LETTERATURA
►
Inni
Non menzionata in Hómēros,
Hekátē
fa la sua prima apparizione «ufficiale» nella mitologia greca con la
Theogonía di Hēsíodos,
che le dedica un vero e proprio inno all'interno del poema:
Phoíbē d' aû Koíou polyḗraton êlthen es eunḗn;
kysaménē dḕ épeita thea theoû en philótēti
Lētṑ kyanópeplon egeínato, meílichon aieí,
meílichon ex archês, aganṓtaton entòs Olýmpou,
ḗpion anthrṓpoisi kaì athanátoisi theoîsin.
Geínato d' Asteríēn eyṓnymon, hḗn pote Pérsēs
ēgáget' es méga dôma phílēn keklêsthai ákoitin.
ḗ d' hypokysaménē Hekátēn téke, tḕn perì pántōn
Zeùs Kronídēs tímēse; póren dé hoi aglaa dôra,
moîran échein gaíēs te kaì atrygétoio thalássēs.
Hḗ dè kaì asteróentos ap' ouranoû émmore timês
athanátois te theoîsi tetiménē estì málista.
Kaì gar nûn, hóte poú tis epichthoníōn anthrṓpōn
érdōn hiera kala kata nómon hiláskētai,
kiklḗıskei Hekátēn; pollḗ té hoi héspeto timḕ
hreîa mál', hôı próphrōn ge thea hypodéxetai euchás,
kaí té hoi ólbon opázei, epeì dýnamís ge párestin.
Hóssoi gar Gaíēs te kaì Ouranoû exegénonto
kaì timḕn élachon, toútōn échei aîsan hapántōn.
Oudé tí min Kronídēs ebiḗsato oudé t' apēúra,
hóss' élachen Titêsi meta protéroisi theoîsin,
all' échei, ōs tò prôton ap' archês épleto dasmós,
kaì géras en gaíēı te kaì ouranōı ēdè thalássēı;
oud', hóti mounogenḗs, hêsson thea émmore timês,
all' éti kaì polỳ mâllon, epeì Zeùs tíetai autḗn.
Hôı d' ethélei, megálōs paragígnetai ēd' onínēsin;
én te díkēı basileûsi par' aidoíoisi kathízei,
én t' agorê laoîsi metaprépei, hón k' ethélēısin;
ēd' hopót' es pólemon phtheisḗnora thōrḗssōntai
anéres, éntha thea paragígnetai, hoîs k' ethélēısi
níkēn prophronéōs opásai kaì kûdos oréxai.
Esthlḕ d' aûth' hopót' ándres aethleúōsin agôni,
éntha thea kaì toîs paragígnetai ēd' onínēsin;
nikḗsas dè bíēı kaì kárteϊ kalòn áethlon
hreîa phérei chaírōn te, tokeûsi dè kûdos opázei.
Esthlḕ d' hippḗessi parestámen, hoîs k' ethélēısin.
Kaì toîs, hoì glaukḕn dyspémphelon ergázontai,
eúchontai d' Hekátēı kaì eriktýpōı Ennosigaíōı,
hrēidíōs ágrēn kydrḕ theòs ṓpase pollḗn,
hreîa d' apheíleto phainoménēn, ethélousá ge thymōı.
Esthlḕ d' en stathmoîsi sỳn Hermê lēíd' aéxein;
boukolías d' agélas te kaì aipólia platé' aigôn
poímnas t' eiropókōn oíōn, thymōı g' ethélousa,
ex olígōn briáei kaì ek pollôn meíona thêken.
Hoútō toi kaì mounogenḕs ek mētròs eoûsa
pâsi met' athanátoisi tetímētai geráessin.
Thêke dé min Kronídēs kourotróphon, hoì met' ekeínēn
ophthalmoîsin ídonto pháos polyderkéos Eoûs.
Hoútōs ex archês kourotróphos, haì dé te timaí. |
Phoíbē l'amabile talamo
ascese di Koíos,
concepì e poi, dea per l'amore di un dio,
partorì Lētṓ dal peplo azzurro, la sempre dolce,
benigna agli uomini e agli dei immortali,
lei mite fin dall'inizio, la più clemente dentro l'Olimpo.
Generò Asteríē famosa, che
Pérsēs una volta
condusse nella sua grande casa perché fosse chiamata sua sposa.
Costei concepì e generò Hekátē, che
fra tutti
Zeús Kronídēs onorò, e a lei diede illustri doni,
che potere avesse sulla terra e sul mare infecondo,
anche nel cielo stellato ha una parte d'onore
e dagli dèi immortali è sommamente onorata.
E infatti anche ora, quando qualcuno degli uomini
che abitano la terra fa sacrifici secondo le leggi e implora la grazia,
invoca Hekátē e grande favore lo
segue;
facilmente, a lui benevola, la dea accoglie le preghiere,
a lui la ricchezza concede, perché di ciò pure ha potere.
Quanti infatti da Gê e da
Ouranós nacquero
e ricevettero onore, partecipa dei privilegi di tutti costoro;
lei nemmeno il Kronídēs d'alcuna cosa privò con
violenza
di quelle che aveva ottenuto fra i Titânes,
i primi degli dei,
bensì la possiede, come dapprima all'inizio fu la spartizione;
né, perché unigenita, la dea ricevette onori minori,
e ha potere in terra e nel cielo e nel mare,
molto di più, perché Zeús le fa onore.
A chi essa vuole largo favore e aiuto concede;
e nel tribunale essa siede presso i re rispettati
e nell'assemblea fra le genti fa brillare ciò che lei vuole;
o quando alla guerra assassina si armano
i guerrieri, la dea assiste colui che lei vuole
ornare, benigna, della vittoria e offrirgli la fama;
benigna assiste anche i cavalieri, quelli che vuole;
benigna anche quando gli uomini lottano in gara:
là la dea li assiste e soccorre;
e chi con forza e vigore consegue vittoria, bello il premio
coglie felice e i genitori orna di gloria.
E a coloro che l'azzurro tempestoso con fatica lavorano
e pregano Hekátē e il profondo
tonante Ennosigaíōs,
facilmente una preda la nobile dea fornisce copiosa,
ma facilmente anche se la porta via,
non appena essa appare, se così vuole il suo cuore.
E con Hermês
benigna nelle stalle le greggi fa crescere,
le schiere dei buoi e i branchi grandi di capre
e i branchi di lanose pecore, se così vuole il suo cuore,
da piccoli li fa grandi e da molti riduce a pochi.
Così, per quanto sia nata unigenita da sua madre,
fra tutti gli immortali è onorata di doni;
costei fece il Kronídēs nutrice di giovani, quanti
a lei fedeli
videro con gli occhi la luce dell'aurora onniveggente.
Così fu, fin dall'inizio, nutrice di giovani e questi i suoi onori. |
Hēsíodos:
Theogonía [-] |
Da Hēsíodos
apprendiamo che i privilegi [timaí] di
Hekátē si estendevano sulla terra,
nel mare e nel cielo (circostanza piuttosto rara tra le divinità della
Theogonía) e che essa aveva mantenuto le sue
prerogative anche quando Krónos venne detronizzato
dal figlio ella aveva evidentemente preso le parti di Zeús
durante la Titanomachia. Da
Apollódōros e altri mitografi apprendiamo
anche che
Hekátē aveva combattuto al fianco degli dei
Olimpikoí durante la ribellione dei
Gígântes.
Se con Hēsíodos
siamo agli esordi del mito greco, il famoso inno orfico a
Hekátē appartiene a un'epoca molto
più tarda, quasi al tramonto del paganesimo ellenico.
Einodíēn Hekátēn klḗızō, triodîtin, erannḗn,
ouraníēn chthoníēn te kaì einalíēn, krokópeplon,
tymbidíēn, psychaîs nekýōn méta bakcheúousan,
Perseían, philérēmon, agalloménēn eláphoisin,
nykteríēn, skylakîtin, amaimáketon basíleian,
thēróbromon, ázōston, aprósmachon eîdos échousan,
tauropólon, pantòs kósmou klēidoûchon ánassan,
hēgemónēn, nýmphēn, kourotróphon, ouresiphoîtin,
lissoménois koúrēn teletaîs hosíēısi pareînai
boukólōı eumenéousan aeì kecharēóti thymōı. |
Hekátē protettrice delle strade
celebro, trivia, amabile,
celeste e terrestre e marina, dal manto color croco,
sepolcrale, baccheggiante, con le anime dei morti,
figlia di
Pérsēs, amante della solitudine, superba dei
cervi,
notturna, protettrice dei cani, regina invincibile, annunciata
dal ruggito delle belve, senza cintura, d'aspetto imbattibile,
domatrice di tori, signora che custodisce tutto il cosmo,
guida, ninfa, nutrice dei giovani, frequentatrice dei monti,
supplicando la fanciulla di assistere alle pie celebrazioni
benevola verso il bovaro sempre con animo gioioso. |
Orphikôn hýmnoi [1] > Hekátēs |
►
Ascendenza di
Hekátē
Per Hēsíodos,
Hekátē appartiene alla stirpe
titanica, figlia unigenita [mounogenḗs] di
Pérsēs e
Asteríē
(Theogonía [, ]). Il
magistero esiodeo è
accettato da
Apollódōros
(Bibliothḗkē
[I: 2]). Pérsēs è citato quale padre di
Hekátē negli Inni Omerici
(Eis
Dēmḗtran
[2:
]), in
Apollṓnios Rhódios (Tá Argonautiká [III:
]),
in Lykóphrōn (Alexándra [])
e in Ovidius (Metamorphoseon
[VII: ]); diverse fonti si riferiscono alla dea con
il patronimico di Persaíē, «figlia di
Pérsēs». Asteríē,
quale madre di Hekátē, è invece citata da Cicero
(De natura Deorum [III: 18]).
Interessante voce fuori dal coro, il
poeta Kallímachos, un cui frammento, riportato da uno scoliaste di Theókritos, afferma che Hekátē
fosse invece figlia di Zeús e Dēmḗtēr,
collocandola quindi nella generazione olimpica.
|
Kallímachos dice alla lettera così: «Unitosi a Dēmḗtēr,
Zeús generò Hekátē,
che spicca fra gli dèi per forza e statura». Afferma che costei fu inviata da
suo padre sotto terra alla ricerca di Persephónē.
Perciò, ancora oggi, è chiamata Ártemis, Phýlax, Daidoûchos,
Phōsphóros e Chthonía. |
Kallímachos: Phragmenta [466];
ex Scholio apud Theókritos: Eidýllia [II:
]
= Orphicorum
Phragmenta [K42]
|
La tradizione sembra condivisa anche da alcuni poeti orfici:
Il poeta Bakchylídēs, pure
citato da uno scoliaste di
Apollṓnios Rhódios, anticipa invece Hekátē
alla generazione protogonica, collocandola tra i figli della dea-notte,
Nýx.
Che nell'antichità esistessero altre tradizioni, riguardo la genealogia di
Hekátē, ci è confermato dal medesimo
scoliaste, il quale riporta un'interessante serie di
tradizioni alternative, perlopiù dipendenti da testi lirici e orfici:
|
Alcuni sostengono che [Hekátē]
sia figlia di Zeús. Nei poemi orfici viene fatta
discendere da Dēmḗtēr:
«E allora Dēṓ [Zeús]
generò
Hekátē, figlia di un'illustre padre». Bakchylídēs,
invece, dice che ella è figlia di
Nýx: «O
Hekátē, portatrice di fiaccole,
figlia di
Nýx dall'ampio grembo». Mousaîos, invece, di
Asteríē e di Zeús.
Pherekýdēs di Aristaíos, figlio di
Paíonos. |
Scholius apud
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III:
] = Orphicorum
Phragmenta [K41]
|
La versione di Mousaîos è riferita in un ulteriore scolio ad
Apollṓnios Rhódios, nel quale si riferisce che
Asteríē fu amante di
Zeús prima di essere ceduta a
Pérsēs. Poiché nulla avviene senza ragione, e
i connubi degli dèi sono sempre fecondi, Hekátē
era figlia di Zeús e non di
Pérsēs:
In Orpheōs Argonautiká [],
Hekátē è indicata con l'epiteto Tartarópais,
suggerendo che fosse figlia di Tártaros.
►
Discendenza
Hekátē sembra non avere né sposi
né figli.
Le due testimonianze
conosciute
riguardo a una discendenza di
Hekátē
sono infatti da prendere con prudenza.
Apollṓnios Rhódios, identificandola esplicitamente con
Krataiḯs, le attribuisce
come figlia
Skýlla, avuta da Phórkys.Poiché
Krataiḯs è il nome della madre di Skýlla
in Apollódōros (Bibliothḗkē
[Ep.: 7]), è probabile che ci troviamo di fronte a una confusione tra
personaggi diversi.
...Skýllēs Ausoníēs aloóphronos, hḕ téke Phórkōı,
nyktipólos Hekátē, tḗn te kleíousi Krátaiin. |
...la terribile Skýlla
ausonia, figlia di Phórkys,
e della notturna
Hekátē, che chiamano anche
Krataiḯs. |
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [IV: -] |
Una genealogia particolare è quella che Diódōros Sikeliṓtēs attribuisce alla
dea, sostituendola all'oceanina Eidyía.
Hekátē viene detta nipote di Hḗlios
e madre di Mḗdeia e Kírkē.
Si tratta di un racconto fortemente evemerizzato, e quindi priva di diretto
valore mitologico, per quanto è possibile riecheggi versioni tradite della
leggenda.
|
Abbiamo detto che Hḗlios
aveva due figli, Aiḗtēs e
Pérsēs. Aiḗtēs
divenne re di Kolchís e l'altro re del Chersónēsos, ed entrambi furono
spaventosamente crudeli.
Pérsēs ebbe per figlia
Hekátē, che superò il padre in audacia e
sregolatezza. [...]. Ella sposò Aiḗtēs ed ebbe due
figlie, Kírkē e Mḗdeia,
e un figlio, Aigialeús. |
Diódōros Sikeliṓtēs:
Bibliothḗkē Historikē [IV: 45: ] |
Ma parleremo dopo dei rapporti tra
Hekátē e le streghe, in particolare
le incantatrici Mḗdeia
e Kírkē.
►
Dea infera
Sebbene per Hēsíodos,
Hekátē sia un personaggio assai
complesso e sfaccettato, dalle molte timaí, a suo agio in cielo, in terra
e in mare, la letteratura successiva farà della dea un personaggio dagli
accentuati caratteri ctonici e infernali. Una traccia di questa «trasformazione»
la troviamo già negli Inni Omerici, dove
Hekátē viene in aiuto di Dēmḗtēr,
alla disperata ricerca della figlia rapita da Háıdēs
(Homḗrou hýmnoi [2]).
Non dimentichiamo le genealogie alternative che vogliono
Hekátē figlia di
Nýx o di Tártaros.
L'immagine di
Hekátē si specializza ben presto in
una figura notturna, oscura, legata alla stregoneria e al mondo infero.
Brimṓ, la «furiosa», la definisce a più riprese
Apollṓnios Rhódios...
L'aspetto di dea infera, signora della magia, è particolarmente spiccato in
epoca tarda. Nelle
Metamorphoseon, Ovidius trae aggettivi dal
nome della dea usandoli come
sinonimi di «infernale, terrifico, occulto». Spruzzando il succo di
Hecateïdos herbae sulla sventurata Aráchnē,
Athēnâ la farà diventare un ragno
[VI: ]; recitando degli
Hecateïa carmina, Kírkē prepara la
pozione che trasformerà Skýlla
in un orribile mostro [XIV: ].
Virgilius, nell'Æneides, dipinge
Hekátē come una dea legata alla
sfera infera. Quando Æneas si rivolge alla
Sibylla Cymæa, affinché gli dia la possibilità di
intraprendere il suo viaggio verso il regno dei morti, si appella all'autorità
di
Hekátē, in quanto è in suo nome che
la Sybilla è stata posta a guardia dell'Averno
...Gnatique patrisque,
alma, precor, miserere (potes namque omnia, nec te
nequiquam lucis Hecate praefecit Auernis). |
Del figlio e del padre,
ti prego, abbi pietà, o divina: tutto puoi, né
Hecate ti ha posto invano a guardia dei
boschi dell'Averno. |
Publius Virgilius Maro: Æneides
[VI: -] |
Ed è la Sibylla stessa a rincarare la dose,
affermando che la stessa
Hekátē l'aveva istruita, facendole
da guida nelle regioni del Tártaros, precluse a
ogni uomo pio.
...sed me cum lucis Hecate praefecit Auernis,
ipsa deum poenas docuit perque omnia duxit. |
...ma quando mi pose
Hecate a guardia dei boschi dell'Averno;
essa stessa mi condusse qua, mostrandomi le pene inflitte dagli dèi. |
Publius Virgilius Maro: Æneides
[VI: -] |
Prima di accompagnare Æneas nell'Averno,
la Sibylla Cymæa officia un sanguinoso sacrificio,
in cui associa
Hekátē a varie divinità
dell'oscurità, della terra e degli inferi. La dea non tarda a fare la sua
comparsa.
Quattuor hic primum nigrantis terga iuuencos
constituit frontique inuergit uina sacerdos,
et summas carpens media inter cornua saetas
ignibus imponit sacris, libamina prima,
uoce uocans Hecaten caeloque Ereboque potentem.
supponunt alii cultros tepidumque cruorem
succipiunt pateris. ipse atri uelleris agnam
Aeneas matri Eumenidum magnaeque sorori
ense ferit, sterilemque tibi, Proserpina, uaccam;
tum Stygio regi nocturnas incohat aras
et solida imponit taurorum uiscera flammis,
pingue super oleum fundens ardentibus extis.
Ecce autem, primi sub lumina solis et ortus,
sub pedibus mugire solum, et iuga coepta moveri
silvarum, visaeque canes ululare per umbram,
adventante dea. |
Quattro buoi porta qui dapprima la sacerdotessa,
sparge del vino sulle loro fronti
e strappa un ciuffo di peli fra le corna
e lo depone sul fuoco sacro, quale prima offerta;
invocando a gran voce Hecate, signora potente del cielo e dell'Erebus.
Altri con dei coltelli squarciano il collo alle bestie e il sangue
raccolgono in tazze. Lui stesso, Æneas, sgozzata
un'agnella nera
la offre a [Nox], madre delle
Eumenides, e alla [Terra], sua grande
sorella,
A Proserpina, invece, immola una vacca sterile.
A notte continua il rito: offrendo al re dello Styx
le interiora dei torelli, disposte sopra il fuoco,
e mentre quelle bruciano, vi versa olio grasso.
Ed ecco, appena il sole spunta alle soglie d'oriente,
la terra comincia a rimbombare sotto i piedi, fremono gli alti vertici
dei boschi, e nella fitta tenebra risuona l'ululo delle cagne
al sopraggiungere della dea. |
Publius Virgilius Maro: Æneides
[VI: -] |
Può così cominciare, sotto gli auspici di Hecate, il viaggio di
Æneas nel regno dei morti...
►
Ruolo nel mito del rapimento di Persephónē
Quale dea infera, Hekátē è
presente nel mito del rapimento di Persephónē
da parte di Háıdēs. Essa vi compare già negli Inni
Omerici, dove soccorre Dēmḗtēr nella
sua disperata ricerca della figlia.
...oudé tis athanátōn oudè thnētôn
anthrṓpōn
ḗkousen phōnês,
oud' aglaókarpoi elaîai†
ei mḕ Persaíou thygátēr atalà phronéousa
áien ex ántrou, Hekátē liparokrḗdemnos,
Ēéliós te ánax, Hyperíonos aglaòs hyiós,
koúrēs kekloménēs patéra Kronídēn... |
...ma nessuno degli immortali o degli uomini mortali
udì la sua voce e nemmeno gli olivi dai frutti lucenti.
Solo la figlia di Pérsēs, la sentì nel suo antro,
Hekátē dalla candida mente, dal velo
splendente;
anche il divino Hḗlios, luminoso figlio di
Hyperíōn,
la sentì invocare il nome del padre Kronídēs. |
Homḗrou hýmnoi [2] > Eis
Dēmḗtran
[-] |
È ancora Hekátē ad accompagnare
Dēmḗtēr nel regno dei morti
nella sua ricerca della figlia rapita.
...all' hóte dḕ dekátē hoi epḗlythe
phainolìs ēṓs,
ḗntetó hoi Hekátē, sélas en cheíressin
échousa
kaí rhá hoi angeléousa épos pháto phṓnēsén te:
pótnia Dēmḗtēr, hōrēphóre, aglaódōre,
tís theôn ouraníōn ēè thnētôn anthrṓpōn
hḗrpase Persephónēn kaì sòn phílon ḗkache thymón?
phōnês gàr ḗkous', atàr ouk ídon ophthalmoîsin,
hóstis éēn: soì d' ôka légō nēmertéa pánta.
hṓs ár' éphē Hekátē: tḕn d' ouk ēmeíbeto mýthōi
Rheíēs ēykómou thygátēr, all' ôka sỳn autêi
ḗix' aithoménas daîdas metà chersìn échousa... |
Ma quando infine giunse per la decima volta la fulgente
aurora
le venne incontro Hekátē reggendo con
la mano una torcia;
e, desiderosa di informarla, le rivolse la parola, e disse:
«Dēmḗtēr veneranda,
apportatrice di messi, dai magnifici doni,
chi fra gli dei celesti o fra gli uomini mortali
ha rapito Persephónē, e ha gettato
l'angoscia nel tuo cuore?
Infatti, io ho udito le grida ma non ho visto con i miei occhi
chi fosse il rapitore: ti ho detto tutto, in breve e sinceramente».
Così dunque parlò Hekátē; e non le
rispose
la figlia di Rhéa dalle belle chiome; invece,
rapidamente, con lei
mosse, stringendo nelle mani fiaccole ardenti... |
Homḗrou hýmnoi [2] > Eis
Dēmḗtran
[-] |
Che Zeús abbia mandato Hekátē
agli inferi alla ricerca di Persephónē,
viene pure riferito nel succitato brano di Kallímachos
(Phragmenta [466] = Orphicorum
Phragmenta [K42]). Si veda al
riguardo anche il
Papyrus Berolinensis [44: ].
►
Dea
della stregoneria. Hekátē
e Mḗdeia
Particolarmente devota ad Hekátē,
in tutte le fonti, è Mḗdeia, la maga e
incantatrice della Kolchís.
Come abbiamo anticipato sopra, in una genealogia alternativa, Diódōros Sikeliṓtēs
afferma che le due maggiori incantatrici del mito ellenico, Mḗdeia
e Kírkē, fossero figlie di Hekátē,
qui presentata come regina di grande sapienza e inaudita crudeltà. Il
racconto di Diódōros, seppure evemerizzato, contiene forse elementi di
qualche antico mito perduto su Hekátē.
|
Abbiamo detto che Hḗlios
aveva due figli, Aiḗtēs e
Pérsēs. Aiḗtēs
divenne re di Kolchís e l'altro re del Chersónēsos, ed entrambi furono
spaventosamente crudeli.
Pérsēs ebbe per figlia
Hekátē, che superò il padre in audacia e
sregolatezza. Ella amava la caccia, ma quando non ha aveva fortuna, volgeva le
sue frecce contro gli esseri umani al posto delle bestie. Allo stesso modo, era
abilissima nella miscela dei veleni mortali, e scoprì il farmaco chiamato
aconito, il quale, mescolato al cibo offerto agli ospiti, toglieva il potere di
ogni veleno. Grazie alla sua esperienza in tali cose, [Hekátē]
avvelenò prima di tutto suo padre, così gli successe al trono. Poi, consacrando
un tempio ad Ártemis,
comandò che gli stranieri che sbarcavano in quelle terre dovevano essere
sacrificati agli dèi. Ella divenne assai famosa in lungo e in largo per la sua
crudeltà. che gli stranieri sbarcati ci dovrebbe essere sacrificato alla dea,
divenne conosco molto e in largo per la sua crudeltà. Ella sposò Aiḗtēs ed ebbe due
figlie, Kírkē e Mḗdeia,
e un figlio, Aigialeús. [...] |
Diódōros Sikeliṓtēs:
Bibliothḗkē Historikē [IV: 45: ] |
Nelle tradizioni prettamente mitologiche, Hekátē
è una dea, una dea infera e terrifica, e il suo rapporto con Kírkē e Mḗdeia
è piuttosto di affinità e di deviozione.
Nelle
Argonautiká di
Apollṓnios Rhódios, Mḗdeia
era sacerdotessa di
Hekátē
[III:
-]. Si prendeva cura dello splendido
tempio consacrato alla dea e solennemente vi si recava per pregare la dea,
evocarla o preparare filtri magici
[III:
, ]. Ad Hekátē, Mḗdeia
si rivolgeva in caso di necessità
[III:
- | IV: -, -],
e i suoi incantesimi e stregonerie venivano praticate sotto la diretta
tutela di Hekátē
[III:
-]. Buona parte della sapienza e dei
poteri magici di Mḗdeia
derivavano dalla stessa dea:
|
Vive una fanciulla nel palazzo di Aiḗtēs,
che la dea Hekátē ha più di ogni
altra istruita
nell'arte di tutti i filtri, che produce la terra e il mare infinito:
con essi sa domare la forza del fuoco instancabile,
e ferma in un momento le acque scroscianti dei fiumi;
incatena gli astri e le sacre vie della luna. |
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III:
-] |
L'apparizione di Hekátē – evocato
dal sacrificio offertole da Mḗdeia – è
descritta con accenti terrifici, seppure in linea con la tarda iconografia
attribuita alla dea. Val la pena riportare il passo integralmente:
|
Poi scavò nel terreno una fossa di un cubito,
e ammucchiata la legna, tagliò la gola all'agnella
e la distese là sopra, poi diede fuoco alla legna,
mescolò e versò le libagioni, invocando
Hekátē
Brimṓ in aiuto alle sue imprese.
Quando l'ebbe invocata, tornò indietro. La dea
tremenda l'udì e dai recessi profondi
venne a ricevere l'offerta. Il capo era cinto
di spaventosi serpenti, intrecciati con rami di quercia:
lampeggiava l'immenso bagliore delle fiaccole;
d'intorno ululavano con acuti latrati i cani infernali. |
Apollṓnios Rhódios: Tá Argonautiká [III:
-] |
Un'immagine simile la ritroviamo nelle
Orpheōs Argonautiká, dove
Hekátē
compare, giungendo dagli inferi insieme alle Erinýes
e a Pandṓrē (che forse
sostituisce qui Émpousa). Una scena
raccapricciante che riecheggia il contenuto dei Papyri
Græcæ Magicæ.
|
Insieme a lei ne giunse un'altra di forma cangiante,
tricefala alla vista, un mostro funesto, inimmaginabile,
Hekátē
figlia di Tártaros. Dal suo omero sinistro balzò
un lupo dalla lunga criniera; sulla destra era possibile vedere
una cagna dallo sguardo furente, nel mezzo un serpente d'aspetto selvaggio:
in entrambe le mani aveva delle daghe con l'elsa.
Qua e là correvano tutt'attorno alla fossa
Pandṓrē, ed
Hekátē
e le Erinýes con loro procedevano a balzi. |
Orpheōs Argonautiká [-] |
Il legame tra Mḗdeia ed Hekátē
è peraltro ben presente in tutta la letteratura mitologica, dalla
Mḗdeia
di Euripídēs alla Medea di Seneca, fino alle
Argonautica
di Valerius Flaccus.
Nel settimo libro delle sue Metamorphoseon, il
brillante Ovidius descrive ancora una volta – ma ormai è un tópos
letterario – l'invocazione a Hekátē da
parte di Mḗdeia. La scena assai più contenuta e
addomesticata di quella di
Apollṓnios Rhódios, ma non per questo meno suggestiva:
...postquam plenissima fulsit
ac solida terras spectavit imagine luna,
egreditur tectis vestes induta recinctas,
nuda pedem, nudos umeris infusa capillos,
fertque vagos mediae per muta silentia noctis
incomitata gradus: homines volucresque ferasque
solverat alta quies, nullo cum murmure saepes,
inmotaeque silent frondes, silet umidus aer,
sidera sola micant: ad quae sua bracchia tendens
ter se convertit, ter sumptis flumine crinem
inroravit aquis ternisque ululatibus ora
solvit et in dura submisso poplite terra
«Nox» ait «arcanis fidissima, quaeque diurnis
aurea cum luna succeditis ignibus astra,
tuque, triceps Hecate, quae coeptis conscia nostris
adiutrixque venis cantusque artisque magorum,
quaeque magos, Tellus, pollentibus instruis herbis,
auraeque et venti montesque amnesque lacusque,
dique omnes nemorum, dique omnes noctis adeste,
quorum ope, cum volui, ripis mirantibus amnes
in fontes rediere suos, concussaque sisto,
stantia concutio cantu freta, nubila pello
nubilaque induco, ventos abigoque vocoque,
vipereas rumpo verbis et carmine fauces,
vivaque saxa sua convulsaque robora terra
et silvas moveo iubeoque tremescere montis
et mugire solum manesque exire sepulcris!...» |
Quando la luna rifulse piena
e con tutto il fulgore del suo disco si volse verso la terra,
[Mḗdeia] uscì di casa indossando una veste sciolta,
a piedi nudi e capo scoperto, i capelli sparsi sulle spalle,
e nel cuore della notte, in quel silenzio di tomba, senza meta,
sola si mise a vagare. Una quiete profonda assopiva
uomini, uccelli e fiere. Non un brusio fra le siepi;
tacciono immobili le fronde, tace l'aria umida;
palpitano solo le stelle. E a loro lei tende le braccia,
gira tre volte su sé stessa, tre volte spruzza i capelli
con acqua di fiume, tre volte spalanca la bocca
in grida lamentose e, caduta in ginocchio sulla dura terra:
«O Notte» invoca, «fedele custode di misteri; astri d'oro,
che a fianco della luna vi alternate ai bagliori del giorno;
e tu, Hecate tricipite, che della mia impresa sei conscia
e porgi aiuto agli incantesimi e all'arte dei maghi;
o Terra, che ai maghi procuri erbe prodigiose;
e voi brezze, venti e monti, voi fiumi e laghi,
dèi tutti dei boschi, dèi tutti della notte, voi tutti assistetemi!
Grazie a voi, quando voglio, i fiumi tornano, fra lo stupore
delle rive, alla loro sorgente; per incanto sconvolgo il mare
in bonaccia, placo quello in burrasca, dirado le nubi
e le addenso, allontano i venti o li sollecito;
recitando le mie formule squarcio la gola alle vipere,
dalla loro terra sradico e smuovo pietre vive,
querce e selve, ordino ai monti di tremare,
al suolo di muggire, alle ombre di uscire dai sepolcri!» |
Publius Ovidius Naso: Metamorphoseon
[VII: -] |
Più tardi, al fine di ringiovanire il vecchissimo Aísōn,
re di Iōlkós e padre del suo amante Iásōn,
la maga Mḗdeia mette in atto un altro
spaventoso incantesimo, nel quale innalza due altari: uno ad Hekátē,
l'altro a Iuventas, dea romana della giovinezza
(Metamorphoseon
[VII: ]). Nel rapporto tra vecchiaia e giovinezza, Hekátē è
significativamente scelta a
rappresentare la tarda età.
►
Dea della
stregoneria. Hekátē
e Kírkē
Nel racconto evemerizzato di Diódōros Sikeliṓtēs,
Mḗdeia e Kírkē
erano sorelle, figlie di Hekátē
(Bibliothḗkē Historikē [IV: 45:
]).
Ma per quanto, nella letteratura mitologica, sia soprattutto
Mḗdeia ad essere legata ad Hekátē,
non mancano esempi in cui è Kírkē ad
appellarsi alla dea per i suoi incantesimi.
In questo passo di Ovidius, Kírkē invoca Hekátē
assieme a varie divinità primordiali e notturne, al fine di trasformare in
animali i compagni di Odysseús:
Illa nocens spargit virus sucosque veneni
et Noctem Noctisque deos Ereboque Chaoque
convocat et longis Hecaten ululatibus orat.
exsiluere loco (dictu mirabile) silvae,
ingemuitque solum, vincinaque palluit arbor,
sparsaque sanguineis maduerunt pabula guttis,
et lapides visi mugitus edere raucos
et latrare canes et humus serpentibus atris
squalere et tenues animae volitare silentum:
attonitum monstris vulgus pavet; illa paventis
ora venenata tetigit mirantia virga,
cuius ab attactu variarum monstra ferarum
in iuvenes veniunt: nulli sua mansit imago. |
Lei allora sparge veleni di morte e succhi malefici,
dall'Erebus e dal Chaos
chiama a raccolta Nox e gli dèi
della Notte, invoca Hekátē con
lunghe grida selvagge.
Sussultarono (incredibile a dirsi) le foreste,
gemette il suolo, impallidirono gli alberi accanto,
trasudarono i pascoli intorno gocce di sangue,
sembrò che le pietre emettessero sordi muggiti,
che latrassero i cani, che il suolo brulicasse di neri
serpenti e in volo si librassero gli spiriti dei morti.
Inorridito dai prodigi, il gruppo trema e lei con la bacchetta
magica tocca il loro volto istupidito dal terrore,
e a quel tocco i giovani mutano il loro aspetto in quello mostruoso
di svariati animali: nessuno conservò la propria natura. |
Publius Ovidius Naso Metamorphoseon
[XIV: -] |
►
Gli attributi. Portatrice di fiaccole
Daidoûchos e Daidophórē «portatrice di fiaccole» sono due
degli epiteti di Hekátē, generalmente
descritta o rappresentata con delle fiaccole, forse per rischiarare le tenebre,
data la sua natura ctonia e notturna. Di fiaccole o torce si parla già negli
egli Inni Omerici, dove la dea è descritta appressarsi a Dēmḗtēr
reggendo il suo attributo; per poi accompagnarla, senza lasciare le sue fiaccole
[daîdai]...
ḗntetó hoi Hekátē, sélas en cheíressin
échousa |
...le venne incontro Hekátē,
reggendo con la mano una torcia... |
(Homḗrou hýmnoi [2] > Eis
Dēmḗtran
[]) |
...all' ôka sỳn autêi
ḗix' aithoménas daîdas metà chersìn échousa... |
...invece, rapidamente, con lei
mosse, stringendo nelle mani fiaccole ardenti... |
(Homḗrou hýmnoi [2] > Eis
Dēmḗtran
[-]) |
Anche Bacchilide, nel citato frammento, la definiva «Hekátē
portatrice di fiaccola» [Hekáta daidophóre] (Phragmenta [1B]
= Orphicorum
Phragmenta [K41]). Si veda anche
l'apparizione della dea in
Apollṓnios Rhódios (Tá Argonautiká [III:
]).
All'occorrenza, le fiaccole di Hekátē
potevano essere usate addirittura come arma.
In
Apollódōros, si dice che, nel corso della
Gigantomachia, Hekátē uccise
il gígas
Klýtios
(Bibliothḗkē
[I: 6]).
Le fiaccole sono regolarmente presenti nell'iconografia della dea.
►
Gli attributi. I
cani
Hekátē
è associata tradizionalmente ai cani, il cui corteo latrante la accompagnava
nell'oscurità della notte e ne annunciava le terribili apparizioni. Abbiamo già
visto come, invocata da Mḗdeia,
Hekátē compaia in un balenio di
fiaccole, il capo cinto di serpenti, mentre le ululano intorno i suoi cani
infernali [chthónioi kýnes] (Tá Argonautiká [III:
]). Anche in Ovidius, come abbiamo visto,
l'invocazione ad Hekátē suscita una
serie di eventi soprannaturali, tra cui l'impressione di udire latrati di cani
(Metamorphoseon
[XIV: ]).
È probabilmente ad Hekátē
che si riferisce Virgilius, quando – dopo il sacrificio che abbiamo visto sopra –
Æneas avverte l'arrivo di una dea in mezzo a un
grande ululare di cagne:
...visaeque canes ululare per umbram,
adventante dea. |
...e nella fitta tenebra risuona l'ululo delle cagne
al sopraggiungere della dea. |
Publius Virgilius Maro: Æneides
[VI: -] |
Il motivo doveva essere diventato un vero e proprio cliché nella
letteratura classica, tanto che Valerius Flaccus, nel I sec. d.C., paragona
addirittura le grida di un esercito, scagliato all'attacco, al latrare dei cani
di Hekátē, forse invocata qui come
dea della morte in battaglia.
Nam pectora ferro
terribilesque innexa iubas ruit agmine nigro
latratu cohors quanto sonat horrida Ditis
ianua vel superas Hecates comitatus in auras. |
Con corazze di ferro
e i terribili elmi infilati, irrompe in nera schiera,
la truppa latrando, come quel che risuona alle orride porte di
Dis,
o fa da scorta ad Hecate al mondo superiore. |
Valerius Flaccus:
Argonautica [VI:
] |
«Hekátē,
divina amica dei cani», è la formula con la quale Nónnos
Panopolítēs definisce la dea
(Dionysiaká
[III: ]). Per poi aggiungere, non senza
affettazione:
|
Hekátē,
nutrice di cuccioli. Ti deliziano i cani che si affrettano nella notte, con il
loro triste uggiolare. |
Nónnos ho Panopolítēs:
Dionysiaká
[XLIV: ] |
Ma è probabile che gli ululati facessero parte dei riti dedicati ad Hekátē,
almeno stando a una nota di Virgilius:
...nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes... |
...ed Hecate, invocata con notturni ululati ai trivi delle città... |
Publius Virgilius Maro: Æneides
[IV: ] |
Ma d'altra parte, sembra che, almeno accessoriamente, ad Hekátē
venissero offerti in sacrificio dei cani. Si trattava comunque di un tipo di
sacrificio non comune, limitato a piccoli culti locali, visto che Pausanías
ne parla come fosse un'eccezione piuttosto che una regola.
|
So che nessun'altra popolazione greca abbia l'abitudine
di sacrificare dei cuccioli, a parte gli abitanti di Kolophṓn. Costoro immolano
un cucciolo, una cagna nera, a Enodía [Hekátē]
[...], di notte. |
Pausanías :Periḗgēsis [III:
14: -] |
Secondo Lykóphrōn, cani venivano
sacrificati ad Hekátē nelle caverne del monte Zērýnthos, sull'isola
di Samothrákē (Alexándra []).
Questo culto ad Hekátē Zērynthía era piuttosto famoso, e
testimoniato anche da altri autori.
Ovidius, che fu esule in Thrákē, testimonia un culto simile presso la tribù
dei Sabei.
Exta canum vidi Triviae libare Sabaeos
et quicumque tuas accolit, Haeme, niues. |
Vidi i Sabei e coloro che abitano presso le tue nevi,
o Haemus, offrire a Trivia viscere di cane. |
Publius Ovidio Naso:
Fasti [I: - ] |
►
Hekátē
ed Hekábē
Secondo
Lykóphrōn, sarebbe stata Hekátē
a trasformare in cagna l'ex regina di Troía, Hekábē.
Dopo la presa della città, ella venne trascinata via come schiava da Odysseús.
Giunta in Thrakíē, Hekábē si vendicò di
re Polymnḗstōr – il quale aveva
ucciso il principe
Polýdōros, figlio di Príamos
e della stessa Hekábē – e gli strappò gli
occhi con le proprie mani. Il popolo di Thrakíē, sconvolto, la inseguì
bersagliandola con le pietre. Trasformata in cagna, Hekábē si
era gettata nell'Hellḗspontos. L'evento aveva lasciato un nome nella
toponomastica locale: Kynòs sêma, «sepolcro della cagna», nel Chersónēsos.
Della cruda vicenda vi sono diverse versioni. La più nota è quella di Ovidius
(Metamorphoseon
[XIII: -]); ma ne accenna anche Hyginus
(Fabulae [111]).
È Lykóphrōn ad aggiungere l'interessante dettaglio
secondo il quale
fu Hekátē a trasformare
Hekábē in cagna,
associandola al suo corteggio di cani. Secondo questa fonte, era stato lo stesso
Odysseús a scagliare la prima pietra contro
Hekábē, sdegnato per una maledizione che costei
aveva lanciato contro gli Achei. Una volta sbarcato in Sikelía, oppresso da
sogni angosciosi, l'eroe di Ithákē aveva innalzato, sul promontorio di Páchynos (l'attuale
Capo Passero), presso le rive del fiume Hélōros, un cenotafio a
Hekábē e un tempo alla stessa
Hekátē:
|
O madre, madre dolorosa,
neppure il ricordo di te resterà oscuro.
Seguace di
Brimṓ Trimorphos, figlia di Pérsēs,
atterrirai di notte, coi latrati,
i mortali che non rendono onore con le fiaccole
ai simulacri della dea Zērynthía [Hekátē],
signora dello Strymṓn,
placando con sacrifici la dea di Pheraí [Hekátē].
Sorgerà un cenotafio venerato
sull'isola rocciosa di Páchynos,
dinanzi alle correnti dell'Hélōros,
eretto dalle braccia del tuo padrone [Odysseús],
dopo le esequie, a seguito d'un sogno.
Su quel lido per te, [Hekábē] sventurata,
[Odysseús] farà la libagioni, atterrito dall'ira
della dea dai tre colli,
perché fu lui a scagliare il primo sasso della lapidazione
e a offrire ad Haıdēs la primizia di un
fosco sacrificio. |
Lykóphrōn : Alexándra [-] |
►
Hekátē
e
Galê/Galínthias
Secondo una notizia che Klaúdios Ailianós riporta con un certo imbarazzo, Hekátē
avrebbe anche trasformato in martora [galéē] la maga
Galê, per punirla del suo comportamento
eccessivamente promiscuo (Perì zṓıōn Idiótētos [XV:
]).
Secondo la versione di Antoninus Liberalis, dove il nome della maga è offerto
nella versione Galínthias, la dea, pentitasi del
suo gesto, avrebbe fatto ammenda associando la martora al suo corteo
(Metamorphṓseōn Synagōgḗ [29]).
|