la caccia, ma quando non ha aveva fortuna, volgeva le sue frecce contro gli esseri umani al posto delle bestie. Allo stesso modo, era abilissima nella miscela dei veleni mortali, e scoprì il farmaco chiamato aconito, il quale, mescolato al cibo offerto agli ospiti, toglieva il potere di ogni veleno. Grazie alla sua esperienza in tali cose, [Hekátē] avvelenò prima di tutto suo padre, così gli successe al trono. Poi, consacrando un tempio ad Ártemis, comandò che gli stranieri che sbarcavano in quelle terre dovevano essere sacrificati agli dèi. Ella divenne assai famosa in lungo e in largo per la sua crudeltà. che gli stranieri sbarcati ci dovrebbe essere sacrificato alla dea, divenne conosco molto e in largo per la sua crudeltà. Ella sposò Aiḗtēs ed ebbe due figlie, Kírkē e Mḗdeia, e un figlio, Aigialeús. [...]
Diódōros Sikeliṓtēs: Bibliothḗkē Historikē [IV: 45: ]

Nelle tradizioni prettamente mitologiche, Hekátē è una dea, una dea infera e terrifica, e il suo rapporto con Kírkē e Mḗdeia è piuttosto di affinità e di deviozione.

Nelle Argonautiká di Apollṓnios Rhódios, Mḗdeia era sacerdotessa di Hekátē [III: -]. Si prendeva cura dello splendido tempio consacrato alla dea e solennemente vi si recava per pregare la dea, evocarla o preparare filtri magici [III: , ]. Ad Hekátē, Mḗdeia si rivolgeva in caso di necessità [III: - | IV: -, -], e i suoi incantesimi e stregonerie venivano praticate sotto la diretta tutela di Hekátē [III: -]. Buona parte della sapienza e dei poteri magici di Mḗdeia derivavano dalla stessa dea:

  Vive una fanciulla nel palazzo di Aiḗtēs,
che la dea Hekátē ha più di ogni altra istruita
nell'arte di tutti i filtri, che produce la terra e il mare infinito:
con essi sa domare la forza del fuoco instancabile,
e ferma in un momento le acque scroscianti dei fiumi;
incatena gli astri e le sacre vie della luna.
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: -]

L'apparizione di Hekátē – evocato dal sacrificio offertole da Mḗdeia – è descritta con accenti terrifici, seppure in linea con la tarda iconografia attribuita alla dea. Val la pena riportare il passo integralmente:

  Poi scavò nel terreno una fossa di un cubito,
e ammucchiata la legna, tagliò la gola all'agnella
e la distese là sopra, poi diede fuoco alla legna,
mescolò e versò le libagioni, invocando
Hekátē Brimṓ in aiuto alle sue imprese.
Quando l'ebbe invocata, tornò indietro. La dea
tremenda l'udì e dai recessi profondi
venne a ricevere l'offerta. Il capo era cinto
di spaventosi serpenti, intrecciati con rami di quercia:
lampeggiava l'immenso bagliore delle fiaccole;
d'intorno ululavano con acuti latrati i cani infernali.
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: -]

Un'immagine simile la ritroviamo nelle Orpheōs Argonautiká, dove Hekátē compare, giungendo dagli inferi insieme alle Erinýes e a Pandṓrē (che forse sostituisce qui Émpousa). Una scena raccapricciante che riecheggia il contenuto dei Papyri Græcæ Magicæ.

  Insieme a lei ne giunse un'altra di forma cangiante,
tricefala alla vista, un mostro funesto, inimmaginabile,
Hekátē figlia di Tártaros. Dal suo omero sinistro balzò
un lupo dalla lunga criniera; sulla destra era possibile vedere
una cagna dallo sguardo furente, nel mezzo un serpente d'aspetto selvaggio:
in entrambe le mani aveva delle daghe con l'elsa.
Qua e là correvano tutt'attorno alla fossa
Pandṓrē, ed Hekátē e le Erinýes con loro procedevano a balzi.
Orpheōs Argonautiká [-]

Il legame tra Mḗdeia ed Hekátē è peraltro ben presente in tutta la letteratura mitologica, dalla Mḗdeia di Euripídēs alla Medea di Seneca, fino alle Argonautica di Valerius Flaccus.

Nel settimo libro delle sue Metamorphoseon, il brillante Ovidius descrive ancora una volta – ma ormai è un tópos letterario – l'invocazione a Hekátē da parte di Mḗdeia. La scena assai più contenuta e addomesticata di quella di Apollṓnios Rhódios, ma non per questo meno suggestiva:

...postquam plenissima fulsit
ac solida terras spectavit imagine luna,
egreditur tectis vestes induta recinctas,
nuda pedem, nudos umeris infusa capillos,
fertque vagos mediae per muta silentia noctis
incomitata gradus: homines volucresque ferasque
solverat alta quies, nullo cum murmure saepes,
inmotaeque silent frondes, silet umidus aer,
sidera sola micant: ad quae sua bracchia tendens
ter se convertit, ter sumptis flumine crinem
inroravit aquis ternisque ululatibus ora
solvit et in dura submisso poplite terra
«Nox» ait «arcanis fidissima, quaeque diurnis
aurea cum luna succeditis ignibus astra,
tuque, triceps Hecate, quae coeptis conscia nostris
adiutrixque venis cantusque artisque magorum,
quaeque magos, Tellus, pollentibus instruis herbis,
auraeque et venti montesque amnesque lacusque,
dique omnes nemorum, dique omnes noctis adeste,
quorum ope, cum volui, ripis mirantibus amnes
in fontes rediere suos, concussaque sisto,
stantia concutio cantu freta, nubila pello
nubilaque induco, ventos abigoque vocoque,
vipereas rumpo verbis et carmine fauces,
vivaque saxa sua convulsaque robora terra
et silvas moveo iubeoque tremescere montis
et mugire solum manesque exire sepulcris!...»
Quando la luna rifulse piena
e con tutto il fulgore del suo disco si volse verso la terra,
[Mḗdeia] uscì di casa indossando una veste sciolta,
a piedi nudi e capo scoperto, i capelli sparsi sulle spalle,
e nel cuore della notte, in quel silenzio di tomba, senza meta,
sola si mise a vagare. Una quiete profonda assopiva
uomini, uccelli e fiere. Non un brusio fra le siepi;
tacciono immobili le fronde, tace l'aria umida;
palpitano solo le stelle. E a loro lei tende le braccia,
gira tre volte su sé stessa, tre volte spruzza i capelli
con acqua di fiume, tre volte spalanca la bocca
in grida lamentose e, caduta in ginocchio sulla dura terra:
«O Notte» invoca, «fedele custode di misteri; astri d'oro,
che a fianco della luna vi alternate ai bagliori del giorno;
e tu, Hecate tricipite, che della mia impresa sei conscia
e porgi aiuto agli incantesimi e all'arte dei maghi;
o Terra, che ai maghi procuri erbe prodigiose;
e voi brezze, venti e monti, voi fiumi e laghi,
dèi tutti dei boschi, dèi tutti della notte, voi tutti assistetemi!
Grazie a voi, quando voglio, i fiumi tornano, fra lo stupore
delle rive, alla loro sorgente; per incanto sconvolgo il mare
in bonaccia, placo quello in burrasca, dirado le nubi
e le addenso, allontano i venti o li sollecito;
recitando le mie formule squarcio la gola alle vipere,
dalla loro terra sradico e smuovo pietre vive,
querce e selve, ordino ai monti di tremare,
al suolo di muggire, alle ombre di uscire dai sepolcri!»
Publius Ovidius Naso: Metamorphoseon [VII: -]

Più tardi, al fine di ringiovanire il vecchissimo Aísōn, re di Iōlkós e padre del suo amante Iásōn, la maga Mḗdeia mette in atto un altro spaventoso incantesimo, nel quale innalza due altari: uno ad Hekátē, l'altro a Iuventas, dea romana della giovinezza (Metamorphoseon [VII: ]). Nel rapporto tra vecchiaia e giovinezza, Hekátē è significativamente scelta a rappresentare la tarda età.

 


Dea della stregoneria. Hekátē e Kírkē

Nel racconto evemerizzato di Diódōros Sikeliṓtēs, Mḗdeia e Kírkē erano sorelle, figlie di Hekátē (Bibliothḗkē Historikē [IV: 45: ]). Ma per quanto, nella letteratura mitologica, sia soprattutto Mḗdeia ad essere legata ad Hekátē, non mancano esempi in cui è Kírkē ad appellarsi alla dea per i suoi incantesimi.

In questo passo di Ovidius, Kírkē invoca Hekátē assieme a varie divinità primordiali e notturne, al fine di trasformare in animali i compagni di Odysseús:

Illa nocens spargit virus sucosque veneni
et Noctem Noctisque deos Ereboque Chaoque
convocat et longis Hecaten ululatibus orat.
exsiluere loco (dictu mirabile) silvae,
ingemuitque solum, vincinaque palluit arbor,
sparsaque sanguineis maduerunt pabula guttis,
et lapides visi mugitus edere raucos
et latrare canes et humus serpentibus atris
squalere et tenues animae volitare silentum:
attonitum monstris vulgus pavet; illa paventis
ora venenata tetigit mirantia virga,
cuius ab attactu variarum monstra ferarum
in iuvenes veniunt: nulli sua mansit imago.
Lei allora sparge veleni di morte e succhi malefici,
dall'Erebus e dal Chaos chiama a raccolta Nox e gli dèi
della Notte, invoca Hekátē con lunghe grida selvagge.
Sussultarono (incredibile a dirsi) le foreste,
gemette il suolo, impallidirono gli alberi accanto,
trasudarono i pascoli intorno gocce di sangue,
sembrò che le pietre emettessero sordi muggiti,
che latrassero i cani, che il suolo brulicasse di neri
serpenti e in volo si librassero gli spiriti dei morti.
Inorridito dai prodigi, il gruppo trema e lei con la bacchetta
magica tocca il loro volto istupidito dal terrore,
e a quel tocco i giovani mutano il loro aspetto in quello mostruoso
di svariati animali: nessuno conservò la propria natura.
Publius Ovidius Naso Metamorphoseon [XIV: -]

 


Gli attributi. Portatrice di fiaccole

Daidoûchos e Daidophórē «portatrice di fiaccole» sono due degli epiteti di Hekátē, generalmente descritta o rappresentata con delle fiaccole, forse per rischiarare le tenebre, data la sua natura ctonia e notturna. Di fiaccole o torce si parla già negli egli Inni Omerici, dove la dea è descritta appressarsi a Dēmtēr reggendo il suo attributo; per poi accompagnarla, senza lasciare le sue fiaccole [daîdai]...

ḗntetó hoi Hekátē, sélas en cheíressin échousa ...le venne incontro Hekátē, reggendo con la mano una torcia...
(Homḗrou hýmnoi [2] > Eis Dēmḗtran [])
...all' ôka sỳn autêi
ḗix' aithoménas daîdas metà chersìn échousa...
...invece, rapidamente, con lei
mosse, stringendo nelle mani fiaccole ardenti...
(Homḗrou hýmnoi [2] > Eis Dēmḗtran [-])

Anche Bacchilide, nel citato frammento, la definiva «Hekátē portatrice di fiaccola» [Hekáta daidophóre] (Phragmenta [1B] = Orphicorum Phragmenta [K41]). Si veda anche l'apparizione della dea in Apollṓnios Rhódios (Tá Argonautiká [III: ]).

All'occorrenza, le fiaccole di Hekátē potevano essere usate addirittura come arma. In Apollódōros, si dice che, nel corso della Gigantomachia, Hekátē uccise il gígas Klýtios (Bibliothḗkē [I: 6]).

Le fiaccole sono regolarmente presenti nell'iconografia della dea.

 


Gli attributi. I cani

Hekátē è associata tradizionalmente ai cani, il cui corteo latrante la accompagnava nell'oscurità della notte e ne annunciava le terribili apparizioni. Abbiamo già visto come, invocata da Mḗdeia, Hekátē compaia in un balenio di fiaccole, il capo cinto di serpenti, mentre le ululano intorno i suoi cani infernali [chthónioi kýnes] (Tá Argonautiká [III: ]). Anche in Ovidius, come abbiamo visto, l'invocazione ad Hekátē suscita una serie di eventi soprannaturali, tra cui l'impressione di udire latrati di cani (Metamorphoseon [XIV: ]).

È probabilmente ad Hekátē che si riferisce Virgilius, quando – dopo il sacrificio che abbiamo visto sopra – Æneas avverte l'arrivo di una dea in mezzo a un grande ululare di cagne:

...visaeque canes ululare per umbram,
adventante dea.
...e nella fitta tenebra risuona l'ululo delle cagne
al sopraggiungere della dea.
Publius Virgilius Maro: Æneides [VI: -]

Il motivo doveva essere diventato un vero e proprio cliché nella letteratura classica, tanto che Valerius Flaccus, nel I sec. d.C., paragona addirittura le grida di un esercito, scagliato all'attacco, al latrare dei cani di Hekátē, forse invocata qui come dea della morte in battaglia.

Nam pectora ferro
terribilesque innexa iubas ruit agmine nigro
latratu cohors quanto sonat horrida Ditis
ianua vel superas Hecates comitatus in auras.
Con corazze di ferro
e i terribili elmi infilati, irrompe in nera schiera,
la truppa latrando, come quel che risuona alle orride porte di Dis,
o fa da scorta ad Hecate al mondo superiore.
Valerius Flaccus: Argonautica [VI: ]

«Hekátē, divina amica dei cani», è la formula con la quale Nónnos Panopolítēs definisce la dea (Dionysiaká [III: ]). Per poi aggiungere, non senza affettazione:

  Hekátē, nutrice di cuccioli. Ti deliziano i cani che si affrettano nella notte, con il loro triste uggiolare.
Nónnos ho Panopolítēs: Dionysiaká [XLIV: ]

Ma è probabile che gli ululati facessero parte dei riti dedicati ad Hekátē, almeno stando a una nota di Virgilius:

...nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes... ...ed Hecate, invocata con notturni ululati ai trivi delle città...
Publius Virgilius Maro: Æneides [IV: ]

Ma d'altra parte, sembra che, almeno accessoriamente, ad Hekátē venissero offerti in sacrificio dei cani. Si trattava comunque di un tipo di sacrificio non comune, limitato a piccoli culti locali, visto che Pausanías ne parla come fosse un'eccezione piuttosto che una regola.

  So che nessun'altra popolazione greca abbia l'abitudine di sacrificare dei cuccioli, a parte gli abitanti di Kolophṓn. Costoro immolano un cucciolo, una cagna nera, a Enodía [Hekátē] [...], di notte.
Pausanías :Periḗgēsis [III: 14: -]

Secondo Lykóphrōn, cani venivano sacrificati ad Hekátē nelle caverne del monte Zērýnthos, sull'isola di Samothrákē (Alexándra []). Questo culto ad Hekátē Zērynthía era piuttosto famoso, e testimoniato anche da altri autori.

Ovidius, che fu esule in Thrákē, testimonia un culto simile presso la tribù dei Sabei.

Exta canum vidi Triviae libare Sabaeos
et quicumque tuas accolit, Haeme, niues.
Vidi i Sabei e coloro che abitano presso le tue nevi,
o Haemus, offrire a Trivia viscere di cane.
Publius Ovidio Naso: Fasti [I: - ]

 


Hekátē ed Hekábē

Secondo Lykóphrōn, sarebbe stata Hekátē a trasformare in cagna l'ex regina di Troía, Hekábē. Dopo la presa della città, ella venne trascinata via come schiava da Odysseús. Giunta in Thrakíē, Hekábē si vendicò di re Polymnḗstōr – il quale aveva ucciso il principe Polýdōros, figlio di Príamos e della stessa Hekábē – e gli strappò gli occhi con le proprie mani. Il popolo di Thrakíē, sconvolto, la inseguì bersagliandola con le pietre. Trasformata in cagna, Hekábē si era gettata nell'Hellḗspontos. L'evento aveva lasciato un nome nella toponomastica locale: Kynòs sêma, «sepolcro della cagna», nel Chersónēsos.

Della cruda vicenda vi sono diverse versioni. La più nota è quella di Ovidius (Metamorphoseon [XIII: -]); ma ne accenna anche Hyginus (Fabulae [111]).

È Lykóphrōn ad aggiungere l'interessante dettaglio secondo il quale fu Hekátē a trasformare Hekábē in cagna, associandola al suo corteggio di cani. Secondo questa fonte, era stato lo stesso Odysseús a scagliare la prima pietra contro Hekábē, sdegnato per una maledizione che costei aveva lanciato contro gli Achei. Una volta sbarcato in Sikelía, oppresso da sogni angosciosi, l'eroe di Ithákē aveva innalzato, sul promontorio di Páchynos (l'attuale Capo Passero), presso le rive del fiume Hélōros, un cenotafio a Hekábē e un tempo alla stessa Hekátē:

  O madre, madre dolorosa,
neppure il ricordo di te resterà oscuro.
Seguace di Brimṓ Trimorphos, figlia di Pérsēs,
atterrirai di notte, coi latrati,
i mortali che non rendono onore con le fiaccole
ai simulacri della dea Zērynthía [Hekátē],
signora dello Strymṓn,
placando con sacrifici la dea di Pheraí [Hekátē].
Sorgerà un cenotafio venerato
sull'isola rocciosa di Páchynos,
dinanzi alle correnti dell'Hélōros,
eretto dalle braccia del tuo padrone [Odysseús],
dopo le esequie, a seguito d'un sogno.
Su quel lido per te, [Hekábē] sventurata,
[Odysseús] farà la libagioni, atterrito dall'ira della dea dai tre colli,
perché fu lui a scagliare il primo sasso della lapidazione
e a offrire ad Haıdēs la primizia di un fosco sacrificio.
Lykóphrōn : Alexándra [-]

 


Hekátē e Galê/Galínthias

Secondo una notizia che Klaúdios Ailianós riporta con un certo imbarazzo, Hekátē avrebbe anche trasformato in martora [galéē] la maga Galê, per punirla del suo comportamento eccessivamente promiscuo (Perì zṓıōn Idiótētos [XV: ]). Secondo la versione di Antoninus Liberalis, dove il nome della maga è offerto nella versione Galínthias, la dea, pentitasi del suo gesto, avrebbe fatto ammenda associando la martora al suo corteo (Metamorphṓseōn Synagōgḗ [29]).
 

ICONOGRAFIA
 

Le prime rappresentazioni di Hekátē risalgono all'età arcaica e raffigurano spesso la dea nell'atto di reggere una o due torce. Il monumento più antico dedicato a questa divinità è una piccola terracotta trovata ad Atene: la dea è seduta su un trono e ha una corona attorno alla testa.

In epoca classica, la dea veniva spesso raffigurata mentre reggeva una torcia, una chiave ed un serpente.

In altre rappresentazioni più tarde, Hekátē veniva descritta come una creatura dall'aspetto terribile, con serpi fra i capelli, piedi di serpente e tre teste: una di cane, una di serpente ed una di cavallo.

I simboli collegati al culto della dea erano, come si è visto, la torcia e la chiave. Erano sacri ad Hekátē il cavallo, il serpente, la colomba e il gatto nero; la civetta era spesso una sua messaggera. L'animale maggiormente associato all'immagine della dea, tuttavia, era il cane: Hekátē viene spesso descritta o raffigurata in compagnia di esseri infernali ululanti: la sua presenza era manifestata dai latrati lontani dei cani.

Erano particolarmente sacri alla dea Hekátē i crocevia (trivi) ed in particolare i punti di incrocio fra tre vie: statue, edicole o effigi della venivano poste in suo onore, a protezione dei viandanti. Proprio in questi luoghi venivano portate le offerte in suo onore.

FONTI

Homḗrou hýmnoi [2] > Eis Dēmḗtran [, , 9, ]
Hēsíodos:
Theogonía [, , ]
Apollódōros
: Bibliothḗkē [I: 2 | I: 6].
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: , , , , , , , -, ,  | IV: , , , , ]
Scholius apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ] = Orphicorum Phragmenta [K41]
Scholius apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ]
Kallímachos: Phragmenta [466]; ex Scholio apud Theókritos: Eidýllia [II: ] = Orphicorum Phragmenta [K42]
Bakchylídēs: Phragmenta [1B]; ex Scholio apud Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III: ] = Orphicorum Phragmenta [K41]
Orphicorum Phragmenta [K41 | K42 | K49 | K188 | K204 | K316]
Orpheōs Argonautiká [, , ]
Papyrus Berolinensis [44: ]
= Orphicorum Phragmenta [K49]
Euripídēs: Mḗdeia []
Lykóphrōn: Alexándra [, -, ]
Nónnos Panopolítēs: Dionysiaká [III:  | XLIV: ]
Diódōros Sikeliṓtēs: Bibliothḗkē Historikē [IV: 45-50]
Strábōn:
Geōgraphiká [X: : ]
Pausanías:
Periḗgēsis [III: 14: -]
Klaúdios Ailianós:
Perì zṓıōn Idiótētos [XV: 11]
Antoninus Liberalis: Metamorphṓseōn Synagōgḗ [29]
Marcus Tullius Cicero:
De natura Deorum [III: 18]
Publius Ovidius Naso: Metamorphoseon [VI:  | VII: , ,  | XIV: , ]
Publius Ovidius Naso: Fasti [VI: , ]
Publius Virgilius Maro: Æneis [IV: ,  | VI: , , ]
Lucius Annaeus Seneca (Medea)
Valerius Flaccus: Argonautica [I:  | VI:  | VII: ]
Publius Papinius Statius: Thebaïs [IV: ]

BIBLIOGRAFIA ►
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Il regno di Krónos - Il tempo dei Titânes

Creazione pagina: 06.07.2011
Ultima modifica: 05.01.2013

 
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