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Il
Kalevala
Il Kalevala
è il poema nazionale finlandese. Pubblicato in due
edizioni (rispettivamente nel 1835 e nel 1849), fu
composto dal medico e filologo Elias Lönnrot,
collazionando e giustapponendo canti popolari di argomento eroico,
lirico e magico, raccolti dallo stesso Lönnrot e da altri folkloristi dalla viva
voce dei cantori di Finlandia e Carelia.
Composto –
nella sua versione definitiva
– da
cinquanta canti, o runot, per un
totale di 22.795 versi, il Kalevala
non è soltanto il primo capolavoro in lingua
finnica, testo fondante della letteratura
finlandese, ma anche un poema
pressoché unico sulla scena mondiale.
Intriso di sciamanesimo, mitologico
dall'inizio alla fine, pervaso da un
profondo senso della natura e da
un'ammirazione pressoché sconfinata di
fronte al potere della musica e del canto,
il Kalevala
si stacca dall'epica omerica e germanica.
Non canta imprese di guerrieri. I suoi eroi
sono infatti maghi, cantori, fabbri, assai
più abili nella poesia che nell'uso delle
armi. Non cercano gloria, ma contendono tra
loro per l'amore delle belle fanciulle
lapponi, e il loro confronto avviene quasi
unicamente nel campo della parola creatrice.
Il Kalevala
è un libro che riassume in sé l'intera
storia umana. Composto e pubblicato soltanto
in epoca romantica, è forse il poema epico
più arcaico che sia arrivato fino a noi.
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Il
contesto storico
L'ingresso della Finlandia nella storia
d'Europa è piuttosto tardivo. Può essere
anzi datato con sicurezza al 1809, anno in
cui Alessandro I, zar di tutte le Russie, in
un solenne discorso tenuto in francese
dinanzi alla Dieta riunita nel duomo di
Porvoo [Borgå], proclamava la Finlandia
«elevata al rango delle nazioni».
Fino ad allora, per più di seicento anni, la
Finlandia aveva fatto parte integrante della
Svezia.
Storicamente, la dominazione svedese aveva
avuto inizio nel 1157, con la prima crociata
indetta contro i Finni pagani dal re di
Svezia, Erik VII Jedvardsson, detto il
Santo. Egli salpò con la sua flotta verso la
Finlandia, sconfisse i pagani nel sud-ovest
del paese e li convertì alla religione
cristiana. Il re crociato dichiarò capitale
l'antico emporio commerciale di Turku [Åbo]
e costruì le prime chiese sul territorio
finlandese. Scopo del sovrano svedese era in
realtà la pacificazione del Baltico: con
l'annessione della Finlandia veniva
finalmente debellata la minaccia dei pirati
finnici che da tempo devastavano le coste
svedesi. La resistenza dei Finni non fu né
lunga né cruenta, e la presa di possesso
svedese non fu che la conferma di uno stato
di fatto: la Finlandia, infatti, già si
trovava nella sfera d'influenza della
Svezia, anche per la presenza di due colonie
svedesi stabilite da tempo sulle coste della
penisola.
Con la progressiva conquista del territorio
finlandese, fu dato ai Finni un ordinamento
civile, ecclesiastico e militare. Due
successive crociate, che si protrassero fino
al 1293, estesero il dominio svedese su
tutta la Finlandia, fin quasi al lago Ladoga.
Iniziava così la secolare disputa
territoriale tra la Svezia e la repubblica
di Novgorod, che vegliava gelosamente sul
libero accesso al mar Baltico e tollerava
malvolentieri il dominio svedese sulla
vicina Finlandia. Il trattato di Nöteborg,
siglato nel 1323, assegnò alla Svezia la
Carelia occidentale, mentre Novgorod ottenne
il controllo della Carelia orientale e dell'Ingria.
Divenuta una regione-cuscinetto tra due
Stati in rapida ascesa, la terra dei Finni
venne tagliata in due da un confine che ne
avrebbe segnato lo sviluppo culturale nei
secoli successivi: mentre la parte
meridionale e occidentale entrava a far
parte del mondo cattolico, quella orientale
orbitava da tempo attorno alla chiesa
ortodossa. La Santa Sede prese subito a
cuore le sorti di questa remota provincia
della Chiesa romana, e non mancarono bolle
papali che incoraggiavano i re e i potenti
di Svezia a convertire i Finni promettendo
indulgenze analoghe a quelle concesse per le
crociate in Terra Santa.
L'appartenenza della Finlandia alla Svezia
non venne mai messa in discussione, così
come l'opportunità della svedesizzazione di
quel territorio così vasto e selvaggio, in
cui tutti gli uffici amministrativi e
giudiziari venivano affidati a svedesi. Un
primo timido movimento nazionalista
finlandese si affacciò soltanto alla fine
del XVIII secolo, in una delle molte fasi
del secolare braccio di ferro tra il regno
svedese e l'impero russo. La svolta avvenne
a cavallo delle guerre
napoleoniche. Nel 1809, con la pace di Hamina, che seguiva alla sconfitta
dell'esercito svedese, la Finlandia veniva
ceduta dalla Svezia alla Russia. Innalzato a
Granducato dell'impero russo, il paese
baltico cominciò a godere, almeno
nominalmente, di una certa autonomia
politica.
Dal punto di vista culturale, però, la
Finlandia rimaneva un suddito culturale
della Svezia. Lingua ufficiale era lo
svedese, nonostante fosse parlato soltanto
dal 15% della popolazione. Il popolo
continuava a parlare i suoi dialetti
finnici, che il mondo della cultura
avvertiva come idiomi incolti e rozzi.
Non è un caso che le prime opere scritte in
finlandese avessero lo scopo di catechizzare
il popolo. Saper leggere e scrivere era un
presupposto indispensabile alla fede
luterana, necessario per avvicinarsi alle
Sacre Scritture, obbligatorio per cresimarsi
e sposarsi. Ma ancora nel XVI secolo non
esisteva, per la lingua finlandese, una
cultura scritta. Quando Mikael Agricola
(1510-1557), primo vescovo della Riforma in
Finlandia, tradusse il
Nuovo Testamento, dovette preoccuparsi di fornire al popolo gli strumenti
per leggerlo, e per questo approntò l'Abckiria,
il primo abbecedario finlandese. In questo modo, egli non solo
stabilì l'alfabeto e l'ortografia della
lingua, ma pure scelse come base il dialetto
sud-occidentale, che anche per questo si
sarebbe poi imposto, a fronte di altri
dialetti, come lingua letteraria.
Tra l'altro, Agricola fu il primo scrittore
in assoluto a occuparsi della religione
finnica. In un suo elenco delle divinità
pagane si leggono per la prima volta alcuni
nomi che in seguito compariranno nel
Kalevala:
Ilmarinen, Väinämöinen e altri. Le
notizie fornite da Agricola non sono però
del tutto attendibili. Al buon vescovo non
interessava lasciare una testimonianza delle
credenze degli antichi Finni, bensì fornire
un «canone» delle false divinità che
bisognava al più presto sradicare dalla
memoria del popolo.
Per trovare un genuino interesse verso la
lingua e la cultura finnica, dobbiamo però
aspettare il XVIII secolo, quando
cominciarono a uscire i primi dizionari e
grammatiche finlandesi. Il massimo esponente
della rinascita culturale fu Henrik Gabriel
Porthan (1739-1804). Avendo subito
l'influsso delle prime ispirazioni
romantiche, e soprattutto dei canti ossianici del Macpherson, egli cominciò a
raccogliere e studiare i canti popolari e,
negli anni tra il 1766 e il 1788, pubblicò
il suo studio De
poësi Fennica. Tipico esponente
dell'illuminismo razionalista e
dell'umanesimo tedesco del periodo, Porthan
fu il primo a dare un'analisi comparatistica
della poesia popolare, analizzandola dal
punto di vista estetico, storico e
mitologico. Intorno a Porthan si raccolse
una piccola schiera di studiosi, tra cui
Kristian Erik Lencqvist (1761-1808) e
Christfried Ganander (1741-1790). Il primo
scrisse un De
superstitione veterum Fennorum theoretica et
pratica (1782), frutto di una sua
collaborazione col Porthan; il secondo fu
autore di una
Mythologia fennica (1784),
catalogo ragionato dei nomina mitologici
finlandesi e lapponi, nel quale comparivano
frammenti poetici intorno a Väinämöinen,
Ilmarinen e altri personaggi leggendari.
Uno dei primi studiosi a raccogliere ballate
popolari fu Zachrias Topelius il «vecchio»
(1781-1831), padre dell'omonimo poeta e
romanziere. Questi trascorse gli
ultimi undici anni della sua vita a letto,
afflitto da una malattia debilitante.
Appassionato di letteratura popolare,
invitava al suo capezzale i mercanti
provenienti dalla Carelia russa e li
convinceva a cantare i poemi da loro
conosciuti, che trascriveva immediatamente.
E, quando sentiva parlare di un noto
cantore, faceva tutto ciò che era in suo
potere per portarlo a casa sua, in modo da
raccogliere nuovi canti e ballate.
Un'ottantina di frammenti epici raccolti da Topelius sarebbero in seguito confluiti nel
Kalevala.
Conclusasi l'annessione alla Russia (1809),
cominciò ad approfondirsi in Finlandia il
sentimento nazionale. Nel 1820, Reinhold von
Becker, professore associato di storia
all'università di Turku, fondò una gazzetta
letteraria in finlandese, il Turun
Viikkosanomat, e con essa sorse una corrente
nazionalista oggi chiamata «gruppo romantico
di Ǻbo», il quale ebbe a motto le parole del
giornalista e scrittore Adolf Ivar Arwidsson
(1791-1858): «Svedesi non siamo, russi non
vogliamo essere, dunque dobbiamo essere
finni».
La rinascita nazionale, o
nazional-romanticismo, come venne anche
definito, si sviluppò particolarmente nei
decenni dal 1820 al 1850. Ne furono
protagoniste tre grandi personalità tuttora
considerate come i fondatori della Finlandia
moderna: Johan Ludvig Runeberg, il massimo
poeta finlandese, Johan Vilhelm Snellman,
filosofo e statista, ed Elias Lönnrot,
l'uomo che raccolse e compose il
Kalevala.
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Elias Lönnrot
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Elias Lönnrot |
Elias Lönnrot nacque il 9 aprile del 1802
a Paikkari, presso Sammatti, nella provincia
di Uusimaa [Nyland], da una famiglia
poverissima. Quarto di sette figli, pare che
da bambino il futuro compilatore del
Kalevala sia stato costretto a mendicare per
le strade. Il ragazzo fu messo dapprima a
imparare il mestiere paterno di sarto e,
soltanto nel 1814, grazie ai pochi soldi
messi insieme dal fratello maggiore, poté
frequentare per un anno la scuola del vicino
villaggio di Tammisaari [Ekenäs], dove
imparò lo svedese, lingua in cui veniva
impartito l'insegnamento scolastico. Attese
poi per tre anni alla scuola superiore di Turku, dove perfezionò la lingua ufficiale e
apprese i rudimenti del latino. Quando le
economie familiari si esaurirono, il ragazzo
dovette tornare a casa e riprendere in mano
ago e filo. Trovò però un aiuto inaspettato
nel curato di Sammati, il quale gli impartì
lezioni private e lo esortò a iscriversi al
liceo. Il giovane raccolse il denaro
necessario bussando alle porte delle
fattorie, cantando e recitando, così come a
quel tempo facevano molti studenti poveri.
Quando entrò nel ginnasio di Porvoo,
Lönnrot aveva ormai diciassette anni. I
soldi che aveva messo insieme durarono
soltanto poche settimane e nel 1820 il
giovane dovette spostarsi ad Hämeenlinna [Tavastehus],
dove si mantenne lavorando come allievo
farmacista.
Ottenuto il diploma, nel 1822, Lönnrot
poté finalmente iscriversi alla facoltà di
medicina della prestigiosa università di
Turku. Per permettersi i corsi universitari,
accettò un impiego come precettore presso
un'agiata famiglia. In questo periodo egli
incontrò Reinhold von Becker, professore
associato di storia alla stessa università.
Fu questi a incoraggiare il giovane Lönnrot
a coltivare il suo interesse per la poesia
popolare finnica, passione che egli aveva
manifestato già da alcuni anni. Lönnrot
studiò gli scritti di Porthan, dai quali
apprese il metodo storico per la ricerca sui
runot e i rudimenti dello studio
comparato sulle loro varianti, e lesse i
frammenti di ballate epiche raccolte da
Topelius il «vecchio».
Il giovane studente di medicina profuse
tanta passione in tali studi, che la sua
prima tesi, pubblicata nel 1827, non
riguardava affatto la professione medica ma
s'incentrava sulla figura del mitico cantore
delle ballate popolari finniche:
De Väinämöine
priscorum fennorum numine, «Väinämöinen, dio
degli antichi finni». Nella
compilazione di questo lavoro aveva
consultato le ballate raccolte da Porthan,
Ganander, Topelius e altri, tra cui lo
stesso Von Becker, il quale aveva registrato
diversi runot su
Väinämöinen in Ostrobotnia
e aveva dato loro un certo ordine in un
articolo uscito nella sua gazzetta. Si
trattava del primo tentativo di articolare
il materiale epico in modo non casuale.
Lönnrot si chiese se non fosse possibile
organizzare tutte le narrazioni intorno a
Väinämöinen in un unico ciclo. Si chiese
anche perché gli autori precedenti non si
fossero cimentati in tale impresa, e stabilì
che non avevano avuto a disposizione il
materiale necessario.
Lönnrot riteneva che i canti trascritti
dalla voce del popolo fossero autentiche
testimonianze storiche in grado di gettare
luce sulla vita, la cultura, i costumi e le
credenze degli antichi finni. Non è chiaro a
quali conclusioni sia poi giunto, perché le
pagine finali del lavoro andarono perdute
nel devastante incendio che, in quello
stesso anno, distrusse l'ateneo, insieme a
buona parte della città.
L'incendio, unitamente allo spostamento
dell'università ad Helsinki [Helsingfors],
pose fine al secolare splendore di Turku,
fino ad allora centro culturale e letterario
del paese. Lönnrot approfittò della chiusura
forzata dell'ateneo per dedicarsi agli studi folkloristici. Ma se fino ad allora aveva
approfittato del materiale raccolto da
altri, questa volta decise di dedicarsi egli
stesso alla ricerca sul campo. Nel 1828,
vestito da semplice contadino, il giovane
studente in medicina percorse a piedi la
Carelia, e in quattro mesi raccolse circa
trecento runot e altri canti popolari lirici
e magici, che tra il 1829 e il 1831 diede
alle stampe in quattro quaderni, intitolati
Kantele, taikka
Suomen kansan sekä vanhoja että nykyisempiä
runoja ja lauluj, «Kantele, ovvero Poesie e canti antichi e
moderni del popolo finlandese». Già in queste
raccolte l'autore usò il metodo che più
tardi avrebbe applicato alla composizione
del Kalevala:
non trascrisse cioè i canti come li aveva
sentiti declamare dai cantori, ma fece
confluire in ogni composizione diverse
varianti dello stesso tema, selezionando i
passaggi più tipici e i versi da lui
giudicati migliori.
La pubblicazione dei quaderni del
Kantele
passò quasi del tutto inosservata, e Lönnrot
finì col pagare di tasca propria le spese di
stampa. Per nulla scoraggiato, nel 1831
decise di riprendere la ricerca sul campo e
partì, avendo come mèta la Carelia russa,
oltre la frontiera finlandese, provincia che
Topelius – il quale moriva quello stesso
anno – aveva segnalato come la più ricca di
poesie popolari. Ma prima che arrivasse a
varcare il confine, un'epidemia di colera lo
richiamò a Helsinki, dove prestò i suoi
servigi come medico. Intanto, non dimentico
della sua passione letteraria e filologica,
Lönnrot partecipò alla nascita della Società
Letteraria Finlandese [Suomalaisen
Kirjallisuuden Seura].
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Elias Lönnrot in viaggio. |
L'anno successivo, 1832, Lönnrot si
laureò in medicina. Nella sua tesi riuscì a
conciliare la pratica medica con il
folklore: Afhandling
om Finnarnes magiska medicin, «Tesi
sulla medicina magica dei Finni». Preso il
proverbiale pezzo di carta, Lönnrot accettò
una nomina di medico condotto a Kajaani, uno
sperduto villaggio nel nord-est del paese,
dove si trovò subito a combattere
un'epidemia di tifo della quale, per poco,
non rimase vittima egli stesso. Questo luogo
si trovava però vicino alle regioni dove
meglio si era conservato il materiale
tradizionale e Lönnrot poté presto
riprendere i suoi viaggi di ricerca. Nel
1833 si spinse fino a Repola, in territorio
russo, e negli anni successivi, nel corso di
una serie di viaggi, si mosse attraverso la
Carelia russa.
Lönnrot descrisse fedelmente i suoi
viaggi e le sue difficoltà in un documento
pubblicato in svedese a Helsinki nel 1834.
Egli procedeva a cavallo, su slitte trainate
da renne, in canoa, spesso a piedi,
attraversando foreste e pianure gelate,
acquitrini e paludi. Indossava abiti
semplici per non distinguersi dagli abitanti
dei villaggi, e se incontrava diffidenza,
traeva di tasca una raccolta di canti e
cominciava a declamare per primo. Tanto
bastava perché i cantori locali facessero a
gara per sciorinargli i loro bagagli di
runot. Alcuni producevano brani di pochi
versi, altri ne cantavano di più lunghi e
complessi. I più abili laulajat
giungevano con l'ordinare i canti in lunghe,
complesse sequenze, fino a formare piccoli
cicli epici, sviluppando gli episodi secondo
il proprio talento, senza curarsi delle
eventuali incoerenze del racconto. Nel 1833,
Lönnrot incontrò, in un villaggio del
governo russo di Arcangelo, due talentuosi
cantori: Ontrei Malinen e Vaassila
Kieleväinen. Il primo dettò a Lönnrot un
lungo poema in cui intrecciava, creando
brevi raccordi, le imprese di eroi diversi
come Väinämöinen
e Lemminkäinen. L'altro
aveva raggruppato in un unico canto gli
episodi che riguardavano il viaggio a
Pohjola dei pretendenti alla mano della
figlia di Louhi, e lo collegava con il
motivo del
sampo, ricordando come il
mitico strumento d'abbondanza fosse stato
forgiato proprio per ottenere in sposa la
bella fanciulla lappone.
Influenzato dalle idee ottocentesche
sulle origini e la natura dell'epica,
Lönnrot si era convinto da tempo che le
ballate mitiche fossero frammenti di
un'antica epopea finnica. I piccoli cicli
imbastiti da questi due cantori gliene
fornirono la conferma. Già in precedenza
Lönnrot aveva tentato di congiungere vari
frammenti in canti più ampi, incentrati sui
diversi eroi mitici:
Väinämöinen,
Lemminkäinen,
Kullervo, e via dicendo. Ora
però si trattava di riordinare il vasto
materiale da lui raccolto mettendo a punto
il metodo che aveva utilizzato per la
stesura del Kantele. Si proponeva, cioè, di
agire sulla falsariga dei maggiori cantori e
di creare, da un insieme di canti minori,
un'unica epopea in cui confluisse il meglio
della poesia popolare.
La sua fatica produsse, nel marzo 1833,
la Runokokous
Väinämöisestä, «Raccolta di
canti su Väinämöinen», un poema di 5052 versi,
divisi in sedici runot, che Lönnrot
mandò alla Società Letteraria Finlandese,
suggerendo nel contempo di rinviarne la
pubblicazione finché non avesse meglio
battuto il territorio del governo di
Arcangelo. A suo stesso giudizio, la Raccolta
era insoddisfacente, mentre egli ambiva a
offrire alle generazioni future un'opera di
grande respiro, sul modello dei poemi di
Omero. In una lettera del 1834, scriveva:
«Non so se l'impresa di ordinare i runot
mitologici in un insieme unico, dovrebbe
essere affidata a una sola persona o
parecchie, perché i nostri posteri
giudicheranno, forse, una simile raccolta
alla stregua dell'Edda
presso le nazioni gotiche, o di Esiodo, se
non di Omero, presso i Greci e i Romani»
(Gummerus 1969).
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Mappa dei quattro principali viaggi di Elias Lönnrot
(Ingrandire per una migliore risoluzione) |
Nel 1834, Lönnrot partì per un altro
viaggio nella Carelia orientale. Poté così conoscere
il più celebre di tutti i
laulajat, l'ottantenne Arhippa Perttunen,
che per due o tre giorni gli recitò
bellissimi canti epici, per un totale di
circa quattromila versi. Scrisse Lönnrot:
«Cantava i runot in un ordine
eccellente, senza lasciare lacune. Molti
canti mi giungevano del tutto nuovi, e
dubito che avrei potuto reperirli altrove.
Se non avessi mai incontrato questo vecchio,
se fosse morto prima della mia venuta, un
patrimonio considerevole dei nostri canti
tradizionali sarebbe sceso con lui nella
tomba» (Lönnrot 1849).
[BIBLIOTECA]
Ritornato a casa, Lönnrot si dedicò, nel
corso dell'estate e dell'autunno, a
riordinare questo materiale. Completò i
brani, assemblò gli episodi, intercalò canti
lirici e formule magiche, fino ad ottenere
una versione più che raddoppiata dell'opera
originaria: 12.078 versi in trentadue runot.
Dopo molte esitazioni, Lönnrot diede alla
raccolta il lungo titolo di Kalevala,
taikka vanhoja Karjalan runoja Suomen kansan
muinosista ajoista, «Kalevala, ovvero Vecchi poemi di Carelia
sui tempi antichi
del popolo finlandese». Nella prefazione al
testo, egli espose gli intenti e i limiti
del suo lavoro, senza cercare di
giustificare l'arbitrio nella disposizione
data al materiale. «Se fossi certo che tutti
concordassero nell'ordine in cui ho disposto
i vari canti, mi fermerei qui e non
aggiungerei parola, ma il fatto è che quel
che una persona considera giusto, un'altra
ritiene inadeguato. I canti sono ben
combinati, secondo il mio parere,
nell'ordine che ho loro dato, ma forse si
potrebbero combinare anche meglio in un
altro ordine. Nell'organizzarli, ho tenuto
conto di due circostanze: innanzitutto nella
disposizione che avevo osservato presso i
migliori cantori: secondo, là dove nessun
soccorso mi veniva da loro, ho cercato di
trarre l'ordine dai canti stessi, e li ho
concatenati di conseguenza»
(Lönnrot 1835).
[BIBLIOTECA]
La prefazione reca la data del 28
febbraio 1835. Questo giorno, a partire dal
1920, viene festeggiato dalla nazione
finlandese come «giorno del
Kalevala» [Kalevalan
päivä].
L'esempio di Lönnrot fu presto seguito da molti
suoi entusiasti connazionali, tra cui Matthias Alexander Castrén, David Emmanuel
Daniel Europæus
[Taavetti Emanuel Taneli Äyräpää],
Fredrik Polén, H.A. Reinholm, Eero
Salmelainen e J.V. Murman, i quali si misero
in viaggio per recuperare altri frammenti di
poesia popolare. Lo stesso Lönnrot non
considerava conclusa la sua fatica e non
appena gli fu possibile si mise nuovamente
in viaggio. Tra gli ultimi mesi del 1836 e
l'autunno del 1837, approfittando di un anno
di permesso nella sua professione di medico
e di una borsa di studio fornitagli dalla
Società Letteraria, egli percorse nuovamente
il nord del paese, e soprattutto la parte
finlandese della Carelia, dove era
abbondante la produzione a carattere lirico.
Lavorando al nuovo materiale secondo il
metodo da lui già collaudato, nel 1840 diede
alle stampe tre raccolte contenenti circa
seicento tra poesie liriche e ballate, per
un totale di 21.007 versi, a cui diede il
titolo di Kanteletar,
taikka Suomen kansan vanhoja lauluja ja
virsiä, «Kanteletar, ovvero Vecchi canti e poemi del popolo
finlandese» L'anno seguente, Lönnrot
presentava alla Società Letteraria i Suomen kansan
sanalaskuja, «Proverbi del popolo
finlandese», raccolta di 7077 proverbi,
in versi, ordinati alfabeticamente. Nel 1844
pubblicava, infine, il suo quarto lavoro a
carattere folkloristico: Suomen kansan
arvoituksia, «Indovinelli del popolo finlandese», con 1679 indovinelli
finlandesi e 135 estoni.
Nel frattempo si era esaurita la prima
edizione del
Kalevala – poco più di
cinquecento copie – e Lönnrot già lavorava a
una seconda edizione riveduta e ampliata,
preceduta da una nuova prefazione, datata 17
aprile 1849. L'edizione definitiva del
Kalevala
era composta da 22.795 versi divisi in
cinquanta runot.
Scrisse Lönnrot nella prefazione: «Quest'opera,
che tratta della vita e delle antiche
condizioni dei nostri antenati, appare ora
in una forma molto più completa di quella
dell'edizione precedente, ed è assai
probabile che rimanga nella sua forma
attuale; non è infatti più possibile
raccogliere runot di questo tipo che
rivestano una certa importanza, dal momento
che tutte le località in cui vi era una
benché minima speranza che questi canti
venissero ancora cantati sono state ormai
ripetutamente esplorate e battute». E,
ancora una volta: «La combinazione è stata
fatta quanto meglio si poteva tenendo conto
del carattere del
Kalevala; ma c'è sempre
dell'arbitrario […]. È stato perciò
necessario basarsi spesso sui contenuti
intrinseci del materiale e distaccarsi
dall'ordine adottato nella precedente
edizione del
Kalevala. È probabile che dalla
combinazione or l'uno or l'altro può non
sentirsi soddisfatto, e lasci adito a più di
una critica». (Lönnrot
1849) [BIBLIOTECA].
L'imponente
Kalevala non segnò la fine dei
lavori di Lönnrot, che continuò per tutta la
vita a occuparsi dei suoi amati studi
folkloristici. Diresse per alcuni anni
un'importante rivista letteraria, il
Litteraturblad för ällman medborgelig
bildining «Giornale di letteratura per
la cultura civica generale», tradusse in
finlandese le poesie di Runeberg e alcuni
canti dell'Odýsseia.
Scrisse saggi di poesia e metrica. I suoi
lavori contribuirono a creare un lessico
finlandese in materia di medicina, botanica
e giurisprudenza.
Nel 1850, venne creata la prima cattedra
di lingua finlandese all'università di
Helsinki. Fu naturale offrirla a Lönnrot il
quale, modestamente, rifiutò l'incarico. La
cattedra passò all'etnografo e viaggiatore Matthias Alexander Castrén ma, dopo la morte
di questi, nel 1853. Lönnrot non poté più
evitare l'assegnazione. Per rendersi più
specificatamente idoneo al titolo, pubblicò
un saggio sulla lingua dei Vepsi o Čudi, una
popolazione finnica del nord, sui quali
aveva raccolto degli appunti nel corso dei
suoi viaggi. Ormai divenuto professore
universitario, Lönnrot tenne corsi sulla
mitologia finnica e sul
Kalevala,
ma anche sull'ortografia e la grammatica
finlandese, insegnando ai ragazzi a scrivere
in lingua nazionale, cosa a quei tempi poco comune.
Nonostante gli impegni accademici, Lönnrot
trovò anche il tempo di continuare i suoi
studi filologici, firmando varie
pubblicazioni.
Nel 1860 venne nominato dottore honoris
causa, e due anni dopo lasciò l'università.
Trasferitosi nella sua casa di campagna,
a Lammi, non lontano dalla regione in cui
era nato, Lönnrot si dedicò esclusivamente
allo studio della lingua nativa e delle sue
produzioni popolari. Nel 1880 uscì il quinto
e ultimo dei suoi lavori sulla poesia
fokloristica: gli Suomen kansan muinaisia loitsurunoja,
«Antichi canti magici del popolo finnico»,
opera che contiene 21.024 versi ordinati
secondo il sistema già utilizzato per il
Kalevala.
Nello stesso anno Lönnrot pubblicò anche
un dizionario finno-svedese [Finskt-Svenskt
lexicon], il cui materiale era stato da
lui raccolto a partire dal 1835. Con
duecentomila lemmi e innumerevoli locuzioni,
i due tomi che compongono l'opera si
presentano come un lavoro a dir poco
gigantesco per mole e completezza, tanto più
se si pensa che sono il risultato della
fatica di una sola persona, Elias Lönnrot.
Il 9 aprile del 1882, giorno del suo
ottantesimo compleanno, Lönnrot venne
festeggiato dalla Finlandia intera come eroe
nazionale e padre della patria. Due anni
dopo, il 19 marzo 1884, il compilatore del
Kalevala
si spegneva serenamente nella sua casa, a
Lammi.
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Trama del
Kalevala
A causa del modo in cui fu composto, il
Kalevala
si presenta come una giustapposizione di
episodi privi di un vero e proprio filo
conduttore che li attraversi e li leghi tra
loro. Manca anche un protagonista centrale,
e i tre personaggi principali – il cantore
Väinämöinen, il fabbro
Ilmarinen, lo
scapestrato
Lemminkäinen – si alternano
l'uno all'altro con buon equilibrio, a volte
incrociando le loro strade, salvo ritrovarsi
tutti e tre riuniti, nella seconda metà del
poema, nella spedizione alla conquista del
sampo. Riassumiamo la trama generale
dell'opera.
Runot 1-2. Creazione del mondo.
Ilmatar «figlia dell'aria» (anche detta
Luonnotar «figlia della natura»), scende dal
cielo e si adagia tra le onde del mare.
Un'anatra fa il nido sul suo ginocchio, ma
le uova rotolano, si rompono, e dai
frammenti sorgono il cielo e la terra, il
sole, la luna, le stelle e le nuvole. In
seguito, ella forma i fondali marini, le
terre emerse, i promontori e le montagne.
Intanto, dopo essere stata fecondata dal
vento, Ilmatar stenta a dare alla luce suo
figlio. Il travaglio dura settecento anni, e
Väinämöinen nasce già vecchio. Salito per la
prima volta sulla terraferma,
Väinämöinen si
trova di fronte a una terra brulla e
deserta, e così ordina al giovane
Sampsa
Pellervoinen di piantare i primi semi. Una
quercia germoglia fino a oscurare il cielo e
la terra con la sua chioma, e deve essere
abbattuta perché la luce possa ritornare a
splendere sui campi. Allora crescono erbe,
fiori e bacche.
Väinämöinen si occupa di
seminare l'orzo e prega che le messi
crescano per la prosperità delle genti
future.
Runot 3-10. Primo ciclo di Väinämöinen.
Col terzo runo prendono inizio le
avventure degli eroi della terra di
Kalevala. Assistiamo dapprima alla rivalità
tra Väinämöinen e il giovane
Joukahainen, i
quali si affrontano in un certamen
poetico, in cui ciascuno dà prova della sua
sapienza e della sua capacità di
padroneggiare i canti magici. Sconfitto,
Joukahainen è costretto a promettere al
vincitore la mano di sua sorella
Aino. La
fanciulla, però, disperata dalla prospettiva
di sposare il vecchio
Väinämöinen, si
annega. Preso dall'odio,
Joukahainen tende un
agguato a
Väinämöinen, ma non riesce a
ucciderlo. Piombato in mare, il vecchio
cantore viene a lungo sballottato tra i
flutti, finché un'aquila, impietosita, lo
raccoglie sulle sue ali e lo porta sulle
sponde di
Pohjola, la fredda terra del nord,
abitata dalle ostili tribù lapponi. Qui, il
vecchio eroe viene soccorso da
Louhi,
signora di
Pohjola, la quale gli offre
ospitalità ma non lo lascia ripartire prima
di avergli estorto la promessa di
fabbricarle il
sampo. L'eroe promette e,
tornato in
Kalevala, chiede al fabbro
Ilmarinen di recarsi a
Pohjola per mettersi
all'opera. Costui rifiuta, ma, con un
incantesimo,
Väinämöinen lo fa volare fin
nella terra del nord. Giunto a
Pohjola,
Ilmarinen finisce vittima del fascino della
bellissima figlia di
Louhi. Per ottenerla in
sposa, il fabbro forgia il
sampo: un magico
strumento capace di macinare prosperità e
ricchezza per chiunque lo possieda. Il
sampo
viene preso in custodia da
Louhi, che lo
rinserra sotto una rupe. La figlia di
Louhi,
tuttavia, avanza pretesti affermando di non
poter abbandonare la propria casa, e
Ilmarinen se ne torna abbattuto e sconsolato
in
Kalevala.
Runot 11-15. Primo ciclo di Lemminkäinen.
Nell'undicesimo runo entra in scena
il simpatico
Lemminkäinen. Egli esordisce
rapendo una fanciulla,
Kyllikki. La ragazza
accetta di sposarlo, ma gli chiede di non
andare più in guerra; in cambio egli le fa
giurare di non andare più a danzare e
civettare nel villaggio. Ma
Kyllikki non
mantiene la promessa, e
Lemminkäinen la
ripudia e dichiara che andrà a scegliersi
un'altra sposa a
Pohjola. La madre cerca di
dissuaderlo dal tentare il pericoloso
viaggio: ne sortisce una discussione, nel
corso della quale
Lemminkäinen getta via il
suo pettine e afferma che, se sarà ferito o
ucciso, quel pettine sanguinerà. Si mette in
cammino e, arrivato a
Pohjola, viene
sottoposto a varie prove, se vorrà meritarsi
la mano della figlia di
Louhi. Deve
innanzitutto catturare l'alce di
Hiisi, e vi
riesce dopo una vertiginosa corsa sui
pattini; deve quindi imbrigliare il cavallo
di fuoco di
Hiisi, e infine catturare il
cigno di Tuonela, che nuota sulle acque del
fiume dei morti. Ma mentre
Lemminkäinen
tenta l'ultima impresa, viene ucciso da un
sicario inviatogli da
Louhi. Il suo corpo
viene gettato nel fiume e fatto a pezzi.
Avvertita della disgrazia dal sangue che
stilla dai denti del pettine, la madre di
Lemminkäinen corre sul fiume di
Tuonela,
raccoglie le membra dilaniate del figlio e,
a mezzo di potenti incantesimi, le rimette
insieme, restituendogli la vita.
Runot 16-18. Secondo ciclo di
Väinämöinen.
Intanto,
Väinämöinen è intento a costruire
una barca che gli permetterà di tornare a
Pohjola per partecipare alla contesa per la
mano della figlia di Louhi. Mancandogli
alcune parole magiche necessarie a
completare l'opera, decide di andare a
chiederle all'antico gigante
Antero
Vipunen,
che giace morto al suolo, con piante e
alberi che crescono sul suo corpo.
Väinämöinen lo risveglia, ma il gigante, per
tutta risposta, lo ingoia. Dall'interno
delle sue viscere,
Väinämöinen comincia a
tormentarlo, tanto che il gigante,
arrendendosi, gli chiede di andarsene.
Väinämöinen accetta, ma in cambio
Vipunen
dovrà cantargli il suo intero sapere. Il
gigante obbedisce e
Väinämöinen può così
tornare al cantiere e terminare la
costruzione della sua barca.
Runot 19-25. Primo ciclo di Ilmarinen (le
nozze).
Väinämöinen
e Ilmarinen si incontrano a
Pohjola, quali pretendenti alla mano della
figlia di Louhi. Tra i due viene preferito
il fabbro, il quale però deve sottoporsi ad
alcune difficili prove. Egli deve arare un
campo irto di vipere, catturare l'orso di
Tuonela, il lupo di
Manala e il grosso
luccio che nuota nel fiume dei morti.
Ilmarinen riesce in tutte le prive e, dopo
un solenne banchetto, torna in
Kalevala con
la giovane sposa.
Runot 26-30. Secondo ciclo di
Lemminkäinen.
Nel frattempo, resuscitato dalla morte
grazie alle arti magiche di sua madre,
Lemminkäinen decide di tornare a
Pohjola,
offeso per non essere stato invitato alle
nozze della figlia di
Louhi. La povera donna
cerca ancora una volta di dissuaderlo, ma
Lemminkäinen, ancora una volta, non le
presta ascolto. Gli abitanti di
Pohjola gli
sbarrano la strada potenti vari incantesimi,
ma il giovane riesce a superarli uno dopo
l'altro. Giunto a
Pohjola, egli sfida il
padrone di casa e ne sortisce un duello in
cui alle armi si alterna la magia.
Lemminkäinen mozza infine il capo al signore
di Pohjola, ma
Louhi lo costringe alla fuga
schierando il suo esercito. Il giovane si
nasconde su un'isola, ma è poi costretto a
fuggire anche da lì, dopo aver sedotto un
bel numero di donne e ragazze.
Runot 31-35. Ciclo di Kullervo.
Il celebre episodio di
Kullervo appare come
una vicenda staccata dal contesto principale
e prende l'avvio da una faida che oppone le
genti di Untamo e quelle di
Kalervo. Queste
ultime vengono sterminate, tranne il
figlioletto di
Kalervo,
Kullervo, che viene
allevato come servo in casa di
Untamo. Ma il
giovane eroe, crescendo, manifesta una forza
e una malignità sorprendenti e riesce a
rovinare qualsiasi lavoro in cui si cimenti,
né le genti di
Untamo riescono a ucciderlo
in alcun modo, ché
Kullervo sopravvive a
ogni tentativo di sbarazzarsi di lui. Viene
dunque ceduto al fabbro
Ilmarinen, perché
faccia da pastore alle sue mandrie. Ma
quando la moglie di costui gli infila per
dispetto un sasso nel pane,
Kullervo si
vendica disperdendo il bestiame; quindi
trasforma in vacche un'orda di lupi e orsi,
che spinge nella stalla. La sposa di
Ilmarinen viene così divorata, e
Kullervo,
dopo essere fuggito nella foresta, ritrova
fortunosamente suo padre e sua madre,
miracolosamente sfuggiti alla carneficina
perpetrata da
Untamo. In seguito, mentre
viaggia con la slitta, si invaghisce di una
ragazza incontrata per via e la seduce. Ma è
sua sorella, perduta da bambina. La poverina
si suicida per la vergogna, e
Kullervo, per
espiare il delitto, muove guerra a
Untamo,
disobbedendo ai consigli dei suoi genitori.
Al ritorno trova la casa distrutta e i
parenti morti. Disperato e solo,
Kullervo si
suicida a sua volta gettandosi sulla sua
spada.
Runot 39-44. Il furto del sampo.
Segue la vicenda centrale del
Kalevala.
Finalmente riuniti,
Väinämöinen,
Lemminkäinen e
Ilmarinen s'imbarcano per
strappare il
sampo
a Louhi. Nel corso del
viaggio, pescano un enorme luccio e, con le
sue mascelle,
Väinämöinen fabbrica il
kantele, la prodigiosa arpa finnica sulla
quale modulerà da quel momento in poi i suoi
canti e che servirà come modello per gli
strumenti dei futuri cantori. Giunti a
Pohjola,
Väinämöinen ne addormenta tutti gli
abitanti suonando il kantele. A questo punto
è facile per i tre eroi rubare il
sampo e
riprendere la rotta per
Kalevala. Destatasi,
Louhi scopre il misfatto, arma la sua flotta
e si lancia all'inseguimento dei fuggitivi.
Con un incantesimo,
Väinämöinen fa sorgere
degli scogli dal mare, sui quali
s'infrangono le navi di
Louhi. Utilizzando i
pezzi delle imbarcazioni,
Louhi si trasforma
allora in un enorme rapace e plana sulla
nave di
Väinämöinen. Nel corso della lotta,
il sampo
cade nei flutti e va in frantumi. I
pezzi più grossi cadono sul fondo, dove
alimenteranno da allora in poi le
inesauribili ricchezze del mare. I più
piccoli, spinti dalla risacca, finiscono
sulla spiaggia.
Väinämöinen li raccoglie e
li porta a
Kalevala, dove contribuiranno
alla futura ricchezza e prosperità del
paese.
Runot 45-49. La vendetta di Louhi.
La vecchia signora di
Pohjola, infuriata per
la perdita del
sampo, cerca in tutti i modi
di nuocere al popolo di
Kalevala. Manda
dapprima morbi e pestilenze, che vengono
sconfitti grazie all'uso della sauna e dei
canti magici di
Väinämöinen. Invia quindi un
ferocissimo orso, che viene ucciso con gran
tripudio. Infine ruba dal cielo il sole e la
luna, e spegne il fuoco, in modo da gettare
il popolo di
Kalevala nelle tenebre. Nel
tentativo di rimediare,
Ilmarinen forgia un
nuovo sole e una nuova luna, ma questi non
splendono come gli astri originari.
Interviene Ukko, il dio del cielo, che fa
cadere sulla terra una scintilla scaturita
dalla sua spada.
Väinämöinen
e Ilmarinen
partono per recuperare la scintilla e la
trovano nello stomaco di un grosso pesce.
Quindi vanno alla ricerca del sole e della
luna, e li trovano rinserrati in una
caverna. Possono così liberarli e farli
splendere di nuovo in cielo.
Runo 50. Storia di Marjatta.
Nel canto conclusivo, la vergine
Marjatta
rimane incinta dopo aver ingoiato una bacca.
Il figlio, una volta nato, viene condannato
a morte dal vecchio
Virokannas, ma il
neonato prende miracolosamente a parlare e
lo rimprovera di aver emesso un giudizio
iniquo. Il vecchio allora consacra il
bambino re di Carelia.
Väinämöinen,
sdegnato, si allontana in barca e si reca
verso l'orizzonte, laddove il cielo e la
terra si toccano, e profetizza che verrà un
giorno in cui lo si chiamerà di nuovo. Egli
lascia indietro, a perenne gioia del popolo
finnico, il kantele e i suoi meravigliosi
canti.
|
La
poesia del Kalevala
Il viaggiatore italiano Giuseppe Acerbi,
ritornando da un viaggio in Finlandia, nel
1799, diede una delle prime descrizioni di
come operassero i cantori finnici. Essi
stavano seduti di fronte, per esempio a
cavallo di una panca, si tenevano le mani e
cantavano i versi secondo una semplice
melodia, dondolandosi con ritmiche movenze
del corpo. Erano rapsodi nel vero senso
della parola, ancorché scaturiti da una
società elementare e popolare, e quindi
lontanissimi dall'ideale del poeta di classe
o di professione, ma tramandavano i loro
canti secondo usanze sicuramente
antichissime (Gummerus
1969).
|
Due laulajat intonano i runot. Fotografia
d'epoca. |
Pochi anni prima, anche Henrik Gabriel
Porthan aveva fornito un'analoga descrizione
del metodo di esecuzione dei cantori
finnici: «Essi cantano sempre a due,
circondati da un uditorio attentissimo. Il
primo cantore, o laulaja, il più stimato per
abilità e competenza, e anche per età, si
associa con un compagno che gli fa da
assistente e con il quale condivide
alternativamente il canto. Il laulaja, che è
il vero poeta, comincia a cantare un verso,
e lo canta fino al terzo piede o alla
terzultima sillaba, e solo a questo punto il
compagno entra con la sua voce, giacché dal
senso e dal metro gli è facile completare
quanto è rimasto in sospeso. Il secondo
cantore ripete quindi da solo il verso in un
tono leggermente variato, mentre il primo
cantore rimane in silenzio finché
l'assistente giunge a sua volta alla
terzultima sillaba, che viene cantata
all'unisono. Dopo di che il laulaja canta un
secondo verso, che sarà ripetuto
dall'assistente (il cui vero compito è
quello di dare al primo cantore il tempo di
ricordare il verso successivo, o di
improvvisarlo qualora la memoria non lo
soccorra); e con uguale modalità si procede
fino al termine del canto». Aggiunge ancora Porthan: «I due cantori siedono fianco a
fianco, oppure l'uno di fronte all'altro,
tanto vicini da toccarsi con il ginocchio,
sul quale posano le mani destre intrecciate.
Mentre cantano hanno un aspetto serio,
raccolto, e muovono leggermente il corpo,
come se volessero toccarsi anche con la
testa» (Portan 1778 |
Agrati ~ Magini 1988).
Illustrazioni dell'Ottocento dànno prova
della veridicità di questo quadro, e anche
nei primi versi del
Kalevala si dà una
descrizione poetica dell'esordio del canto,
in cui il giovane cantore – nel quale forse
è da ravvisarvi lo stesso Lönnrot – invita
il vecchio laulaja ad aiutarlo a
introdurre il lungo poema:
Veli kulta, veikkoseni,
kaunis kasvinkumppalini!
Lähe nyt kanssa laulamahan,
saa kera sanelemahan! [...]
Lyökämme käsi kätehen,
sormet sormien lomahan,
lauloaksemme hyviä,
parahia pannaksemme, [...]
noita saamia sanoja,
virsiä virittämiä. |
Caro mio fratello d'oro,
mio compagno dai prim'anni!
Ora vieni a cantar meco,
a dir meco le parole! […]
Or prendiamoci le mani,
intrecciam dito con dito,
sì che ben possiam cantare
meglio ancora recitare, […]
questi canti tramandati,
questi versi messi in luce. |
Kalevala [I: 11-14 | I: 21-24 | I: 29-30] |
Spesso il rapsodo si accompagnava, o era
accompagnato, dal suono del kantele. Le
origini mitiche di questo strumento musicale
sono narrate nel Kalevala: il primo
kantele
sarebbe stato fabbricato dallo stesso
Väinämöinen con la mascella di un luccio;
perduto questo, ne avrebbe fabbricato un
secondo in legno di betulla. In un
bellissimo episodio del quarantaquattresimo
runo,
Väinämöinen incanta con le melodie
suonate sul suo kantele le genti di
Kalevala
e tutti gli esseri e gli elementi della
natura:
Sormin soitti Väinämöinen,
kielin kantelo kajasi:
vuoret loukkui, paaet paukkui,
kaikki kalliot tärähti,
kivet laikkui lainehilla,
somerot vesillä souti,
petäjät piti iloa,
kannot hyppi kankahilla. |
Suonò Väinö con le dita,
cantò l'arpa con le corde:
rimbombaron massi e monti,
echeggiarono le rupi,
saltellaron sopra l'onde
sassi, e ciottoli sull'acque,
s'agitaron lieti i pini
ed i tronchi sulle lande. |
Kalevala [XLIV:
257-264] |
Mi oli metsän eläintä,
kyykistyivät kynsillehen
kanteloista kuulemahan,
iloa imehtimähän.
Ilman linnut lentäväiset
varvuille varustelihe,
veen kalaset kaikenlaiset
rantahan rakentelihe.
Matosetki maanalaiset
päälle mullan muuttelihe
käänteleivät, kuuntelevat
tuota soittoa suloista,
kantelen iki-iloa,
Väinämöisen väännätystä. |
Quanti ha il bosco d'animali
s'accosciaron sulle zampe,
per udir quel dolce suono,
per gioir di quella gioia.
Gli augelletti volatori
si posaron su' rami,
ed i pesci d'ogni sorta
s'accostarono alla riva.
Anche i vermi di sotterra
sulla polvere strisciando
si torcevan per udire
quella dolce melodia,
la kantele della gioia,
il suonar di Väinämöinen. |
Kalevala [XLIV:
293-306] |
Com'è evidente nei versi del poema, sembra
il kantele avesse una connotazione magica,
se non sacra, e aveva certamente il compito
di accentuare le caratteristiche ritmiche
della recita, creando una specie di
rapimento estatico. Si tratta di un
probabile retaggio della cultura pagana, in
cui tamburelli e altri primitivi strumenti
avevano la funzione di favorire la trance
sciamanica [kamlenie]. Anche se le prime
testimonianze scritte sull'uso del kantele
risalgono al XVI secolo, sembra fosse già
adoperato in tempi piuttosto remoti
(Brancato 2003).
Somigliante a una cetra, certamente ha una
certa parentela con il gusli dei popoli
slavi, strumento ben conosciuto nell'epica
russa: si pensi alla bylina russa sul
mercante Sadko.
È stato per mezzo di tali cantori, che i
canti epici, lirici e magici della stirpe
finnica vennero tramandati per secoli,
finché vennero raccolti dai folkloristi
dell'Ottocento. Ancora pochi anni e di
questo immenso patrimonio poetico sarebbe
andato perduto. Che dei bellissimi canti
fossero già scomparsi, del resto, lo aveva
testimoniato il vecchio Perttunen allo
stesso Lönnrot: «Quand'ero bambino, avevamo
un salariato, un uomo di Lapukka, un buon
cantore, ma non come mio padre. Passavano le
notti a cantare, e mai due volte le stesse
parole. Quelli erano cantori! Quando ero un
ragazzetto tutt'ossa, sedevo ad ascoltarli
attorno al bivacco e mi sforzavo di
ricordare ciò che sentivo. Ma non riuscivo a
trattenere tutto nella mente. Se mio padre
fosse ancora vivo, non basterebbero due
settimane per trascrivere i suoi canti. Non
nascono più cantori del suo stampo, e tutte
le vecchie canzoni stanno scomparendo tra il
popolo». (Lönnrot 1849)
[BIBLIOTECA].
Se Lönnrot poté comporre il
Kalevala non
solo giustapponendo il materiale epico, ma
inserendovi una nutrita serie di canti
lirici, magici e d'occasione, fu agevolato
dal fatto che tutta la poesia tradizionale
dei Finni era redatta in un unico metro: il
runo. Questa parola è un prestito dalle
lingue germaniche, attraverso il norreno rún,
il cui significato principale è «segreto» o
«mistero» (cfr. norreno rýna «fare discorsi
segreti», tedesco raunen «sussurrare»). Nel
mondo germanico, però, il significato della
parola si era presto spostato a indicare i
segni dell'alfabeto runico [fuþark],
ai quali venne peraltro attribuito un
carattere magico, com'è evidente dalle
iscrizioni rimaste su amuleti, pietre, armi
e ossa. Al contrario, presso i Finni, il
termine runo aveva conservato il suo
significato originale, legato alla voce,
alla parola magica, al canto di sapienza
(Comparetti 1891).
Il laulaja era anche detto, perciò,
runoja «runatore» (ma anche runoseppä
«fabbro di runot» o runoniekka
«maestro di runot»). In qualità di
conoscitore delle cose antiche e profonde,
era pure chiamato tietäjä; questa
parola, che etimologicamente significava
«sapiente», avrebbe poi assunto il
significato di «mago, incantatore,
sciamano».
In seguito il termine runo aveva
finito per indicare il canto composto in
quell'ottonario trocaico che è il metro
finnico per eccellenza
(Pavolini 1910).
Nota Domenico Comparetti:
«Essendo la poesia nota al popolo da antico
tempo, non altro vocabolo che quello [runo]
poté fornire ad esprimere l'idea astratta e
generica di poesia; unica essendo la forma
del runo, di tutta la poesia tradizionale di
ogni specie, non altra voce che quella poté
servire a indicare questa forma»
(Comparetti 1891). Si tratta
di un caratteristico verso di otto sillabe,
con quattro piedi. La rima è perlopiù
ignorata (le sequenze che terminano con la
medesima desinenza non contano infatti come
rima). Al contrario, si richiede
l'allitterazione, cioè la presenza, in ogni
verso, di due o più parole che iniziano con
la stessa lettera, com'è evidente, ad
esempio, nell'incipit del primo runo del
Kalevala:
Mieleni minun tekevi,
aivoni ajattelevi
lähteäni laulamahan,
saa'ani sanelemahan,
sukuvirttä suoltamahan,
lajivirttä laulamahan.
Sanat suussani sulavat,
puhe'et putoelevat,
kielelleni kerkiävät,
hampahilleni hajoovat. |
Nella mente il desiderio
mi si sveglia, e nel cervello
l'intenzione di cantare,
di parole pronunziare,
co' miei versi celebrare
la mia patria, la mia gente.
mi si struggon nella bocca,
mi si fondon le parole,
mi si affollan sulla lingua,
si sminuzzano fra i denti. |
Kalevala [I: 1-10] |
Il runo è perfettamente connaturato alle
caratteristiche fonetiche e sintattiche
della lingua finlandese. Questa, com'è noto, non è un idioma indoeuropeo,
ma ugrofinnico. Dunque non lingua flessiva,
ma agglutinante: le parole al loro stato
elementare corrispondono alla radice e le
varie desinenze sono disposte per semplice
giustapposizione. La ricca declinazione del
finlandese (quindici casi!) evita l'uso
delle particelle sintattiche e permette di
concentrare complesse unità di significato
in versi di poche sillabe. Il ridotto
inventario di consonanti facilita la
creazione delle allitterazioni, mentre la
ricchezza vocalica è alla base dell'assoluta
musicalità del verso. Il finlandese è lingua di
un popolo che vive a stretto contatto con la
natura, il cui lessico esprime dunque, e
pienamente, tutti i concetti relativi alle
forze e agli elementi naturali
(Crawford 1888).
La poesia popolare finnica contiene una vastità di vocabolario che mette
a dura prova ogni tentativo di traduzione.
La terminologia naturale è ricchissima, e
altrettanto dettagliata quella inerente alla
vita quotidiana dei Finni, che spesso non ha
riferimenti diretti nelle altre lingue. Non
dimentichiamo, inoltre, il ricco uso che la
lingua finlandese fa di diminutivi e
vezzeggiativi. Con una serie di suffissi
posti ai nomi di esseri umani, animali,
piante, pietre, e perfino azioni, numeri,
eventi e sentimenti, essi diventano più
dolci, familiari. Si riesce così spesso a
creare un effetto di confidenza tra l'uomo e
la natura che lo circonda
(Pavolini 1910).
Altra importante caratteristica del runo,
evidentissima nel Kalevala, è il
parallelismo, il cui impiego è probabilmente
mnemonico. I versi sono organizzati in
distici di cui il secondo dipende dal primo,
del quale fornisce una ripetizione
parafrasata o una variante:
Viipyi siitä vuotta monta,
aina eellehen eleli
saaressa sanattomassa,
manteressa puuttomassa.
Arvelee, ajattelevi,
pitkin päätänsä pitävi:
kenpä maita kylvämähän,
toukoja tihittämähän? |
E molt'anni là rimase,
lungamente colà visse
sulla terra senza nome,
sopra l'isola deserta.
E pensava, rifletteva,
nella mente rivolgeva:
da chi farla seminare,
con qual seme prosperare? |
Kalevala [II: 9-16] |
L'ottonario è un metro che, declamato,
fornisce un effetto martellante, tanto più
che i cantori usavano dargli enfasi secondo
l'accento ritmico piuttosto che secondo
quello naturale delle parole, che in
finlandese cade caratteristicamente sulla
prima sillaba. Ogni distico presenta
un'identica cadenza musicale, senza alcun
movimento strofico. I laulajat usavano
cantare soltanto brevi brani; ma una volta
riuniti nei 22.795 versi del Kalevala,
l'ossessiva ripetizione degli ottonari
finisce con l'ingenerare un senso di
monotonia. Da qui i tentativi, da parte di
vari traduttori, di modificare il metro,
cercando di adattare la rapsodia al gusto
poetico di popoli diversi da quello finnico.
Ad esempio, i traduttori italiani Igino
Cocchi e Paolo Emilio Pavolini intrapresero
a questo riguardo due strade diverse: il
primo volse il testo in endecasillabi,
dandogli un tono petrarchesco; il secondo
fece uso degli ottonari, avvicinandosi al
testo originale con risultati forse più
convincenti.
La successiva traduzione in versi è stata
eseguita soltanto nel 2010, da Marcello
Ganassini. La scelta di usare versi liberi,
in questo caso, non dipende soltanto dal
mutato gusto letterario dei nostri giorni,
ma anche da uno scrupolo filologico: la
nuova traduzione, rompendo finalmente con le
griglie del metro, rimane quanto più fedele
al significato del testo.
Riportiamo qui l'incipit del
Kalevala
nelle tre traduzioni:
Si risveglia la mia fantasia,
ne 'l cervello mi sorgon pensieri,
che a cantare, a far versi mi spingono.
Cantar voglio, parole intrecciare
in un inno a la nostra Nazione,
una laula pe' nostri antenati.
Su la lingua, e, già fuori de' denti,
su le labbra venire li sento,
già li sento che lascian le labbra
a svelare i pensier de la mente
e de 'l genio de 'l vecchio sapere. |
Nella mente il desiderio
mi si sveglia, e nel cervello
l'intenzione di cantare,
di parole pronunziare,
co' miei versi celebrare
la mia patria, la mia gente.
mi si struggon nella bocca,
mi si fondon le parole,
mi si affollan sulla lingua,
si sminuzzano fra i denti. |
L'animo mio aspira,
la mia mente medita
d'incominciare a cantare,
d'iniziare ad intonare,
dipanare un poema della stirpe,
recitare un carme della razza.
Le parole si sciolgono in bocca,
i discorsi precipitano,
irrompono sulla mia lingua,
mi s'infrangono tra i denti. |
Trad. Igino
Cocchi |
Trad. Paolo
Emilio Pavolini |
Trad. Marcello
Ganassini |
|
Analisi critica
Il
Kalevala
costituisce il maggior contributo della
Finlandia alla letteratura universale. È la
più importante opera letteraria di quel
paese, quella su cui sono state fondate la
letteratura e la lingua finlandese. Ma detto
questo, il poema nazionale di Finlandia è di
difficile collocazione, perché è insieme
opera popolare e opera colta, ed è
contemporaneamente il frutto del genio di un
intero popolo, quanto quello di un solo
uomo, Elias Lönnrot.
Da un lato è innegabilmente vero che la
quasi totalità del materiale del
Kalevala
appartiene alla poesia popolare. Lönnrot,
non essendo un poeta, aggiunse raramente
passi che non avessero un preciso riscontro
nel patrimonio folkloristico. Nota Pavolini:
«Raro il caso che il Lönnrot inserisca versi
di sua fattura: dato l'immenso numero di
varianti alle quali poteva attingere e la
prodigiosa memoria che gliene richiamava i
versi più opportuni a un passaggio o a un
attacco, s'intende come non vi sia quasi
linea in tutto il lunghissimo poema che non
trovi corrispondenza nella tradizione
popolare. Così si è avuto il risultato che
nel
Kalevala non c'è un solo canto che venga
realmente e stabilmente cantato dal popolo,
benché tutti veramente popolari siano i
versi di cui si compone»
(Pavolini 1910)
[BIBLIOTECA].
Nel compilare l'opera, Lönnrot aveva
selezionato le numerose varianti e scelto i
passaggi migliori; aveva disposto gli
episodi secondo il suo gusto e, se
necessario, non si era fatto scrupolo di
sostituire un personaggio con un altro,
ordinando il materiale nel modo che gli era
più congeniale. Non diverso, in fondo, era
il modo di operare dei maggiori laulajat,
come Malinen, Kielevöinen e Perttunen, i
quali avevano creato dei piccoli cicli
mettendo insieme gli episodi che
conoscevano. Ma Lönnrot aveva disposto tutto
il materiale epico da lui raccolto – e
taluno anche in più di una variante –, più
un gran numero di canti magici e brani
lirici, in un'unica, grande epopea.
Il Kalevala, per quanto classificabile nel
genere epico, veniva ad essere una sintesi
di tutti i generi della poesia tradizionale
finnica. Lönnrot fu tanto l'ultimo e il
maggiore dei laulajat, quanto il primo
scrittore finlandese. Egli funge da trait
d'union tra la poesia popolare e la
letteratura colta, e il
Kalevala può essere
considerato tanto l'una cosa quanto l'altra.
D'altra parte, conscio che il «suo»
Kalevala era solo uno dei
Kalevalat
possibili, Lönnrot lasciò i quaderni su cui
aveva registrato le numerose varianti
raccolte, nonché i nomi dei cantori da cui
le aveva ascoltate, affinché in futuro fosse
possibile intraprendere studi sull'autentico
materiale popolare, prescindendo dal modo in
cui egli lo aveva utilizzato per compilare
il poema. Domenico Comparetti fornisce il registro
dei canti originari utilizzati da Lönnrot e
delle combinazioni operate su di essi per
ottenere il testo definitivo del poema
(Comparetti 1891).
La pubblicazione del
Kalevala attirò
l'attenzione dell'Europa colta sull'ignorata
nazione baltica. Ma fu anche opera
importantissima per la nascita di un
sentimento patriottico: fornì ai Finlandesi
– fino ad allora contesi tra Svedesi e Russi
– la dignità di un popolo con cultura,
costumi e lingua propri, e ora anche con un
poema nazionale che celebrasse le origini
della nazione e le gesta dei suoi eroi.
Paradossalmente, le prime edizioni del
Kalevala vennero lette soltanto da una
piccola minoranza di finlandesi perché poche
delle persone che avevano accesso ai libri
padroneggiavano la lingua nazionale. La
prima edizione venne tradotta in svedese da Alexander Castrén nel 1844, la seconda da
Karl Collan nel 1849, e fino alla fine
dell'Ottocento il Kalevala venne letto in
traduzione, soprattutto all'estero, dove
suscitò accesi entusiasmi. Due insigni
filologi come il tedesco Jacob Grimm e
l'inglese Max Müller ne riconobbero il
valore. Grimm, in una monografia pubblicata
nel suo Kleinere Schriften, dichiarò che la
genuinità e lo straordinario valore del
Kalevala erano facilmente dimostrabili dal
fatto che le sue concezioni mitologiche
erano in grado di gettar luce su quelle
degli antichi Germani, cosa che non si
poteva dire di costruzioni apocrife come i
canti ossianici del Macpherson. Müller, in
uno dei suoi Oxford Essays, pose
il Kalevala allo stesso livello dei grandi
poemi epici del mondo, degno di trovarsi
fianco a fianco con i poemi omerici, con il
Mahābhārata, lo
Šāhnāmè
Ferdowsiano e il Nibelungenlied.
(Crawford 1888)
Negli anni che seguirono la pubblicazione
del Kalevala, si dibatté a lungo, sia in
Finlandia che all'estero, sulla storia, le
origini e l'antichità della poesia popolare
finnica. Nell'entusiasmo della rinascita
nazionale, si diffuse la convinzione che i
versi del Kalevala
risalissero a epoca
remotissima, se non addirittura preistorica.
Nella seconda metà dell'Ottocento, col
progresso delle correnti critiche, prevalse
invece una scuola storica, di tesi opposta,
di cui fu precursore lo stesso Lönnrot.
Verso il 1870, Julius Krohn (1835-1888),
professore di letteratura finlandese,
intraprese uno studio sul materiale del
Kalevala, cercando di stabilirne l'origine e
la provenienza. In seguito, suo figlio, Kaarle Krohn (1863-1933), il principale
esponente della scuola storica, portò avanti
il metodo inaugurato dal padre, assumendo
che le varianti di ciascun canto
conservassero le tracce delle loro origini e
dei loro spostamenti geografici. Egli
stabilì che vari episodi – come quello del
sampo – si riferissero a imprese più o meno
leggendarie aventi per protagonisti i
vichinghi o i pirati finnici, oppure
riguardassero il confronto storico tra
paganesimo e cristianesimo. Secondo Krohn,
il Kalevala
non offriva, o quasi, un solo
esempio di elementi prettamente mitici; al
contrario, la poesia, i fatti e i personaggi
del poema non potevano risalire oltre l'anno
Mille. Inoltre, il nucleo dei canti veniva
collocato, da Krohn e seguaci, non più nella
Carelia, dove Lönnrot aveva raccolto la
maggior parte del materiale, bensì nel
sud-ovest della Finlandia, nelle contrade
intorno all'antico emporio commerciale di Turku. Dalle coste del Baltico, le ballate e
le saghe scandinave si sarebbero trasmesse
verso l'interno del paese, influenzando la
poesia popolare finnica e creando un
arcaismo posticcio (Krohn
1901-1909).
Alla scuola storica si contrappose ben
presto un punto di vista prettamente
mitologico, di cui fu insigne rappresentante
Eemil Nestor Setälä (1864-1935). Secondo
questa interpretazione, i motivi del
Kalevala avrebbero rispecchiato il pensiero
mitico e cosmico della stirpe finnica, e i
suoi eroi – in linea con l'interpretazione
naturalistica del mito che gli studiosi
applicavano ai primi del Novecento –
sarebbero stati delle antiche divinità della
natura: Väinämöinen un dio del mare,
Ilmarinen un dio dell'aria, e così via. Il
duello tra Väinämöinen
e
Joukahainen poteva
essere letto come allegoria del contrasto
tra l'estate e l'inverno. Il
sampo non
sarebbe stato un tesoro conteso tra antiche
tribù, come affermava la scuola storica,
bensì un motivo collegato alla nozione
antichissima della colonna centrale attorno
a cui gira il cielo, elemento mitico comune
a molti popoli eurasiatici.
Oggi la critica, pur evitando i due
estremi, tende più a dare maggior credito
alla scuola mitica. Se è vero che alcuni
eventi del Kalevala
possono essere
interpretati come ricordo di avvenimenti
storici più o meno recenti, resta il fatto
che non si può assolutamente prescindere dal
carattere spiccatamente mitico e magico
dell'opera. Sottovalutando l'originalità e
la natura della poesia finnica, la scuola
storica aveva cercato dappertutto un
significato razionale e un dato storico
preciso. Ciò che il
Kalevala lascia
prevalere, in realtà, è un sentimento
cosmico, un profondissimo senso della natura
e una concezione della poesia e della magia
che ha pochissimi punti di contatto in altre
culture europee, rendendo ardua l'ipotesi di
un'origine germanica dei canti popolari
finnici.
|
La
religione del Kalevala
La nostra conoscenza dell'antica religione
finnica è viziata dalla questione
dell'attendibilità delle fonti. Tale
problema esiste in effetti anche per altri
sistemi mitologici, come quello celtico e
germanico, i cui documenti letterari sono
piuttosto tardi, se non addirittura redatti
in epoca cristiana. Nel caso dei Finni tale
difficoltà è ancora maggiore.
La gran quantità di canti popolari
registrati dai folkloristi è certo di
primaria importanza per una ricostruzione
della vita religiosa degli antichi Finni.
Una volta depurato degli elementi estranei,
di origine germanica, slava o cristiana,
tuttavia, questo materiale si presenta a noi
particolarmente frammentario, e forte rimane
il sospetto di pesanti alterazioni da parte
degli ultimi laulajat, ormai
irrimediabilmente lontani dal mondo
spirituale dei loro antenati pagani.
Detto questo, l'analisi dei testi ha
permesso il recupero, in certa misura, di
comportamenti cultuali e rappresentazioni
mitologiche che affondano le loro radici nel
mondo mitico dei popoli stanziati nella
fascia settentrionale dell'Eurasia. Tali
popolazioni vengano ripartite in almeno
quattro gruppi linguistici: ugrofinni,
altaici, paleosiberiani e paleoartici. La
ripartizione di queste famiglie linguistiche
è attualmente piuttosto discussa,
soprattutto per quanto riguarda le ultime
due, che tendono a scomparire dai testi più
aggiornati, sostituite da ripartizioni più
complesse. Viceversa, la dizione
«uraloaltaico», proposta da Castrén nel 1844
e che fino a non molti anni fa sottendeva
all'ipotesi di una supposta origine
linguistica dei popoli ugrofinni e altaici,
è stata ormai abbandonata. Nonostante
appartengano a tanti gruppi linguistici
differenti, tuttavia, le credenze religiose
delle popolazioni nord-eurasiatiche
risultano abbastanza omogenee
(Eliade 1968).
Tradizionalmente animisti, i popoli
nord-asiatici non distinguono tra il
materiale e lo spirituale, l'animato e
l'inerte. Al contrario, essi ritengono che
tutti gli esseri e le cose esistenti –
uomini, animali, piante, rocce – dispongano
di una o più anime. Nella loro concezione,
un fiume, una foresta, una montagna, un lago
possiedono la propria anima, sotto l'aspetto
di uno spirito-signore
(Marazzi 1984).
Il mondo mitico dipinto nei canti popolari
finnici rimanda appunto, come già acutamente
rilevato dal Comparetti oltre un secolo fa,
a una matrice animistica e sciamanica
(Comparetti 1891).
Le molte divinità dei boschi, delle nuvole,
del cielo e del mare che vengono
regolarmente invocate nel
Kalevala,
con tanto di delicati e stucchevoli
vezzeggiativi, hanno poco a che vedere con
le superbe e potenti divinità dei Greci o
dei Germani. Sono piuttosto dei genî che
abitano armoniosamente gli elementi di cui
hanno il governo e con i quali gli esseri
umani sembrano tendere a un rapporto di buon
vicinato. Sono effettivamente simili
agli spiriti-guardiani dei popoli
nord-euroasiatici, che gli sciamani cercano
ancora oggi di ingraziarsi con offerte,
piccoli servizi e parole gentili, affinché
si prendano cura di chi li invoca e
forniscano primizie o cacciagione. Molti
canti magici del
Kalevala possono essere
agevolmente confrontati con le invocazioni
sciamaniche raccolte nell'area
uralico-siberiana.
Il termine finlandese per questi spiriti
della natura è haltiat (da hallita
«governare»). Per quanto i canti popolari li
descrivano spesso antropomorfi, abbigliati
con vestiti eleganti e variopinte calzature,
armati con archi e spade, e dotati di
numerosa famiglia, è evidente che questi
esseri sono in realtà considerati in certa
misura immateriali e, nonostante le
notazioni dei primi studiosi, non del tutto
indipendenti dagli ambienti e dalle cose che
hanno in potestà.
Quasi tutte le divinità che compaiono nel
Kalevala
sono spiriti di questo o quell'elemento: del
bosco, del mare o del cielo. La tajga,
ad esempio, è la dimora di
Tapio,
onde per cui le foreste assumono l'epiteto
poetico di
Tapiola.
Questo «gentile dio dei boschi» è sovente
descritto alto e slanciato, abbigliato con
una lunga veste marrone, un manto di muschio
e un cappello di aghi di pino. La sua
consorte è
Mielikki, la quale detiene le chiavi del
tesoro di
Tapiola,
per cui è spesso invocata dai cacciatori.
Loro figli sono il maestoso
Nyyrikki, il cui compito consiste nel
rendere praticabili le paludi attraversate
dalle mandrie che si recano ai pascoli
boschivi, e la leggiadra
Tellervo, l'«Artemide finlandese»,
patrona dei cacciatori. Ora,
Tapio
corrisponde a una ben precisa classe di
divinità o spiriti boschivi diffusi presso
molti popoli uraloaltaici. Gli Altaiani (Teleuti) si
rivolgono a Tayġa Tös,
il signore delle foreste, perché decreti
loro successo nella caccia; gli Jacuti
conoscono invece Bāy
Bayanay, lo spirito-signore dei
boschi [tïa iččitä], al quale, con i
suoi fratelli e sorelle, è legato tutto
quanto riguarda la forza e il rigoglio della
vita (Marazzi 1984).
Questa classe di personaggi ha lasciato una
traccia nel folklore slavo, dove ha prodotto
la figura del lešij,
lo spirito dendrico che vive nel profondo
dei boschi, e che ricompare nelle fiabe
russe nei panni del possente boscaiolo
Dubynja
(Giansanti 2008).
Come la foresta, anche il mare, i fiumi e
tutte le acque hanno i loro patroni.
Spirito-signore dell'elemento liquido è
Ahto, da cui il
regno sottomarino prende l'epiteto poetico
di Ahtola. Egli
è signore dei pesci e di tutte le ricchezze
del mare, e la sua sposa è la benigna
Vellamo. Da
loro proviene una numerosa discendenza – gli
Ahtolaiset – che ha dominio non solo
sul mare, ma anche su fiumi, laghi, sorgenti
e cascate. Anche in questo caso sono
possibili confronti con certi
spiriti-guardiani delle acque attestati
nell'area uralico-siberiana, ma vi sono
anche elementi dell'epica slava e germanica
che manifestano un legame diretto con la
tradizione finnica. Ad esempio, il mostruoso
Vetehinen può essere confrontato con lo
spirito russo delle acque, il
vodjanoj.
E ancora, in alcune ballate [byliny]
del ciclo di Novgorod, si narra la vicenda
del mercante Sadko
il quale, disceso nei reami sottomarini,
incanta lo zar del mare [car' morskoj]
con le melodie suonate sulla sua gusli.
La vicenda ha certamente più di un rapporto
con l'episodio, contenuto nel
quarantaduesimo runo del
Kalevala,
in cui Ahto
s'impadronisce del kantele di
Väinämöinen, caduto nei flutti del mare,
e lo trattiene a eterno diletto del suo
popolo (Giansanti
2008).
Il dio supremo del pantheon finnico è
Ukko,
il «vecchio», signore del cielo. Ma si
tratta di una divinità più meteorologica che
uranica: chiamato nel Kalevala «signore
delle nubi», «dominatore dei venti» e «padre
dei cieli», egli controlla le nuvole,
scatena la pioggia, scaglia le folgori. È
rappresentato seduto tra i nembi, con il
firmamento alle spalle: la sua spada è il
fulmine, il suo arco è l'arcobaleno, le sue
frecce sono di rame.
Ukko,
nell'immagine tramandata nei canti popolari
finlandesi (e ancor più estoni, dove
Ukkonen è più
specificatamente un dio del tuono) sembra
avere ereditato molti tratti dal dio
scandinavo
Þórr , quale ad esempio l'uso di un
martello per creare il rimbombo del tuono (è
stato anche proposto un possibile legame
etimologico tra il nome di
Ukko e
l'epiteto
Öku-Þórr attribuito al dio scandinavo
del tuono).
Uno dei nomi con i quali
Ukko è
conosciuto nel Kalevala,
Jumala
– teonimo che in finlandese moderno indica
il Dio cristiano – significa in realtà
«paese del cielo», indicando, nel suo
significato originale, una dimora poetica e
non un personaggio. Si tratta di una
rappresentazione caratteristica dei popoli
dell'Asia settentrionale e centrale, i quali
manifestano, nella loro immensa estensione
geografica, un culto del cielo, inteso
innanzitutto nel suo puro aspetto uranico, e
poi nell'ipostasi di un dio supremo che in
una certa misura s'identifica col cielo
stesso. I popoli di lingua turco-altaica
usano la parola Tengri, nelle
numerose varianti locali (Tängärä tra
Tatari e Teleuti, Tangir tra i
Beltiri, Taŋara tra gli Jacuti,
Tura tra i Čuvaši, Tŋri presso i
Mongoli, Teŋeri presso i Buriati), a
indicare sia il «cielo» che il «supremo dio
del cielo», o anche, per estensione,
qualsiasi spirito celeste di rango minore.
Il cielo è l'archetipo della perennità dei
cicli cosmici, mentre il dio-cielo ne è il
garante nel mondo terreno, naturale e
sociale. Egli è qan, cioè «signore» e
«padrone» di ogni cosa. Presso i Čeremissi
il supremo dio-cielo si chiama
Jumē «cielo» (cfr.
il finlandese
Jumala).
Il teonimo più frequente presso i Samoiedi,
gli Ostiachi e i Voguli è
Nūm-tūrem
«l'alto». Più a sud, per gli Ostiachi dell'Irtyš,
il nome è Sänke
«il luminoso». Presso i Tungusi si usa il
nome Buga
«cielo, mondo». I titoli del dio-cielo
turco-altaico sono innumerevoli, ma una
breve enumerazione di essi può dare un'idea
più precisa della sua natura e delle sue
funzioni. Per i mongoli è
Kögö Moŋko
«cielo azzurro». Nella poesia religiosa
degli Jacuti è chiamato Ürüŋ Ay Toyon
«bianco signore creatore». È
Tängärä Qayraqan
«supremo qan del cielo» presso i
Turchi sud-siberiani. Questi ultimi
conoscono anche, tra le maggiori divinità
celesti, Bay Ülgän
«grande ricco» e
Yalqïn Ǟzi «signore della fiamma»,
dominatore del fulmine, le cui invocazioni
contengono immagini non dissimili da quelle
fornite nel
Kalevala per
Ukko.
(Giansanti 2008)
Questi è frequentemente invocato nelle
occasioni più disparate, e in genere si
dimostra premuroso e attento. Così, quando
il fuoco viene rubato agli uomini dalla
signora di Pohjola,
Ukko
subito attizza un nuovo fuoco con la sua
spada. E ancora, quando
Lemminkäinen è a caccia del cavallo di
fuoco, Ukko,
invocato dall'eroe, blocca il possente
destriero investendolo con un'improvvisa
tormenta di neve. Ma non sempre
Ukko
interviene, o è in grado di farlo. Invano
Väinämöinen lo implora di fermare
l'emorragia dalla ferita che si è inferta
sul ginocchio con l'ascia, ma la guarigione
non sarà possibile finché il cantore stesso
non ricostruirà l'origine del ferro.
Il sole [päivä] e la luna [kuu]
sono ugualmente personificati, e hanno figli
e figlie. A volte gli eroi del
Kalevala
si rivolgono all'uno o all'altra per
chiedere consiglio e aiuto, e possono
riceverlo o non riceverlo, a seconda
dell'umore di questi. Per esempio, quando,
nell'ultimo runo del poema,
Marjatta è alla
ricerca del figlio scomparso, la Luna e la
Stella si rifiutano di aiutarla, e solo il
Sole svela alla vergine dove si trovi il suo
bambino.
Ma una visione del mondo religioso dei Finni
non sarebbe certo completa senza prendere in
esame il mondo dei morti e gli spiriti che
lo controllano. Signore del mondo infero è
Tuoni
o Mana
(da cui prende nome il paese sotterraneo,
Tuonela
o Manala).
Rappresentato come un vecchio inflessibile,
con unghie di ferro e un cappello calcato
fino alle spalle,
Tuoni
corrisponde all'Ärlik
Qan delle concezioni altaiche,
signore degli strati inferiori del mondo. La
relazione cinquecentesca di Mikael Agricola
afferma che il culto dei morti fosse
piuttosto sviluppato, presso gli antichi
Finni. Non conosciamo però gli usi funebri,
se non attraverso le ricostruzioni
documentate dal folklore. Pare che i Finni
credessero che gli spiriti dei morti
rimanessero nelle tombe – su cui presiedeva
Kalma,
dio della morte – fino alla completa
disintegrazione dei corpi
(Crawford 1888).
Liberatesi, le anime si imbarcavano lungo il
fiume, nero e impetuoso, che conduceva al
Tuonela,
dove Tuoni
avrebbe fatto loro da governante e, insieme,
da custode.
Tuonetar, la vecchia e orrenda sposa di
Tuoni,
che nel Kalevala
viene ironicamente chiamata «buona signora»
[hyvää emäntä], cucinava ai suoi
ospiti brodaglie di lucertole, vermi, rospi
e serpenti. È questo il cibo che viene
offerto a
Väinämöinen, nel sedicesimo runo,
quando si reca nel
Tuonela
a cercare le parole magiche necessarie alla
costruzione della sua barca. Il saggio
cantore evita saggiamente sia di bere che di
mangiare il cibo dei morti e, sfuggendo agli
spaventosi pericoli del mondo sotterraneo,
riesce infine a tornare sulla terra. Il suo
viaggio nel mondo infero ricorda le catabasi
degli sciamani siberiani, i quali, calandosi
nei mondi ipoctoni, devono superare paurosi
ostacoli, prima di arrivare al cospetto di
Ärlik Qan e dei
suoi tremendi figli (Marazzi
1984).
|
La mitologia del Kalevala
Il verso «Vaka vanha Väinämöinen» è il
leit-motiv che nel poema annuncia le apparizioni
del «vecchio vate
Väinämöinen».
Figlio della dea
Ilmatar che lo tiene in grembo per settecento
anni,
Väinämöinen nasce già vecchio, al principio del
tempo. Ma la sua antichità è ragione della sua
profondissima sapienza. Egli è il depositario della
conoscenza tradizionale del popolo finnico; conosce
le origini profonde di tutte le cose ed è in grado di
imporre il suo potere su di esse. È l'inventore del
kantele: suonandolo, può incantare gli
elementi della natura, affascinare gli esseri
soprannaturali, indurre uomini e donne alla gioia,
alla danza, al pianto o al sonno. La figura di
Väinämöinen
non ha precisi riferimenti nella mitologia di altri
paesi europei. Per quanto non sia difficile citare
figure di leggendari stregoni (Gwydion,
Myrddin,
Óðinn,
Volch Vseslav'evič), il personaggio di
Väinämöinen
non può essere direttamente confrontato con nessuno
di essi. Egli non è un mago vero e proprio, ma
piuttosto un cantore, un poeta, l'archetipo di tutti
i laulajat. I suoi incantesimi sono la semplice conseguenza del suo
dominio sulla Parola. In questo senso egli sembra più simile a certe figure di
aedi presenti nell'area slava. Lo
Slovo o
pŭlku Igorevě cita un mitico cantore a nome
Bojanŭ:
il passo, non privo di reminiscenze sciamaniche, può
essere agevolmente messo in correlazione con le
immagini che il Kalevala
riferisce a
Väinämöinen.
Accanto a
Väinämöinen si erge, secondo dei protagonisti del
Kalevala,
l'«eterno fabbro»
Ilmarinen.
Questi è l'archetipo di tutti gli artigiani del
metallo, tanto da vantarsi di aver forgiato
addirittura la volta le cielo. E in effetti è
possibile che alla base di questa figura di Ilmarinen
vi sia un antico dio atmosferico: il suo nome deriva
da ilma «aria» (e forse il suo nome è da
mettere in correlazione con
Inmar, divinità suprema dei Votjachi
(Moreau 1981)). Nel suo
«canone» delle divinità pagane, Mikael Agricola
afferma che
Ilmarinen sia il dio responsabile del bello e del
cattivo tempo, e aggiunge che i viandanti lo invocano
perché egli li scorti lungo le strade
(Comparetti 1891). È
Ilmarinen a
forgiare il sampo, il meraviglioso strumento che reca
ricchezza e prosperità alla gente di Pohjola. Ma
nonostante la sua finissima arte, a volte Ilmarinen
dimostra i suoi limiti. Fabbrica per sé una fanciulla
d'oro, ma non riesce a darle il calore della vita.
Forgia un sole d'argento e una luna d'oro per
sostituire gli astri rubati dal cielo da
Louhi, ma deve
realizzare che anche i più nobili metalli non possono
rischiarare le tenebre.
Il terzo eroe del Kalevala
è il giovane e simpatico
Lemminkäinen.
Sempre pronto a lanciarsi nelle imprese più audaci, e
altrettanto disinvolto quando si tratta di sedurre
ragazze e donne sposate, questo scanzonato Don
Giovanni boreale è afflitto da una madre piuttosto
apprensiva. Ogni volta che egli manifesta
l'intenzione di partire per una delle sue avventure,
la vecchia si dispera e cerca di trattenerlo,
descrivendogli i tremendi pericoli che lo attendono
lungo la strada. Ovviamente
Lemminkäinen
non le presta ascolto, ma quando viene ucciso e fatto
a pezzi da un sicario inviato dalla signora di
Pohjola, è
proprio la povera madre a rimettere insieme il suo
corpo smembrato, resuscitandolo dal regno dei morti.
Il motivo ha ovviamente portato gli studiosi, sulla
scolta di J.G. Frazer, a ripensare al mito egiziano
di Osiride.
Tutta la prima parte del
Kalevala è incentrata sui tentativi dei
tre eroi –
Väinämöinen,
Ilmarinen e
Lemminkäinen
– di ottenere la mano di una delle fanciulle di
Pohjola.
Louhi, vecchia
maga priva di scrupoli, sfrutta l'avvenenza delle sue
figlie, non senza cinismo, per irretire gli eroi di
Kalevala e
indurli a compiere per lei difficilissime imprese. La
terra di cui è signora,
Pohjola (da
pohja «nord»), è descritta come un luogo
freddo e tenebroso. Si comprende come
Louhi ambisca
al magico sampo,
fino al punto di offrire la mano di una delle sue
figlie a colui che sarà in grado di forgiarlo. È
appunto
Ilmarinen a riuscire nell'impresa e a ottenere
l'ambita moglie.
Almeno un terzo del Kalevala
è incentrato sul motivo della conquista della sposa,
ma ciò nonostante, il poema è assai poco benevolo
riguardo l'amore sentimentale. Le figlie di
Louhi sono
trattate come semplici oggetti di scambio tra le
genti di Pohjola
e gli eroi di
Kalevala. I runot dal ventesimo al
ventiquattresimo sono costituiti perlopiù da canti
nuziali; vi spiccano lunghe sequenze di consigli
prematrimoniali nelle quali si ricorda alla giovane
sposa quali saranno i doveri domestici che la
attendono a casa del marito e, soprattutto, dei
suoceri.
Ma anche le altre storie d'amore narrate nel poema
non hanno accenti più elegiaci. La giovane
Aino viene
ceduta dal fratello
Joukahainen
a Väinämöinen,
che l'ha sconfitto a una gara di sapienza poetica. Ma
la ragazza, non desiderando andare in sposa a un
vecchio, pur tanto celebrato, si suicida gettandosi
in acqua da una roccia. È forse indicativo il fatto
che la tragica storia di
Aino sia stata
cantata per la prima volta al Lönnrot proprio da una
donna, la vedova Matro del villaggio di Uhtua – in
seguito rinominato Kalevala dalle autorità
sovietiche – nel 1834. La solitudine rende
Väinämöinen
una figura piuttosto malinconica, e questo è un
tratto importantissimo nella definizione del
personaggio.
Ma se l'amore non è quasi mai motivo di immagini
liriche, il Kalevala
è particolarmente disincantato anche per quanto
riguarda le imprese eroiche. Paragonato alla maggior
parte della produzione epica europea, al poema
finlandese mancano del tutto quelle figure di
campioni, celebrati nell'epica omerica e celtica, che
combattono per dimostrare l'eccellenza del loro
valore, o quei melanconici cavalieri di un Medioevo
votato a ideali spirituali. Al contrario, nessuno
degli eroi del Kalevala
è un guerriero.
Väinämöinen
è un cantore,
Ilmarinen un fabbro,
Lemminkäinen
un avventuriero, e in qualche misura tutti possiedono
poteri magici. Soltanto
Kullervo
manifesta un carattere violento, ma la sua unica
impresa bellica viene liquidata in pochi versi ed
egli ritorna alla sua casa distrutta solo per
rendersi conto di quanto la guerra sia impresa
funesta e insensata. Protagonista di un piccolo ciclo
a sé, Kullervo
si stacca dagli altri personaggi del poema per il suo
fato cupo e doloroso. È un personaggio tormentato,
non privo di tratti crudeli, vittima della faida che
oppone le genti di suo padre
Kalervo a
quelle di Untamo.
Seduce la sorella, non avendola riconosciuta, e la
ragazza si suicida per la vergogna. Afflitto dal
rimorso, disperato e solo,
Kullervo si
uccide a sua volta gettandosi sulla propria spada.
Invano cercheremo nel
Kalevala imprese guerresche. Al contrario,
ogni scontro si svolge nel regno della Parola. Nel
secondo runo,
Väinämöinen
e Joukahainen
si affrontano mettendo alla prova la loro sapienza
poetica, e il vecchio cantore non impiega molto a
«cantare» una palude sotto i piedi dell'orgoglioso
giovane, piantandolo al suolo e costringendolo alla
resa. In finlandese laulaa vuol dire tanto
«cantare» quanto «compiere incantesimi». Nella
semantica del Kalevala,
la parola si identifica con l'oggetto stesso.
Allo stesso modo, allorché un eroe si trovi in
pericolo, può salvarsi grazie alla conoscenza delle
origini della cosa o creatura che lo sta minacciando.
Ad esempio, nel nono runo, dopo essersi
malaccortamente ferito con una scure,
Väinämöinen
stagna il sangue cantando l'origine del ferro.
Lönnrot inserisce nel testo del
Kalevala una lunga serie di incantesimi
che forniscono un quadro impressionante delle
pratiche magiche degli antichi Finni. Vi sono
scongiuri per placare i serpenti
[XIX | XXVI], contro il
freddo e gli stregoni [XXX],
per ammonire l'orso [XXXII],
per calmare le onde e i venti [XLII],
per guarire dalle malattie [XLV]
e dalle ustioni [XLVIII].
Questa straordinaria concezione della parola, questo
canto quale tramite di una conoscenza profonda delle
cose, in grado dunque di evocarle e dominarle, non è
del tutto sconosciuta nel resto d'Europa, ma soltanto
nell'epopea finlandese assurge a un'importanza tale
da scavalcare ogni altra funzione. E quando troviamo
dei motivi simili, ad esempio in alcuni passaggi dell'Hávamál
(una composizione eddica in cui il dio
Óðinn
elenca i canti magici che conosce e l'impiego al
quale sono destinati), rimane il dubbio di un
influsso di matrice finnica.
Se la prima metà del
Kalevala è incentrata sul motivo della
conquista della sposa, la seconda parte del poema ha
per argomento la conquista del
sampo. I tre eroi,
Väinämöinen,
Ilmarinen e
Lemminkäinen,
finalmente riuniti, intraprendono una spedizione
contro la gente di
Pohjola al
fine di riprendersi il magico strumento.
Louhi li
insegue e, nel corso dello scontro, lo strumento cade
in mare e va in pezzi. I frammenti più grandi si
perdono negli abissi, e da essi derivano le
inesauribili risorse del mare. I cocci più piccoli,
gettati dalle onde sulla spiaggia, vengono raccolti
da
Väinämöinen che li porta in
Kalevala,
dove contribuiranno alla ricchezza e al benessere del
paese.
Anche se la convergenza dei tre protagonisti del
poema sembra sia stata una scelta precisa dello
stesso Lönnrot (altre varianti del
Kalevala
presentano infatti diversi assortimenti di personaggi
(Comparetti 1891)), la
vicenda in sé sembra costituire il nucleo più antico
del poema. Ma la domanda alla quale sia più difficile
rispondere, e che ha messo maggiormente a dura prova
gli studiosi, è che cosa sia esattamente il
sampo.
Dell'oggetto viene fornita una descrizione,
decisamente surreale, da cui si evince che è fornito
di un coperchio girevole, tre bocche di mulino e tre
radici: una nella terra, una nell'acqua e la terza
dentro casa. Il poema non fornisce altri dettagli, e
da oltre un secolo, gli studiosi non hanno smesso di
interrogarsi riguardo alla natura del
sampo. Secondo la
scuola storica, come abbiamo detto, esso adombrerebbe
un tesoro, forse un idolo, oggetto di un'antica
contesa tribale. Secondo la scuola mitica, il sampo
sarebbe una metafora naturalistica; il «coperchio
variopinto» potrebbe essere in tal caso interpretato
come un'immagine della volta del cielo.
Oggi la maggior parte degli studiosi è persuasa che
il sampo vada interpretato in senso cosmologico, come
d'altronde suggerisce la comparazione con analoghe
nozioni diffuse tra i popoli uralico-siberiani a est
e quelli germanici a sud-ovest. Nella prima delle due
aree è caratteristica la visione di un universo
costituito da tre livelli verticali – cielo, terra,
inferi – collegati da un asse centrale. L'asse
fornisce il passaggio attraverso il quale gli dèi
scendono sulla terra e i morti vanno nelle regioni
sotterranee; è inoltre il mezzo attraverso il quale
lo sciamano compie i suoi viaggi estatici nei mondi
celesti e ipoctoni. Quest'immagine cosmologica è
forse ispirata dalla yurta, la tipica tenda
delle popolazioni nomadi dell'Asia: il cielo ne è la
parte superiore e l'asse è il palo centrale che la
sorregge. La stella polare, che brilla al centro del
cielo, la fissa agendo da picchetto, onde per cui in
alcune culture viene chiamata «chiodo del nord»
(Eliade 1983).
Il sampo sarebbe
dunque collegato alla nozione antichissima dell'axis
mundi, la colonna che sostiene il firmamento
(Gummerus 1969). Una
possibile etimologia lo connetterebbe al sanscrito
skambha, termine che nella poesia sapienziale
indica il fulcro dell'universo
(De Santillana ~
Van Dechend 1969). In diverse tradizioni, l'axis
mundi è costituito da un albero cosmico, il quale
sorge dal centro del mondo e costituisce, col tronco,
l'asse centrale intorno al quale ruota il cielo.
Quest'immagine è diffusa in tutta l'Asia, ma la
ritroviamo anche tra i popoli germanici, dove è
arrivata probabilmente per tramite finnico. Nei miti
norreni si narra infatti del frassino
Yggdrasill, che
sorregge i «nove mondi» della cosmologia scandinava,
mentre le sue tre radici – come quelle del
sampo – penetrano
il suolo raggiungendo rispettivamente il regno dei
morti, quello dei giganti e quello degli uomini (o
degli dèi) (Völuspá
[2] |
Gylfaginning
[15-16]).
Ma questa nozione di albero cosmico si confonde
spesso, nella mitologia norrena, con quella di un
lúðr o «mulino». In un poema eddico, il
Grottasöngr,
si narra del mulino Grotti,
in grado di macinare qualunque cosa gli venga
richiesta. Il re danese Fróði
incatena due gigantesse, Fenja
e Menja, alla macina, e
ordina loro di macinare ricchezze e prosperità per il
suo regno. Le due robuste donne si mettono all'opera
ma poi, affrante dalla fatica, evocano un esercito
invasore che distrugge il regno di
Fróði. Il
Grotti viene caricato su
una nave, ma – proprio come accade al
sampo – sprofonda
in mare, e «da allora vi fu un gorgo nel mare, ove le
acque cadono nell'occhio della macina» [BIBLIOTECA]. Da quel
giorno, laggiù negli abissi, il mulino continua a
macinare sale, ed è per questa ragione che il mare è
salato. Nel loro magistrale studio, Giorgio De Santillana ed Hertha Von Deckend hanno analizzato
tali mitiche immagini di mulini e assi cosmici,
mostrandone la natura astronomica, e li hanno messi
in correlazione con il fenomeno della precessione
degli equinozi. Il motivo dello sradicamento e
dell'affondamento del sampo rappresenterebbe, secondo
i due autori, lo scardinamento dell'asse cosmico alla
fine di un ciclo precessionale, e il ristabilimento
di un nuovo asse all'inizio del ciclo successivo
(De Santillana
~ Van Dechend
1969).
Ciò che Lönnrot voleva – e a cui arrivò perfettamente
– era comporre, partendo dalla poesia popolare,
un'epopea che restituisse alla Finlandia la fierezza
delle sue origini. Ma per far questo egli mise
insieme il suo materiale, interpretandolo secondo
l'immagine che egli stesso si era fatto riguardo alla
natura di un'ipotetica, perduta epopea finnica.
Un caso emblematico è rappresentato dell'episodio
della vergine-madre Marjatta,
che Lönnrot pose a chiusa del suo poema, nel
cinquantesimo runo del
Kalevala. Il nome di
Marjatta riecheggia
ovviamente quello della Vergine Maria. Tuttavia, il
modo in cui la ragazza concepisce il suo bambino –
ingoiando una bacca – è un tópos
caratteristico della tradizione popolare. Lönnrot ne
fa una versione letteraria della nascita verginale
che, nei suoi molti livelli di lettura, è insieme
pagana e cristiana. Il bimbo che nasce, dapprima
condannato a morte dal vecchio
Virokannas – così come Erode aveva cercato di
uccidere il piccolo Gesù –, poi consacrato re di
Carelia, rappresenta, come già nell'esoterismo
classico di Virgilio, il signore della nuova età del
mondo. Se l'episodio della nascita verginale del
bimbo viene posto poco dopo il racconto dello
sradicamento del sampo, è ovviamente a causa delle
necessità espositive del materiale epico, e non per
qualche astruso calcolo mitologico, ma senza dubbio
il puer meraviglioso, in Lönnrot come in
Virgilio, regola il passaggio tra l'antica età eroica
e la nuova èra (contrassegnata dall'avvento del
Cristianesimo?) che si apre per la Finlandia. Il
vecchio vate
Väinämöinen, incapace di accettare il trapasso
epocale, abbandona la terra di
Kalevala e
prende il mare, dirigendosi là dove la terra e il
cielo s'incontrano. Egli rimarrà laggiù finché le sue
genti non lo richiameranno indietro, in un futuro
escatologico in cui alla Finlandia necessiterà un
nuovo sampo, in
cui in cielo risplenderanno un nuovo sole e una nuova
luna.
Väinämöinen
lascia però indietro il kantele e
l'inestimabile patrimonio dei suoi canti, affinché le
generazioni future non dimentichino mai la fierezza
delle loro origini.
Vaan kuitenki kaikitenki
la'un hiihin laulajoille,
la'un hiihin, latvan taitoin,
oksat karsin, tien osoitin.
Siitäpä nyt tie menevi,
ura uusi urkenevi
laajemmille laulajoille,
runsahammille runoille,
nuorisossa nousevassa,
kansassa kasuavassa. |
Nonostante, ad ogni modo,
ai cantor mostrai le tracce,
potai rami, tagliai foglie
per mostrar loro la via.
Or di qua la via comincia,
si distende nuova strada
per cantori più sublimi,
per poeti più fecondi,
nella stirpe che su viene
e nel popolo che cresce. |
Kalevala [L: 611-620] |
Fornendo una preistoria al suo popolo, Elias
Lönnrot lo colloca finalmente nella storia.
|
Il
Kalevala in Italia Nel
nostro paese, il primo a occuparsi dei canti
popolari finnici, fu il mantovano Giuseppe
Acerbi (1773-1846), il quale viaggiò
attraverso la Finlandia negli anni
1798-1799. Talento eclettico, poliglotta,
Acerbi era anche un etnologo dilettante e
registrò un gran numero di osservazioni sui
costumi delle popolazioni incontrate nel
corso del suo viaggio (è considerato il
primo a riportare la parola sauna).
Assistette alle esecuzioni dei canti
popolari da parte dei laulajat
finlandesi, di cui lasciò importanti
testimonianze, per quanto oggi non sia
considerato un osservatore del tutto
affidabile. Poco amato in Italia per le sue
simpatie filo-austriache, Acerbi è invece
assai apprezzato in Finlandia. Notissime,
alcune poesie popolari che egli raccolse nel
corso del suo viaggio, quali Jos mun
tuttuni tulisi («Se il mio
amato caro venisse») e la ninna nanna Nuku, nuku
nurmilintu («Dormi, dormi
uccellino»). Acerbi trascrisse anche
delle melodie popolari, assai importanti
sotto l'aspetto etnomusicologico. Musicista
egli stesso, approfittò di una sosta forzata
a Oulu per dedicarsi alla composizione: in
uno dei suoi quartetti per clarinetto viene
utilizzata una melodia tradizionale finnica:
si tratta della prima composizione classica
basata su un tema kalevaliano
(Gabrieli 1971 |
Arduini ~
Barella 2007).
Dopo la compilazione del
Kalevala
da parte di Lönnrot, trascorsero diversi
anni perché gli studiosi italiani
cominciassero a interessarsi all'epopea
finlandese. Importantissimo il lavoro del
filologo Domenico Comparetti (1835-1927). Il
suo saggio, Il
Kalevala o la poesia tradizionale dei Finni
(1890), basato su un quadro
interpretativo che assegnava un ruolo di
primo piano allo sciamanesimo, costituì per
decenni un'opera fondamentale in materia
finnica, non soltanto in Italia, ma anche
all'estero, dove fu conosciuto e apprezzato
nelle traduzioni inglese e tedesca.
Ma la prima traduzione integrale del
Kalevala,
a opera di Igino Cocchi (1827-1913), fu
pubblicata soltanto nel 1909 dalla Società
Tipografica Editrice Cooperativa di Firenze,
con una dettagliata introduzione di Domenico
Ciàmpoli. Professore di geologia e
paleontologia all'Istituto di studi
superiori della stessa città, Cocchi era
rimasto affascinato dalla terra e dalla
cultura finlandesi, dopo un viaggio compiuto
nel 1902. Negli anni successivi, egli si era
dedicato al non facile compito di fornire
una traduzione italiana del poema nazionale
finlandese. Poco convinto dell'opportunità
di utilizzare gli ottonari del testo
originale, Cocchi sperimentò un gran numero
di metri diversi prima di arrendersi al
metro principe della nostra letteratura,
l'endecasillabo, e al fine di conferire un
afflato «classico» al
Kalevala, chiamò i
runot finnici con un dantesco «canti»
(Ciàmpoli 1909).
Ma proprio mentre veniva pubblicato il
Kalevala
di Cocchi, un altro studioso era all'opera
sul poema finlandese. Paolo Emilio Pavolini
(1864-1942), ordinario di sanscrito e
civiltà dell'antica India presso
l'Università di Firenze, era assai
apprezzato per le sue traduzioni del
Mahābhārata
e del Rāmāyaṇa.
Egli aveva cominciato a occuparsi del
Kalevala
fin dal gennaio del 1903, allorché aveva
preso a tradurne degli stralci come
esercizio nel suo studio della lingua
finlandese. Nonostante volgesse il poema in
prosa letterale, Pavolini si era
meravigliato nel notare quanto
spontaneamente gli ottonari si
introducessero nella sua traduzione ad
verbum, così si era ben presto arreso a
quell'esigenza metrica e aveva finito col
tradurre l'intero
Kalevala nel suo metro originale.
Nel 1904 Pavolini si recò in Finlandia
per approfondire la sua conoscenza della
lingua e della cultura finnica. Nel corso
del viaggio ebbe modo di conoscere due
studiosi della levatura di Kaarle Krohn ed
Eemil N. Setälä, i quali lo incoraggiarono a
proseguire la difficile traduzione del
Kalevala.
Nel 1907 il lavoro fu consegnato all'editore
Remo Sandron di Palermo, il quale volle
dargli una veste di lusso nella sua collana
«Biblioteca dei Popoli», allora diretta da
Giovanni Pascoli: un volume in 4°, a due
colonne, di 367 pagine (più 24 di
introduzione), e ventitré illustrazioni
fototipiche tratte dai dipinti di
Gallén-Kallela [MUSEO]
e altri artisti. La traduzione del Pavolini
uscì nel 1910, un anno appena dopo quella
del Cocchi.
Intanto, sia Pavolini che il suo editore
avevano manifestato l'intenzione di
affiancare, alla versione integrale del
Kalevala,
un'edizione ridotta, più snella, accessibile
a un maggior numero di lettori. L'editio
minor, ridotta a un terzo del testo
originale, venne però pubblicata soltanto
nel 1935 dalla casa editrice Sansoni, nella
collana «Biblioteca Sansoniana Straniera»,
all'epoca curata dallo stesso Pavolini. Tale
pubblicazione coincise con il centenario
della prima edizione del
Kalevala
in Finlandia e Pavolini volle
dedicarla alla memoria dell'amico Setälä,
scomparso nello stesso anno. Rispetto al
metraggio integrale, erano stati eliminati
parecchi episodi minori, varie ripetizioni e
lungaggini, oltre a un certo numero di canti
magici; brevi raccordi in prosa sostituivano
le sezioni escluse. L'editio minor
ebbe diverse ristampe, l'ultima delle quali
nel 1984.
Nonostante godesse di ottima
considerazione presso studiosi e
appassionati, e fosse assai apprezzata
persino dagli stessi finlandesi, la
traduzione integrale di Pavolini fu del
tutto ignorata dall'editoria italiana per
ben novantasette anni. Soltanto nel 2007, il
Kalevala
di Pavolini è tornato di nuovo in
libreria, per i tipi della casa editrice Il
Cerchio di Rimini. Infine, nel 2010,
Marcello Ganassini ha proposto una nuova
traduzione, questa volta in versi sciolti e
ottimamente annotata. Edita dalle
Mediterranee, si appresta a diventare la
migliore edizione del
Kalevala attualmente
disponibile in lingua italiana.
Due, le traduzioni in prosa. La prima,
Kalevala: Epopea
nazionale finlandese, a cura di
Francesco Di Silvestri Falconieri, è apparsa
nel 1912. La seconda,
Kalèvala: miti incantesimi eroi nella
grande saga del popolo finlandese,
a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia
Magini, è uscita nel 1988 negli Oscar
Mondadori. Per quanto sia stata per un certo
tempo la versione più conosciuta dal
pubblico italiano, quest'ultima edizione ha
fatto storcere il naso ai puristi per la
scelta delle due curatrici di offrire un
testo in prosa, considerato più agevole per
il grande pubblico. Non nuove a operazioni
non sempre felici di popolarizzazione di
testi epici e mitologici, la Agrati e la
Magini hanno così giustificato la loro
scelta: «È nostra convinzione che una
versione in versi avrebbe appesantito il
poema fin quasi a leggerlo illeggibile.
Poiché invece lo scopo era di dare di un
così ricco materiale una lettura piacevole e
accessibile a un vasto pubblico, abbiamo
preferito ricorrere alla prosa, sforzandoci
però di restituire il ritmo e soprattutto lo
spirito dei canti» (Agrati
~ Magini 1988). Ne risulta in realtà
un testo farraginoso, privo della melodiosa
levità dell'originale.
Numerose sono tuttavia state, nel corso
degli anni, le edizioni per ragazzi del
Kalevala.
La prima in assoluto sembra essere quella
contenuta nel volume
Epopee, curato dallo scrittore
spagnolo Miguel Escalada (1926). Segue
l'ottima versione di Elena Primicerio, Finlandia, terra
d'eroi: Racconti di Kalevala,
pubblicata nel 1941 e riproposta nel corso
degli anni da Bemporad, Marzocco e Giunti
(l'ultima edizione è del 2007). Tra le altre
riduzioni per ragazzi ricordiamo quella di
Pino Bava (1957), di Giovanni Randone
(1971), di Gabriella Agrati e Maria Letizia
Magini (1987). Splendida la riduzione della
scrittrice Ursula Synge (Land of Heroes:
a Retelling of the Kalevala, 1978),
uscita col titolo
Racconti finlandesi presso la
casa editrice La Scuola (1980). |
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