Poema epico del medioevo slavo-orientale, lo
Slovo o pŭlku
Igorevě, o «Cantare delle gesta di Igor'»,
secondo uno dei possibili modi di sciogliere
l'ambiguità del titolo, ha per argomento la tragica sconfitta
di un esercito russo avvenuta nel 1185 ad
opera dei Polovesiani o Cumani (russo Polovcy), un popolo di origine turanica, stanziato a nord del Mar Nero.
Scritto forse poco dopo
la disfatta, il
poema si staglia quasi come un
unicum nella letteratura antico-russa, in una
prosa ritmica, straordinariamente ricca di
allitterazioni, metafore, ambiguità
testuali. Un'altissima poesia, coincisa,
evocativa, fatta di immagini tumultuose,
s'intreccia con dolenti riflessioni sulla
situazione politica della Rus' kievana,
dominata dalle lotte intestine tra i
principi, sulla conquista del potere e
sui cinici meccanismi dell'arte del governo
e della diplomazia.
Spiccano indimenticabili
sprazzi di umanità: per quanto ingigantiti
dall'esagerazione epica, le emozioni dei
personaggi fremono e vibrano su tutte le
corde della natura umana. La sete di gloria,
l'eroismo, la nostalgia, la disperazione, il
cordoglio, emergono prepotenti sullo sfondo
di un ambiente naturale che sembra
accordarsi, come in un romanzo d'appendice,
alle emozioni dei personaggi. I colori si
accendono ora di luce, ora si fanno foschi e
gravidi di presagi.
Il testo risente
moltissimo – anche se forse soltanto per
aderenza a un tipo di poesia epica – dell'antico spirito pagano: le
forze della natura sono vive e titaniche; il
principe
Igor'
può dialogare possentemente con il fiume Donec
e la mesta Jaroslavna può effondere il suo lamento al sole e al vento. La poesia
trasfigura eroi e cantori
in lupi e in falchi, e
quelle che sembrano similitudini poetiche
sono forse l'eco di antiche concezioni venate di sciamanesimo. Non mancano neppure preziosi
riferimenti alle antiche divinità russe a
rendere lo
Slovo di valore inestimabile
per lo studioso di mitologia slava.
La storia dello
Slovo o pŭlku
Igorevě inizia nel 1791 o 1792,
quando un certo vescovo Joil', ultimo
archimandrita del monastero, allora chiuso, della città
di Jaroslavl', ad est di Mosca, vendette una
serie di antichi volumi al procuratore supremo del Sinodo
Ecclesiastico, il cavaliere conte Aleksej Ivanovič
Musin-Puškin (1744-1817), antiquario
di notevole erudizione e appassionato collezionista di
testi
antichi.
Slovo o pŭlku
Igorevě
Frontespizio della prima edizione russa (1800)
Uno di questi volumi, un codice in folio
del XVI secolo, registrato con la segnatura
N° 323, consisteva in una raccolta
manoscritta comprendente un certo numero di
testi diversi. A quanto afferma lo stesso
Musin-Puškin, esso riportava, tra le altre,
cose, il
Chronograf (una cronaca che
raccoglieva le origini delle stirpi reali di
molti paesi, tratti dalle Sacre Scritture,
da autori classici, e da cronisti russi,
serbi e bulgari), il
Vremennik o «Libro del tempo»
(una cronaca sui principi russi), il
Devgenievo dejanie
(una traduzione russa del poema
cavalleresco bizantino
Digenḗs Akrítas) e,
naturalmente, lo Slovo o pŭlku
Igorevě.
Sicuramente il vescovo Joil' neppure sospettava
che il codice
contenesse lo
Slovo. E
non si sa esattamente nemmeno quando Musin-Puškin
riconobbe la rarità o l'eccezionale pregio
dell'opera. Non sappiamo neppure se fu il
conte a scoprirla, come egli stesso dichiarò
poi, o se fu invece qualche suo
collaboratore. La prime indiscrezioni
apparvero sulla rivista Zritel',
lo «Spettatore», di San Pietroburgo. Ed è probabilmente del
1795 o 1796 la copia che Musin-Puškin inviò
in dono alla carica Ekaterina II Alekseevna.
L'imperatrice morì di lì a poco (1796) e la
sua copia del poema andò smarrita, per
essere poi ritrovata nel 1864 dallo storico
della letteratura Pëtr Petrovič Pekarskij
(1827-1872).
Un'altra copia dello
Slovo
dovette pervenire al poeta Michail Matveevič
Cheraskov (1733-1807), amico di
Musin-Puškin, in quanto troviamo
reminescenze igoriane in un poema da questi
composto,
il Vladimir,
pubblicato nel 1797 (Bazzarelli
1991).
La notizia ufficiale del ritrovamento dello
Slovo fu
data solo nell'ottobre del 1797, sulle pagine della rivista di Amburgo Le
spectateur du Nord.
Commentando la notizia, lo scrittore Nikolaj
Michajlovič Karamzin (1766-1826) paragonava l'epopea
igoriana ai poemi di Ossian, «scoperti» nel
1761 da James Macpherson.
Il lavoro sistematico di preparazione del
testo dello Slovo per la stampa,
nonché di traduzione e commento, venne
affidato da Musin-Puškin a due filologi,
esperti conoscitori del mondo antico-russo:
Nikolaj Nikolaevič Bantyš-Kamenskij, e
l'allievo di questi, Aleksej Fedorovič
Malinovskij. Nel 1800 usciva così a Mosca,
per i tipi della Tipografia del Senato, la
prima edizione dello
Slovo o pŭlku
Igorevě.
Ed è questa l'unica versione del testo
che ci sia rimasta, oltre alla copia per Ekaterina II, che poco si discosta da essa.
Nel 1812, infatti, il prezioso manoscritto
conservato nella biblioteca del conte Musin-Puškin andò bruciato o distrutto nel
corso del famoso incendio di Mosca,
scoppiato – come ben sanno i lettori di
Tolstoj
– durante l'occupazione napoleonica.
Subito dopo la scomparsa del manoscritto
originale, alcuni critici espressero dubbi
sull'autenticità dello
Slovo o pŭlku
Igorevě, giudicandolo un falso,
proprio nello stile dei celebri canti
ossianici di Macpherson, in realtà
apocrifi. Nacquero così due
correnti, o piuttosto due partiti critici:
da una parte gli scettici, dall'altra i
sostenitori dell'autenticità del
manoscritto. Tra i detrattori ebbero notevole
influenza il giornalista russo-polacco Józef
Julian Sękowski (1800-1858), insigne
linguista e orientalista, e anche un
professore di storia russa, certo Michail
Trofimovič Kačenovskij (1775-1842), il quale
riteneva che più o meno tutte le opere della
letteratura antico-russa fossero dei falsi. Quali autori
materiali della
falsificazione, furono indicati lo stesso Musin-Puškin,
oppure scrittori come Aleksandr Sulakadzev o
Anton Ivanovič Bardin (quest'ultimo
specializzato nella produzione di falsi
manoscritti da vendere agli antiquari, tra
cui a onor del vero bisogna annoverare anche alcuni apocrifi
dello stesso Slovo).
Nella querelle non erano estranei degli elementi di orgoglio
nazionale, cosicché ritenere lo Slovo
un falso suscitava l'idea di scarso
patriottismo. La discussione si sarebbe
protratta nel tempo e avrebbe avuto un lungo
strascico nel periodo sovietico.
(Bazzarelli 1991)
Nel 1852, il filologo Vukol Michajlovič Undolskij (1816-1864) pubblicò un poema
epico, da lui stesso rinvenuto in un manoscritto del XVII secolo: la Zadonščina
o «Battaglia oltre il Don», in cui si
narrava la vittoria del principe Dmitrij
Donskoj sui Tartari del qān Mamaj,
avvenuta nel campo di Kulikovo nell'anno
1380. La scoperta di Undolskij sembrò dirimere definitivamente la
disputa. Dal momento che alcuni passi della
Zadonščina mostravano una
chiara influenza dello
Slovo, si ritenne che l'autore
di questo poema – un certo Sofonij di
Rjazan' – si fosse ispirato allo Slovo
per costruire le sue immagini
poetiche. Attestata solo in tardi
manoscritti, la Zadonščina
era considerata quasi «uno Slovo
rovesciato e rimodernato».
Sette anni più tardi, tuttavia, venne rinvenuta una versione della
Zadonščina
in un documento risalente al XV secolo, più
antico dello scomparso manoscritto
dello Slovo
di Musin-Puškin. La nuova scoperta portò a un
rovesciamento nei termini del problema, e
alcuni studiosi cominciarono a pensare che, al contrario, fosse lo Slovo
ad essere stato scritto a imitazione della
Zadonščina.
(Picchio 1968 |
Picchio 2002)
Tra i maggiori fautori di questa teoria, lo slavista francese André Mazon
(1881-1967), in una serie di saggi
pubblicati tra il 1938 e il 1944, cercò di
dimostrare che lo
Slovo fosse un falso letterario
della fine del XVIII secolo, costruito a
partire dalla
Zadonščina e dal
Se pověsti
vremjanĭnychŭ lětŭ, la «Cronaca
degli anni passati». Tale idea ebbe i suoi
estimatori, tra cui lo storico russo
Aleksandr Aleksandrovič Zimin (1920-1980).
Di avviso contrario, tuttavia, la maggior
parte degli studiosi, tra cui Evgenij
Aleksandrovič Ljackij (1868-1942), Roman
Osipovič Jakobson (1896-1982) e Dmitrij
Sergeevič Lichačëv (1906-1999), i quali
hanno sottolineato tali e tante evidenze
linguistiche, filologiche e storiche che
oggi non si può più dubitare che il testo
dello
Slovo o pŭlku
Igorevě sia proprio della fine del XII
secolo. (Saronne 1988)
In effetti, a parte il fatto che lo
Slovo
contiene riferimenti a una realtà storica,
culturale e linguistica che non poteva
essere nota alla fine del XVIII secolo, sembra assai improbabile ritenere
che, ispirandosi ad un poema poco più che
mediocre, la
Zadonščina, dove si canta una
gloriosa vittoria contro i Tartari, uno
sconosciuto contraffattore avesse deciso di raccontare
piuttosto
la storia di una sconfitta, peraltro contro
nemici di gran lunga meno temibili, fingendo
strazio e amarezza di fronte a una Rus'
dilaniata dalle lotte intestine dei
principi, e senza peraltro rinunciare a scoccare
frecciate ironiche. L'ignoto autore
avrebbe anche ovuto avere l'intuizione di
inserire dei riferimenti al paganesimo
slavo, sicuramente ancora vivo nel XII
secolo, ma quasi del tutto assente nelle
cronache e nelle opere coeve, come nella stessa
Zadonščina. Infine,
avrebbe dovuto fare una ricostruzione
straordinariamente accurata del linguaggio,
così da farlo parere arcaico al punto
giusto.
Nonostante ciò, negli ultimi anni, altri
studiosi si sono fatti avanti a rivendicare,
seppure con argomenti meno convincenti, il
carattere spurio dello
Slovo. Lo slavista americano
Edward L. Keenan (1935-) ha recentemente sostenuto che lo
Slovo
sia un falso realizzato dal filologo e
nazionalista ceco Josef Dobrovský
(1753-1829), assemblando e manipolando del
materiale autentico, in modo non diverso
dalle altre opere apocrife «scoperte» in Boemia tra la
fine del Settecento e i primi
dell'Ottocento, poi rivelatesi dei falsi,
quali i manoscritti di Dvůr Králové e di
Zelená Hora (Keenan
2003).
Viceversa, il linguista russo Andrej
Anatol'evič Zaliznjak (1935-) ha mostrato
che, solo alla fine del XX secolo, con la
scoperta di altri manoscritti antico-russi,
si sono potute effettivamente attestare
delle parole presenti solo nello
Slovo e
in nessun altro documento. L'autore dello
Slovo
avrebbe dunque dovuto re-inventare delle
parole dimenticate, che solo due secoli dopo
si sarebbero rivelate pre-esistenti.
Inoltre, nessuno
studioso del XVIII secolo avrebbe potuto
inoltre ricostruire, con tanta accuratezza,
la grammatica antico-russa dello
Slovo,
la sua particolare sintassi e, in
sintesi, la profonda meccanica del
linguaggio presente nel poema
(Zaliznjak 2004).
D'altra parte, già il semiologo Jurij Michajlovič Lotman aveva mostrato come
nello
Slovo
fossero assenti certi elementi linguistici popolari nella letteratura
arcaicizzante dell'epoca, tipo ad esempio il famoso
russkaja zemlja «terra russa», diffusosi solo nel XIX secolo. Se l'opera
fosse stata scritta alla fine del Settecento, espressioni come queste sarebbero
certamente entrati a farne parte.
(Lotman 1962)
Queste e altre considerazioni portano a
considerare lo
Slovo un autentico poema del XII
secolo, ed è questa l'opinione comunemente
accettata dalla maggior parte degli
studiosi.
Un mero riassunto dello
Slovo o pŭlku
Igorevě rischia di non rendere la
complessità e le stratificazioni del testo.
Che lo
Slovo
sia
un poema epico è dichiarato nel titolo:
l'ambigua espressione antico-russa slovo o pŭlku
potrebbe essere anche intesa come un calco semantico del francese chanson de
geste. La trama è incentrato sull'episodio della
spedizione di Igor' Svjatoslavič, principe
della città di Novgorod-Severskij, contro i Polovcy. Tuttavia la vicenda della
disastrosa spedizione di Igor' sembra essere
un pretesto: la trama è
sovente interrotta sia per riportare il
punto di vista di personaggi esterni alla
vicenda principale (quali il discorso del gran principe Svjatoslav Vsevolodovič, o il lamento
di Evfrosina Jaroslavna), sia per permettere
al poeta di compiere un gran numero di
digressioni storico-politiche. Il nostalgico
ricordo dei tempi passati, in cui i principi
russi erano uniti tra loro, si alterna ad amare
invettive nei confronti dei principi
dell'epoca presente, il cui egoismo e la cui
sete di potere stanno frantumando la Rus'.
Il poeta interrompe a tratti il racconto con
invocazioni all'unità dei principi, o
celebrazioni dell'uno o l'altro signore.
Il vate Bojan (1910)
Dipinto di Viktor M.
Vasnecov (1848-1926). Particolare.
L'esordio è già una dichiarazione
d'intenti. Il poeta pone la domanda retorica
se declamare il suo poema epico al modo
di un antico cantore chiamato Bojan – al cui
stile immaginifico erano evidentemente
abituati nelle corti della Rus' – o
utilizzare parole più umili e dimesse. Sceglierà questa seconda via:
in fondo ciò che sta per narrare non è il
racconto di una vittoria, ma di una
sconfitta. [1-4]
Il racconto inizia con la descrizione dell'eclisse di sole del 1° maggio
1185. Un'ombra cala dal cielo per avvolgere l'esercito russo, schierato dinanzi
al fiume Donec. È un
presagio funesto, che Igor', accecato dal
suo desiderio di gloria, decide però di ignorare.
[5-9].
Quest'immagine è un po' come il nucleo emotivo
del poema. In realtà, la partenza da Novgorod-Severskij, avvenuta
il 23 aprile, viene ricordata in un
rapido flash-back. Nel frattempo, Igor' si è riunito con il fratello Vsevolod,
il quale ha con sé una schiera di guerrieri
fedelissimi.
Fanno parte della spedizione anche Svjatoslav
Ol'govič, nipote del principe, e Vladimir Igorevič, suo
figlio. [13-17]. A essi, il poeta si
riferirà sovente come i «quattro soli».
Chiuso il flash-back,
ritorniamo all'eclisse. Igor' dà il
segnale per la partenza, ma le tenebre gli
sbarrano la strada [17].
Gli elementi della natura sembrano
ribellarsi all'avanzata dei russi oltre il
confine. Si alza il vento, ululano i lupi, stridono le aquile
[17-23]. Dopo una notte precipitosa,
all'alba i russi piombano sul campo
polovesiano e lo depredano
[24-26]. La reazione non si fa attendere. Il giorno successivo, nuvole nere
annunciano la tempesta e raffiche di vento,
simili a dardi, piovono sulla schiera di Igor'. Gli eserciti polovesiani assaltano i russi
e inizia una tremenda battaglia
[27-32]. Ne è
protagonista soprattutto Vsevolod, che il
poeta dipinge come un
eroe epico, una sorta di bogatyr'
travolto dall'ardore e dal furore dello scontro [33-35].
Vi è qui il primo inciso storico-politico
dello Slovo.
Si parla del nonno di Igor', Oleg Svjatoslavič, il quale partecipò alle
lotte intestine tra principi,
assoldando come mercenari gli
stessi Polovcy. È soprattutto alle sue
discutibili imprese, che il poeta fa
risalire le cause dell'attuale situazione
della Rus', insanguinata e indebolita dalle
discordie tra i principi, e per tale ragione
lo chiama, con un gioco di parole, Oleg
Gorislavič, «figlio di Malagloria».
[36-42]. Dal passato al presente: la
battaglia tra le schiere di Igor' e i
Polovcy
si fa sempre più cruenta e dura
tre giorni interi, poi le
insegne russe vengono
abbattute. Igor' e Vsevolod si separano, il
principe viene preso prigioniero
[43-47]. Il
dolore e l'angoscia opprimono allora la
terra russa, le donne piangono gli uomini
caduti, e i Polovcy, imbaldanziti dalla
vittoria, tornano a compiere scorrerie nella Rus' [48-54].
A questo punto, il punto di vista si sposta presso
il gran principe Svjatoslav Vsevolodovič, a cui il poeta dedica alcune
parole di elogio per avere, in passato, vinto i Polovcy [55-57]. Svjatoslav si è svegliato da un sogno angosciante, nel
quale giaceva morto nel suo palazzo di Kiev
[58-65], e
intraprende un «aureo discorso» [zlato slovo]
in cui lamenta lo sconsiderato orgoglio del
principe Igor' e di suo fratello Vsevolod che, a
causa del loro desiderio di gloria,
hanno vanificato tutti i suoi sforzi per pacificare i Polovcy, riempiendo di dolore
e lacrime la terra di Rus'
[66-71].
Inizia qui una lunga digressione storica
che occupa un intero quarto del
poema. È un lungo lamento, ora attraversato
da un poderoso soffio epico, ora denso di
retorica, sulla rovina della Rus', devastata
dalle guerre intestine. Insieme, vengono
ricordate le imprese dei sovrani del passato
e si esortano i principi attuali a
dimenticare le proprie discordie in nome del
principe Igor' [72-83].
Si ricorda, tra l'altro,
Vseslav Brjačislavovič,
il principe-stregone di Polock, in grado di
trasformarsi in lupo, assetato più degli
altri di potere e causa di sanguinose lotte
intestine [84-91].
Dal compianto generale per la Rus' [92-93],
la scena passa, con geniale accostamento, al
lamento di Efrosina, figlia di Jaroslav di
Galič e sposa di Igor', qui chiamata
semplicemente con il patronimico di
Jaroslavna. Ritta sul bastione di
Putivl', ella piange angosciata la sorte del
marito prigioniero dei Polovcy. La donna immagina
di volare come un cuculo verso il fiume Kajaly, per pulire le ferite del principe, e
si rivolge al vento, al fiume Dnepr, al
sole, rimproverandoli per non aver fatto
nulla per salvare il suo sposo, ma chiedendo
loro aiuto e complicità. La scena è una
delle vette liriche dello
Slovo e,
probabilmente, di tutta la letteratura epica
in generale. [94-97].
Nella notte, intanto, Igor' riesce a
fuggire dal campo polovesiano, con la complicità
di un certo Vlur. Igor' fugge come
ermellino, poi come falco; Vlur corre in
guisa di lupo [98-104].
Nel corso della fuga, il principe si ferma a
dialogare con il fiume Donec
[105-107]. Intanto, due guerrieri
polovesiani, Gza e Končak, inseguono il
principe ma, non riuscendo a
catturarlo, concludono che, a questo punto,
non resta loro che trattare la pace dando in
sposa una bella fanciulla polovesiana a
Vladimir, figlio del principe.
[108-112].
Dopo un ultimo accenno al cantore Bojan
[113-115], il
poeta descrive il ritorno festoso di Igor'
nella Rus'. Il principe si reca a Kiev, a
rendere grazie a Dio nella chiesa della
Santa Vergine della Torre
[116-118]. Il
poema si chiude con un'ultima celebrazione
che raccoglie insieme Igor', Vsevolod e
Vladimir [119-122].
Dopo la battaglia del principe Igor' contro i Polovcy
(1880)
Non
conosciamo il nome dell'autore dello
Slovo o pŭlku
Igorevě, ma si ritiene dovesse essere
un uomo appartenente alla cerchia del
principe Igor', forse proprio un
družinnik, un membro della sua «schiera».
Di certo era contemporaneo agli
avvenimenti descritti, e lo si evince non solo per la
profonda partecipazione ai fatti narrati,
ma anche perché alcune caratteristiche
formali del testo – a partire
dall'invocazione iniziale «o fratelli» – fanno pensare a una
composizione destinata ad essere declamata
dinanzi a un uditorio dotato di un
preciso gusto dell'épos. La
narrazione, fortemente ellittica, fatta di
metafore, allusioni, e rapide immagini che
condensano in sé fatti assai articolati e
complessi, fa pensare che l'uditorio a cui
si rivolge il poeta fosse già a conoscenza
dei fatti narrati e, anzi, fosse
probabilmente composto dai protagonisti
stessi della vicenda.
Gli studiosi hanno addirittura ipotizzato che
lo
Slovo
fosse stato composto in occasione delle nozze
di Vladimir Igorevič, figlio del
protagonista, con la figlia del capo polovesiano
Končak, matrimonio politico destinato a
sancire ancora una volta la pace tra i due
popoli. A questo matrimonio si
fa riferimento, con una certa dose di
ironia, nei vv.
[110-112], nel dialogo tra Končak a
Gzak, in cui si parla appunto del
«falchetto» (Vladimir) destinato a essere
incatenato con una «bella fanciulla» (la
figlia di Končak) (Poggioli
1954 | Saronne 1988).
Troverebbero così
spiegazione i molti incisi che sembrano
rivolgersi direttamente ai presenti. Al
principe Igor' innanzitutto, la cui incauta
spedizione è addirittura dipinta come
una vittoria morale per la Rus'; a suo
fratello Vsevolod, dipinto come un eroe epico; e naturalmente allo
stesso Vladimir. I tre personaggi vengono
celebrati insieme nell'explicit,
in quello che sembra un vero e proprio augurio
per il futuro:
Slava Igorju Svjatŭslavličju.
buj turu Vsevolodě,
Vladimïru Igoreviču!
Gloria a
Igor' Svjatoslavič, a Vsevolod Toro
Impetuoso, a Vladimir
Igorevič!
Здрави князи и
дружина, побарая за христьяны
на
поганыя плъки!
Zdravi knjazi i
družina, pobaraja za christĭjany na poganyja plŭki!
Salute ai
principi e alla družina,
che si battano per i Cristiani
contro le schiere pagane.
Slovo o pŭlku
Igorevě [119-120]
Il poeta sembra poeta di
corte, legato al piccolo principato di Novgorod-Severskij. Il fatto di appartenere a
una realtà provinciale – lontana
dall'influenza della cultura letteraria ed
ecclesiastica «centrale» – spiega forse
alcune delle eccentricità della sua opera,
come ad esempio il riecheggiare di motivi
pagani o l'influenza dell'epica turanica. Ma
nonostante il poeta celebri le glorie
locali, e in particolar modo il principe
Igor' e il suo entourage, mostra una visione politica
ampia e cosciente, lamentando a più riprese gli scontri
tra i principi russi, che indeboliscono il
paese e lo espongono alle invasioni dei
nemici. L'autore è chiaramente un
sostenitore del potere centralizzato e uno
dei destinatari dello
Slovo – che lo ascolterà dalla
voce degli skomorochy – è certamente Svjatoslav III Vsevolodovič, gran principe
di Kiev,
anch'esso opportunamente celebrato
nell'opera
[55-57], al cui
sogno e al cui «aureo discorso» è dedicato
un importantissimo episodio del poema
[58-71].
Ma il poema è rivolto anche ai principi
della Rus', a cui il poeta si appella in un lungo passo
[72-83],
esortandoli a chiudere i loro scontri
fratricidi e a unirsi contro i comuni
nemici:
Ярославли, и вси внуце Всеславли!
Уже понизить стязи свои, вонзить
свои мечи вережени. Уже бо
выскочисте изъ дѣдней
славѣ.
Вы бо своими крамолами начясте
наводити поганыя
на землю Рускую,
на жизнь Всеславлю. Котороє бо бѣше
насилїє отъ земли Половецкыи!
Jaroslavli, i vsi
vnuce Vseslavli!
Uže ponizitĭ stjazi svoi, vonzitĭ
svoi meči vereženi. Uže bo vyskočiste izŭ dědnej slavě.
Vy bo svoimi kramolami načjaste navoditi poganyja na zemlju Ruskuju, na žiznĭ Vseslavlju. Kotoroẹ bo běše
nasilïẹ otŭ zemli Poloveckyi!
O
figli di Jaroslav
e voi tutti nipoti di
Vseslav!
Tempo è di abbassare le insegne e
di riporre nel fodero le logore
spade. Già vi siete allontanati
dalla gloria degli avi! Voi, con le
vostre contese, cominciaste a far
venire i pagani nella terra di Rus',
sui possedimenti di
Vseslav. Per le
lotte intestine si scatenò la
violenza dalla terra polovesiana!
Slovo o pŭlku
Igorevě [83]
L'autore possiede una notevole forza poetica, sa disporre gli episodi in modo
suggestivo, usa la fantasia magica e l'immaginazione storica alternandole
sapientemente e infine riesce ad esporre il suo pensiero (la nostalgia per il
tempo passato e per la perduta unità dei principi) in modo assai accorato e
convincente. Ma nonostante abbia
un'evidente ideologia di stampo feudale,
sembra a tratti condividere aspirazioni
popolari. Più volte esprime una sincera compassione per
la gente semplice, celebra il coraggio e
l'audacia dei guerrieri, si rattrista per le
vedove che piangono i mariti caduti in
battaglia, racconta le sventure subite dal
popolo dopo la sconfitta di Igor'. Basta
leggersi il ritratto di Jaroslavna: la moglie di Igor', coi suoi
sentimenti di fedeltà, devozione,
disponibilità al sacrificio, rappresenta i
tratti migliori delle donne russe.
Ma se i fatti reali forniscono al nostro poeta
sia il canovaccio che gli eroi
dell'opera, il principale personaggio del
poema resta la «terra russa», che è terra non solo in
senso materiale, ma come dimora di un
popolo, col suo destino. È terra soprattutto
«viva», come testimoniano le descrizioni
pittoriche della natura, resa partecipe
degli avvenimenti narrati: animali, alberi,
fiori, erba... sono come animati da
sentimenti umani, dalla capacità di
distinguere, di parteggiare per il bene e di
odiare il male, di avvisare gli uomini delle
sciagure incombenti e di partecipare con
loro al dolore e alla gioia.
Della storia precedente dello Slovo o pŭlku
Igorevě, di
come un testo del XII secolo sia stato
trasmesso a un copista del XV-XVI secolo, non sappiamo nulla, né ovviamente
sappiamo se vi furono dei codici intermedi. Oltretutto il manoscritto
Musin-Puškin è andato perduto nel 1812. Impossibilitati ad utilizzare i moderni
metodi paleografici, i moderni studiosi sono costretti a fare ipotesi a partire
dal testo a stampa del 1800 e dalla copia redatta per l'imperatrice Ekaterina II.
Questo rende piuttosto arduo definire la storia del testo, con tutti i possibili
rimaneggiamenti che può aver subìto nelle sue varie fasi di trasmissione, anche
se al riguardo non mancano lavori di ricostruzione molto accurati, tra cui
quello fondamentale di Roman Jakobson (Jakobson 1948 |
Jakobson 1966).
Il poema non è di semplice interpretazione. I luoghi oscuri del testo sono
legioni, anche se la difficoltà a interpretarli contribuisce non poco ad
accrescerne il fascino. Al riguardo, c'è una smisurata letteratura critica. Al di là della questione dell'autenticità,
che oggi sembra definitivamente chiusa, il lavoro di interpretazione non si è
mai interrotto, man mano che nuovi dettagli sulla cultura, la letteratura e la
storia della Rus' kievana vengono alla luce. Le ricerche
storico-politiche (Lichačev 1950), la ricostruzione
prosodica (Kolesov 1976), il puntuale confronto con
il materiale iconografico (Rybakov 1984), le
analisi semiotiche
(Lotman 1962 | Lotman 1967) e linguistiche (Zaliznjak 2004),
hanno aggiunto, nel corso degli anni, tanti piccoli tasselli che ci hanno
permesso di comprendere meglio il contesto in cui è nato il poema e di gettare
un po' di luce sui loci obscuri dello stesso.
Non sono mancate, nel corso degli anni, anche interpretazioni
eterodosse. Com'è il caso dello scrittore e
poeta kazako Olžas
Omarovič Sulejmenov [Olžas Omarulı
Sülejmenov] (1936-) il quale, nel suo
libro Az i Ja, ha sostenuto che molti dei
loci obscuri dello
Slovo possano essere risolti
analizzando il poema secondo un punto di
vista turcofono. Ché il vocabolario dello Slovo
comprendesse una componente orientale, era stato già mostrato dal linguista
tedesco Heinrich Karl Menges, più di venti anni prima (Menges
1951). Ma Sulejmenov è andato oltre, affermando – con un pizzico di
sciovinismo – che lo Slovo stesso
fosse stato composto in ambienti turco-russi, o fosse addirittura l'adattamento russo di qualche poema turanico (Sulejmenov
1975). Inutile dire che l'ipotesi di Sulejmenov è stata duramente
osteggiata da parte del potere accademico, che ha sempre sostenuto con forza la
«purezza russa» del poema, e tra gli oppositori si sono schierati tanto gli slavisti, tra cui lo stesso
Lichačëv, quanto i turanisti, come Nikolaj
Aleksandrovič Baskakov
(Lichačëv 1985 | Baskakov 1978).
Ma anche se la maggior parte delle ricostruzioni effettuate da Sulejmenov non
sono effettivamente sostenibili, altre sembrano piuttosto interessanti.
(Bazzarelli 1991).
Uno degli aspetti più particolari e
interessanti dello Slovo o pŭlku
Igorevě, è rappresentato dal forte strato pagano che sottintendeil poema. La qual cosa rende lo Slovo
un testo unico nel panorama della letteratura slava. Tutti i testi antico-russi pervenuti,
infatti, non solo sono stati compilati in ambienti cristiani, ma presentano
spesso un forte sentimento anti-pagano. Nell'altro poema epico russo, la
Zadonščina, l'ideologia dominante è
perfettamente cristiana e non vi è alcun elemento pagano.
La presenza di elementi pre-cristiani, d'altra parte, è una delle ragioni più
decisive
per appoggiare la tesi dell'autenticità dello Slovo.
Come suggerito da Roman Jakobson, è ragionevole ipotizzare che sia
stato l'autore della Zadonščina a prendere
spunto dallo Slovo, depurandolo dagli
elementi pagani; l'ipotesi opposta, che un ignoto autore abbia preso invece
spunto dalla Zadonščina per creare lo
Slovo, introducendo a bella posta elementi
pagani assenti nella fonte originale, sembra assai meno probabile.
(Jakobson 1966 | Saronne 1988).
Il pianto di Jaroslavna (1882)
Dipinto di Vasilij Grigor'evič Perov (1834-1882)
L'ideologia pagana dello Slovo affiora
sotto molti aspetti, dando l'idea di una stratificazione piuttosto complessa di
idee e concezioni. Al livello più evidente, abbiamo varie citazioni di divinità
antico-russe, quali Daz'bog,
Stribog,
Veles,
Trojan. Esse sono già note da altri testi, come il
Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ o gli
slova i poučenija,
ma nello Slovo vengono evocate in un
contesto poetico e non denigratorio. È possibile che il poeta si sia allineato
agli stilemi della poesia epica slava, certamente ben nota nel XII secolo, ma poiché lo Slovo
è l'unico esempio a noi pervenuto di questo genere di letteratura, le citazioni
dei nomina divina, formulati nei corretti contesti, sono di importanza
capitale per la nostra comprensione e definizione del pantheon
antico-russo.
A un diverso livello, non si può ignorare il profondo animismo che
pervade l'intera opera. Gli elementi della natura sono vivi, quasi coscienti, e
accompagnano l'eroe e i suoi compagni nelle fasi della spedizione,
accordandosi emotivamente agli accadimenti, fortunati o funesti che siano. La schiera di Igor' esce dal territorio della Rus' tra i versi sinistri degli animali
selvatici e le
strida degli uccelli; le armate polovesiane arrivano annunciate dalle nuvole nere,
dai fulmini, dalla tempesta. Ogni singola cosa, a partire dall'eclisse che apre
il poema, assume valore di presagio. Igor' si sofferma
a dialogare con il fiume Donec, così come Jaroslavna rivolge il suo lamento al
sole, al vento, al fiume Dnepr, e sembra quasi che sia la sua invocazione a
permettere il ritorno dell'eroe dalla prigionia. La stessa fuga di Igor' è annunciata dal sommuoversi
degli elementi, e ci si potrebbe ancora chiedere se, a indicargli la strada, sia
Dio o un dio [84].
Ma nello Slovo si avvertono anche degli
echi sciamanici. Essi s'incentrano soprattutto attorno alla figura di Bojan il
«sapiente»,
il cantore dei tempi andati, il cui modo di poetare sembra rimandare al motivo delle «anime animali» che lo sciamano nord-euroasiatico
liberava per compiere i suoi viaggi estatici, volando nei cieli superiori o
scendendo nei mondi ipoctoni. Il motivo risuona possente nell'incipit del
poema, dove leggiamo:
Боянъ бо вѣщїй,
аще кому хотяше пѣснь
творити, то растѣкашется
мыслію по древу, сѣрымъ
вълкомъ по земли, шизымъ орломъ
подъ облакы.
Bojanŭ bo věščïj,
аšče komu chotjaše pěsnĭ tvoriti,
to rastěkašetsja myslіju po drevu, sěrymŭ vŭlkomŭ po
zemli, šizymŭ orlomŭ podŭ oblaky.
Ché il sapiente
Bojan,
se per qualcuno voleva cantare un
canto, s'effondeva come pensiero sugli alberi, correva
per la terra come lupo grigio,
volava sotto le nubi come aquila
azzurra.
Slovo o pŭlku
Igorevě [2]
Quella strana espressione, «s'effondeva come pensiero sugli alberi» [to rastěkašetsja myslіju po drevu],
notava Bruno Meriggi, «assai
efficacemente allude al processo dell'ispirazione: salendo con la propria
immaginazione sui diversi livelli dell'albero, il vate-poeta ascende i cieli
della sua fantasia». In effetti, gli studiosi hanno a più riprese sottolineato
come sembri trasparire qui il concetto di Axis Mundi diffuso tra i popoli siberiani, dov'è il tronco
dell'albero cosmico a penetrare le tre regioni cosmiche – cielo, terra e inferi
–
permettendo allo sciamano di salire o scendere attraverso tutti i livelli
dell'essere.
(Meriggi 1974).
Bojan era infatti un «sapiente» [věščïj] in senso pagano.
Era un vate, in grado di attingere all'ispirazione delle cose misteriose e
profonde. Possedeva in massimo grado l'arte del canto: sapeva imporre alle vive corde del gusli le proprie «dita
stregate» [věščě pĭrsti],
facendole risuonare da sole. Immagini che rimandano alle tecniche di autoesaltazione, sempre di matrice sciamanica, mediante le quali il poeta
provocava e accresceva la propria ispirazione. (Meriggi 1974 |
Saronne 1988)
Ma i passi dove personaggi vengono identificati (o si auto-identificano) con degli
animali sono rintracciabili praticamente dovunque, nello
Slovo. Jaroslavna afferma che volerà «come un cuculo» verso il
luogo dove il suo sposo è tenuto prigioniero. Nella fuga, Igor' viene via via paragonato a un ermellino, a un'anatra, a un lupo, quindi a un falco; se si tratta di
semplice metafore poetiche, sono fin troppo insistite. Sembra piuttosto che l'autore dello
Slovo attinga, anche se forse senza
comprenderne appieno il significato, a tradizioni poetiche assai più antiche, le
cui radici affondano forse, più che a quello slavo, al mondo ugrofinnico e
altaico.
(Saronne 1988)
Bisogna infine notare l'intento ideologico del poema, estraneo a qualsiasi polemica religiosa. Al contrario, ad esempio, della
Chanson de Roland, dove il confronto tra
Franchi e Mori è uno scontro ontologico tra
coloro che testimoniano la religione di Cristo e coloro che vi si oppongono,
nello
Slovo o pŭlku
Igorevě non troviamo nulla di tutto questo. I «pagani» [pogany]
sono tali in quanto non-russi, cioè estranei al sistema culturale, politico e,
sì, anche religioso che era la Rus' di Kiev. Il contrasto tra Russi e
Polovcy non era, d'altra parte, un dissidio insanabile, tant'è vero che la storia russa è
piena di principi che si alleano con i qān polovesiani contro i loro stessi
parenti, per fini di potere e prevaricazione politica. Alla fine dello
Slovo,
Vladimir Igorevič, il figlio del protagonista, sposa la figlia del capo
polovesiano Končak,
originando un'alleanza tra i due popoli. Il motivo
religioso, nella lotta tra Russi e Polovcy, è dunque assolutamente insignificante.
La prima traduzione italiana, Il cónto della banda
d'Igor, in prosa immaginosa e solenne, è stata eseguita dal linguista, accademico e bibliotecario Domenico Ciàmpoli (1852-1929), buon
traduttore dei grandi autori russi, in una memorabile antologia, pubblicata a
suo tempo da Carabba, che comprende anche un certo numero di byliny e
dumy (Ciàmpoli 1895).
In seguito, Leone Pacini Savoj ne dà una traduzione parziale nel Detto della
campagna di
Igor' (Savoj
1946).
Da molti considerata la migliore nella nostra lingua, la traduzione del
fiorentino Renato Poggioli (1907-1963), il Cantare delle gesta di
Igor', edita da Einaudi
(Poggioli 1954). Negli anni '70 anche l'orvietano Bruno Meriggi
(1927-1970) presenta una traduzione, seppure non completa, in appendice a una sua antologia
di byliny (Meriggi 1974). La traduzione di
Angiolo Danti (1940-1980), L'epopea del principe Igor', rimasta
inevasa dopo la prematura scomparsa del suo autore, è stata pubblicata molti anni dopo dalla sua allieva, Alda Giambelluca Kossova, in appendice allo
splendido libro All'alba della cultura russa
(Kossova 1996).
Letterale e attentissima, invece,
quella fornita dallo slavista Edgardo T. Saronne, Il
cantare di Igor', in un volume riccamente annotato nella prestigiosa
collana «Biblioteca Medievale» delle Pratiche (Saronne 1988).
Lo stesso Saronne tratta in un articolo delle asperità e dei problemi incontrati
nel corso della traduzione del testo (Saronne 1984-1985).
Bella e affascinante, seppure con qualche interpretazione di troppo, la
traduzione prosastica di Eridano Bazzarelli, Il canto
dell'impresa di Igor', edita in un volume riccamente annotato nella
BUR (Bazzarelli 1991).
Riportiamo, a titolo di curiosità, l'incipit del poema nelle varie
traduzioni italiane:
Non vi piacerebbe, fratelli, di cominciare nella vecchia maniera la penosa
storia della spedizione di Igor, d'Igor figlio di Sviatoslav? Cominci dunque il
canto secondo la storia de' tempi e non alla guisa di Boian. Boian, il cantore,
voleva fare un canto? I pensieri gli si smarrivano pe' boschi come il lupo
grigio fra le pianure, come l'aquila cinerea per l’aria...
Non s'addirebbe a noi forse, o fratelli, d'intonare con antichi accenti l'arduo
racconto delle gesta di Igor, di Igor figlio di Svjatoslàv?
Non sarebbe per noi bello, fratelli, cominciare con antichi discorsi il
difficile racconto delle imprese della schiera di Igor', di Igor' Svjatoslavič?
Cominci dunque
questo canto secondo le storie del tempo presente, non secondo la fantasia di
Bojàn.
Inizi questo canto secondo le cose accadute in questo tempo, e non secondo la
fantasia di Bojan.
Che il vate Bojàn, quando voleva comporre un canto a qualcuno, balzava in
pensiero sugli alberi, o sul suolo a guisa di lupo grigio, o sotto le nuvole a
guida d'aquila azzurra.
Bojan il sapiente, infatti, quando per qualcuno voleva
comporre un canto, si stendeva come pensiero sull'albero, come grigio lupo sulla
terra, come aquila grigio-azzurrognola sotto le nubi.
Trad. Domenico
Ciàmpoli
Trad. Renato
Poggioli
Trad. Bruno
Meriggi
Non sarebbe meglio per noi, o fratelli,
iniziare con antichi detti
i travagliosi canti sulla campagna di Igor',
di Igor' Svjatoslavič?
S'incominci questo canto
secondo gli avvenimenti di questo tempo,
e non secondo la fantasia di Bojan!
Il vate Bojan, infatti,
se per qualcuno voleva comporre un canto,
col pensiero s'effondeva su per un albero,
grigio lupo in terra,
cerula aquila sotto le nubi.
Sarebbe forse meglio, fratelli, intonare secondo lo stile antico dei racconti di
guerra la storia dell'impresa di Igor', di Igor' figlio di Svjatoslav? Canteremo
invece questo canto secondo i fatti del nostro tempo, non secondo la fantasia di
Bojan. Perché Bojan il vate, se voleva per qualcuno cantare un cantico, si
arrampicava come uno scoiattolo sull'albero della fantasia, correva per la terra
come lupo grigio, voleva come un'aquila azzurra sotto le nubi...
Non converrebbe a noi
fratelli
incominciar con le parole antiche
dei racconti d'arme
sull'impresa di Igor'
di Igor' Svjatoslavič?
Si cominci questo canto
secondo i fatti di questo tempo
e non
con l'invenzione di Bojan
Bojan veggente
infatti
se per qualcuno componeva un canto
allor fatto pensiero
trasbordava il bosco
lupo grigio in terra
aquila cinerea
sotto le nubi
Начати же ся тъй пѣсни
по былинамъ сего времени,
а не по
замышленїю Бояню. Боянъ бо вѣщїй,
аще кому хотяше пѣснь
творити, то растѣкашется
мыслію по древу, сѣрымъ
вълкомъ по земли, шизымъ орломъ
подъ облакы.
Načati že sja tŭj pěsni po
bylinamŭ sego vremeni, а ne po zamyšlenïju Bojanju.
Bojanŭ bo věščïj,
аšče komu chotjaše pěsnĭ tvoriti,
to rastěkašetsja myslіju po drevu, sěrymŭ vŭlkomŭ po
zemli, šizymŭ orlomŭ podŭ oblaky.
Che
invece questo canto cominci
secondo i fatti del nostro tempo, e
non secondo la fantasia di
Bojan! Ché il sapiente
Bojan,
se per qualcuno voleva cantare un
canto, s'effondeva come pensiero per gli alberi, correva
per la terra come lupo grigio,
volava sotto le nubi come aquila
azzurra.
Rievocava, diceva,
le battaglie dei tempi andati.
Lanciava allora dieci falchi su un
branco di cigni, e quello che
ghermiva per primo, intonava un
canto in onore dell'antico Jaroslav, per l'ardito
Mstislav che sgozzò Rededja davanti alle
schiere circasse, e per il bel Roman Svjatoslavič.
Боянъ
же, братїє, не ĩ соколовь
на стадо лебедѣй
пущаше, нъ своя вѣщїа
пръсты на живая струны въскладаше;
они же сами княземъ славу рокотаху.
Bojanŭ že, bratïẹ,
ne 10 sokolovĭ na stado lebeděj puščaše, nŭ svoja věščïа prŭsty
na živaja struny vŭskladaše;
oni že sami knjazemŭ slavu
rokotachu.
Ma
Bojan, o fratelli,
non dieci falchi lanciava contro il
branco di cigni: ma posava le sue
dita stregate sopra le corde
viventi e quelle da sole cantavano ai
principi gloria.
Почнемъ же, братїє, повѣсть
сїю отъ стараго Владимера до нынѣшняго
Игоря, иже истягну умь крѣпостїю
своєю и поостри (и)
сердца своєго
мужествомъ; наплънився ратнаго
духа, наведе своя храбрыя плъкы
на
землю Половѣцькую
за землю Руськую.
Počnemŭ že, bratïẹ,
pověstĭ sïju otŭ starago Vladimera do nyněšnjago Igorja,
iže istjagnu umĭ krěpostïju svoẹju i poostri (i) serdca
svoẹgo mužestvomŭ; naplŭnivsja ratnago ducha,
navede svoja chrabryja plŭky na zemlju Polověcĭkuju za zemlju Rusĭkuju.
Cominciamo dunque, o fratelli,
questo racconto dall'antico
Vladimir
all'odierno
Igor', il quale temprò la mente
con la volontà, infiammò il cuore con il coraggio e, ricolmo di spirito
guerriero, condusse le sue valorose schiere in terra polovesiana, oltre la terra
russa.
И рече Игорь къ дружинѣ
своєй:
«Братїє и дружино! Луце жъ
бы потяту быти, неже полонену быти;
а всядемъ, братїє,
на свои бръзыя
комони, да позримъ синего Дону.»
I reče Igorĭ kŭ
družině svoẹj: «Bratïẹ i družino! Luce žŭ by
potjatu byti, neže polonenu byti; а vsjademŭ, bratïẹ, na svoi brŭzyja komoni,
da pozrimŭ sinego Donu.»
E disse
Igor' alla družina: «Fratelli
e družina, è meglio morire che essere fatti prigionieri. Montiamo perciò, o
fratelli, sui nostri veloci destrieri per
ammirare l'azzurro Don!»
«Хощу бо», рече,
«копїє приломити конець поля
Половецкаго, съ вами, русици, хощу главу свою
приложити, а любо испити шеломомь
Дону».
«Chošču bo», reče, «kopïẹ
prilomiti konecĭ polja Poloveckago, sŭ vami, rusici,
chošču glavu svoju priložiti, а ljubo ispiti
šelomomĭ Donu».
Disse: «Con voi, o
Russi,
voglio spezzare la mia lancia sul confine
del campo polovesiano; sono pronto a
sacrificare la testa, pur di gustare nell'elmo [l'acqua] del
Don».
О
Бояне, соловїю стараго времени!
Абы
ты сїа плъкы ущекоталъ, скача,
славїю по мыслену древу, летая
умомъ подъ облакы, свивая славы
оба
полы сего времени,
рища въ тропу
Трояню чресъ поля
на горы.
O Bojane, solovïju starago vremeni! Aby ty
sïа plŭky uščekotalŭ, skača, slavïju po myslenu drevu, letaja umomŭ podŭ oblaky,
svivaja slavy oba poly sego vremeni, rišča vŭ tropu
Trojanju čresŭ polja na gory.
O
Bojan,
usignolo del tempo antico! Fossi tu a celebrare queste
imprese, saltando, o usignolo, in
pensiero tra gli alberi, volando con la mente
sotto le nubi, congiungendo le due metà della gloria dei nostri tempi,
percorrendo il sentiero di
Trojan,
attraverso i campi e verso le
montagne!
Пѣти
было пѣснь
Игореви, того внуку: «Не буря соколы
занесе чрезъ поля широкая, галици
стады бѣжать
къ Дону
великому».
Pěti bylo pěsnĭ Igorevi,
togo vnuku: «Ne burja sokoly zanese črezŭ polja širokaja, galici stady běžatĭ kŭ Donu
velikomu».
A un tuo allievo toccherebbe invece intonare
questo canto per Igor': «Non la tempesta ha portato i
falchi attraverso le ampie distese:
stormi di cornacchie fuggono verso
il grande Don».
«Сѣдлай,
брате, свои бръзыи комони,
а мои ти
готови, осѣдлани
у Курьска
напереди. А мои ти куряни свѣдоми
къмети: подъ трубами повити, подъ
шеломы възлелѣяны,
конець копїя въскръмлени, пути имь
вѣдоми,
яругы имъ знаєми, луци у нихъ
напряжени, тули отворени, сабли
изъострени; сами скачють,
акы сѣрыи
влъци въ полѣ,
ищучи себе чти,
а князю славѣ.»
«Sědlaj, brate, svoi
brŭzyi komoni, а moi ti gotovi, osědlani u Kurĭska naperedi. A moi ti kurjani svědomi kŭmeti: podŭ trubami
poviti, podŭ šelomy vŭzlelějany, konecĭ kopïja
vŭskrŭmleni, puti imĭ vědomi, jarugy imŭ znaẹmi,
luci u nichŭ naprjaženi, tuli otvoreni, sabli izŭostreni;
sami skačjutĭ, аky sěryi vlŭci vŭ polě,
iščuči sebe čti, а knjazju slavě.»
«Sella, fratello, i tuoi veloci
destrieri, ché i miei son già
pronti, sellati per te nei pressi
di Kursk. Per te, i
miei esperti guerrieri kuriani, al
suono delle trombe fasciati, sotto
gli elmi cullati, sulla punta
della lancia allattati. A loro son
note le piste, conosciute le
gole. Hanno gli archi ben
tesi, aperte le faretre, le
sciabole affilate. Corrono nel
campo come lupi grigi, per sé
onore cercano e per il principe
gloria!»
Солнце
єму тъмою путь
заступаше; нощь стонущи єму грозою
птичь убуди; свистъ звѣринъ
въста; збися дивъ, кличетъ връху
древа: Велитъ послушати земли
незнаємѣ,
Влъзѣ,
и Поморію, и Посулїю, и Сурожу, и
Корсуню, и тебѣ
Тьмутораканьскый блъванъ!
Solnce ẹmu tŭmoju
putĭ zastupaše; noščĭ stonušči ẹmu grozoju ptičĭ ubudi;
svistŭ zvěrinŭ vŭsta; zbisja divŭ, kličetŭ vrŭchu
dreva:
Velitŭ poslušati zemli neznaẹmě, Vlŭzě,
i Pomorіju, i Posulïju, i
Surožu, i Korsunju, i tebě Tĭmutorakanĭskyj
blŭvanŭ!
Il sole gli sbarrò il
cammino di tenebra. La notte
gemette tempesta, risvegliando
gli uccelli. Si levò l'ululato
ferino delle belve. Gridò
Div
dall'alto di un albero, affinché lo
udisse la terra straniera: la Vol'ga e il
litorale di Crimea, e Surož, e la
terra oltre la Sula,
e il Chersoneso, e te, grande idolo
di Tmutorokan'!
Уже
бо бѣды
єго пасетъ птиць по дубію; влъци
грозу въсрожатъ по яругамъ; орли
клектомъ на кости звѣри
зовутъ; лисици брешутъ
на чръленыя
щиты.
Uže bo bědy ẹgo
pasetŭ pticĭ po dubіju; vlŭci grozu vŭsrožatŭ po
jarugamŭ; orli klektomŭ na kosti zvěri zovutŭ; lisici
brešutŭ na črŭlenyja ščity.
Ma per sua sciagura dall'alto delle
querce lo guatano gli uccelli.
Nei dirupi ululano i lupi alla
tempesta, le aquile stridono
chiamando le belve al banchetto, ganniscono le volpi contro gli
scudi scarlatti.
A
lungo s'abbuia la notte. L'alba si
accende di luce. La nebbia ricopre
i campi. Si è assopito il trillo
degli usignoli, il gracchiare delle
cornacchie si è destato.
Съ
заранїя въ пятокъ потопташа поганыя
плъкы половецкыя, и рассушясь стрѣлами
по полю, помчаша красныя дѣвкы
половецкыя, а съ ними злато, и
паволокы, и драгыя оксамиты. Орьтъмами,
и япончицами, и кожухы начашя мосты
мостити по болотомъ и грязивымъ мѣстомъ,
и всякыми узорочьи половѣцкыми.
Sŭ zaranïja vŭ
pjatokŭ potoptaša poganyja plŭky poloveckyja, i
rassušjasĭ strělami po polju, pomčaša krasnyja děvky
poloveckyja, а sŭ nimi zlato, i pavoloky, i dragyja
oksamity. Orĭtŭmami, i japončicami, i kožuchy načašja
mosty mostiti po bolotomŭ i grjazivymŭ městomŭ, i
vsjakymi uzoročĭi polověckymi.
All'alba di venerdì, travolsero le
orde pagane dei Polovcy e,
spargendosi come frecce per il
campo, rapirono le belle fanciulle polovesiane, e presero
oro, e sete e preziosi broccati. E
con mantelli, gualdrappe e
pellicce, con ogni gemmato
tessuto polovesiano si misero a
gettar ponti su paludi e fangosi
pantani.
Дремлетъ въ полѣ
Ольгово хороброє гнѣздо.
Далече залетѣло!
Не было онъ обидѣ
порождено, ни соколу, ни кречету,
ни тебѣ,
чръный воронъ, поганый половчине!
Dremletŭ vŭ polě
Olĭgovo chorobroẹ gnězdo. Daleče zaletělo! Ne bylo onŭ
obidě poroždeno, ni sokolu, ni krečetu, ni tebě, črŭnyj
voronŭ, poganyj polovčine!
Dorme nel campo l'ardito nido di
Oleg,
si è involato lontano! Ma non era
nato per subire l'offesa del falco,
né quella dello sparviero, né la
tua, nero corvo, infedele polovesiano!
Другаго дни велми рано кровавыя
зори свѣтъ
повѣдаютъ;
чръныя тучя съ моря идутъ, хотятъ
прикрыти д҃ солнца, а въ нихъ трепещуть синїи
млъніи. Быти грому великому! Итти
дождю стрѣлами
съ Дону великаго! Ту ся копїємъ
приламати, ту ся саблямъ потручяти
о шеломы половецкыя,
на рѣцѣ на Каялѣ,
у Дону великаго!
Drugago dni velmi rano krovavyja zori světŭ povědajutŭ; črŭnyja tučja sŭ
morja idutŭ, chotjatŭ prikryti 4 solnca, а vŭ nichŭ
trepeščutĭ sinïi mlŭnіi. Byti gromu velikomu! Itti
doždju strělami sŭ Donu velikago! Tu sja kopïẹmŭ prilamati, tu sja
sabljamŭ potručjati o šelomy
poloveckyja, na rěcě na Kajalě, u Donu velikago!
L'indomani, sul
presto, un'aurora di
sangue annuncia la luce. Nere nubi
avanzano dal mare, vogliono
oscurare i quattro soli, dentro vi
fremono vivide saette. Dovrà
scoppiare una possente tempesta,
dovrà scrosciare una pioggia di
frecce dal grande Don! Qui le lance
si spezzeranno, andranno in pezzi le spade contro gli elmi polovesiani, sul fiume Kajala,
presso il grande Don!
Се вѣтри,
Стрибожи внуци, вѣютъ
съморя стрѣлами
на храбрыя плъкы Игоревы. Земля
тутнетъ, рѣкы
мутно текуть, пороси поля
прикрываютъ, стязи глаголютъ:
Se větri, Striboži
vnuci, vějutŭ sŭmorja strělami na chrabryja plŭky
Igorevy. Zemlja tutnetŭ, rěky mutno tekutĭ, porosi polja
prikryvajutŭ, stjazi glagoljutŭ:
Ecco i venti, nipoti di
Stribog,
soffiano le frecce dal mare contro
la schiera valorosa di
Igor'.
Rintrona la terra, scorrono torbidi
i fiumi, la polvere copre i campi,
gridano gli stendardi:
- Половци
идуть отъ Дона, и отъ моря, и отъ
всѣхъ
странъ Рускыя плъкы
отступиша. Дѣти
бѣсови
кликомъ поля
прегородиша, а храбрїи
русици преградиша чрълеными щиты.
- Polovci idutĭ otŭ
Dona, i otŭ morja, i otŭ vsěchŭ stranŭ Ruskyja plŭky
otstupiša. Děti běsovi klikomŭ polja pregorodiša, а
chrabrïi rusici pregradiša črŭlenymi ščity.
«Avanzano i Polovcy dal Don,
dal mare e da ogni dove, le
schiere russe sono circondate. I
figli di Běs
riempiono di grida la steppa, i
valorosi Russi gli sbarrano il
passo con gli scudi scarlatti!»
Dovunque tu balzi, col tuo splendido elmo
d'oro, là cadono le teste pagane
dei Polovcy, dalla tua sciabola son frantumati gli elmi àvari.
Per opera tua, Vsevolod,
Toro Impetuoso!
Кая раны дорога,
братїє, забывъ чти и
живота, и
града Чрънигова отня
злата стола, и своя милыя хоти,
красныя Глѣбовны,
свычая и обычая?
Kaja rany doroga,
bratïẹ, zabyvŭ čti i života, i grada Črŭnigova otnja zlata stola, i svoja milyja choti,
krasnyja Glěbovny, svyčaja i obyčaja?
Che importano le
ferite, fratelli, a colui che sprezzò onori e ricchezze, l'aureo trono del padre
nella rocca di Černigov,
e l'amore e le carezze della sposa
diletta, la bella Glebovna?
Были
вѣчи
Трояни, минула лѣта
Ярославля; были плъци Олговы, Ольга
Святьславличя. Тъй бо Олегъ мечемъ
крамолу коваше, и стрѣлы
по земли сѣяше.
Byli věči Trojani, minula lěta Jaroslavlja;
byli plŭci Olgovy, Olĭga
Svjatĭslavličja. Tŭj bo Olegŭ mečemŭ kramolu kovaše, i
strěly po zemli sějaše.
Sono lontani i tempi di
Trojan,
lontani gli anni di Jaroslav:
ci furono le imprese di Oleg,
Oleg Svjatoslavič.
Ché Oleg
invero con la spada temprò
la discordia, di frecce seminò la
terra.
Ступаєтъ
въ златъ стремень въ градѣ
Тьмутороканѣ,
той же звонъ слыша давный великый
Ярославь, а сынъ Всеволожь Владиміръ
по вся утра уши закладаше въ
Черниговѣ.
Stupaẹtŭ vŭ zlatŭ
stremenĭ vŭ gradě Tĭmutorokaně, toj že zvonŭ slyša
davnyj velikyj Jaroslavĭ, а synŭ Vsevoložĭ Vladimіrŭ po
vsja utra uši zakladaše vŭ Černigově.
Saliva
Oleg sulla staffa d'oro, nella città di Tmutorokan',
e ne udiva il suono [il figlio dell']antico, grande Jaroslav,
mentre il figlio di Vsevolod,
Vladimir,
a Černigov
si turava le orecchie.
Бориса
же Вячеславлича слава
на судъ
приведе и на Канину зелену паполому
постла за обиду Олгову, храбра и млада
князя.
Borisa že Vjačeslavliča slava na sudŭ privede
i na Kaninu zelenu papolomu postla za obidu Olgovu, chrabra i mlada knjazja.
La brama di gloria
trasse Boris Vjačeslavič al giudizio e sul Kanin gli
fu steso un verde sudario per
l'offesa arrecata ad
Oleg, valente
e giovane principe.
Тогда
при Олзѣ
Гориславличи сѣяшется
и растяшеть усобицами, погибашеть
жизнь Даждьбожа внука; въ княжихъ
крамолахъ, вѣци
человѣкомь
скратишась.
Togda pri Olzě
Gorislavliči sějašetsja i rastjašetĭ usobicami,
pogibašetĭ žiznĭ Daždĭboža vnuka; vŭ knjažichŭ
kramolachŭ, věci čelověkomĭ skratišasĭ.
Al tempo di
Oleg Gorislavič, il figlio di Malagloria, si
seminavano e crescevano le
discordie, periva la potenza dei
nipoti di
Daž'bog
e nelle contese dei principi si
accorciava la vita alla gente.
Тогда по Руской
земли рѣтко
ратаєвѣ
кикахуть, нъ часто врани граяхуть,
трупїа себѣ
дѣляче, а галици свою рѣчь
говоряхуть, хотять полетѣти
на уєдїє.
Togda po Ruskoj zemli
rětko rataẹvě kikachutĭ, nŭ často vrani grajachutĭ,
trupïа sebě děljače, а galici svoju rěčĭ
govorjachutĭ, chotjatĭ poletěti na uẹdïẹ.
Di rado il contadino cantava
nell'arare la terra: più spesso i
corvi gracchiavano contendendosi
tra loro i cadaveri e nella loro
lingua le cornacchie si chiamavano
per invitarsi al banchetto.
Съ
заранїа до вечера, съ вечера до свѣта
летятъ стрѣлы
каленыя, гримлютъ сабли о шеломы,
трещатъ копїа харалужныя въ полѣ
незнаємѣ,
среди земли Половецкыи.
Sŭ zaranïа do večera,
sŭ večera do světa letjatŭ strěly kalenyja, grimljutŭ sabli o šelomy, treščatŭ
kopïа charalužnyja vŭ
polě neznaẹmě, sredi zemli Poloveckyi.
Dall'alba alla sera, dalla sera
all'alba, volano frecce temprate,
scrosciano sciabole contro elmi,
crepitano lance di acciaio brunito,
nel campo straniero, nella terra
polovesiana.
Что
ми шумить, что ми звенить давечя
рано предъ зорями? Игорь
плъкы заворочаєтъ: жаль бо єму
мила
брата Всеволода. Бишася день,
бишася другый: третьяго дни къ
полуднїю падоша стязи Игоревы.
Čto mi šumitĭ, čto mi
zvenitĭ davečja rano predŭ zorjami? Igorĭ plŭky
zavoročaẹtŭ: žalĭ bo ẹmu mila brata Vsevoloda. Bišasja denĭ, bišasja drugyj: tretĭjago dni kŭ poludnïju
padoša stjazi Igorevy.
Qual strepito io sento, che cosa
risuona lontano, prima dell'alba?
Igor'
volge indietro le schiere, ha pietà
di
Vsevolod, il caro fratello!
Combatterono un giorno,
combatterono il secondo, il
terzo giorno al meriggio caddero le
insegne di
Igor'.
Ту ся
брата разлучиста на брезѣ
быстрой Каялы; ту кроваваго
вина не доста; ту пиръ докончаша храбріи
русичи: сваты
попоиша, а сами полегоша за землю Рускую.
Tu sja brata razlučista na brezě bystroj
Kajaly; tu krovavago vina ne dosta; tu pirŭ dokončaša chrabrіi rusiči:
svaty popoiša, a sami polegoša za zemlju Ruskuju.
Qui si separarono i fratelli, sulla
riva del rapido Kajala. Qui più non
bastava il vino di sangue e
misero fine al banchetto i bravi
guerrieri: diedero da bere ai
compagni e caddero per la terra di
Rus'.
Уже
бо, братїє, не веселая
година
въстала, уже пустыни силу
прикрыла.
Въстала обида въ силахъ Дажьбожа
внука, вступилъ дѣвою
на землю Трояню, въсплескала
лебедиными крылы
на синѣмъ
море у Дону плещучи, упуди жирня
времена.
Uže bo, bratïẹ,
ne veselaja godina vŭstala, uže pustyni silu prikryla. Vŭstala obida vŭ silachŭ Dažĭboža
vnuka,
vstupilŭ děvoju na zemlju Trojanju, vŭspleskala
lebedinymi kryly na siněmŭ more u Donu pleščuči, upudi
žirnja vremena.
Perché ormai, o fratelli, è sorto
il tempo del dolore e la steppa ha
sopraffatto le schiere! Perché la
sconfitta si è levata sulle schiere del
nipote di
Daž'bog;
come una fanciulla è sorta sulla terra di
Trojan e ha agitato
ali di cigno sul mare
nemico, presso il Don; battendo le
ali ha disperso i tempi
dell'abbondanza.
Усобица княземъ
на поганыя погыбе,
рекоста
бо братъ брату: «Се моє,
а то моє
же». И начяша князи про малоє «се
великоє» млъвити,
а сами на себѣ
крамолу ковати.
А поганїи съ всѣхъ
странъ прихождаху съ побѣдами
на землю Рускую.
Usobica knjazemŭ na poganyja pogybe,
rekosta bo bratŭ bratu: «Se moẹ, а to
moẹ že». I načjaša knjazi pro maloẹ «se velikoẹ» mlŭviti,
а sami na sebě kramolu kovati. A poganïi sŭ vsěchŭ
stranŭ prichoždachu sŭ pobědami na zemlju Ruskuju.
È venuta meno la lotta dei principi
contro i pagani, ché disse il
fratello al fratello: «Questo è mio
ed anche questo è mio!» Di ogni
piccola cosa i principi dicevano «è
grande!», forgiando tra loro la
discordia. Intanto i pagani
giungevano da ogni dove, vittoriosi
in terra russa.
Жены
рускїя въсплакашась,
аркучи: «Уже
намъ своихъ милыхъ ладъ ни мыслїю
смыслити, ни думою сдумати, ни
очима съглядати,
а злата и сребра
ни мало того потрепати».
Ženy ruskïja vŭsplakašasĭ, аrkuči: «Uže
namŭ svoichŭ milychŭ ladŭ ni
myslïju smysliti, ni dumoju sdumati, ni očima sŭgljadati,
а zlata i srebra ni malo togo potrepati».
Proruppero in lacrime le donne russe
nel dire:
«A noi ormai i cari sposi più non è
dato né in pensiero pensare, né in
idea ideare, né con gli occhi
guardare, né oro e argento con la
mano sfiorare».
А
въстона бо, братїє, Кієвъ тугою,
а
Черниговъ напастьми. Тоска разлїяся
по Руской земли; печаль жирна тече
средь земли Рускый.
А князи сами
на себе крамолу коваху,
а поганїи
сами, побѣдами
нарищуще на Рускую землю, ємляху
дань по бѣлѣ
отъ двора.
A vŭstona bo, bratïẹ,
Kіẹvŭ tugoju, а Černigovŭ napastĭmi. Toska razlïjasja po Ruskoj
zemli; pečalĭ žirna teče sredĭ zemli Ruskyj. A knjazi sami na sebe kramolu kovachu,
а
poganïi sami, pobědami nariščušče na Ruskuju zemlju,
ẹmljachu danĭ po bělě otŭ dvora.
E gemette, fratelli, Kiev nel
dolore, e Černigov nell'avversità.
L'afflizione corse sulla terra di
Rus', una grande mestizia si sparse
nella terra di Rus'. E mentre i
principi forgiavano tra loro
le discordie, i pagani irrompevano
vittoriosi nella terra russa,
esigendo un tributo ad ogni
focolare.
Тїи
бо два храбрая Святъславлича, Игорь
и Всеволодъ уже лжу убуди, которую,
ту бяше успилъ отецъ ихъ Святъславь
грозный великый кієвскый грозою:
бяшеть притрепалъ своими сильными
плъкы и харалужными мечи; наступи
на землю Половецкую, притопта хлъми
и яругы, взмути рѣки
и озеры, иссуши потоки и болота.
А
поганаго Кобяка изъ луку моря отъ
желѣзныхъ
великихъ плъковъ половецкихъ яко
вихръ, выторже: и падеся Кобякъ въ
градѣ
Кїєвѣ,
въ гридницѣ
Святъславли.
Tïi bo dva chrabraja
Svjatŭslavliča, Igorĭ i Vsevolodŭ uže lžu ubudi,
kotoruju, tu bjaše uspilŭ otecŭ ichŭ Svjatŭslavĭ groznyj
velikyj kіẹvskyj grozoju: bjašetĭ pritrepalŭ svoimi silĭnymi plŭky i charalužnymi meči;
nastupi na zemlju Poloveckuju, pritopta chlŭmi i jarugy, vzmuti rěki i ozery,
issuši potoki i bolota. A poganago Kobjaka izŭ
luku morja otŭ želěznychŭ velikichŭ plŭkovŭ poloveckichŭ
jako vichrŭ, vytorže: i padesja Kobjakŭ vŭ gradě Kïẹvě,
vŭ gridnicě Svjatŭslavli.
Questi due prodi Svjatoslaviči,
Igor'
e
Vsevolod,
ridestarono l'ostilità: quell'ostilità
che il terribile gran
principe di Kiev, il loro signore
Svjatoslav,
aveva a suo tempo assopito con la forza. Quale tempesta, aveva fatto
tremare i pagani con le sue
possenti
schiere; con spade di acciaio
brunito si era inoltrato in terra polovesiana, aveva calpestato colline e
dirupi, resi torbidi torrenti e
paludi, strappato come un turbine
il pagano Kobjak
dall'arco del mare, dalle ferree
orde polovesiane. Ed era stato
trascinato Kobjak
nella città di Kiev, fin nella
vasta
sala di Svjatoslav.
Ту нѣмци
и венедици, ту греци и морава поютъ
славу Святъславлю, кають князя Игоря,
иже погрузи жиръ во днѣ
Каялы рѣкы
половецкїя, рускаго злата
насыпаша.
Tu němci i venedici, tu greci i morava pojutŭ slavu Svjatŭslavlju,
kajutĭ knjazja Igorja, iže pogruzi žirŭ vo dně Kajaly rěky poloveckïja, ruskago
zlata nasypaša.
E ora i Tedeschi e i Veneziani, i
Greci e i Moravi cantano gloria a
Svjatoslav
ma compiangono il principe Igor',
che ogni ricchezza ha sprofondato
nel Kajala, nel fiume polovesiano l'oro
russo ha disperso.
Ту
Игорь князь высѣдѣ
изъ сѣдла
злата, а въ сѣдло
кощїєво. Уныша бо градомъ забралы,
а веселїє пониче.
Tu Igorĭ knjazĭ vysědě izŭ sědla zlata, а vŭ
sědlo koščïẹvo. Unyša
bo gradomŭ zabraly, а veselïẹ poniče.
Qui il principe
Igor' è smontato dalla sella d'oro ed è
salito su quella del prigioniero.
Triste fu la gente. Sui bastioni
delle città venne meno la gioia.
«Си ночь съ вечера одѣвахуть
мя,» рече,
«чръною паполомою на кроваты
тисовѣ;
чрълахуть ми синеє вино, съ трудомъ
смѣшено,
сыпахуть ми тъщими тулы поганыхъ
тлъковинъ великый женчюгь на лоно.
«Si nočĭ sŭ večera oděvachutĭ mja,» reče, «črŭnoju
papolomoju na krovaty
tisově; črŭlachutĭ mi sineẹ vino, sŭ trudomŭ směšeno,
sypachutĭ mi tŭščimi tuly poganychŭ tlŭkovinŭ velikyj ženčjugĭ na lono.
«Nella rocca di Kiev, questa notte,
mi rivestivano sul far della sera
di un nero sudario sopra un letto
di tasso, mi mescevano vino fosco
mescolato a dolore, dalle vuote
faretre dei traduttori pagani una
grossa perla lasciavano sul mio petto
cadere.
И
ркоша бояре князю:
«Уже, княже,
туга умь полонила; се бо два сокола
слѣтѣста
съ отня стола злата поискати града
Тьмутороканя,
а любо испити
шеломомь Дону. Уже
соколома крильца
припѣшали
поганыхъ саблями,
а самаю опустоша
въ путины желѣзны.
I rkoša bojare
knjazju:
«Uže, knjaže, tuga umĭ polonila; se
bo dva sokola slětěsta sŭ otnja stola zlata poiskati grada Tĭmutorokanja,
а ljubo ispiti šelomomĭ Donu.
Uže sokoloma krilĭca pripěšali poganychŭ sabljami, а samaju opustoša vŭ putiny želězny.
E
dissero i bojari al principe:
«Già
il dolore, o principe, ha serrato
la tua mente, ché i due falchi sono
volati lontano dal trono d'oro del
padre, a conquistare la città di Tmutorokan' o per bere con l'elmo
l'acqua del Don. Già le ali ai
due falchi tarparono le sciabole
polovesiane ed essi con catene di ferro
furono avvinti.
«Темно
бо бѣ
въ г҃ день: два солнца помѣркоста,
оба багряная стлъпа погасоста и съ
нима молодая мѣсяца,
Олегъ и Святъславъ, тъмою ся
поволокоста и въ морѣ погрузиста, и великоє буйство
подасть хинови.
«Temno bo bě vŭ
3
denĭ: dva solnca poměrkosta, oba bagrjanaja stlŭpa pogasosta i sŭ nima molodaja
měsjaca, Olegŭ i
Svjatŭslavŭ, tŭmoju sja povolokosta i vŭ morě
pogruzista,
i velikoẹ bujstvo podastĭ chinovi.
«Il terzo giorno vinse la tenebra, i
due soli si oscurarono, si spensero
le due colonne di porpora; e con
loro le due giovani lune Oleg
e Svjatoslav
si avvolsero di tenebre,
scomparvero nel mare e dettero gran
tripudio alla gente nemica.
«Уже снесеся
хула на хвалу; уже тресну нужда на
волю; уже връжеса дивь на землю. Се
бо готскїя
красныя дѣвы
въспѣша
на брезѣ
синему морю: звоня Рускымъ златомъ,
поютъ время Бусово, лелѣютъ
месть Шароканю.
А мы уже, дружина,
жадни веселїя!»
«Uže snesesja chula na chvalu; uže tresnu
nužda na volju; uže vrŭžesa divĭ na zemlju. Se bo gotskïja krasnyja děvy vŭspěša
na brezě
sinemu morju: zvonja Ruskymŭ zlatomŭ, pojutŭ vremja
Busovo, lelějutŭ mestĭ Šаrokanju. A my uže, družina,
žadni veselïja!»
«Già il
disonore ha sommerso la gloria, la
schiavitù ha schiacciato la
libertà, già Div
è piombato sulla terra di Rus' e le
belle fanciulle dei Goti cantano sulle rive del mare:
cantano i tempi di
Bus, celebrano
la vendetta di
Šarokan. Ma noi, o
družina, siamo privi di
gioia!»
«О
моя сыновчя, Игорю и Всеволоде!
Рано єста начала Половецкую землю
мечи цвѣлити,
а себѣ
славы искати. Нъ нечестно одолѣсте,
несчетно бо кровь поганую
пролїясте.
«O moja synovčja, Igorju i Vsevolode! Rano ẹsta načala Poloveckuju
zemlju meči cvěliti, а sebě slavy iskati. Nŭ nečestno
odolěste, nesčetno bo krovĭ poganuju prolïjaste.
«O
miei pupilli,
Igor' e
Vsevolod!
Troppo presto cominciaste a
offendere con la spada la terra
polovesiana, in cerca di gloria: ma nel
disonore vi siete battuti, nel
disonore avete versato il sangue
pagano.:
«А уже не вижду
власти сильнаго, и богатаго, и
многовоя брата моєго Ярослава, съ черниговьскими былями,
съ могуты, и съ татраны, и съ
шельбиры, и съ топчакы, и съ
ревугы, и съ ольберы. Тїи бо бес
щитовь съ засапожникы кликомъ плъкы
побѣждаютъ,
звонячи въ прадѣднюю
славу.
«A uže ne viždu
vlasti silĭnago, i bogatago, i mnogovoja brata moẹgo Jaroslava, sŭ
černigovĭskimi byljami, sŭ moguty, i sŭ tatrany, i sŭ šelĭbiry, i sŭ topčaky, i
sŭ revugy, i sŭ olĭbery. Tïi bo bes ščitovĭ sŭ zasapožniky klikomŭ
plŭky poběždajutŭ, zvonjači vŭ pradědnjuju slavu.
«Più
non vedo il forte potere, le
ricchezze e le schiere del fratello mio Jaroslav,
con i nobili di Černigov, i
Moguti,
i Tatrani, gli Šelbiri, i Topčaki,
i Revughi e gli Olberi. Costoro
senza scudi, coi soli pugnali,
gridando sbaragliano le schiere,
facendo risuonare la gloria degli
avi.
«Нъ
рекосте: Мужаимѣся
сами: преднюю славу сами похитимъ,
а заднюю ся сами подѣлимъ!
А чи диво ся братїє, стару
помолодити? Коли соколъ въ мытехъ
бываєтъ, высоко птицъ възбиваетъ:
не дастъ гнѣзда
своєго въ обиду. Нъ се зло, княже
ми непособіє: на ниче ся годины
обратиша.
«Nŭ rekoste:
Mužaiměsja sami: prednjuju slavu sami pochitimŭ, а zadnjuju sja sami podělimŭ! A či divo sja bratïẹ,
staru pomoloditi? Koli sokolŭ vŭ mytechŭ byvaẹtŭ, vysoko
pticŭ vŭzbivaetŭ: ne dastŭ gnězda svoẹgo vŭ obidu. Nŭ se zlo,
knjaže mi neposobіẹ: na niče sja godiny
obratiša.
«Ma voi diceste: combattiamo da
soli, da soli dividiamo la gloria
futura e la passata supereremo! Ma
non è forse strano, o fratelli, che
il vecchio ringiovanisca? Quando un
falco muta le penne, in alto caccia
gli uccelli, né lascia che
saccheggino il suo nido. Ma ecco il
male: i principi non mi vengono in
aiuto e il tempo si è volto in
sciagura.
Великый княже Всеволоде! Не мыслію
ти прелетѣти
издалеча отня злата стола поблюсти?
Ты бо можеши Волгу веслы
раскропити, а Донъ шеломы выльяти!
Аже бы ты былъ, то была бы чага по
ногатѣ,
а кощей по резанѣ.
Ты бо можеши посуху живыми шереширы
стрѣляти,
удалыми сыны Глѣбовы.
Velikyj knjaže
Vsevolode! Ne myslіju ti preletěti izdaleča otnja zlata stola pobljusti? Ty bo možeši Volgu vesly
raskropiti, а Donŭ šelomy vylĭjati! Aže by ty bylŭ, to byla by čaga po
nogatě, а koščej po rezaně. Ty bo možeši posuchu živymi
šereširy strěljati,
udalymi syny Glěbovy.
Gran principe Vsevolod!
Non dovresti accorrere da lontano
solo col pensiero a difendere il
trono d'oro del padre! Tu solo
puoi battere coi remi la Vol'ga e
attingere con l'elmo l'acqua del
Don! Se tu fossi stato qui, o
principe, le schiave si
venderebbero a un soldo e gli schiavi a un centesimo! Perché tu
puoi lanciare vive lance di fuoco,
con gli arditi figli di Gleb!
Ты
буй Рюриче и Давыде! Не ваю ли вои
злачеными шеломы по крови плаваша?
Не ваю ли храбрая дружина рыкаютъ
акы тури, ранены саблями калеными
на полѣ
незнаемѣ?
Вступита, господина, въ злата
стремень за обиду сего времени, за
землю Рускую, за раны Игоревы,
буєго Святславлича!
Ty buj Rjuriče i
Davyde! Ne vaju li voi zlačenymi šelomy po krovi plavaša?
Ne vaju li chrabraja družina rykajutŭ аky
turi, raneny sabljami kalenymi na polě neznaemě? Vstupita, gospodina, vŭ
zlata stremenĭ za obidu sego vremeni, za zemlju Ruskuju, za rany Igorevy, buẹgo
Svjatslavliča!
O tu, impetuoso
Rjurik, e tu,
Davyd!
Non sono stati i vostri ardenti
guerrieri a nuotare nel sangue fino
agli elmi d'oro? Non sono stati i
vostri valorosi eserciti a ruggire
come tori selvaggi, straziati da
sciabole temprate, in terra
straniera? Salite, o signori, sulla
staffa dorata, per vendicare
l'offesa di questo tempo, per la
terra
di Rus', per le ferite di
Igor', valoroso figlio di Svjatoslav!
Галичкы Осмомыслѣ
Ярославе! Высоко сѣдиши
на своємъ златокованнѣмъ
столѣ,
подперъ горы Угорскыи своими желѣзными
плъки, заступивъ королеви путь,
затворивъ Дунаю ворота, меча
бремены чрезъ облаки, суды рядя до
Дуная. Грозы твоя по землямъ текутъ,
отворяєши Кієву врата, стрѣляєши
съ отня злата стола салътани за
землями. Стрѣляй,
господине, Кончака, поганого кощея,
за землю Рускую, за раны Игоревы,
буєго Святславлича!
Galičky Osmomyslě
Jaroslave! Vysoko sědiši na svoẹmŭ zlatokovanněmŭ
stolě, podperŭ gory Ugorskyi svoimi želěznymi plŭki, zastupivŭ korolevi putĭ,
zatvorivŭ Dunaju vorota, meča
bremeny črezŭ oblaki, sudy rjadja do Dunaja. Grozy tvoja po zemljamŭ
tekutŭ, otvorjaẹši Kіẹvu vrata, strěljaẹši sŭ otnja zlata stola salŭtani za
zemljami. Strěljaj, gospodine, Končaka, poganogo koščeja, za zemlju Ruskuju, za
rany Igorevy,
buẹgo Svjatslavliča!
Jaroslav
dall'ottuplice pensiero, principe
di Galič! Alto siedi sul tuo
trono dorato e reggi i monti
ungheresi con le tue schiere
ferrigne, e al re magiaro sbarri la
strada, chiudendo le porte al Dunaj, scagliando macigni oltre
le nubi, amministrando la giustizia
fino al Dunaj. Scorrono le tue
minacce per le terre, tu apri le
porte di Kiev; dall'aureo trono
paterno tu frecci i sultani oltre
le terre; folgora dunque, o
signore, anche il pagano Končak!
Per
la terra di Rus', per le ferite di
Igor',
valoroso figlio di Svjatoslav!
Высоко
плаваєши на дѣло
въ буєсти, яко соколъ на вѣтрехъ
ширяяся, хотя птицю въ буйствѣ
одолѣти.
Суть бо у ваю желѣзныи
папорзи подъ шеломы латинскими. Тѣми
тресну земля, и многи страны,
Хинова, Литва, Ятвязи, Деремела, и
половци сулици своя повръгоща,
а
главы своя подклониша подъ тыи мечи
харалужныи.
Vysoko plavaẹši na dělo vŭ buẹsti, jako
sokolŭ na větrechŭ širjajasja,
chotja pticju vŭ bujstvě odolěti. Sutĭ bo u vaju
želěznyi paporzi podŭ šelomy latinskimi. Těmi tresnu
zemlja, i mnogi strany, Chinova, Litva, Jatvjazi,
Deremela, i polovci sulici svoja povrŭgošča, а glavy svoja podkloniša podŭ tyi
meči charalužnyi.
In alto levato nell'intrepida
impresa, come falco che si libra
sui venti, quando nel suo furore
attacca gli altri uccelli. Avete
corazze di ferro sotto gli elmi
latini. Per esse tremò la terra e
molti popoli: Unni e Lituani, Jatvinghi e Deremeli, Finni e
Polovcy: gettarono i loro
giavellotti e chinarono il capo
sotto queste spade d'acciaio.
Нъ
уже, княже Игорю, утръпѣ
солнцю свѣтъ,
а древо не бологомъ листвіє срони:
по Рсі и по Сули гради подѣлиша.
А Игорева храбраго плъку не крѣсити!
Nŭ uže, knjaže Igorju,
utrŭpě solncju světŭ, а drevo ne bologomŭ listvіẹ sroni:
po Rsі i po Suli gradi poděliša. A Igoreva chrabrago
plŭku ne krěsiti!
Ma ormai, o principe, per
Igor'
si è spenta la luce del sole mentre
all'albero tristi son cadute le
foglie: lungo la Ros' e la Sula i
nemici si son spartiti le città, ma
più non risorgerà l'ardita schiera
di
Igor'!
Инъгварь и Всеволодъ и вси три
Мстиславичи, не худа гнѣзда
шестокрилци! Не побѣдными
жребїи собѣ
власти расхытисте! Коє ваши златыи
шеломы и сулицы ляцкыи и щиты!
Загородите полю ворота своими острыми
стрѣлами
за землю Рускую, за раны Игоревы,
буєго Святъславлича!
Inŭgvarĭ i Vsevolodŭ i vsi tri Mstislaviči,
ne chuda gnězda šestokrilci! Ne
pobědnymi žrebïi sobě vlasti raschytiste! Koẹ vaši
zlatyi šelomy i sulicy ljackyi i ščity! Zagorodite polju vorota svoimi ostrymi strělami
za zemlju Ruskuju, za rany Igorevy, buẹgo Svjatŭslavliča!
Ingvar'
e Vsevolod,
e tutti e tre voi, figli di
Mstislav!
Serafini dalle sei ali di non
ignobile nido! Non per vittorie
fratricide diventaste signori dei
vostri domini! Dove sono i vostri
elmi dorati e le spade polacche e
gli scudi? Sbarrate le porte alla
steppa con le frecce puntute,
per la terra di Rus', per le ferite di
Igor',
valoroso figlio di Svjatoslav!
Уже
бо Сула не течетъ сребреными струями
къ граду Переяславлю, и Двина
болотомъ течетъ онымъ грознымъ
полочаномъ подъ кликомъ поганыхъ.
Єдинъ же Изяславъ, сынъ Васильковъ,
позвони своими острыми мечи о
шеломы литовьскыя, притрепа славу дѣду
своєму Всеславу
Uže bo Sula ne tečetŭ
srebrenymi strujami kŭ gradu Perejaslavlju, i Dvina
bolotomŭ tečetŭ onymŭ groznymŭ poločanomŭ podŭ klikomŭ
poganychŭ. Ẹdinŭ že Izjaslavŭ, synŭ Vasilĭkovŭ, pozvoni svoimi
ostrymi meči o šelomy litovĭskyja, pritrepa slavu
dědu svoẹmu Vseslavu
Più non scorre la Sula coi suoi
flutti d'argento per la città di Perejaslavl', né la Dvina paludosa
per la città di Polock, ma sotto il
grido di guerra pagano! Solo
Izjaslav
figlio di Vasil'ko fece risuonare
le spade affilate contro gli elmi
lituani superando la gloria
dell'avo Vseslav!
А самъ
подъ чрълеными щиты на кровавѣ
травѣ
притрепанъ литовскыми мечи и с
хотию на кров, а тъи рекъ: «Дружину
твою, княже, птиць крилы прїодѣ,
а звѣри
кровь полизаша».
A samŭ podŭ črŭlenymi ščity na krovavě travě
pritrepanŭ litovskymi meči i s chotiju na krov, а tŭi rekŭ: «Družinu tvoju, knjaže,
pticĭ krily prïodě, а zvěri krovĭ polizaša».
E cadde egli stesso sotto gli scudi
scarlatti, falciato sull'erba
insanguinata dalle spade lituane. E
disse, come con la sposa sul letto
nuziale: «La tua družina, o
principe, coprirono gli uccelli con
le ali e le fiere ne leccarono il
sangue».
Не
бысть ту брата Брячяслава, ни
другаго Всеволода: єдинъ же изрони
жемчюжну душу изъ храбра тѣла
чресъ злато ожерелїє. Унылы голоси,
пониче веселіє, трубы трубятъ
городеньскїи.
Ne bystĭ tu brata Brjačjaslava, ni drugago Vsevoloda: ẹdinŭ že
izroni žemčjužnu dušu izŭ chrabra těla čresŭ zlato
ožerelïẹ. Unyly golosi, poniče veselіẹ, truby trubjatŭ
gorodenĭskïi.
Né c'era colà il fratello
Brjačislav, né l'altro fratello
Vsevolod. Da solo, l'anima di perla esalò
dal fiero corpo, attraverso l'aurea
collana. Divennero meste le voci,
venne meno la gioia. Piangono le
trombe a Gorodec.
Ярославли, и вси внуце Всеславли!
Уже понизить стязи свои, вонзить
свои мечи вережени. Уже бо
выскочисте изъ дѣдней
славѣ.
Вы бо своими крамолами начясте
наводити поганыя на землю Рускую,
на жизнь Всеславлю. Котороє бо бѣше
насилїє отъ земли Половецкыи!
Jaroslavli, i vsi
vnuce Vseslavli!
Uže ponizitĭ stjazi svoi, vonzitĭ
svoi meči vereženi. Uže bo vyskočiste izŭ dědnej slavě.
Vy bo svoimi kramolami načjaste navoditi poganyja na zemlju Ruskuju, na žiznĭ Vseslavlju. Kotoroẹ bo běše
nasilïẹ otŭ zemli Poloveckyi!
O
figli di Jaroslav
e voi tutti nipoti di
Vseslav!
Tempo è di abbassare le insegne e
di riporre nel fodero le logore
spade. Già vi siete allontanati
dalla gloria degli avi! Voi, con le
vostre contese, cominciaste a far
venire i pagani nella terra di Rus',
sui possedimenti di
Vseslav. Per le
lotte intestine si scatenò la
violenza dalla terra polovesiana!
На
седьмомъ вѣцѣ
Трояни връже Всеславъ жребїй о дѣвицю
себѣ
любу. Тъй клюками подпръ ся о кони
и скочи къ граду Кыєву и дотчеся
стружїємъ злата стола кієвьскаго.
Na sedĭmomŭ věcě
Trojani vrŭže Vseslavŭ žrebïj o děvicju sebě ljubu. Tŭj kljukami podprŭ sja
o koni i skoči kŭ gradu Kyẹvu i dotčesja stružïẹmŭ zlata stola kіẹvĭskago.
Nella settima età di
Trojan, gettò
Vseslav le sorti per la fanciulla
che tanto desiderava. E promettendo
astutamente i cavalli, volò fino alla
città di Kiev e con la lancia
sfiorò il trono d'oro di Kiev.
Утръ же воззнис трикусы, отвори
врата Нову-граду, разшибе славу
Ярославу. Скочи
влъкомъ до Немиги съ Дудутокъ. На
Немизѣ
снопы стелютъ головами, молотятъ
чепи харалужными, на тоцѣ
животъ кладутъ, вѣютъ
душу отъ тѣла.
Utrŭ že vozznis trikusy, otvori vrata
Novu-gradu, razšibe slavu Jaroslavu. Skoči vlŭkomŭ do Nemigi sŭ Dudutokŭ. Na
Nemizě snopy steljutŭ golovami, molotjatŭ čepi charalužnymi, na tocě životŭ kladutŭ,
vějutŭ dušu otŭ těla.
Al mattino conficcò le
asce, aprì le porte di Novgorod e
distrusse la gloria di
Jaroslav. Balzò qual lupo da
Dudutki fino al fiume Nemiga. E là
sulla Nemiga fanno covoni di teste,
trebbiano con catene di ferro,
gettano le vite sull'aia, vagliano
le anime dai corpi.
Всеславъ князь людемъ судяше,
княземъ грады рядяше,
а самъ въ
ночь влъкомъ рыскаше: изъ Кыєва
дорискаше до куръ Тмутороканя,
великому Хръсови влъкомъ путь
прерыскаше.
Il principe
Vseslav amministrava la
giustizia, e governava i principi
delle città, nella notte però
galoppava come lupo, prima del
canto del gallo correva da Kiev
fino a Tmutorokan' e tagliava la
strada al grande
Chors.
Того
стараго Владиміра не льзѣ
бѣ
пригвоздити къ горамъ кієвскимъ:
сего бо нынѣ
сташа стязи Рюриковы,
а друзіи
Давидовы, нъ розно ся имъ хоботы
пашутъ. Копіа поютъ!
Togo starago
Vladimіra ne lĭzě bě prigvozditi kŭ goramŭ kіẹvskimŭ: sego
bo nyně staša stjazi Rjurikovy, а druzіi Davidovy,
nŭ rozno sja imŭ choboty pašutŭ. Kopіа pojutŭ!
Quell'antico e
saggio Vladimir, impossibile
inchiodarlo nel suo palazzo tra i
colli di Kiev. I suoi stendardi
sono oggi quelli di
Rjurik e quelli
di Davyd: ma disgiunti sventolano i
drappi, le une contro le altre
cantano le lance!
На
Дунаи Ярославнынъ гласъ ся слышитъ,
зегзицею незнаєма, рано кычеть: «Полечю,» рече, «зегзицею по
Дунаєви, омочю бебрянъ рукавъ въ
Каялѣ
рѣцѣ,
утру князю кровавыя єго раны на
жестоцѣмъ
єго тѣлѣ».
Na Dunai Jaroslavnynŭ
glasŭ sja slyšitŭ, zegziceju neznaẹma, rano
kyčetĭ: «Polečju,» reče, «zegziceju po Dunaẹvi,
omočju bebrjanŭ rukavŭ vŭ Kajalě rěcě, utru knjazju krovavyja ẹgo rany
na
žestocěmŭ ẹgo tělě».
Si ode sul Dunaj la voce di
Jaroslavna, piange al mattino qual
gabbiano solitario:
«Volerò come un gabbiano lungo il Dunaj, nel Kajala bagnerò
la mia manica di castoro e al principe
tergerò le sanguinose ferite sul
suo corpo possente».
Ярославна рано плачетъ въ Путивлѣ
на забралѣ,
аркучи: «О вѣтрѣ,
вѣтрило!
Чему, господине, насильно вѣєши?
Чему мычеши хиновьскыя стрѣлкы
на своєю нетрудною крилцю на моєя
лады вои? Мало ли ти бяшетъ горѣ
подъ облакы вѣяти,
лелѣючи
корабли на синѣ
морѣ?
Чему, господине, моє веселїє по
ковылїю развѣя?»
Jaroslavna rano
plačetŭ vŭ Putivlě na zabralě,
аrkuči: «O větrě, větrilo!
Čemu, gospodine, nasilĭno věẹši? Čemu myčeši chinovĭskyja strělky na svoẹju
netrudnoju krilcju na moẹja lady voi? Malo li ti bjašetŭ gorě podŭ oblaky
vějati, lelějuči korabli na sině morě? Čemu, gospodine,
moẹ veselïẹ po kovylïju razvěja?»
Sul far dell'alba
piange
Jaroslavna sul bastione di Putivl' dicendo: «O
vento, venticello! Perché, signore,
soffi nemico? Perché porti le
frecce unne sulla tua ala leggera
contro i guerrieri del mio sposo?
Non ti bastava in alto, sotto le
nubi soffiare, cullando le navi
sull'azzurro mare? Perché, signore,
sull'erba della steppa hai
dissipato la mia gioia?»
Ярославна рано плачеть Путивлю
городу на заборолѣ,
аркучи: «О Днепре Словутицю! Ты
пробилъ єси каменныя горы сквозѣ
землю Половецкую. Ты лелѣялъ
єси на себѣ
Святославли носады до плъку
Кобякова. Възлелѣй,
господине, мою ладу къ мнѣ,
а быхъ не слала къ нему слезъ на
море рано».
Jaroslavna rano
plačetĭ Putivlju gorodu na zaborolě,
аrkuči: «O Dnepre Slovuticju! Ty probilŭ ẹsi kamennyja gory skvozě zemlju
Poloveckuju. Ty lelějalŭ ẹsi na sebě Svjatoslavli nosady do plŭku
Kobjakova. Vŭzlelěj, gospodine, moju ladu kŭ mně, а bychŭ ne
slala kŭ nemu slezŭ na more rano».
Sul far dell'alba piange
Jaroslavna
sul bastione di Putivl' dicendo: «O Dnepr,
figlio dello Slovuta! Hai
attraversato i monti di pietra
passando per la terra polovesiana. Hai
portato su di te le navi di
Svjatoslav fino al campo di
Kobjak.
Porta, signore, fino a me il mio
sposo, perché io non gli mandi le
mie lacrime sul far del mattino».
Ярославна рано плачетъ въ Путивлѣ
на забралѣ,
аркучи: «Свѣтлоє
и тресвѣтлоє
слънце! Всѣмъ
тепло и красно єси: чему,
господине, простре горячюю свою лучю
на ладѣ
вои? Въ полѣ
безводнѣ
жаждею имь лучи съпряже, тугою имъ
тули затче?»
Jaroslavna rano
plačetŭ vŭ Putivlě na zabralě,
аrkuči: «Světloẹ i tresvětloẹ slŭnce! Vsěmŭ teplo i krasno ẹsi: čemu, gospodine,
prostre gorjačjuju svoju lučju na ladě voi? Vŭ
polě bezvodně žaždeju imĭ luči sŭprjaže, tugoju imŭ tuli
zatče?»
Sul far dell'alba piange
Jaroslavna
sul bastione di Putivl' dicendo: «O
sole lucente, tre volte lucente.
Sei per tutti così caldo e bello!
Perché, signore, hai disteso il tuo
raggio ardente contro i guerrieri
del mio sposo, perché nell'arido
campo i loro archi hai allentato, i
loro turcassi serrato?»
Прысну море полунощи; идутъ сморци
мьглами. Игореви Князю
богъ путь
кажетъ изъ земли Половецкой на
землю Рускую, къ отню злату столу.
Погасоша вечеру зари.
Prysnu more polunošči;
idutŭ smorci mĭglami. Igorevi Knjazju bogŭ putĭ kažetŭ izŭ zemli
Poloveckoj na zemlju Ruskuju, kŭ otnju zlatu
stolu. Pogasoša večeru zari.
S'increspa il mare di mezzanotte,
avanzano turbinando le nuvole, al
principe
Igor', un dio indica la strada
dalla terra polovesiana alla terra
russa, dov'è il trono d'oro degli
avi. I bagliori del tramonto si
sono spenti.
А Игорь
князь поскочи горнастаемъ къ тростїю
и бѣлымъ
гоголемъ на воду. Въвръжеся на
бръзъ комонь, и скочи съ него
бусымъ влъкомъ. И потече къ лугу
Донца, и полетѣ
соколомъ подъ мьглами, избивая гуси
и лебеди завтроку, и обѣду,
и ужинѣ.
A Igorĭ knjazĭ
poskoči gornastaemŭ kŭ trostïju i bělymŭ gogolemŭ na vodu. Vŭvrŭžesja na brŭzŭ komonĭ, i skoči sŭ nego busymŭ
vlŭkomŭ. I poteče kŭ lugu Donca, i poletě sokolomŭ podŭ
mĭglami, izbivaja gusi i lebedi zavtroku, i obědu, i
užině.
Fugge intanto il principe
Igor',
ermellino tra i canneti, bianca
anatra sull'acqua, balza sul veloce
destriero e da esso salta giù come
lupo grigio, corre fino alla valle
del Donec, volando come un falco
sotto le nubi, strage di oche e
cigni facendo per colazione, pranzo
e cena.
Игорь
рече: «О Донче! Не мало ти
величїя, лелѣявшу
князя на влънахъ, стлавшу єму зелѣну
траву на своихъ сребреныхъ брезѣхъ,
одѣвавшу
єго теплыми мъглами подъ сѣнїю
зелену древу; стрежаше єго
гоголемъ на водѣ,
чайцами на струяхъ, чрьнядьми на
ветрѣхъ.
Igorĭ reče: «O Donče! Ne malo ti veličïja,
lelějavšu knjazja na vlŭnachŭ,
stlavšu ẹmu zelěnu travu na svoichŭ srebrenychŭ
brezěchŭ, oděvavšu ẹgo teplymi mŭglami podŭ sěnïju
zelenu drevu; strežaše ẹgo gogolemŭ na vodě, čajcami na strujachŭ, črĭnjadĭmi na vetrěchŭ.
Igor' disse: «O
Donec, non piccola è la tua gloria,
per aver cullato il principe sulle
tue onde, avergli steso erba verde
sulle tue sponde d'argento, averlo
avvolto di calde brume sotto un
albero verde, per averlo vegliato
come un'anatra sull'acqua, come un
gabbiano sull'onda, come una folaga
nel vento!
«Не
тако ти,» рече, «рѣка
Стугна; худу струю имѣя,
пожръши чужи ручьи и стругы,
рострена к устью, уношу князю
Ростиславу затвори. Днѣпрь
темнѣ
березѣ
плачется мати Ростиславя по уноши
Князи Ростиславѣ.
Уныша цвѣты
жалобою и древо с тугою къ земли прѣклонилось.»
«Ne tako ti,» reče, «rěka
Stugna; chudu struju iměja, požrŭši čuži ručĭi i strugy, rostrena k ustĭju, unošu knjazju Rostislavu
zatvori.
Dněprĭ temně berezě plačetsja mati Rostislavja po unoši
Knjazi Rostislavě. Unyša cvěty žaloboju i drevo s tugoju
kŭ zemli prěklonilosĭ.»
«Non così»
disse, «il
fiume Stugna che con scarsa
corrente, dopo aver superato gli
altri ruscelli e torrenti, si apre
verso la foce. Il principe Rostislav inghiottì nel suo fondo.
Presso la buia riva, piange la
madre di Rostislav, piange la
madre del giovane principe
Rostislav, intristiti appassiscono
i fiori, per l'angoscia si piegano
gli alberi a terra.»
Non gracchiano i corvi, tacciono le
cornacchie, non strillano le gazze.
Solo strisciano i serpi. E i picchi
coi colpi del becco indicano la
direzione del fiume. Con canti
gioiosi gli usignoli annunciano
l'alba.
И
рече Гзакъ къ Кончакови: «Аще єго
опутаєвѣ
красною дѣвицею,
ни нама будетъ сокольца, ни нама
красны дѣвице,
то почнутъ наю птици бити въ полѣ
Половецкомъ».
I reče Gzakŭ kŭ Končakovi: «Ašče ẹgo
oputaẹvě krasnoju děviceju, ni nama budetŭ sokolĭca, ni nama krasny
děvice, to počnutŭ naju ptici biti vŭ polě Poloveckomŭ».
E dice Gzak a Končak: «Se lo incateneremo
con una bella fanciulla, a noi poi
non rimarrà né il falchetto né
la bella fanciulla, allora
cominceranno ad abbattere i nostri
uccelli nella distesa polovesiana».
Пѣвше
пѣснь
старымъ княземъ,
а по томъ молодымъ
пѣти:
«Слава Игорю Святъславличю. буй
туру Всеволодѣ,
Владимїру Игоревичу!»
Pěvše pěsnĭ starymŭ
knjazemŭ, а po tomŭ molodymŭ pěti: «Slava Igorju Svjatŭslavličju, buj turu Vsevolodě, Vladimïru Igoreviču!»
Abbiamo intonato un
cantico ai vecchi principi, ora ai giovani si deve
cantare: «Gloria a
Igor' Svjatoslavič, a Vsevolod Toro
Impetuoso, a Vladimir
Igorevič!»
Titolo — La parola
slovo «parola, detto, discorso» si trova solo nel titolo. Nel Medioevo russo questo
termine indicava vari generi: la predica teologica, il racconto storico, il
canto epico. Nel
testo l'autore usa piuttosto i termini povestĭ «racconto» e pesnĭ
«canto» (Bazzarelli 1991). ― La parola pŭlkŭ
o plŭkŭ (il gruppo ŭl/lŭ rende, in antico
russo, la consonante liquida [ḷ]) presenta in antico russo un ampio campo semantico, indicando di fatto l'intera
sequenza di sfumature dell'impresa bellica: (1) l'esercito, la schiera, il
manipolo di guerrieri; (2) la campagna di guerra, la battaglia; (3) il luogo
dello scontro, il campo di battaglia. Da qui, una certa
ambiguità nelle traduzioni del titolo del poema: «Cònto
della banda d'Igor»
(Ciàmpoli 1895), «Detto della campagna d'Igor'»
(Pacini Savoj 1946), «Cantare delle gesta di Igor'»
(Poggioli 1954), «Canto della schiera di Igor'»
(Meriggi 1974), «Narrazione sulla campagna di Igor'»
(Danti 1979); «Detto sull'impresa di Igor'» (Saronne
1988); «Canto dell'impresa di Igor'» (Bazzarelli
1991).
1
― In russo moderno, trudnyj vuol dire specificatamente «difficile,
duro», tuttavia l'espressione trudnychŭ pověstïj viene di
solito intesa come «racconti di guerra». È una sfumatura di
significato che traspare soprattutto dai contesti in cui l'espressione compare
nella letteratura medievale. Dmitrij Sergevič Lichačëv suggerice che trudnychŭ pověstïj
sia l'enunciazione del genere letterario in cui l'autore dello
Slovo classifica il suo lavoro, quello delle
«storie difficili», un po' come le chansons de geste dell'epopea
francese. Da qui la nostra scelta di tradurre con «epica storia». Su questa
linea, Boris Rybakov ritiene che l'espressione «storie difficili» raccolga in sé
tutte le sfumature dell'epica: battaglie, vittorie, sconfitte, con particolare
riferimenti al periodo delle lotte tra i principi per la supremazia sulla Rus'.
Tra le traduzioni italiane, «penosa storia»
(Ciàmpoli 1895), «arduo racconto»
(Poggioli 1954), «difficile racconto» (Meriggi
1974), «travagliosi canti»
(Danti 1979), «racconti d'arme» (Saronne 1988), «racconti di guerra» (Bazzarelli 1991). ― Bratie è letteralmente «o
fratria» (Saronne
1988). Si tratta forse dei componenti della corte o
del seguito del principe Igor', e quindi i suoi compagni di mensa, di guerra, di
caccia, al quale il racconto è rivolto?
2 ― Il nome del cantore Bojan
ricorre sei volte nello
Slovo o pŭlku
Igorevě, e non è testimoniato in nessun'altra fonte, a parte la
Zadonščina, che però è imitativa rispetto
allo Slovo. Dovrebbe essere vissuto tra l'XI
e il XII secolo, giudicando dal v. [91] dove sono
riportati alcuni suoi versi relativi a Vseslav Brjačislavovič, principe di
Polock, morto nel 1101. Sembra sia stato un grande poeta epico; poiché
cantava inni di gloria per gli antichi principi, l'autore dello
Slovo non se la sente di imitarlo,
in quanto dovrà intonare il doloroso e sobrio poema di una sconfitta. Il termine
antico-russo bylina, che dall'Ottocento acquistò il significato di «canto
epico», qui significa al contrario «fatto reale». In tal senso l'autore si
presenta
come un «poeta del tempo presente», mentre Bojan era un «usignolo del tempo andato».
― L'aggettivo věščïj vuol dire «sapiente» ma, in senso
traslato, «vate, veggente, indovino», ed è così che rendono generalmente le
traduzioni del verso.
―Il passo presenta un problema di lettura legato
alla parola mysliju «come pensiero» (cfr. russo mysl' «pensiero,
idea»), che alcuni autori hanno proposto di emendare in mysiju «come uno scoiattolo» (cfr. russo
myš' «topo»), anche per coerenza con i successivi paragoni del poeta con un
lupo o un'aquila. La maggior parte degli studiosi è tuttavia scettica riguardo
l'ipotesi di una corruttela del testo, soprattutto tenendo conto che l'immagine
è ripetuta al v.
[10]: «saltando, o usignolo, in pensiero sugli
alberi» [skača,
slavïju po myslenu drevu]
(Meriggi 1974). I nostri traduttori sostengono perlopiù la lettura
testuale. Domenico Ciàmpoli: «i pensieri gli si smarrivano pe' boschi»
(Ciàmpoli 1895); Renato Poggioli: «balzava in pensiero sugli alberi» (Poggioli
1954); Bruno Meriggi: «Si stendeva come pensiero sull'albero»
(Meriggi 1974); Angiolo Danti: «col pensiero s'effondeva su
per un albero» (Danti 1979); Edgardo Saronne: «allor fatto pensiero trasbordava il bosco» (Saronne
1988). Il solo Eridano Bazzarelli suggerisce
salomonicamente entrambe le letture:
«si arrampicava come uno scoiattolo sull'albero della fantasia», analizzando la
scena del vate Bojan che, in forma animale, sale
sulla cima degli alberi, alla luce del motivo delle ascensioni sciamaniche lungo
l'arbor mundi (Bazzarelli 1991).
3 ― Edgardo Saronne
osserva che il testo parla di un «branco» [stado] e non di uno «stormo» [staja] di cigni, forse
perchè questi uccelli erano immaginati, in senso dispregiativo, in una goffa fuga
al suolo. Secondo Saronne, cigni e oche sarebbero stati infatti considerati impuri dagli antichi
Slavi, forse perché animali totemici [oŋgon] dei popoli nomadi delle
steppe (Saronne 1988). Semplificando il concetto,
tuttavia, ricordiamo che i cigni erano tra le frequenti prede di caccia dei principi
russi. ― Jaroslav I Vladimirovič Mudryj, il «saggio», gran principe di Kiev
(♔
1015-1054), fu l'antenato di tutti i principi russi,
gli Jaroslavli, eccetto quelli del ramo di Polock, i quali discendevano invece da suo fratello
Izjaslav Vladimirovič († 1001). Jaroslav il «saggio» è figura
estremamente positiva: il sovrano che coincide con la massima potenza della Rus',
teorico della concordia tra i principi. ① ― Di Mstislav Vladimirovič Chrabryj, il «coraggioso»
(† 1036), fratello di Jaroslav, si narrava che avesse lottato a mani nude con Rededja, principe
dei Kasogi (Circassi), per poi vincerlo e sgozzarlo (Se pověsti
vremjanĭnychŭ lětŭ [1022]). Poiché combatté a
lungo contro il legittimo potere rappresentato da Jaroslav, peraltro assoldando
schiere mercenarie di Kasogi e Chazari, sembra essere un antesignano di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič († 1115), archetipo dei principi ribelli.
Viene tuttavia storicamente riabilitato per
aver infine stretto la pace con il fratello nella fortezza di Gorodec. ② ―
Al suo contrario, Roman Svjatoslavič Krasnij, il «bello» († 1079), principe di Tmutorokan', si lasciò coinvolgere dal fratello Oleg a stringere un'alleanza con i
Polovcy,
al fine di combattere gli
Jaroslavli. Al primo mutamento di vento, però, verrà ucciso dai suoi stessi
alleati.
Illustrazione di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
5 ― Chi è questo
Vladimir? Secondo Bazzarelli, si tratta di Vladimir
I Svjatoslavič Svjatoj, il «santo» (♔ 980-1015), il
gran principe che introdusse ufficialmente il
Cristianesimo in Russia (Bazzarelli 1991). Edgardo
Saronne ritiene si tratti invece del gran principe Vladimir Vsevolodovič
Monomach (♔
1113-1125), assai più vicino alla figura di sovrano ideale vagheggiata
dall'autore dello Slovo, in quanto fu un
pacificatore interno e un deciso, anche se non feroce, difensore del paese
contro i Polovcy (Saronne 1988). Si creerebbe così,
nel quadro politico dello Slovo,
un'opposizione tra l'«antico» Vladimir II Monomach e l'«odierno» principe Igor', il
quale, pur con tutto il suo coraggio e la sua ferrea volontà, non è in grado di
eguagliare la statura del predecessore. I due personaggi, qui accostati,
simboleggiano in un certo senso il degrado morale e politico della Rus'. Ma si
può anche pensare al motivo mitologico degli eroi dell'antichità, visti come
uomini di levatura superiore. ― I Cumani [Kumani] o Polovesiani [Polovcy], erano un popolo di ceppo turanico che vivevano da nomadi nelle steppe meridionali della Rus'.
6 ― L'ombra che in questo
verso si promana dal sole si riferisce all'eclisse di sole che ebbe luogo il 1°
maggio del 1185. Il fenomeno era considerato presagio di sciagura ma, com'è
detto più sotto [8], per troppa brama di gloria, Igor'
non si rese conto che la spedizione partiva sotto auspici sfavorevoli. Secondo
il
Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ
[6694/1185], l'evento
dell'eclisse avrebbe avuto luogo, in realtà, all'arrivo delle truppe al fiume Donec, quindi dopo la partenza di Igor' da Putivl', descritta al v. [13]. Lo
spostamento della scena è stato interpretato da alcuni come un errore
dei curatori della prima edizione, i quali avrebbero trovato fuori posto i fogli
del manoscritto, tanto che Evgenij Ljackij e Leone Pacini Savoj hanno proposto
una ricostruzione del testo spostando i vv. [6-9]
tra i vv. [17] e [18] (Ljackij
1934 | Pacini Savoj 1946). È tuttavia
perfettamente possibile che la scena dell'eclisse sia stata anticipata
dall'autore stesso, per avvolgere di una luce inquietante gli eventi che
seguiranno. «L'eclisse è il simbolo dell'ignoto cui Igor' andava incontro, ma
anche dell'isolamento politico della sua impresa condotta in segreto»
(Saronne 1988). ― Con
voi s'intende qui l'esercito schierato in armi, formato dai soldati
reclutati nelle città o tra i contadini delle campagne.
(Rybakov 1951)
7 ― Družina: la
compagnia di guerrieri scelti che stava intorno al principe (da drug
«compagno»; cfr. norreno drótt), affine al comitatus latino. Si
tratta quindi di una schiera d'élite, opposta ai soldati semplici o
voi (Rybakov 1951). ― «Guardare l'acqua dell'azzurro Don» e,
più sotto, «bere con l'elmo l'acqua del Don» [9];
la metafora, nelle sue varie forme, indica il desiderio di Igor' di arrivare
alle terre polovesiane, attraversate dal Don, e conquistarle. Il Don era una grande
via di comunicazione fluviale e, poiché aveva uno sbocco nel Mar Nero,
permetteva scambi commerciali molto importanti con Bisanzio e l'Oriente.
9 ― Kopie è
la lancia pesante, contrapposta a sulicja che è il giavellotto
(Saronne 1988). «Spezzare la lancia» è espressione
per «dare battaglia». La ritroviamo nella poesia scaldica scandinava, come
testimonia esplicitamente Snorri Sturluson: «È una metafora chiamare la
battaglia “spezzarsi di lance”» [Þat er kenning at kalla fleinbrak orrostu]
(Edda di
Snorri > Háttatal). ― Un frequente
tópos letterario russo simboleggiava la vittoria su un paese con il berne
l'acqua dei fiumi (Lichačëv 1950). Analogamente, «spezzare la lancia» significava
«scendere a battaglia».
10 ― Po myslenu drevu
è uno dei loci obscuri dello Slovo. Se drěvu «albero» può avere il
significato collettivo di «bosco», myslĭnŭ è genitivo di mysl'
«pensiero, idea, immaginazione» (cfr. v. [2]);
dunque «alberi pensati, immaginati». Saronne propone una resa letterale «bosco
dell'immaginario», che giudica tuttavia piuttosto goffa.
(Saronne 1988) ― «Intrecciando le due ali della
gloria dei nostri tempi», cioè l'odierna gloria di Igor' con quella dei principi
del passato (Bazzarelli 1991). ― Su
Trojan sono stati versati fiumi di
inchiostro. La maggior parte degli studiosi ritiene fosse un antico dio o eroe
slavo, forse ispirato alla figura dell'imperatore romano Traiano. Ma non sono
mancate al riguardo interpretazioni differenti. Nella sua traduzione, Poggioli,
traduce con riferimenti alla città omerica di Troia: «trascorrendo la traccia
troiana dal piano ai monti», giustificando la traduzione con una pretesa
confusione tra i Turchi (cioè i popoli turanici delle steppe) e i Teucri
dell'epica omerica (Poggioli 1954). Sulla stessa
linea si muove anche Bruno Meriggi, che traduce «correndo il sentiero troiano»
e, in nota, specifica che si tratta di una strada diretta a un'area tra il Don e
il Dnepr (Meriggi 1974). Se, come intendono altri
autori, si tratta invece del «sentiero di Traiano», bisognerebbe intendere la
strada romana dal Danubio al confine della Dacia (Meriggi
1974). Generalmente però esegeti e traduttori considerano
Trojan nome proprio: Angiolo Danti
traduce «percorrendo il sentiero di Trojan»
(Danti 1979); Edgardo Saronne «correndo sulla
traccia di Trojan»
(Saronne 1988), ed Eridano Bazzarelli «correndo per il sentiero di
Trojan» (Bazzarelli
1991). ③
11 ― Pěti bylo pěsnĭ
Igorevi, togo vnuku: l'interpretazione di questo verso è stata, fin da
subito, abbastanza tormentata. Il problema principale è stabilire a chi si
riferisca l'inciso, in caso dativo, togo vnuku (letteralmente, «al
nipote di quello»). Chi è il nipote? E chi è il nonno? Agli esordi degli studi igoriani
si riteneva che tale inciso andasse a connettersi con il nome,
anch'esso in dativo, Igorevi («a Igor'»). Nella prima edizione a stampa del poema (Musin-Puškin
1800), la frase in questione conteneva tra parentesi il nome del nonno del principe, Oleg
Svjatoslavič:
Пѣти
было пѣснь
Игореви, того (Олга) внуку...
Pěti bylo pěsnĭ Igorevi, togo (Olga) vnuku... «Dovresti intonare questo canto a Igor', al nipote di quello (di Oleg)».
Ci si chiede innanzitutto se quel nome tra parentesi appartenesse al manoscritto
cinquecentesco di Musin-Puškin,
andato perduto, o fosse un'aggiunta effettuata dai curatori dell'edizione a
stampa. Gli studiosi sono oggi propensi a ritenere valida la seconda
ipotesi (Lichačëv ~ Dmitriev 1983), per
quanto Edgardo Saronne propenda per la prima (Saronne 1988).
Comunque stiano le cose, i nostri primi traduttori hanno seguito
l'interpretazione dell'ignoto scoliaste. Domenico Ciàmpoli: «per celebrare
Igor, suo nepote» (Ciàmpoli 1895); Bruno Meriggi:
«dovrebbe intonare un canto per Igor', un nipote di questi»
(Meriggi 1974); Angiolo Danti: «si canti una
canzone ad Igor', il di lui nipote» (Danti 1979). Ma quel
nome posto tra parentesi, «a Oleg», sembra essere a sua volta il risultato di un
fraintendimento. I due dativi Igorevi
e togo vnuku, infatti, sono probabilmente da considerare indipendenti
l'uno dall'altro. Sergej Lichačëv e Lev Dmitriev ritengono che il togo vnuku
si riferisca a Bojan, «nipote di
Veles», secondo la formula presente al
verso successivo [12], e quindi il senso verrebbe
ad essere: «a te toccherebbe intonare questo canto per Igor',
Bojan, nipote di
Veles» (Lichačëv
~ Dmitriev 1983).
Ma già Renato
Poggioli aveva sciolto la traduzione con maggior eleganza: «a un tuo rampollo toccherebbe di cantare il cantico d'Igor'»
(Poggioli 1954). Edgardo Saronne gli si accoda
con garbata attenzione e, notando che in antico russo vŭnukŭ
vuole dire tanto «nipote» quanto «discendente», traduce: «a un tuo discendente toccherebbe cantare per Igor'»
(Saronne 1988). È invece piuttosto cervellotica
l'interpretazione di Eridano Bazzarelli, il quale traduce: «Così, o nipote di
Veles, intoneresti questo canto per Igor',
nipote di Trojan»; finendo con il
duplicare la parola «nipote» e con l'aggiungere
due
nomi non originariamente presenti al testo (Bazzarelli 1991).
Il senso di vŭnukŭ,
però, a nostro avviso potrebbe anche essere quello di «allievo». ― Qui il poeta prova a
iniziare una composizione nello stile di Bojan; è possibile che si tratti di una
citazione o una rielaborazione da un poema allora noto del grande cantore. ―
È qui tradotto con «cornacchie» l'antico russo galicě, al singolare
galicja (cfr. russo moderno galka). Si tratta della taccola (Corvus
monedula), piccolo corvide reso popolare dalle osservazioni di Konrad
Lorentz. Come nei cigni al v. [3], viene qui
utilizzata, nei loro confronti, la parola stado «branco» e non staja
«stormo».
12
― Sul dio
Veles si veda il
capitolo relativo alle divinità antico-russe. ④
13
― In un solo verso viene inquadrato l'intero panorama geografico-politico
che sottintende allo
Slovo o pŭlku
Igorevě. La Sula è un affluente di
sinistra del Dnepr, e segnava il confine del territorio controllato dai Russi
con quello in mano ai Polovcy. Kiev è la capitale dove risiede il gran
principe Svjatoslav III Vsevolodovič, il quale assisterà agli eventi della
campagna igoriana, ormai uscita dal suo controllo. Novgorod è qui in realtà
Novgorod-Severskij, la città di cui è signore lo stesso principe Igor'. Egli l'ha
lasciata il 23 aprile, per giungere a Putivl' entro la fine del mese. Qui avviene
appunto la riunione di tre dei quattro principi che partecipano alla spedizione contro i
Polovcy: lo stesso Igor', suo
nipote Svjatoslav Ol'govič, suo figlio Vladimir Igorevič. Nella frase «si
rizzano gli
stendardi a Putivl'» è infatti compresa l'immagine dei soldati schierati e
pronti a marciare verso i Polovcy: gli stendardi sono quelli inalberati dai
reggimenti di cui si compone l'esercito russo, i quali servivano per
facilitare la localizzazione delle truppe sul campo di battaglia. L'autore dello Slovo
mostra – qui come altrove – di saper dominare una materia vasta e complessa con
minime pennellate di poesia.
14
― Vsevolod Svjatoslavič († 1196), fratello di Igor', era principe di Kursk e di
Trubčevsk. Secondo il
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ
[6694/1185], le schiere di Vseslav e Igor' si riunirono dopo la
partenza di queste ultime da Putivl', nei pressi del fiume Donec ⑤. La laconicità
dello Slovo, e il suo modo ellittico di
associare gli episodi, non permette di comprendere dove collochi esattamente
l'incontro tra i due fratelli.
15 ― L'epiteto di
Vsevolod, «Toro Impetuoso» [buj turŭ] si riferisce all'uro, il toro
selvatico che visse in Russia fino all'inizio del XVII secolo, quando si
estinse. L'espressione sembra sia una sorta di kenning per «eroe». La
formula è stata messa in relazione – ma è difficile dire se si tratti di un
gioco di parole o di un'etimologia popolare – con il
termine russo bogatyr' «cavaliere, eroe»; così infatti la traduzione in
russo moderno nella prima edizione del poema (Musin-Puškin
1800). Sembra che questa parola sia di origine altaica (da un antico turco *baġatur; cfr. turco batur «grande signore»,
ungherese bátor «audace», etc.), poi assimilata nell'antico russo bogatyrĭ
(Vasmer 1950-1958 | Sulejmenov 1975).
16 ― «Luce lucente» [světŭ světlyj]:
si noti la ripetizione, con valore di rafforzativo. Le sfumature di
colore e luce hanno grande importanza nel linguaggio poetico dello
Slovo (Gulidova 2011).― Secondo Sergej Plautin, Igor' e Vsevolod sarebbero stati entrambi figli di Ekaterina,
terza moglie di Svjatoslav Ol'govič (Plautin 1958 |
Saronne 1988).
18 ― Evgenij
Ljackij e Leone Pacini Savoj hanno proposto di spostare qui, seguendo l'ordine
degli eventi del Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
la scena dell'eclisse narrata nei vv. [6-9]
(Ljackij 1934 | Pacini Savoj 1946); tale
ricostruzione non sembra però necessaria. ― L'essere d'oro caratterizza ciò che
è relativo ai principi. Così «staffa d'oro», «trono d'oro», «elmo d'oro», etc.
19 ― Chi o che cosa è
questo Div che guata dall'albero in forma di
uccello? Esso compare qui e poi successivamente al v.
[65]. Il nome ricorda i daēvā
iranici. La parola che, seguendo la lezione di Bazzarelli, viene qui tradotta
con «guatare», cioè guardare in senso maligno, nell'originale è il verbo pasti,
propriamente un guardare nel senso di «pascolare, custodire»
(Bazzarelli 1991). ― Nulla sappiamo su questo idolo
di Tmutorokan'. Il testo utilizza il termine blŭvanŭ
«lottatore».
Questa parola, di origine iranica, passò in seguito in territorio turco: è
infatti testimoniata nelle iscrizioni turaniche dell'Orchon, in Siberia, nella
forma balbal, col significato di «pietra scolpita». Si riferisce forse
alle cosiddette babi di pietra, rozze statuette con sembianze femminili
erette (forse) dai nomadi turchi nell'Ucraina meridionale.
22
― «Sei già oltremonte, terra di Rus'!» [O Ruskaja zemlě! Uže za šelomjanemŭ
esi!]. Il testo antico-russo è ambiguo. Il significato fondamentale di
zemlja è «terra» e, così traducendo, ci si mette dal punto di vista dei
guerrieri che hanno lasciato la loro patria. Ma zemlja si può tradurre
anche come «schiera» («sei già oltre i monti, schiera russa!»), e così ci si
mette dal punto di vista dell'autore del poema che vede i guerrieri allontanarsi
dalla patria per inoltrarsi in territorio nemico. Per quanto Bazzarelli
consideri esteticamente più valida la seconda interpretazione, sceglie la prima
traducendo: «O terra di Rus', sei ormai troppo lontana!» (Bazzarelli
1991).
24 ― Gli scudi russi del
XII secolo erano ovoidali, di legno dipinto in rosso scuro. Questo colore [čerlenyj],
tradizionalmente legato al mondo umano e alla forza della vita, nel simbolismo
cromatico dello
Slovo rappresenta i Russi: i nemici sono
sempre rappresentati con colori tendenti al nero e all'azzurro scuro
(Gulidova 2011).
25― L'epiteto «pagano» [pogani],
più volte ripetuta nello Slovo, non sembra
avere un significato ideologico, se non nell'indicare i nomadi della steppa in
quanto nemici esterni al mondo russo. Tuttavia si ricordi che, secondo molti
autori, il poema stesso è, nel suo spirito, profondamente pagano
(Kosorukov 1986 | Bazzarelli 1991). ― Mantelli,
gualdrappe, pellicce, tessuti: il testo originale riporta qui dei termini di
origine turanica, inerenti alla cultura dei popoli delle steppe.
26 ― Il testo usa
quattro diverse parole per indicare i diversi tipi di insegne. I termini sono di
varia origine: scandinava (stjagŭ «stendardo»), mongola (chorjugovĭ
«gonfalone»), turanica (čolka «insegna», propriamente «coda di cavallo»)
e di nuovo, forse, scandinava (stružïe, cfr. norreno strangi
«fusto d'albero»). Si tratta di insegne o bandiere polovesiane.
27
― Per «ardito nido di Oleg» ci si riferisce ad Igor' e Vsevolod, nipoti del
principe Oleg Svjatoslavič/Gorislavič.
28 ― Gzak e Končak erano
i capi polovesiani che avevano organizzato l'accerchiamento delle schiere russe.
Come si vedrà anche oltre, Gzak è più duro e inflessibile, Končak più
diplomatico: in seguito sua figlia sposerà Vladimir figlio di Igor'.
29 ― I «quattro soli»
sono i quattro principi russi che partecipano all'impresa, cioè Igor' Svjatoslavič, il fratello Vsevolod Svjatoslavič, il figlio Vladimir Igorevič, e il nipote Svjatoslav Ol'govič, che all'epoca aveva solo diciannove
anni. ― Non esiste un fiume Kajala nell'attuale toponomastica russa e non si sa
bene a quale corso d'acqua si riferisca il testo. Le identificazioni proposte
indicano vari affluenti del Don, a seconda che la schiera di Igor' abbia
proceduto lungo l'una o l'altra sponda del fiume. Poggioli ad esempio costruisce
la sua traduzione identificandolo con un fiumicello Kajaly vicino al Mar
d'Azov (Poggioli 1954). Secondo un'altra ipotesi,
invece, il Kajala sarebbe da intendere non in senso geografico, ma metaforico,
quale «fiume del pianto», dal verbo kajati «piangere, soffrire»
(Barsov 1899).
31 ― Sul dio
Stribog
si veda il capitolo relativo alle divinità antico-russe. ⑥
32 ― «Figli di Běs» sono
i Polovcy. In antico russo Běsŭ è il diavolo, ma forse questo termine
è derivato da quello di qualche antica divinità turanica.
33 ― Seguendo la lezione
di Bazzarelli, traduciamo con «brunito» il problematico aggettivo antico russo
charalužnyj, che ricorre varie volte nello
Slovo o pŭlku
Igorevě senza che ne sia data
un'interpretazione convincente (Bazzarelli 1991).
La maggior parte degli autori ritiene che questo aggettivo possa essere connesso
con la parola turanica qara «nero», anche se nella simbologia epica il
colore nero non è applicabile alla sfera russo-cristiana. La parola compare
unicamente nello
Slovo e una volta nella
Zadonščina, dove però è stata copiata dallo
Slovo.
34 ― Gli Àvari di cui si
parla, erano un popolo di origine mongolica ma di lingua caucasica, frequenti
alleati dei Polovcy. I loro antenati erano giunti in Russia attorno al V-VI
secolo ma, dopo essere stati distrutti dai popoli turanici, si rifugiarono nel
Caucaso, dove vennero assorbiti dalle popolazioni locali. I loro discendenti
sono gli attuali Àvari del Daghestan, di lingua adyghé-dido.
35 ― Brano non molto
chiaro, che ha spesso costretto gli studiosi a operare correzioni e
aggiustamenti per cercare di porvi rimedio. Queste frasi,
nelle varie interpretazioni, si riferiscono a Vsevolod, che tutto dimentica
nell'ardore della battaglia. Parte della perplessità degli interpreti deriva dal
fatto che non conosciamo molti dettagli della biografia del personaggio. ―
Glebovna, «figlia di Gleb», è il patronimico della sposa di Vsevolod, la quale
era figlia di Gleb Jur'evič († 1171), il quale era stato gran principe di
Kiev, e sorella di Vladimir Glebovič di Perejaslavl', citato al v.
[71]. Per qualche ragione, il poeta chiama le due spose, rispettivamente, di
Igor' e Vsevolod, attraverso i loro patronimici: Jaroslavna e Glebovna. Mentre
la prima si chiamava Evfrosina, nulla sappiamo dire della seconda.
36 ― Si delinea l'idea
politica dello
Slovo o pŭlku
Igorevě: le contese dei principi
indeboliscono l'unità della Rus', permettendo il trionfo dei nomadi della steppa. E
l'iniziatore delle discordie fu proprio Oleg Svjatoslavič/Gorislavič († 1115), principe di Tmutorokan' e poi di Černigov, nonno di Igor', il quale partecipò alle lotte scatenatesi per il
gran principato, sterminando cugini e parenti, e per di più assoldando come
mercenari i Polovcy. ⑦
37
― I fatti qui descritti si erano svolti nel 1078. Salito «sulla staffa d'oro»,
Oleg partiva da Tmutorokan' in testa alla sua schiera per attaccare la città di
Černigov, di cui era allora principe Vsevolod Jaroslavič. Questi,
riparato a Kiev presso suo fratello, il
gran principe Izjaslav I Jaroslavič,
«sentiva il suono» delle schiere che avevano occupato la sua città ed a ben
ragione era preoccupato e si disperava. Figlio di Vsevolod era Vladimir Monomach,
che molti anni dopo sarebbe diventato gran principe, ma che, all'epoca dei fatti, risiedeva col padre a Černigov.
L'autore dello
Slovo lo rappresenta, ingiustamente,
nell'atto di tapparsi le orecchie, rifiutandosi di prendere posizione nella
contesa. L'espressione uši zakladaše è un gioco di parole che può essere
tradotto sia «chiudere le orecchie» sia «chiudere le porte». Il senso è comunque
quello: secondo l'autore dello Slovo, Vladimir fingeva di non accorgersi di ciò
che stava accadendo. Nella realtà storica tuttavia, il giovane Vladimir prese
parte alla contesa e combatté a fianco del padre.
38 ― Oleg Svjatoslavič si
era alleato con il giovane Boris Vjačeslavič. Conquistata Černigov,
i due ne furono presto cacciati dalle schiere congiunte di Vsevolod e
Izjaslav Jaroslaviči, con i quali erano i rispettivi figli Vladimir Monomach e
Jaropolk Izjaslavič. Ci fu un gran massacro sul campo della Nežatiaja Niva (3
ottobre 1078), presso il fiumicello Kanin, in cui morirono molti nobili
principi, tra cui lo stesso Boris (Se pověsti
vremjanĭnychŭ lětŭ
[6586/1078]), a cui, dice lo
Slovo, fu steso un sudario d'erba
sulla riva del fiume Kajala, confondendosi forse col fiume Kanin. Oleg dovette
capitolare e, in quello stesso 1078, Vladimir Monomach divenne signore di
Černigov,
mentre il padre Vsevolod passava al ruolo di gran principe di Kiev in luogo del fratello Izjaslav, caduto nel corso della battaglia.
⑧
39 ― Come detto sopra, nella
battaglia di Nežatiaja Niva (3 ottobre 1078) cadde il gran principe Izjaslav Jaroslavič.
Secondo lo
Slovo o pŭlku Igorevě, il figlio Svjatopolk
Izjaslavič ne fece poi trasportare il corpo a Kiev, sospendendolo tra due
cavalli ungheresi (i quali erano apprezzati per il loro carattere docile e
venivano impiegati per trasportare i feriti). L'autore dello
Slovo confonde però
Svjatopolk con il fratello Jaropolk Izjaslavič. Secondo quanto riportato nella cronaca nestoriana,
infatti, in quel frangente Svjatopolk si trovava a Novgorod e fu Jaropolk, che aveva partecipato alla battaglia a fianco del padre, a
trasportare il corpo di Izjaslav in Kiev (Se pověsti
vremjanĭnychŭ lětŭ
[6586/1078]). Il testo dello Slovo
presenta qui molte difficoltà di ordine filologico che,
senza entrare in dettagli, hanno costretto gli studiosi ad alcune correzioni del
testo: ma il senso originale sembra avere valore causativo. La difficoltà può
venire superata ipotizzando che Svjatopolk (in realtà Jaropolk) non abbia personalmente trasportato
il corpo del padre ma lo abbia fatto trasportare, cioè abbia dato l'ordine di
traslare la salma.
40 ― Questo epiteto di
Oleg Svjatoslavič, Gorislavič, «figlio di Malagloria», non è da tutti gli studiosi
inteso in questo modo. Se è da gòre «amarezza» va bene Malagloria, ma
se fosse da gorè «alto, elevato» bisognerebbe tradurre «figlio di Eccelsa Gloria».
L'epiteto si trova anche in altri documenti, come alcune gramota e la
Prima cronaca di Novgorod, senza che
tuttavia sia possibile sciogliere il dilemma. La maggior parte dei traduttori
preferisce, dal contesto, la prima opzione. (Bazzarelli
1991) ― La parola žiznĭ, che vuol dire letteralmente «vita»,
andrebbe qui interpretata nel senso di «ricchezza» o di «potenza»
(Danti 1979 | Bazzarelli 1991). ―
Daž'bog è un'antica divinità slava dai
tratti non ben definiti, forse un dio del sole e della luce, oppure un dio
elargitore di ricchezza. «Nipoti di Daž'bog»
sono i Russi: si veda il capitolo relativo agli dèi dell'antica Russia.
⑨
45
― Questo passo presenta qualche difficoltà e lo si può interpretare alla luce del racconto
dell'episodio nel Codice Laurenziano, dov'è scritto che ad un certo punto il principe Igor' tornò indietro e vide Vsevolod circondato dai nemici.
Preso da pietà (egli stesso era ferito) pregò per il
fratello (Se pověsti
vremjanĭnychŭ lětŭ
[6694/1185]). Secondo alcuni studiosi è possibile che, nel testo
originario dello
Slovo o pŭlku
Igorevě, vi fosse qui un brano di più ampio
respiro (Bazzarelli 1991). Ci
sembra ragionevole, tuttavia, che il poema procedesse, più
che attraverso un racconto puntuale, per rapidi e suggestivi
richiami ad eventi che il pubblico già conosceva.
46
― Come spesso nell'epica, la battaglia è paragonata a
un festino, anche se non sono mancati tentativi di lettura
più profonda.
47
― L'immagine dell'erba e degli
alberi che si piegano per il dolore, compare nella poesia
popolare russa a simboleggiare il sopraggiungere di una
sventura (Peretc 1926 | Bazzarelli 1991).
48
― Questo brano nel
suo significato è del tutto chiaro: a non essere chiare sono
le immagini esteriori della metafora (Stelleckij 1965).
Perché la «sconfitta» [obida] sorge nell'aspetto di una
fanciulla, e perché costei ha ali di cigno, con cui disperde
i tempi dell'abbondanza? Gli studiosi non hanno raggiunto
alcuna conclusione: si è ricordato che il cigno era un
animale totemico dei Polovcy, che veniva considerato
simbolo di sciagura e che, tra i suoi significati simbolici,
era legato al regno dei morti. La fanciulla-cigno sarebbe il
simbolo delle disgrazie del popolo russo; in alcune storie
tradizionali russe, la strega è in grado di trasformarsi in
cigno (come nella bylina di Michajlo Potyk);
analogamente le
Valkyrjur del mito scandinavo portavano camicie di
cigno. (Bazzarelli 1991)
― Obida non è parola facile da interpretare nel contesto
dello
Slovo o pŭlku
Igorevě. Nella sua traduzione, Poggioli rende questa
parola con «violenza» (Poggioli 1954), ma «offesa» traducono
sia Danti che Bazzarelli. Come appunta quest'ultimo, la
parola obida, che in seguito è finita col significare
«contesa», originariamente significava «offesa»; ovvero quel
tipo di offesa, causata dalle discordie tra i principi che,
secondo il codice feudale, andava vendicata
(Bazzarelli
1991). Nella nostra traduzione abbiamo preferito distorcerne
il significato per adattarla al contesto della battaglia che Igor' ha appena perduto contro i
Polovcy e renderla così
con «sconfitta».
― «Battendo le ali ha disperso i tempi dell'abbondanza».
Il manoscritto originale riportava un verbo ubudi
«svegliare, destare», ma poiché in tal modo la frase veniva
ad avere un senso contrario al contesto, si suole emendare
con upudi «cacciare, disperdere». (Potebnja
1914)
50
― Vi è forse un riferimento al pianto rituale che accompagnava i riti
funebri ed è stato ricordato che le prefiche accompagnassero i morti al sepolcro
lamentandosi e agitando fiaccole. Forse ci si può vedere anche un riferimento ai
roghi funebri dei tempi precristiani. (Bazzarelli 1991)
54
― La parola che abbiamo tradotto con «tributo» è nel testo originale běla
«scoiattolo», in quanto nei tempi antichi, tra gli Slavi orientali, le
tassazioni consistevano appunto in pelli di animali.
55
― Non si faccia confusione: Igor' e Vsevolod erano i
figli di Svjatoslav Ol'govič, ex principe di Černigov (♔
1154-1164).
Invece, lo Svjatoslav di cui poche righe più sotto si canta
l'elogio, colui che aveva a suo tempo sconfitto i Polovcy e aveva preso prigioniero il loro signore Kobjak,
era invece Svjatoslav III Vsevolodovič, all'epoca gran principe
di Kiev (♔ 1174, 1177-1180, 1182-1194). ― Abbiamo tradotto «il loro signore Svjatoslav» per
evitare confusione, anche se il testo ha otecŭ «padre».
Naturalmente è inteso in senso traslato, quale signore
feudale, e in traduzione abbiamo preferito sciogliere la
metafora.
56
― Che all'epoca Tedeschi, Veneziani, Greci e Moravi si
interessassero alle beghe interne della Rus' kievana appare
un po' improbabile...
57 - Traduciamo qui, con Bazzarelli, l'espressione a
vŭ sědlo koščïevo con «è salito sulla sella del prigioniero».
La parola koščej è stata variamente interpretata: il
significato più semplice sembra sia appunto «prigioniero»,
ma anche «schiavo, servo». Il termine deriva dal turco košči
«prigioniero», a sua volta da koš «recinto» (termine passato
nel russo con identico significato). Nel russo koščej vuol
dire anche «uomo magro, scheletro» (da kost' «osso») e, per
estensione, «avaro» (Bazzarelli 1991). Si può anche
ricordare il personaggio di Koščej, lo «scheletro senza
morte» delle fiabe russe.
58 ― Nella sua
formulazione, il testo afferma testualmente: «Intanto Svjatoslav ebbe un sogno confuso nella rocca di Kiev»
[A Svjatŭslavĭ mutenŭ sonŭ vidě vŭ Kïẹvě na gorachŭ],
lasciando intendere che il gran principe Svjatoslav III Vsevolodovič si
trovava a Kiev quando fece il suo lugubre sogno. Ma poiché,
stando al Se pověsti
vremjanĭnychŭ lětŭ, il gran principe si
trovava invece a Karačev, sulla strada di Černigov, gli
studiosi hanno emendato l'ordine delle parole in modo che, nella
nuova interpretazione, è il sogno a svolgersi nella rocca di Kiev.
59 ― Tutta la scena è ricca di simboli e significati
funerei. Il legno di tasso ha un simbolismo sepolcrale, così
il vino fosco (letteralmente sinij «azzurro», opposto al
vino «verde» o novello), la perla gettata sul petto del gran
principe. I Tolkoviny erano i «traduttori», cioè membri di
tribù della steppa alleate dei principi russi che
esercitavano varie funzioni presso costoro, fra cui quella
di interpreti.
60 ― Vi era in Russia e
in Ucraina, fino a tempi relativamente recenti, la tradizione secondo la quale
rimuovere la trave centrale della casa aiutava il morente nelle sue sofferenze
d'agonia e permetteva all'anima di volar via. Secondo alcuni interpreti,
l'immagine di togliere la trave centrale significherebbe anche scardinare la
potenza di Kiev (Kosorukov 1986).
61
― Si parla qui di bosuvi vrany «corvi demoniaci». L'aggettivo è forse
derivato da Běs, nome antico-slavo del diavolo (cfr.
[32]).
62 ―
I due «falchi» sono ovviamente Igor' e Vsevolod.
63 ―
Nuove metafore. I due «soli» e quindi le due «colonne di porpora» sono Igor' e
Vsevolod, le due «giovani lune» dovrebbero essere gli altri due partecipanti
alla spedizione, Vladimir Igorevič e il
nipote Svjatoslav Ol'govič, rispettivamente figlio e nipote di Igor', anche se qui il copista per qualche ragione (o
forse per errore?)
cita, accanto a Svjatoslav, un «Oleg». Renato Poggioli nella sua traduzione evita di citare i nomi
(Poggioli 1954).
64 ―
Molte ipotesi zoologiche per spiegare qui questa metafora sui ghepardi, ma che
gli antichi russi conoscessero questi animali sembra attestato, oltre che da un
affresco di Santa Sofia in Kiev, anche dal fatto che il ghepardo iranico (Acinonyx
jubatus) veniva utilizzato nelle cacce tra i tartari e anche tra i principi
russi.
65 — Ricompare qui il diabolico Div di cui abbiamo già detto
sopra [19]. ― Le
«belle fanciulle dei Goti» [gotskïja krasnyja děvy]
è un probabile riferimento
ai Visigoti che erano insediati sulle
rive del Mar Nero e del Mar d'Azov già dal II secolo e che, all'epoca
dello Slovo, erano
vassalli dei Polovcy. Si tenga presente che popolazioni
parlanti lingue germaniche orientali erano attestate in
Crimea ancora nel XVIII secolo. ― Bus (in latino Boz) era il
semi-mitico capo degli Anti,
antenati degli Slavi Orientali [32]. Vinto dal re goto Vinitharius nel 375, fu fatto prigioniero e poi crocifisso
insieme ai figli e settanta notabili (Jordanes:
De Getarum sive Gothorum origine [XLVIII]). Per altri studiosi, il Bus qui citato
sarebbe un capo del Polovcy dell'XI secolo, noto per le
sue scorrerie contro i russi. ― Šarokan era un capo dei Polovcy, nonno di
Končak. A
suo tempo Vladimir Monomach lo aveva vinto e respinto fino
al Caucaso. Per tale ragione, qui si dice che Končak
avrebbe ora vendicato la sconfitta
dell'avo.
66 ― Lo zlato slovo,
l'«aureo discorso», è il monologo che il gran
principe Svjatoslav Vsevolodovič tiene rimpiangendo la sventurata impresa
di Igor' e le sue conseguenze. Non è però evidente dove il
discorso finisca. Bazzarelli ritiene si concluda là dove
dice «il tempo si è volto in sciagura» [na niče sja godiny obratiša] [70], ma altri
ritengono che anche il susseguente appello ai principi faccia
parte dello zlato slovo.
67 ― «Nel disonore vi siete battuti...» dice Svjatoslav Vsevolodovič:
Igor' e Vsevolod hanno infranto i patti di pace che il gran
principe aveva stipulato con i Polovcy.
69 ― Jaroslav Vsevolodovič, fratello del gran principe Svjatoslav Vsevolodovič, era allora principe di Černigov
(♔
1176-1198). ― Sui Moguti, i Tatrani, gli Šelbiri, i Topčaki, i
Revughi e gli Olberi esiste un'intera letteratura. Secondo
alcuni si tratta di titoli o soprannomi di personaggi
altolocati di origine turanica (Malov), per altri di nomi di
tribù o gruppi etnici turco-tatari (Korš
1909 | Menges 1951).
Senza entrare nei dettagli, è
ragionevole considerare questi nomi come quelli di gruppi di
alleati o mercenari di varie etnie turaniche al servizio del
gran principe di Kiev e dei principi delle città russe
(Bazzarelli 1991). ― E sarebbero costoro che col solo pugnale
(in russo zasapožnik «che si tiene nello stivale») sarebbero
in grado di sbaragliare le schiere? Il dettaglio non sembra
potersi attribuire a genti turaniche: e quali «schiere»
sbaraglierebbero, di quali «avi» la gloria farebbero
risuonare? Il passo è molto oscuro.
71
― La città di Rimov venne saccheggiata da Končak dopo la
vittoria su Igor'. Poco prima i Polovcy avevano assalto Perejaslavl', di cui era signore Vladimir Glebovič. È sua sorella, la Glebovna sposa di Vsevolod
Svjatoslavič (fratello del nostro Igor'), citata al v.
[35]. Vladimir Glebovič fu gravemente
ferito mentre difendeva la città dai Polovcy e morì due anni dopo
(† 1187). ⑩
72 ― È Vsevolod Jur'evič
(† 1212), detto Bol'soe Gnezdo «grande nido», figlio di Jurij I
Vladimirovič Dolgorukij, «lungo braccio», gran principe di Kiev (♔
1149-1151), fondatore di Mosca, a sua volta figlio di Vladimir II Monomach. Sotto
il regno di Vsevolod, la città di Vladimir-Suzdal' (♔ 1154-1212) raggiunse il culmine della sua grandezza, ragion per cui
egli ricevette il titolo di «gran
principe» [velikij knjaz'], con dignità pari, dunque, a quella del signore di Kiev.
D'altra parte, lo stesso Vsevolod fu gran principe di Kiev per cinque settimane
(♔ 1174), prima di essere imprigionato e costretto
a rinunciare al trono da Rjurik Rostislavič († 1215), di cui si
tratta nel verso
successivo [73]. Da Vsevolod Jur'evič discenderanno Aleksandr Nevskij, Ivan Kalita e
tutti i grandi principi di Mosca fino a Ivan IV Vasil'evič Groznyj, il «terribile». ― Con «soldo» e «centesimo» rendiamo qui due antiche
monete kievane: la nogata (ventesima parte di una grivna) e
la rezana (cinquantesima parte di una grivna).
73 ― Si tratta di Rjurik Rostislavič († 1215), figlio di Rostislav Mstislavič
di Smolensk († 1168) e nipote di Vladimir II Monomach. Nel corso della sua movimentata
esistenza, funestata dalle lotte per la conquista del potere, Rjurik fu gran
principe di Kiev per ben cinque volte (♔ 1173,
1180-1202, 1203-1205, 1206, 1207-1210); alternandosi, tra gli altri, con Svjatoslav III Vsevolodovič
(♔ 1174,
1177-1180, 1182-1194). All'epoca dei fatti dello Slovo,
i due gran principi regnavano congiuntamente e, dopo la morte di Svjatoslav († 1194), Rjurik divenne
unico sovrano di Kiev. ― Davyd Rostislavič († 1197), fratello di Rjurik, fu principe di Smolensk:
sua moglie era una principessa polovesiana e, per tale ragione, Davyd non partecipò alla spedizione del 1183, né collaborò con i principi russi nella
crisi polovesiana scatenata dalla sconfitta di Igor' nel 1185.
74
― Questo Jaroslav Vladimirovič († 1187) era signore di Galič, la
Galizia orientale, una regione
addossata ai Carpazi, sita in quelle che oggi sono l'Ucraina occidentale e la
Polonia sud-orientale. L'autore dello
Slovo o pŭlku
Igorevě lo definisce Osmomyslŭ, «dall'ottuplice pensiero»,
in quanto aveva fama di essere saggio e accorto. I suoi
antenati avevano a lungo lottato contro gli Ungheresi, ma Jaroslav, nonostante
lo
Slovo affermi il contrario, rimase in pace
con i suoi vicini, anzi, sposò una figlia di István III, re d'Ungheria.
Sua figlia, Evfrosina Jaroslavna, era sposa del nostro Igor'. ― «Aprire le porte di una città» voleva
dire conquistarla: infatti, nel 1159, Jaroslav di Galič e Mstislav di Volyn' avevano conquistato Kiev, cacciandone il
gran principe Izjaslav III Davidovič.
75 ― Forse da identificare con i cugini Roman Mstislavič Velikij, il
«grande» († 1205), principe di Volyn' e Galič, e Mstislav Jaroslavič
Nemoj, il «muto» († 1226), principe di Peresopnica, figli rispettivamente del gran
principe Mstislav II Izjaslavič († 1170) e di suo fratello il gran principe Jaroslav
II Izjaslavič di
Luck († 1180?). Anche essi discendevano da Vladimir II Monomach. Sono
tuttavia altre possibili identificazioni.
76 ― L'elenco dei popoli contro cui Roman e Mstislav
combatterono sembra riferirsi a popoli che abitavano lungo
la costa baltica. Jatvinghi e Deremeli erano tribù baltiche
che entrarono poi nella nazione lituana. Per «Unni» si
intendono probabilmente i Finni o gli Estoni. Soltanto i
Polovcy sono turanici.
78
― I «valorosi principi» [chrabryi
knjazi] Olgoviči, discendenti di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič,
sono il principe Igor', suo fratello Vsevolod, suo figlio Vladimir e suo nipote
Svjatoslav, i «quattro soli» che hanno partecipato alla sventurata impresa.
79 ― Passo oscuro e tormentato. Sembra che ci si riferisca
ai fratelli Ingvar' († 1202) e Vsevolod († 1185) Jaroslaviči, principi di
Volyn', fratelli del Mstislav Jaroslavič il «muto»,
sopra ricordato. ― «E tutti e tre voi, figli di Mstislav»: secondo la
maggior parte dei commentatori si tratterebbe di Roman il «grande» (già nominato
al v. [75]), Svjatoslav e Vsevolod di Belz († 1185) Mstislaviči,
figli del gran principe Mstislav II Izjaslavič, anche se resta da spiegare
perché Roman sia nominato due volte nell'appello ai principi (Saronne 1988).
Sono state tuttavia avanzate altre identificazioni, seppur meno probabili
(secondo Rybakov si sarebbe trattato di Davyd, Vladimir e
Msistlav Udaloj, il «temerario», figli di Mstislav Chrabryj, il
«coraggioso», principe di Smolensk († 1178) (Rybakov 1984)). ― L'epiteto
«dalle sei ali» [šestokrilci] sembra un calco dal greco hexaptéryx,
epiteto bizantino degli angeli Serafini (Jakobson 1975 | Saronne 1988).
Sembra che in certi
poemi slavo-meridionali tale epiteto venisse attribuito anche a guerrieri ed
eroi (Bazzarelli 1991).
80― Di questo Izjaslav Vasil'kovič
le cronache non dicono nulla: tutto ciò che sappiamo di lui deriva da questo
passo dello Slovo o pŭlku
Igorevě. Principe di Polock e, forse, di Gorodec, sarebbe stato ucciso combattendo contro i Lituani. Un
altro sconfitto, dunque, come Igor', ma in difesa della sua terra e contro
nemici esterni.
81 ― Il motivo del letto di morte associato al
letto nuziale è tipico della poesia popolare. Bazzarelli ricorda un canto
ucraino in cui il cosacco morente manda il suo cavallo ad
avvertire la madre della sua morte: «Tu di', cavallo, che io
mi sono sposato, / che ho preso in moglie una bella ragazza
/ nel campo aperto, nella terra» (Bazzarelli 1991).
L'immagine delle ali degli uccelli e delle belve che leccano
il sangue ha riscontri nella poesia e nelle saghe scandinave
(nelle kenningar la battaglia è chiamata «festino dei
lupi» o «dei corvi»).
82 ― Se nulla si sa di Izjaslav Vasil'kovič, nulla
evidentemente si può aggiungere dei suoi fratelli,
Brjačislav e Vsevolod.
83
― Jaroslavli «figli di Jaroslav» è una correzione,
accettata dai maggiori studiosi del poema, al posto
dell'originale Jaroslave. Molte sono state le congetture e
le ipotesi, ma Jaroslavli risolve molti problemi. I figli di
Jaroslav Vladmirovič il «saggio» furono infatti sempre in contesa con i
loro cugini, figli di Izjaslav Vladmirovič di Polock, qui ricordati come «nipoti di Vseslav» (Bazzarelli 1991).
84
― Che cosa significa l'espressione «nella settima età di Trojan» [sedĭmomŭ věcě
Trojani]? Sono state avanzate al riguardo decine di
interpretazioni: una settima èra? O forse un settimo millennio? Se teniamo conto
che i Russi dell'epoca utilizzavano il calendario bizantino, che partiva dalla
data della creazione del mondo, 5508 a.C., gli eventi di cui parliamo si
collocano appunto nel settimo millennio (Saronne 1988). Angiolo
Danti nella sua traduzione espunta la riga, Eridano Bazzarelli traduce «nell'ultimo tempo di
Trojan» intendendo
il passo – forse non a torto – come se significasse «negli
ultimi tempi del paganesimo» (Bazzarelli 1991). Riguardo a
Trojan rimandiamo al capitolo sulle divinità slave. ⑪
85 ― L'uomo di cui qui si parla è
Vseslav Brjačislavovič
(† 1101), il sanguinario
principe-stregone di Polock, di cui tratta il Codice Laurenziano della
cronaca nestoriana (Se
pověsti vremjan ĭnichŭ lětŭ [Codice
Laurenziano: 6552/1044]).
Di lui si diceva fosse in grado di
trasformarsi in animale, e pare che la
figura dell'eroe bylinico
Vol'ga Vseslav'evič sia
costruita su di lui. Tormentata la sua biografia: Vseslav guerreggiò a lungo
contro i fratelli Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod, figli di Jaroslav il «saggio», finché fu catturato a tradimento e gettato in prigione
a Kiev. La «fanciulla che tanto desiderava»
[děvicju sebě ljubu] sembra sia una metafora indicante la stessa città di Kiev,
di cui Vseslav ambiva essere gran principe. Egli riuscì a
soddisfare la sua ambizione («con la lancia sfiorò il trono
d'oro di Kiev»), quando il popolo di Kiev, dopo l'incursione dei Polovcy, lo
liberò dalla prigione e lo mise sul trono, dopo aver cacciato Izjaslav. Il regno
di Vseslav fu tuttavia molto breve (♔
1068-1069). Cacciato, ritornò a Polock da dove continuò a far guerra agli
Jaroslaviči. ⑫
86 ― «Al
mattino conficcò le asce», seguiamo qui la lezione di Eridano Bazzarelli
(Bazzarelli 1991). Il luogo infatti è
assai corrotto. La parola di più
difficile interpretazione è (s)trikusy, che viene solitamente
intesa con «asce» in base ad una possibile relazione con un
termine di origine germanica (cfr. antico alto tedesco
strîtachus «ascia da combattimento»)
(Snegirëv 1838 | Potebnja 1878). Altri studiosi hanno proposto una correzione
di strikusy in sŭ tri kusy
(Lichačëv 1950 | Jakobson 1958),
da cui la traduzione di Angiolo Danti «con tre tentativi
stracciò la fortuna» (Danti 1979), o di Edgardo
Saronne «con tre morsi afferrò la sorte» (Saronne 1988). ―
Dudutki è una località non identificata, forse vicino a
Novgorod. Vari autori, tra cui Roman Jakobson, hanno
proposto emendamenti e correzioni del testo, dando alla
parola diversi significati. ―
Sul fiume Nemiga venne combattuta una sanguinosissima battaglia (1063) tra Vseslav Brjačislavovič
e i tre Jaroslaviči: Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod. Si tratterebbe del fiume
Neman (lituano Nemunas, tedesco Memel, bielorusso Nëman,
russo Neman), che sorge presso Minsk (Bielorussia) e, dopo aver
attraversato la Lituania, sfocia nel mar Baltico (Poggioli
1954).
88
― L'interpretazione più comunemente accettata di questo
passo è che
Vseslav si trasformasse effettivamente in un
lupo durante la notte e corresse da Kiev a Tmutorokan' (per quanto non si
abbiano notizie di contatti che Vseslav Brjačislavovič avrebbe avuto con la
città di Tmutorokan').
Anche se l'immagine non differisce da quella di molte altre
metafore animali presenti nello Slovo o pŭlku
Igorevě, tutto quello che
sappiamo del personaggio del principe-stregone
Vseslav ci autorizza a
pensare che l'autore stia qui descrivendo effettivamente un caso di licantropia.
Al riguardo, Pisani ha così argomentato: se la strada percorsa da
Vseslav va da Kiev a Tmutorokan', dunque da nord a sud, il «grande
Chors»
si muoverebbe di notte da est ad ovest. Da questo si è ipotizzato che
Chors potrebbe
identificarsi con la luna (Pisani 1949). Curiosamente, la stessa
argomentazione porta Edgardo Saronne alla conclusione opposta: «supponendo che il principe-lupo possa in
una sola notte raggiungere Tmutorokan da Kiev, dovrà correre più del solito,
poiché – andando verso sud-est – incrocerà, sia pur obliquamente, il percorso
del sole». Quindi, Chors rappresenterebbe
la luce del giorno
(Saronne
1988). ― Riguardo a
Chors (antico russo Chŭrsŭ o
Chrŭsŭ), dio slavo della luna o del sole,
rimandiamo al capitolo relativo. ⑬
90 ― «Doppio
corpo» è forse un modo per intendere la licantropia di
Vseslav Brjačislavovič il quale poteva assumere a piacere un
corpo umano o un corpo di lupo (Jakobson 1948). Alcuni filologi hanno
proposto tuttavia di correggere vŭ druzě tělě «nel doppio
corpo» in vŭ drŭzě tělě «nel corpo valoroso». Ma si tratta
di una congettura inutile e fuorviante, considerato il
valore magico del personaggio, oltre che meno intensa dal
punto di vista poetico. (Bazzarelli
1991)
91 ― È il vate Bojan a pronunciare l'epitaffio di Vseslav Brjačislavovič.
La traduzione da noi seguita è quella di Bazzarelli, dove si
legge «né l'astuto, né il saggio, né l'esperto stregone»
(Bazzarelli
1991). In precedenza Danti traduceva «né allo scaltro, né
all'abile, né all'uccello agile» (Danti 1979). Ed
Edgardo Saronne: «né allo scaltro, né all'esperto, né all'uccello ciarliero»
(Saronne
1988). Il nodo sta
nella parola pĭticiju «uccello», che L.A. Bulakovskij ha
proposto di emendare in pitĭcyn «stregone»
(Bulakovskij
1978).
93 ― Incerta
l'identità di questo Vladimir. Secondo Dmitrij Lichačëv, si tratterebbe
del gran principe
Vladimir I Svjatoslavič Svjatoj, il «santo» (♔
980-1015), autore di numerose campagne contro i nemici della Rus' (nel corso del
suo regno combatté contro i Ljachi, i Vjatiči, gli Jatviagi, i Radimiči, i
Bulgari, i Chersonesi, i Croati e i Pečenegi), già ricordato all'inizio del
poema [5] e posto qui, simmetricamente, a chiudere
l'«amaro» elenco dei principi (Lichačëv 1980).
L'ipotesi è condivisa da Eridano Bazzarelli (Bazzarelli
1991). Di opinione contraria Edgardo Saronne, il quale ritiene che la
figura di Vladimir il «santo», con le sue eterogenee campagne militari, sia
fuori contesto nello Slovo o pŭlku
Igorevě, e ipotizza che qui, come al v.
[5], si faccia riferimento a Vladimir II Monomach (♔
1113-1125), il quale fu coordinatore delle prime campagne vittoriose contro i
Polovcy. L'autore lo chiama staryji Vladiměrŭ «antico Vladimir» in
contrapposizione al «giovane» Vladimir Igorevič, figlio del principe Igor',
che è tra i protagonisti del poema.
(Saronne
1988) ― Si tratta di Rjurik Rostislavič († 1215), che all'epoca dei
fatti era gran principe di Kiev insieme a Svjatoslav III Vsevolodovič. Suo
fratello Davyd
Rostislavič († 1197) era invece principe di Smolensk. Come ricordato detto
sopra, dopo la sconfitta di Igor', i Polovcy piombarono sulla città di Perejaslavl', di cui era signore
Vladimir Glebovič (cfr. v. [71]). Il gran principe Svjatoslav chiese a Davyd di prepararsi
alla battaglia, ma costui, che aveva sposato una principessa polovesiana, mantenne un
atteggiamento prudente ed evitò di unirsi all'impresa (cfr. v.
[73]). Quando le armate russe arrivarono a Perejaslavl', i
Polovcy
avevano già alzato le tende e Vladimir
Glebovič era gravemente ferito ⑭. Questo spiega l'amaro commento del
poeta: gli stendardi un tempo inalberati dall'antico Vladimir (I o II che sia)
sono gli stessi ereditati da Rjurik e Davyd Rostislaviči, ma questi
sventolano ormai disgiunti.
Illustrazione di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
94 ― Inizia qui uno dei brani lirici più belli e intensi di
tutto il poema, il lamento della giovane sposa del principe Igor'. Il brano riprende i ritmi di quel genere letterario
della poesia popolare russa chiamato plač «pianto», che
sembra fuso con intonazioni di preghiere pagane ancora vive
ai tempi in cui il poema fu composto. Il brano è pagano,
magico: il lamento è rivolto al vento, al fiume Dnepr, al
sole. È un canto originale, potente, bellissimo, una delle vette poetiche dello Slovo o pŭlku
Igorevě, un esempio
di come il poema della disfatta della schiera di Igor' sia,
al di sotto della superficie cristiana, intriso di
paganesimo. ― Evfrosina Jaroslavovna, giovane sposa del principe Igor', era figlia di Jaroslav
Vladimirovič Osmomysl, «ottuplice pensiero», principe di Galič. L'autore dello Slovo non la chiama
per nome ma col patronimico Jaroslavna, forse per
sottolineare la sua ascendenza gentilizia. ― Non è ben chiaro a quale
uccello si riferisca parola antico-russa
zegziceju. La traduzione con «cuculo» sembra giustificata sia dalla
presenza nel contesto di un verbo onomatopeico (kykati), sia dai paralleli
con altri testi epici slavi e baltici. Inoltre, la femmina del cuculo, durante
la stagione degli amori, emette un continuo, melanconico richiamo, dettaglio che
avrebbe potuto suggerire l'identificazione con il pianto di Jaroslavovna
(Poggioli 1954 | Saronne 1988). Secondo Eridano Bazzarelli (che cita vari filologi russi), zigzička
sarebbe il nome, in alcuni dialetti ucraini, del gabbiano, ed è questa la resa
che egli dà nella sua traduzione dello Slovo.
Secondo lo studioso, inoltre, il termine «cuculo» suonerebbe di malaugurio, mentre
il «gabbiano» renderebbe molto meglio il senso del dolore e
della solitudine della donna (Bazzarelli 1991). ― Secondo
lo storico settecentesco Vasilij Nikitič Tatiščev (1686-1750), Jaroslavna non
si trovava a Putivl' ma a Novgorod-Seversk, da cui si
sarebbe poi regata a Putivl' per accogliere Igor' fuggiasco
(Tatiščev 1768).
Né la presenza di un fiume Dunaj ci illumina, giacché questo
termine è molto vago, indicando a seconda delle occasioni il
Don, il Donec, il Dnepr o addirittura il Danubio. Forse
l'autore dello Slovo ignorava dove Jaroslavna si trovasse
effettivamente, ma è certo che dipingerla sul baluardo di
Putivl' è stata una possente trovata poetica. ― «Bagnerò la mia manica di seta».
L'aggettivo
bebrjanŭ
è derivato da
bebrŭ
«castoro», ma sembra avesse anche il significato di «seta», come è attestato
negli scoli di un esemplare ottocentesco dello Slovo,
ed è così che alcuni interpreti intendono il passo (Bazzarelli 1991).
96 ― Questo epiteto del fiume Dnepr, chiamato «figlio di
Slovuta» [Dněpre Slovutičju] si trova in altri racconti e
poemi epici antico-russi e ucraini. Lo Slovuta è un
affluente del Pripjat' che è, a sua volta, un affluente del
Dnepr. Qui però l'autore fa una contaminazione poetica tra
l'idronimo Slovuta e la parola slava «gloria». (Bazzarelli 1991).
Secondo altri, Slovuta sarebbe stato una divinità pagana
(Plautin 1958).
98 ― «Mare di mezzanotte» [more polunošči] sembra sia
metafora per indicare il nord (Kosorukov 1986), forse il
cielo boreale, anche se sono state date altre
interpretazioni. Traduzioni: «a mezzanotte il mare trabocca»
(Poggioli 1954); «spumeggiò il mare a mezzanotte»
(Danti
1979); «spruzzò a mezzanotte il mare»
(Saronne 1988); «il mare di mezzanotte si è agitato»
(Bazzarelli
1991). ― La frase russa idutĭ smĭrči mŭglami
è stata
interpretata e tradotta in vari modi. Non è chiaro cosa
siano questi «turbini come nuvole» che avanzano dal «mare di
mezzanotte». Danti traduce nel modo più semplice: «avanzano
turbini a forma di nubi» (Danti 1979); Poggioli con più
fantasia s'inventa «s'avanzano trombe marine»
(Poggioli
1954); più semplicemente Saronne traduce «s'alzano vortici»
(Saronne 1988). Bazzarelli segue la poetica lezione di Kosorukov
secondo cui l'espressione adombrerebbe un'aurora boreale
(Kosorukov
1986) e traduce di conseguenza «si alza l'aurora boreale»,
intendendo che in tal modo un dio avrebbe indicato a Igor' la via della fuga e della salvezza
(Bazzarelli 1991). ― Difficile comprendere se
bogŭ sia qui da intendere come «un dio» oppure, come intendono Jakobson e
Plautin, «Dio» (Jakobson 1948 | Plautin 1958).
100
― Questo Vlur (da un antico-russo Vŭlurŭ, sebbene trascritto
nello Slovo nelle lezioni Ovlurŭ
e Vlurŭ, a cui si aggiunge la lezione Lavorŭ presente nella
cronaca laurenziana del Se
pověsti), era un guerriero polovesiano,
figlio di una russa (Musin-Puškin 1800). Aiutò Igor' a fuggire perché in
contrasto con altri capi polovesiani. Igor' lo
ricompenserà poi dandogli feudi e cariche. ― Il testo dice che
fischiando Vlur avrebbe chiamato «il cavallo» [komonĭ], ma
tradurre «i cavalli» sembra più logico. È stata anche
proposta una correzione secondo la quale Vlur avrebbe in
realtà chiamato uno «scudiero» [komonĭnĭ]
(Bulakovskij
1978). La correzione potrebbe anche essere accettabile dal
punto di vista logico, ma non bisogna alterare il testo
senza necessità.
103
― Nella sua fuga, il principe Igor' viene paragonato a
molti animali (ermellino, anatra, lupo, in seguito falco).
Le analogie con quanto si narrava della trasformazione in
lupo di Vseslav
[87] rimangono tuttavia solo formali. Igor'
non ha poteri stregoneschi: è la forza poetica, in questo
caso, ad evocare la trasfigurazione.
105 ― È qui il fiume Donec a parlare possente al principe
Igor', che gli risponde. La forza pagana del poema anima gli
elementi della natura e del paesaggio, del cielo e della terra, rendendo
possibile il loro dialogo con gli uomini.
107
― Igor' si riferisce ad un episodio storico. Nel 1093, nel corso della
campagna intrapresa dal gran principe Svjatopolk Izjaslavič contro i
Polovcy, i
Russi persero un'importante battaglia. Ritirandosi, le schiere russe furono
costrette ad attraversare il fiume Stugna. Durante il guado, annegò Rostislav Vsevolodovič, fratello
minore di Vladimir Monomach e principe di
Perejaslavl', come racconta il Se
pověsti vremjan ĭnichŭ lětŭ
[6601/1093].
⑮
108 ― Il principe Igor' fuggì dal campo
polovesiano
solo il 21
giugno 1185. Forse in concomitanza con il ritorno di Gzak e
Končak dalla specizione contro Perejaslavl'. Sembra
che i due qān, irritati per non essere riusciti a prendere la città,
strenuamente difesa da Vladimir Glebovič, avessero cattive
intenzioni nei confronti del principe russo.
110-112
― Il dialogo di Gzak e Končak, nel quale affermano
il loro proposito di «incatenare il falchetto con una bella
fanciulla» si riferisce al fatto che in seguito, Vladimir
Igorevič, il figlio del principe, rimasto prigioniero presso
i Polovcy, sposò (anche in base a precedenti accordi) la
figlia di Končak. Vladimir tornò in patria due anni
dopo, nel 1187, con la moglie e un bambino.
113 ― Il vate Bojan fa la sua ultima apparizione in un altro
luogo oscuro del poema, passo che ha avuto molti tentativi
di interpretazione, nessuno dei quali veramente convincente.
Invece di na chody «le imprese di», alcuni interpreti hanno
voluto leggere i Chodyna «e Chodyna», inventandosi un altro
mitico cantore e vate, collega di Bojan. Ma si tratta di una
lettura fragilissima, anche considerato di di questo
fantomatico «Chodyna» non si ha alcuna notizia. Tra i nostri
traduttori, Danti è il solo a interpretare il verso in tal
senso, traducendo «dissero Bojan e Chodyna» (Danti 1979).
Con maggior cautela, Poggioli rende la frase con un semplice
«disse e predisse Bojan» (Poggioli 1954), e Saronne
«direbbe Bojan, cantore del tempo antico» (Saronne 1988), mentre Bazzarelli
traduce «così disse Bojan il vate nel cantare le imprese
di...» (Bazzarelli 1991). ― Chi sono i «figli di Svjatoslav» di cui qui si parla?
Certamente non Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, gli eroi del poema, vissuti molto tempo dopo
l'epoca di Bojan. Forse si tratta però del loro antenato Oleg Svjatoslavič/Gorislavič (†
1115), il quale è citato poco più sotto. Sembra improbabile, invece,
che si tratti di Vladimir Svjatoslavič il «santo» († 1015), che in questo caso
sarebbe fuori contesto. Jaroslav però può essere soltanto Jaroslav
Vladimirovič il «saggio» († 1054). ― La «sposa del kagan'» introduce un altro luogo oscuro.
Kagan' era un titolo dei Chazari e dei Bulgari che però
veniva attribuito anche ai principi russi. Poggioli espunge il passo dalla sua
traduzione. Secondo Eridano Bazzarelli, ci si riferirebbe forse alla principessa Ol'ga († 969), sposa e poi
vedova del gran principe Igor' Rjurikevič (♔
914-945), che vendicò
ferocemente facendo strage dei Drevljani, per poi essere
canonizzata in seguito alla sua conversione al cristianesimo
(Bazzarelli 1991). Più ragionevole la proposta di
Edgardo Saronne, il quale nota che kagan' era probabilmente il titolo
usato dai principi di Tmutorokan', prima che la città cadesse nelle mani dei
Polovcy. Il kagan' di cui qui si parla potrebbe dunque essere Mstislav
Vladimirovič († 1036), fratello di Jaroslav il «saggio» e principe di Černigov e
Tmutorokan' (lo stesso che aveva ucciso in duello il principe Rededja dei Circassi,
cfr. v. [3]), oppure Roman Svjatoslavič (†
1079), fratello di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič (anche lui citato al v.
[3]) (Saronne 1991). Sempre Saronne ipotizza
che Bojan fosse un cantore stabile alla corte di Tmutorokan', cosa che
spiegherebbe questo suo continuo cantare la gloria dei principi di quella remota regione
della Rus'.
116-118
― Brano trionfale che conclude il poema. Dopo essere
tornato a Novgorod-Severskij, Igor' si era poi recato a Kiev,
presso il gran principe Svjatoslav III Vsevolodovič, dove si era tenuta
un'assemblea dei principi. Il sole che splende nel
cielo e le fanciulle che cantano festose sul Dunaj, si
riferirebbero non tanto al ritorno del principe dalla
prigionia, quanto alla conclusione positiva di un accordo
dei principi russi (Rybakov 1974).
118 ― Ora Igor' esce da Kiev e percorre la via di Boričev,
che metteva in comunicazione la parte alta della città con
la parte bassa (è l'attuale Andreevskij spusk «discesa di
Sant'Andrea», dove si trova tra l'altro la casa natale di
Michajl Bulgakov). La chiesa di Nostra Signora della Torre
era stata costruita nel 1132, al tempo del gran principe
Mstislav I Vladimirovič Velikij, il «grande» (♔1125-1132), ed era così chiamata perché vi si venerava
un'icona bizantina, detta appunto della Madonna della Torre.
Secondo alcuni interpreti, Igor' si sarebbe recato in questa
chiesa perché era forse il 15 agosto, festa della Dormizione
della Vergine (che corrisponde all'Assunzione dei
cattolici).
122
― In questa chiusa «amen» [amenĭ] del poema i fautori di
un'interpretazione pagana del poema, tra cui il nostro Bazzarelli,
leggono la presenza un'interpolazione cristiana. Tuttavia, non solo amen è una
chiusa di rito, che dà carattere sacrale e profondo a ciò che era stato detto o
declamato, ma nel suo significare «così sia» si riferisce all'augurio di salute
e gloria dei principi russi e alla loro vittoria contro le schiere pagane.
Il gran
principe Vladimir I Svjatoslavič, detto il «santo» [Svjatoj] per aver
ufficialmente introdotto il Cristianesimo in
Russia (988), morì nel 1015, lasciando un
gran numero di figli a contendersi il trono.
Gli succedette Svjatopolk Vladimirovič, il
figlio che Vladimir aveva avuto da una
monaca greca e che la storia conoscerà con
l'epiteto di «dannato» [Okajanij]
a causa dei suoi molti delitti, tra cui
l'uccisione di due suoi fratellastri, Boris
e Gleb, in seguito passati agli onori
degli altari.
Jaroslav il «saggio»
Monumento in Bila Cerkva (Ucraina)
Ma Vladimir aveva avuto
altri otto figli da un'altra sposa, Rogneda, figlia del principe Rogvolod di Polock, di
cui in questa sede ne citiamo almeno tre: Jaroslav,
Mstislav e Izjaslav Vladimiroviči.
Si accesero subito scontro sanguinosi tra
Svjatopolk e Jaroslav. Sconfitto in
battaglia, Svjatopolk morì durante la
fuga, nel 1019. Ottenuta la vittoria, Jaroslav
dovette poi contendere con un altro dei
suoi fratelli, Mstislav il «coraggioso» [Chrabryj].
Signore di Tmutorokan', e in seguito di Černigov, Mstislav aveva a lungo
combattuto i Kasogi, antenati dei Circassi. Il loro capo Rededja lo aveva
sfidato a lottare a mani nude: il vincitore si sarebbe preso la terra e gli
uomini dello sconfitto. Mstislav aveva accettato la sfida e, atterrato
l'avversario, lo aveva sgozzato con la punta di un pugnale. L'eco di questo
duello – tramandato anche nelle leggende caucasiche – risuona nello
Slovo o
pŭlku Igorevě [3].
Alleatosi con Kasogi e Chazari, Mstislav contese a Jaroslav il potere sulla
Rus'. Sanguinose battaglie si accesero tra i due fratelli, ma poi, incontratisi a Gorodec,
nel 1026, essi si riconciliarono e stipularono la pace, decidendo
di spartirsi la Rus' lungo il corso del Dnepr. Jaroslav ottenne la parte
occidentale, con Kiev e Novgorod; Mstislav la parte orientale, con Černigov e Tmutorokan'.
Da allora, i due furono fedeli alleati contro i nemici interni ed esterni.
Dopo la morte di Mstislav, in un incidente caccia, nel
1036, Jaroslav divenne unico sovrano della
Rus'. Si trasferì da Novgorod a Kiev, città
che sotto il suo regno divenne una delle più progredite e prospere d'Europa.
Considerato dai cronisti un modello di
virtù, Jaroslav venne chiamato il «saggio» [Mudryj].
Era infatti un uomo colto, amante dei libri, e
promosse la traduzione dei testi greci
in lingua slava. Ottenne da Bisanzio che
Kiev divenisse sede di un vescovo
metropolita. Sposato a una figlia del re di
Svezia, assicurò alla propria prole
un'educazione assolutamente fuori
dall'ordinario. I discendenti di Jaroslav,
gli jaroslavli, sarebbero stati gli
antenati di tutti i principi russi (a parte
il ramo di Polock).
Onde evitare, alla sua morte, il
ripetersi di nuovi dissidi tra i suoi
figli, Jaroslav stabilì una legge
di successione per il quale il
granprincipato di Kiev fosse da assegnare al
primogenito, mentre agli altri figli, in
ordine di età, venivano assegnate le principali città russe.
Il maggiore, Vladimir Jaroslavič, principe di Novgorod, premorì al padre
nel 1052. Dopo la morte di Jaroslav, nel 1054, Izjaslav Jaroslavič divenne
gran principe di Kiev, mentre Svjatoslav,
Vsevolod e Vjačeslav ottennero rispettivamente Černigov,
Perejaslavl' e Smolensk.
Le assegnazioni non
erano definitive: un complesso meccanismo di
rotazioni stabiliva chi, alla morte di un
principe, gli sarebbe succeduto, passando di
principato in principato. In questo modo,
ognuno poteva ambire a divenire, prima o
poi, gran principe. Il sistema non
era tuttavia perfetto, anche perché i principi russi
avevano di regola un gran numero di figli, e
i litigi erano destinati a sfociare in guerre fratricide.
Torniamo ora a Izjaslav
Vladimirovič, figlio di Vladimir
il «santo», fratello di Jaroslav il «saggio». Sua madre
Rogneda aveva ottenuto che egli divenisse
principe di Polock, ereditando la città del nonno materno, Rogvolod, ucciso dallo stesso Vladimir. Morto a soli ventitré anni, nel 1001, Izjaslav ebbe
quale successore il figlio Brjačislav.
Insofferente dell'autorità del gran principe Jaroslav, Brjačislav prese
ben presto le distanze dal
potere centrale. Le tensioni erano
anche esacerbate dal fatto che, stando al
testamento di Vladimir, la linea dei
principi di Polock era esclusa dalla
successione per il granprincipato di Kiev.
Le ostilità culminarono in uno scontro
aperto,
allorché Brjačislav tentò di saccheggiare
Novgorod, nel 1021. Sconfitto da Jaroslav,
Brjačislav fu costretto a trattare la
pace.
Brjačislav si spense nel 1044. Gli succedette il figlio Vseslav,
il principe-stregone, uno dei personaggi più
inquietanti della storia medievale russa. Generato
dalla madre per magia,
costui era nato con la membrana amniotica
che aderiva al capo: su consiglio dei
volchvi, gli stregoni, quella membrana gli fu attaccata
al collo. Crudele e sanguinario, è dipinto nelle leggende come un lupo mannaro, in grado
di trasformarsi in animale. Così nello
Slovo:
Всеславъ князь людемъ судяше,
княземъ грады рядяше,
а самъ въ
ночь влъкомъ рыскаше: изъ Кыєва
дорискаше до куръ Тмутороканя,
великому Хръсови влъкомъ путь
прерыскаше.
Il principe
Vseslav amministrava la
giustizia, e governava i principi
delle città, nella notte però
galoppava come lupo, prima del
canto del gallo correva da Kiev
fino a Tmutorokan' e tagliava la
strada al grande Chrŭsŭ.
Quando Vseslav
Brjačislavovič entrò in scena, dicono le cronache, il sole si fece
opaco come la luna e una stella rossa come
il sangue si levava la sera dopo il
tramonto.
Fatto sta che, nel 1067, Vseslav occupò Novgorod,
città cara al gran principe Jaroslav, e
l'abbandonò al saccheggio. Per
vendicarsi, il gran principe Izjaslav
Jaroslavič, insieme ai fratelli Svjatoslav e Vsevolod
(Vjačeslav era morto dieci anni prima),
presero Minsk, massacrando gli uomini e
portando via donne e fanciulli come
bottino. Dopodiché gli Jaroslaviči si scontrarono con le schiere
di Vseslav sul fiume Neman, in un freddo
assassino. La battaglia divenne una
carneficina e Vseslav, avuta la peggio,
si diede alla fuga.
I tre Jaroslaviči lo invitarono
a
trattare una tregua e garantirono la sua
incolumità baciando solennemente la croce. Vseslav si lasciò convincere. Tornò
indietro ma venne catturato. Condotto in catene a Kiev, fu
gettato in carcere, insieme ai suoi due figli.
Così lo Slovo
ricorda questi eventi:
Утръ же воззнис трикусы, отвори
врата Нову-граду, разшибе славу
Ярославу.
Utrŭ že vozznis trikusy, otvori vrata
Novu-gradu, razšibe slavu Jaroslavu.
Al mattino [Vseslav]
conficcò le asce, aprì le porte di Novgorod e
distrusse la gloria di
Jaroslav.
Скочи
влъкомъ до Немиги съ Дудутокъ. На
Немизѣ
снопы стелютъ головами, молотятъ
чепи харалужными, на тоцѣ
животъ кладутъ, вѣютъ
душу отъ тѣла.
Skoči vlŭkomŭ do Nemigi sŭ Dudutokŭ. Na
Nemizě snopy steljutŭ golovami, molotjatŭ čepi charalužnymi, na tocě životŭ kladutŭ,
vějutŭ dušu otŭ těla.
Balzò qual lupo da
Dudutki fino al fiume Nemiga [Neman]. E là
sulla Nemiga fanno covoni di teste,
trebbiano con catene di ferro,
gettano le vite sull'aia, vagliano
le anime dai corpi.
Il 1068 fu un anno terribile per la Rus'.
I Polovcy – una cui avanguardia aveva già
violato i confini russi sette anni prima –
arrivarono di nuovo, questa volta in massa. Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod
si accinsero a respingerli, ma furono
sbaragliati e ricacciati indietro. Izjaslav
e Vsevolod tornarono precipitosamente a Kiev,
Svjatoslav si rinchiuse a Černigov.
I Polovcy, senza più nessuno a trattenerli,
presero a saccheggiare i territori
circostanti.
A Kiev, il popolo
tenne il veče al mercato e chiese al gran
principe Izjaslav cavalli e armi per sconfiggere gli
invasori. Ma poiché Izjaslav stentava a prendere un atteggiamento deciso,
i kievani insorsero, assaltarono il suo
palazzo e lo deposero, saccheggiando i
ricchi forzieri del gran principe. Izjaslav
e Vsevolod fuggirono dalla città. A quel
punto i Kievani liberarono Vseslav dalla
prigione e lo nominarono gran principe della
città.
Mentre a Kiev succedevano questi fatti, a Černigov
i Polovcy stringevano d'assedio la città.
Svjatoslav mise insieme una piccola
družina e uscì contro di loro.
Tremila uomini contro dodicimila pagani. Era un'impresa disperata, ma Svjatoslav
non aveva nulla da perdere. Riuscì tuttavia a sconfiggere i nemici e tornò
vittorioso alla sua città.
Nel frattempo, dopo essere scappato da
Kiev, Izjaslav si era rifugiato nella terra
dei Ljachi, in Polonia. Tornò l'anno
successivo, alla
testa dell'esercito polacco, guidato da re Bolesław II
Szczodry. Vseslav, insediato a Kiev da sette mesi, fuggì di nascosto durante la
notte, passando per Belgorod.
L'intronizzazione e la fuga di Vseslav sono
ricordati nello
Slovo:
На
седьмомъ вѣцѣ
Трояни връже Всеславъ жребїй о дѣвицю
себѣ
любу. Тъй клюками подпръ ся о кони
и скочи къ граду Кыєву и дотчеся
стружїємъ злата стола кієвьскаго.
Na sedĭmomŭ věcě
Trojani vrŭže Vseslavŭ žrebïj o děvicju sebě ljubu. Tŭj kljukami podprŭ sja
o koni i skoči kŭ gradu Kyẹvu i dotčesja stružïẹmŭ zlata stola kіẹvĭskago.
Nella settima età di
Trojan, gettò
Vseslav le sorti per la fanciulla
che tanto desiderava. E promettendo
astutamente i cavalli, volò fino alla
città di Kiev e con la lancia
sfiorò il trono d'oro di Kiev.
Il figlio di Izjaslav, Mstislav, precedette il padre a Kiev
e fece sommariamente giustiziare i cittadini che
avevano liberato Vseslav, per un totale di
settanta persone; altri li fece accecare. Quando Izjaslav
entrò in città, i kievani gli
andarono incontro umilmente e lo accolsero
come loro gran principe. Izjaslav ordinò
a Mstislav di
assumere il principato di Polock, in luogo
di Vseslav. Purtroppo Mstislav morì di lì a poco e
il suo posto fu preso dal fratello Svjatopolk. Ma Vseslav scacciò Svjatopolk e
tornò a insediarsi a Polock.
Nel 1073, i tre Jaroslaviči – Izjaslav, Svjatoslav
e Vsevolod – si riunirono per concordare
un'azione comune contro Vseslav. Se il loro piano
non andò a buon fine, però, fu solo a causa dei
contrasti che sorsero tra i tre fratelli.
L'ambizioso Svjatoslav accusò Izjaslav di
essersi alleato in segreto con Vseslav, e
riuscì a trascinare anche Vsevolod dalla sua parte.
Izjaslav dovette fuggire ancora una volta in Polonia.
In quanto a Vseslav di Polock, continuò a
guerreggiare contro gli Jaroslaviči, finché morì
anche lui, nel 1101.
Già principe di Černigov, Svjatoslav Jaroslavič
si proclamò nel 1073 gran principe di Kiev,
al posto del fratello Izjaslav. Non godette
però a lungo del granprincipato: morì solo
tre anni dopo, per un'ulcera. A quel
punto, Izjaslav tornò dalla Polonia e
Vsevolod, il quale nutriva anch'egli le
medesime ambizioni su Kiev, mosse in armi
contro di lui. I due però si
riappacificarono e, nel 1077, Izjaslav assunse
per la terza volta il titolo di gran
principe di Kiev.
Izjaslav confermò o dispose i
suoi parenti nei vari principati: i figli Svjatopolk e Jaropolk rispettivamente a
Novgorod e Vyšegorod. Al figlio di Vsevolod,
Vladimir Monomach (così chiamato perché sua madre Anastasía
era figlia di Kōnstantínos IX Monomáchos,
imperatore di Bisanzio), andò la città di
Smolensk. Lo stesso Vsevolod si era ormai
installato nell'importante città di Černigov,
prima appartenuta a Svjatoslav.
Svjatoslav lasciava però alcuni figli, i quali, manco a dirlo, nutrivano mire
su Černigov. Soprattutto Oleg Svjatoslavič
– nonno del nostro principe Igor' –
diventerà importante in questa fase
della vicenda. Lo
Slovo gli attribuirà la maggiore
responsabilità per le discordie che
lacereranno la Rus', e lo chiamerà, con
gioco di parole inelegante, ma
di indubbia efficacia,
Gorislavič «figlio di malagloria»
(rovesciando il senso del patronimico
Svjatoslavič «figlio di santa gloria»).
Тогда
при Олзѣ
Гориславличи сѣяшется
и растяшеть усобицами, погибашеть
жизнь Даждьбожа внука; въ княжихъ
крамолахъ, вѣци
человѣкомь
скратишась.
Togda pri Olzě
Gorislavliči sějašetsja i rastjašetĭ usobicami,
pogibašetĭ žiznĭ Daždĭboža vnuka; vŭ knjažichŭ
kramolachŭ, věci čelověkomĭ skratišasĭ.
Al tempo di
Oleg
Gorislavič, figlio di una gloria amara, si
seminavano e crescevano le
discordie, periva la potenza dei
nipoti di
Daž'bog
e nelle contese dei principi si
accorciava la vita alla gente.
Slovo o pŭlku
Igorevě [40]
Nel 1078, alla testa delle sue schiere,
Oleg Svjatoslavič si mosse alla
conquista di Černigov. Con lui
era suo cugino, l'orgoglioso Boris
Vjačeslavič (figlio del defunto Vjačeslav
Jaroslavič).
L'anno precedente (1077),
approfittando del fatto che Vsevolod era
partito ad affrontare Izjaslav, Boris aveva
preso il potere a Černigov, con la
probabile
complicità di Oleg. Ma quando i due zii si
erano riconciliati, Boris era fuggito dalla
città, dopo soli otto giorni di principato,
e aveva riparato a Tmutorokan', città posta sullo stretto di Kerč, all'ingresso
del mar d'Azov.
Lo stesso Oleg lo aveva raggiunto pochi mesi dopo. Il principe della città era uno
dei fratelli di Oleg, Roman Svjatoslavič, detto il «bello» [Krasnyj]
(Slovo [3]). Roman era stato presto coinvolto dallo spregiudicato fratello in un'alleanza con gli stessi
Polovcy
contro i propri parenti. L'alleanza era andata a buon fine, e ora i due
cugini – Oleg e Boris – ritornavano nella Rus' alla testa di un
contingente di mercenari polovesiani.
Era la prima volta che dei principi conducevano volontariamente un popolo
nemico sul territorio russo. Vsevolod
mosse contro di loro ma venne
sconfitto e dovette riparare a Kiev. Oleg
e Boris presero il potere a Černigov.
Questi eventi portarono a un
avvicinamento tra Izjaslav e Vsevolod, i
quali decisero di muovere un attacco
congiunto ad Oleg e Boris. Mossero,
dunque, da Kiev alla volta di Černigov.
Con loro erano i rispettivi figli, Jaropolk Izjaslavič
e Vladimir Monomach. Nel
vedere schierato l'esercito kievano, Oleg propose di
trattare la pace, ma Boris dichiarò
orgogliosamente che avrebbe potuto
tenere testa da solo all'intera armata. Il 3 ottobre
1078 i due eserciti si scontrarono a Nežatiaja Niva, presso il fiumicello Kanin,
e la battaglia si trasformò in un massacro.
A dispetto della sicumera esibita, Boris Vjačeslavič
cadde ucciso quasi subito. Piuttosto che
subire il rovescio, Oleg fuggì con la sua družina,
riparando di nuovo a Tmutorokan'.
Nel corso della battaglia, però, cadde
ucciso anche il gran principe Izjaslav,
colpito alle spalle da una lancia. Il suo corpo fu portato in barca a Gorodec e
poi, in slitta, fino a Kiev, dove venne sepolto con tutti gli onori. Il figlio Jaropolk lo seguì, piangendo, alla testa
della družina. Così lo Slovo ricorda
questi fatti (ma si noti la confusione di Jaropolk con l'altro figlio del gran
principe, Svjatopolk):
Ступаєтъ въ златъ стремень въ градѣ
Тьмутороканѣ,
той же звонъ слыша давный великый Ярославь,
а сынъ Всеволожь Владиміръ по вся
утра уши закладаше въ Черниговѣ.
Stupaẹtŭ vŭ zlatŭ stremenĭ vŭ gradě
Tĭmutorokaně, toj že zvonŭ slyša davnyj
velikyj Jaroslavĭ, а synŭ Vsevoložĭ Vladimіrŭ po vsja utra uši
zakladaše vŭ
Černigově.
Saliva Oleg sulla staffa d'oro, nella città di Tmutorokan', e ne udiva il suono
[il figlio dell']antico, grande Jaroslav, mentre il figlio di Vsevolod,
Vladimir, a Černigov si turava le orecchie.
Бориса же Вячеславлича слава на судъ приведе и на Канину зелену паполому постла
за обиду Олгову, храбра и млада князя.
Borisa že Vjačeslavliča slava na sudŭ privede i na Kaninu zelenu
papolomu postla za obidu Olgovu, chrabra i mlada knjazja.
La brama di gloria trasse Boris Vjačeslavič al giudizio e sul Kanin gli fu steso
un verde sudario per l'offesa arrecata ad Oleg, valente e giovane principe.
Съ тояже Каялы Святоплъкь повелѣ
яти отца своєго междю угорьскими
иноходьцы ко Святѣй Софїи къ
Кієву.
Sŭ tojaže Kajaly Svjatoplŭkĭ povelě jati otca svoẹgo meždju ugorĭskimi
inochodĭcy ko Svjatěj Sofïi kŭ Kіẹvu.
Così dal fiume Kajala ordinò Svjatopolk che il padre suo fra destrieri ungheresi
fosse portato a Santa Sofia in Kiev.
Slovo o pŭlku
Igorevě [38-39]
Morto Izjaslav, suo fratello Vsevolod assunse il granprincipato di Kiev, assegnò
il figlio Vladimir Monomach a Černigov
e diede a Jaropolk le città di Vladimir e Turov.
Negli anni successivi, i due
Svjatoslaviči, Oleg e Roman,
continuarono a far guerra a Vsevolod, nel
tentativo di prendere il controllo del
principato di Černigov. I due non si
facevano scrupolo di utilizzare mercenari
polovesiani per raggiungere i loro scopi,
e questi ultimi erano ben felici di potersi
intromettere nelle beghe interne della Rus'
per ricavare a loro volta potere e bottino.
Per tale ragione, Vsevolod si affrettò a
stipulare la pace con i Polovcy,
privando i suoi avversari della loro
principale risorsa bellica. Roman fu ucciso dai Polovcy. Oleg, catturato dai Chazari,
fu spedito in esilio in Grecia.
Nel 1093, alla morte del gran principe
Vsevolod, rischiò di accendersi
una nuova contesa tra suo figlio, Vladimir Monomach,
e Svjatopolk,
figlio di Izjaslav. Vladimir,
saggiamente, lasciò il trono al cugino e si
ritirò a Černigov. Poco dopo, però, ecco i
Polovcy lanciare un nuovo, poderoso attacco
alla Rus'. Svjatopolk chiese l'aiuto
di Vladimir. Ma la contesa tra i due, che era
stata evitata nella fase di successione,
rischiò di riaccendersi alla vigilia della
battaglia, in quanto Vladimir era propenso
di trattare la pace con i nemici, mentre Svjatopolk
intendeva combatterli. Si
decise per la guerra, e le schiere russe,
guadato il fiume Stugna, si gettarono sui
Polovcy. Ma il nemico contrattaccò con
tanta forza che i Russi furono costretti a
ritirarsi. Nel guadare di nuovo il fiume,
annegò Rostislav Vsevolodovič, fratello
minore di Vladimir Monomach e principe di
Perejaslavl', come ricorda lo
Slovo.
Не
тако ти [...] рѣка
Стугна; худу струю имѣя,
пожръши чужи ручьи и стругы,
рострена к устью, уношу князю
Ростиславу затвори. Днѣпрь
темнѣ
березѣ
плачется мати Ростиславя по уноши
Князи Ростиславѣ.
Уныша цвѣты
жалобою и древо с тугою къ земли прѣклонилось.
Ne tako ti [...] rěka
Stugna; chudu struju iměja, požrŭši čuži ručĭi i strugy, rostrena k ustĭju, unošu knjazju Rostislavu
zatvori.
Dněprĭ temně berezě plačetsja mati Rostislavja po unoši
Knjazi Rostislavě. Unyša cvěty žaloboju i drevo s tugoju
kŭ zemli prěklonilosĭ.
Non così [...] il
fiume Stugna che con scarsa
corrente, dopo aver superato gli
altri ruscelli e torrenti, si apre
verso la foce. Il principe
Rostislav inghiottì nel suo fondo.
Presso la buia riva, piange la
madre di Rostislav, piange la
madre del giovane principe
Rostislav, intristiti appassiscono i fiori, per l'angoscia si piegano gli alberi
a terra.
Slovo o pŭlku
Igorevě [107]
Imbaldanziti dalla vittoria, i Polovcy
saccheggiarono il paese, dando fuoco
alle città e prendendo schiavi uomini e
donne. Fu un periodo terribile per la Rus', e
dovunque si vedevano solo
disperazione, fame, gelo e miseria.
Nel 1094, Svjatopolk accondiscese a
trattare con i Polovcy. Fu stipulata
nuovamente la pace e Svjatopolk sposò la
figlia del capo nemico, Tugorkān. Ma
intanto ecco ricomparire Oleg Svjatoslavič.
Ritornato dalla Grecia e ripreso il controllo
di Tmutorokan', Oleg
si mise per ancora una volta alla testa dei
suoi mercenari polovesiani e – quasi un chiodo
fisso – tornò ad
assediare Černigov. Piuttosto che combattere,
Vladimir Monomach consegnò la città ad Oleg e si ritirò a Perejaslavl'.
Gli anni
successivi furono confusi e convulsi.
Approfittando dei dissidi tra i principi
russi, i Polovcy tornarono più volte a
violare i confini della Rus', compiendo scorrerie sempre più devastanti. Svjatopolk e Vladimir chiesero a Oleg, ormai
stabilmente insediato a Černigov, di unirsi a loro per
combattere il comune nemico, ma quest'ultimo
finse di accondiscendere per poi schierarsi
ancora una volta dalla parte dei nemici.
I due principi si trovarono così combattere su
due fronti: da un lato contro i Polovcy, che
continuavano a devastare il territorio russo, dall'altra contro l'infido Oleg
Svjatoslavič, il quale faceva continuamente
il doppio gioco ai loro danni.
Nel corso degli scontri, Oleg riuscì a
conquistare Rostov, Beloozero e Suzdal', e poi
anche Murom, prendendo in pratica il
controllo di tutta la Rus' orientale. Nel corso
di questi
scontri, cadde Izjaslav Vladimirovič,
figlio di Vladimir Monomach. Inutilmente
l'altro figlio del principe, Mstislav,
signore di Novgorod, invitò Oleg a trattare la
pace. Per tutta risposta, Oleg
mise a ferro e a fuoco la città di Suzdal'.
Ormai esasperati, Vladimir e Mstislav si mossero
con gran dispiego di forze e
attaccarono Oleg a Rjazan', costringendolo
alla fuga. Nel 1097, Oleg fu
messo con le spalle al muro e costretto ad
accordarsi con i suoi cugini e nipoti. Nel
1107, dopo una serie di sanguinose
battaglie, Šarukan, capo dei Polovcy,
venne finalmente messo in
fuga da una coalizione a cui partecipavano
il gran principe Svjatopolk Izjaslavič,
Vladimir Monomach e lo stesso Oleg Svjatoslavič.
Svjatopolk morì nel 1113 e Vladimir II Monomach divenne gran principe di Kiev.
Fu uno dei maggiori sovrani
della storia russa e, sotto il suo oculato
governo, la minaccia
rappresentata dai Polovcy venne
finalmente contenuta. In quanto a Oleg
Svjatoslavič, il «figlio di Malagloria», si spense due anni dopo, nel 1115.
Alla morte di Vladimir II Monomach, nel 1125, gli succede
sul trono il figlio Mstislav Vladimirovič,
detto il
«grande» [Velikij]. È l'ultimo gran
principe di Kiev di una certa levatura, e rimarrà sul trono fino al 1132. Ma, da
questo punto in poi, riassumere gli
avvicendamenti al granprincipato di Kiev
diviene impresa improba, tanti sono i
principi che giocano a rubarsi il trono a vicenda per tutto il XII secolo, peraltro
con la continua e incessante ostilità degli
ol'goviči.
Igor' Svjatoslavič
Monumento in Novgorod-Severskij [Novhorod-Sivers'kyj] (Ucraina)
I discendenti di Oleg Svjatoslavič,
nemmeno a dirlo, continuavano a
rappresentare una bella spina nel fianco
per gli jaroslavli. Oleg aveva
infatti lasciato un certo numero di figli,
tra cui vanno citati almeno tre: Vsevolod,
Igor' e Svjatoslav Ol'goviči.
Il maggiore, Vsevolod Ol'govič, aveva
tentato a suo tempo una riconciliazione con
l'altro ramo della famiglia, sposando la
figlia di Mstislav Vladimirovič. Da
questa aveva avuto due figli, Svjatoslav e Jaroslav,
i quali avranno a loro volta un ruolo importante nello
Slovo.
Vsevolod divenne gran principe nel
1139. Alla sua morte, nel 1146, ebbe
la malaugurata idea di disegnare quale
successore il fratello Igor', nonostante le
resistenze degli altri principi e del popolo
kievano. Igor' Ol'govič aveva infatti
ereditato le peggiori qualità del
suo genitore: era infido, disonesto e
violento, e dopo neppure due settimane di
regno venne deposto da Izjaslav, figlio di
Mstislav Vladimirovič.
Gettato in prigione, Igor' si ammalò e chiese di farsi monaco. Ma l'anno
successivo (1147), nonostante il saio, venne linciato dalla folla, per timore
che volesse
usurpare il trono.
Il fratello minore di Vsevolod e Igor',
Svjatoslav Ol'govič, riuscì invece a
fuggire. Costui condusse una vita di continue battaglie e fu fiero alleato dei
Polovcy
contro i suoi stessi parenti. Aveva sposato
una principessa polovesiana, da cui aveva avuto
un figlio, Oleg. In seguito, contratto un
nuovo matrimonio, con una donna russa, aveva
avuto altri due figli, Igor' e
Vsevolod Svjatoslaviči.
Nel 1173, dopo vari eventi e
un'impressionante sequela di gran principi,
salì al trono Rjurik II Rostislavič. Era figlio di Rostislav Mstislavič, figlio di Mstislav Vladimirovič.
Rjurik era un uomo intelligente, amante
della letteratura e dell'arte, orgoglioso e
generoso al tempo stesso. Ardimentoso in
battaglia, disinvolto nel trattare le proprie alleanze, era anche un abile stratega e in più poteva contare su una
družina militarmente esperta. Appena salito al trono, si trovò
subito a fronteggiare la minaccia
rappresentata dal principe del
piccolo feudo di Putivl', Igor' Svjatoslavič,
il quale aveva ottenuto ancora una volta il
sostegno dei Polovcy. Questo Igor' era il figlio di Svjatoslav Ol'govič.
Rjurik mosse contro i lui e lo sconfisse
presso il fiume Voroskla. Igor' riuscì
tuttavia a
fuggire, aiutato dal qān Končak (il quale in seguito
diventerà suo nemico, come leggiamo nello
Slovo).
Il granprincipato di Rjurik si rivelò, da subito,
piuttosto traballante. Per quanto la
sconfitta di Igor' fosse stata salutata come una vittoria della Rus', la
presenza degli
ol'goviči non gli dava sicurezza.
Rjurik decise allora per una soluzione di
compromesso, e cedette il controllo di Kiev all'allora principe di Černigov, Svjatoslav Vsevolodovič
(il figlio di Vsevolod Ol'govič), mantenendo per sé
il governo delle altre città del principato.
In cambio, gli ol'goviči
si impegnarono a rompere la secolare alleanza con
i Polovcy. Questi fatti determinarono un
mutamento di politica da parte dei
discendenti di Oleg. Lo stesso principe Igor', per lealtà al ramo di Černigov,
finì per schierarsi con il nuovo gran
principe, Svjatoslav III Vsevolodovič, il quale era suo cugino.
Nonostante i buoni propositi, sarebbe
incauto affermare che la decisione di Rjurik
portasse stabilità nell'irrequieta politica
interna della Rus'. Il granprincipato di Rjurik fu quanto mai
convulso: egli spese la sua esistenza in
pressoché ininterrotte spedizioni belliche,
contro nemici interni ed esterni. Per ben
sette volte arrivò a conquistare l'aureo
trono di Kiev, trono che, in due occasioni,
cedette con sprezzo ai rivali sconfitti.
Rjurik ebbe tuttavia con Svjatoslav un
rapporto assai collaborativo, tanto che i
due finirono addirittura per co-regnare per alcuni anni (1182-1194). Tra alti e
bassi, il regno di Rjurik e Svjatoslav
caratterizzò l'ultimo quarto del XII secolo,
soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Russi e Polovcy.
Gli ormai secolari nemici occupavano, all'epoca, tutto il litorale nord del Mar
Nero, fino all'ansa del Don. Alcuni
territori un tempo appartenuti alla Rus' –
come la città di Tmutorokan' – erano nelle
loro mani. La cronica debolezza politica
della Rus', li favoriva nelle continue
incursioni e schermaglie di confine.
Ma ottenuta la fedeltà degli ol'goviči,
Rjurik e Svjatoslav provvidero a creare una
coalizione, per quanto fragile, tra i vari
principi, in modo da schiacciare
definitivamente le velleità dei Polovcy.
Diverse spedizioni furono organizzate negli
anni successivi, perlopiù con esiti
positivi, soprattutto le campagne del 1183 e
1184. Non solo i Polovcy vennero
sbaragliati, ma il qān Kobjak venne
catturato e condotto prigioniero a Kiev dove, sembra, venne giustiziato.
Il principe Igor' Svjatoslavič non
poté prendere parte a nessuna delle due
campagne, per ragioni climatiche. Nel 1180,
infatti, era divenuto signore di
Novgorod-Severskij, una cittadina di
ubicazione piuttosto nordica. In quelle
regioni, il ghiaccio serrava la terra fino a
primavera inoltrata e il disgelo rendeva
poi intransitabili le campagne, ostacolando
la discesa a sud della cavalleria. Per ben
due volte, Igor' aveva visto sfumare
l'occasione di partecipare a spedizioni
tanto importanti. Tantopiù
che, dopo il suo passato di amicizia con i Polovcy, il principe ambiva mostrare la sua fedeltà a Kiev e,
soprattutto, a suo cugino, il gran principe
Svjatoslav.
Fu questa la principale ragione
per cui, nella primavera del 1185, egli
partì per la sua famosa, sfortunata
campagna. Non si esclude che a
tanto azzardo lo avesse condotto il
desiderio di riconquistare alla Rus' lo
sbocco sul Mar Nero e agli svjatoslavli di
riprendersi la città di Tmutorokan', di cui
un tempo era stato principe nonno Oleg.
Le due redazioni del
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ concordano con lo
Slovo
nei punti fondamentali della vicenda igoriana.
Igor' Svjatoslavič lasciò la città di Novgorod-Severskij il 23 aprile
1185, alla
testa delle sue schiere. Insieme a lui, la sposa Evfrosina Jaroslavna,
figlia del principe di Galič, Jaroslav
Vladimirovič detto Osmomysl,
dall'«ottuplice pensiero». (Costui discendeva da Vladimir, figlio di Jaroslav il
«saggio». Questi, come si ricorderà, era morto prima di suo padre, ragion per
cui i suoi discendenti erano stati esclusi dalla possibilità di accedere al
granprincipato di Kiev e si erano dovuti accontentare di feudi minori).
Pochi giorni dopo, l'armata di Igor' giunse alla città di Putivl', di
cui era allora signore il principe Vladimir Igorevič (figlio dello stesso Igor').
Lasciata Evfrosina a Putivl', Igor' e Vladimir si
misero in marcia verso sud, alla testa del
loro esercito.
La sera del 1° maggio, martedì, giunte le
schiere presso il fiume Donec,
si verificò l'eclisse narrata nello
Slovo.
Il sole si oscurò, divenne verdognolo, e
le stelle comparvero in cielo in pieno giorno. Gli uomini,
inquieti, cominciarono a mormorare tra loro,
ma Igor' li riprese fieramente: «Nessuno
conosce i misteri divini, e Dio è l'autore
del segno come del mondo intero. E ciò che
Dio ci darà, sia per il bene che per il male,
lo vedremo!» (Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ[6694/1185]). E detto ciò, guadò fieramente
il Donec.
Giovedì 3 maggio, dopo due giorni di
attesa, giunse il fratello di Igor',
Vsevolod Svjatoslavič, principe di Trubčevsk, alla testa
di una formidabile armata raccolta presso
Kursk. Organizzato l'esercito, il principe Igor' tenne il suo discorso.
Dopodiché l'armata si rimise in marcia.
I quattro partecipanti alla spedizione (i
«quattro soli» dello
Slovo) erano dunque:
Igor' Svjatoslavič, principe di
Novgorod-Severskij;
Vsevolod Svjatoslavič, suo fratello,
principe di Trubčevsk e di Kursk;
Vladimir Igorevič, suo figlio,
principe di Putivl';
Svjatoslav Ol'govič
(figlio di Oleg
Svjatoslavič), suo nipote, principe di Ryl'sk.
Evfrosina Jaroslavna
Monumento in Novgorod-Severskij [Novhorod-Sivers'kyj] (Ucraina)
Venerdì 4 maggio, all'ora di pranzo,
i Russi arrivarono in vista dei Polovcy,
i quali si erano attendati presso la riva di
un fiume. Schierate le compagnie, Igor'
diede l'ordine di attacco. Presi di
sorpresa, i Polovcy si diedero alla fuga, ma
i Russi li
inseguirono, li sgominarono e fecero molti
prigionieri. Poi i soldati di Igor'
piombarono sull'accampamento polovesiano e lo
saccheggiarono, catturando donne e bambini. Quella sera, i Russi festeggiarono
la facile vittoria, tra sogni di
gloria. «E ora inseguiremo i Polovcy oltre il
Don e li sconfiggeremo del tutto. E se anche
lì avremo vittoria, li inseguiremo fino al
litorale, dove neppure i nostri avi sono
andati, e ci prenderemo la nostra gloria e
il nostro onore fino in fondo!»
(Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ
[6694/1185]).
Ma all'alba del mattino successivo,
sabato 5 maggio, comparvero da lontano le
schiere polovesiane, ed erano talmente fitte e
numerose
che i Russi ne furono sgomenti. I principi
compresero che, affidandosi ai loro cavalli,
avrebbero potuto giungere al Donec e
salvarsi, ma così facendo avrebbero
sacrificato la fanteria. Rimasero dunque sul
posto, ad affrontare il nemico. I Russi si
batterono fino a sera, e il principe Igor' fu
ferito a un braccio.
Il combattimento durò
tutta la notte e proseguiva ancora all'alba
di domenica. Vsevolod si batteva con
impeto e coraggio, e Igor', in sella al suo
cavallo, cercava di tenere compatte le
schiere che iniziavano a disgregarsi. Gli
uomini presero a fuggire verso il lago, sfiniti dalla sete, ma i Polovcy li
chiusero presso la riva e li massacrarono.
Molti caddero, i družinniki vennero
uccisi, i quattro principi fatti
prigionieri.
Igor' fu catturato da un uomo di nome
Čilbuk della tribù dei Targol, ma al campo polovesiano fu lo stesso qān
Končak – il suo ex alleato – a occuparsi di lui, poiché era
ferito.
Dopo quella vittoria, i Polovcy s'inorgoglirono e tornarono a saccheggiare la Rus'. Dopo aver messo a ferro e a fuoco i
villaggi lungo la Sula, piombarono su Perejaslavl'. Il
principe della città era Vladimir Glebovič. Costui era figlio del gran
principe Gleb Jur'evič (a sua volta figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij, figlio di Vladimir II Monomach); sua sorella, che lo
Slovo chiama con il semplice patronimico di
Glebovna, aveva sposato Vsevolod Svjatoslavič (fratello del nostro Igor').
Vladimir
scese in combattimento, alla testa di
un'esigua družina, cercando di
respingere i nemici. Era un uomo abile e assai coraggioso;
ciononostante, venne riportato in città dai
suoi uomini, ferito da tre lance.
Sofferente, inviò messaggeri ai
gran principi, Rjurik e Svjatoslav,
informandoli del pericolo e implorandoli di
correre in suo soccorso.
Il gran principe Svjatoslav Vsevolodovič
si trovava a Černigov, quando gli giunse la
notizia della disfatta di Igor'. Ne fu
terribilmente contrariato. La sconsiderata
iniziativa di Igor' rischiava di mandare
all'aria tutti gli sforzi da lui compiuti
per contrastare i Polovcy.
Oltretutto, di fronte alle terribili notizie
che giungevano dalla Sula e da Perejaslavl',
il panico cominciava a dilagare tra il
popolo russo. Svjatoslav mandò subito
un'ambasciata al fratello di Rjurik, Davyd
Rostislavič, principe di Smolensk,
avvertendolo della necessità di armarsi contro i Polovcy.
Questo Davyd conservava tuttavia un equilibrio piuttosto
delicato con i Polovcy (la sua stessa moglie
era polovesiana) e, già in passato,
aveva mantenuto un atteggiamento
ambivalente, evitando di combattere contro
il popolo di suo suocero. Svjatoslav perse del tempo
prezioso attendendo rinforzi che non
arrivarono mai. I principi russi
riuscirono a riunirsi con grave ritardo e,
quando giunsero a Perejaslavl', i Polovcy
avevano già alzato le tende e Vladimir
Glebovič era ormai in fin di vita. Sarebbe morto due anni dopo.
La situazione degenerava rapidamente.
Pochi giorni dopo, i Polovcy piombarono su
Rimov. Gli abitanti si barricarono nella
città e, dai bastioni, osservavano sgomenti i
nemici che assediavano la città. Allora un
lato del muro di cinta, carico di gente,
crollò. Una parte dei nemici rimase
schiacciata; gli altri approfittarono però del varco e
penetrarono nella città, mettendola a ferro e a fuoco. Gli abitanti di Rimov furono
massacrati o presi prigionieri.
Solo alcuni, guadando gli acquitrini,
riuscirono a salvarsi.
Intanto, Igor' Svjatoslavič si trovava
prigioniero presso l'accampamento di Končak,
oppresso dal rimorso per tutte le catastrofi
di cui era o si sentiva responsabile, in
colpa per tutto il sangue cristiano versato a causa del suo orgoglio. I Polovcy lo trattavano
con tutti i riguardi. Venti
guardiani lo seguivano, lo servivano e
lo tenevano d'occhio in par misura. Igor'
poteva andare dove voleva, persino a caccia
col falcone, e tutti i suoi ordini erano
subito eseguiti senza discutere. Gli era
stato persino permesso di tenere un pope
con tutto l'occorrente per celebrare la
messa.
Nonostante ciò, Igor' non smetteva
di pensare alla fuga. Cosa non facile,
visto che l'accampamento era completamente
circondato dalle schiere nemiche. Lo tratteneva
inoltre il
pensiero dei suoi družinniki,
anch'essi prigionieri, e non se la sentiva
di fuggire da solo, abbandonandoli in mano ai Polovcy.
Ma quando, dopo i fatti di Perejaslavl',
cominciò a girare voce che i Polovcy avevano
intenzione di ucciderlo, Igor' tornò ad
accarezzare il suo progetto. Non sarebbe mai
riuscito a organizzare una fuga in massa, ma
poteva liberare sé stesso. Poteva
peraltro contare sull'aiuto di un giovane, figlio di un polovesiano e di una russa, che gli era affezionato, certo Lavor
(è il Vlur dello
Slovo). Così una sera, al tramonto, ora in
cui i polovesiani erano ebbri di kumys,
Igor' mandò Lavor ad attenderlo con un
cavallo presso il Donec. Poi, dopo aver
pronunciato un'ultima preghiera,
prese con sé croce e icona, e sgattaiolò
da sotto la tenda. I suoi guardiani ridevano e
giocavano, convinti che dormisse. Invece Igor' arrivò all'esterno dal campo e, giunto al fiume, lo
guadò e montò a cavallo. Dopodiché lui e Lavor si allontanarono.
Igor' impiegò undici giorni per arrivare
alla città di Donec. Dopo essersi
riposato e rifocillato, raggiunse Novgorod-Severskij.
Solo in seguito si spostò a Černigov e, da
qui, raggiunse Kiev, dove fu ricevuto, con
gran sollievo, dai gran principi Svjatoslav e Rjurik.
Qui si conclude lo
Slovo. Successivamente, come anche anticipato nel
poema, tra Russi e Polovcy interverrà un
accordo suggellato da un matrimonio politico
tra Vladimir Igorevič e la figlia
del capo polovesiano Končak.
Dopo la morte di Svjatoslav III
Vsevolodovič, nel 1194, il gran principe
Rjurik continuò a regnare da solo, e le cose
non dovettero andargli molto bene se, nel 1203,
assaltò e saccheggiò la stessa Kiev, alla
testa di un esercito che comprendeva Russi e
Polovcy. Il principe Igor' era morto poco tempo
prima (1201/1202).
Ma la grande stagione della Rus' kievana
si avviava al tramonto. Non molti anni dopo, nel 1223, Russi e Polovcy vennero sconfitti dai Mongoli presso
il fiume Kalka, a nord del mar d'Azov. Era
solo l'inizio della fine. Quindici anni più
tardi, i generali di Čïŋġïz
Qān avrebbero
marciato su Kiev e imposto una dura
dominazione che sarebbe durata due secoli.
Elenchiamo qui la maggior parte dei nomi dei principi russi citati nel poema,
nelle note e negli approfondimenti storici, secondo le linee maschili (le
genealogie vengono seguite fino a Vladimir I il «santo», Jaroslav I Vladimirovič
il «saggio», Vladimir II Vsevolodovič
Monomach e Oleg Svjatoslavič/Gorislavič). Per ciascun nome, vengono fornite le principali parentele e la successione dei vari principati. Seguono piccole annotazioni
sulla sua presenza e il ruolo nello Slovo o pŭlku
Igorevě, con i rimandi testuali. Le voci sono elencate
alfabeticamente: nome, patronimico, soprannome. Eventuali numeri romani (non
considerati ai fini dell'ordine alfabetico) indicano l'ordine di successione al granprincipato di Kiev.
Boris Vjačeslavič (1053-1078). Figlio di Vjačeslav Jaroslavič
(figlio di Jaroslav il «saggio»).
Principe di Tmutorokan' (♔ 1077-1078). —
Alleato del cuigno Oleg Svjatoslavič,
morì nella battaglia di Nežatiaja Niva. Il poema lo rappresenta steso un sudario d'erba
sulla riva del fiume Kajala. → Slovo [38].
Brjačislav Izjaslavič (±997-1044). Figlio di Izjaslav Vladimorovič
(figlio di Vladimir I il «santo»); padre di Vseslav Brjačeslavovič.
Principe di Polock (♔
1001-1044).
Davyd Rostislavič († 1197). Figlio di Rostislav I Mstislavič
(figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir Monomach);
fratello di Rjurik Rostislavič. Tra l'altro, principe di Smolensk (♔
1054-1055). — Il poema lamenta il suo mancato intervento a favore del
principe Igor' e quindi in aiuto di Vladimir Glebovič di Perejaslavl': i
gloriosi stendardi che Rjurik e Davyd Rostislaviči hanno ereditato
dall'antico principe Vladimir, per sua colpa, sventolano disgiunti. →
Slovo [73
| 93].
Davyd Svjatoslavič († 1123). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič
(figlio di Jaroslav I
il «saggio»);
fratello di Gleb, Roman e Oleg Svjatoslaviči. Tra l'altro, principe di Černigov
(♔ 1097-1123).
Gleb Jur'evic († 1171). Figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij (figlio di Vladimir Monomach); padre di Vladimir
Glebovič di Perejaslavl'; suocero di Vsevolod Svjatoslavič. Principe di
Kursk (♔ 1147), di Kanev (♔ 1149), di Perejaslavl' (♔ 1155-1169) e
gran principe di Kiev (♔ 1169 | ♔ 1170-1171). — Sua figlia, che il poema chiama con il semplice patronimico
Glebovna, è sposa di Vsevolod Svjatoslavič (fratello di Igor').
Gleb Svjatoslavič († 1078). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič
(figlio di Jaroslav I
il «saggio»);
fratello di Roman, Davyd e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Tmutorokan'
(♔ 1066-1068).
Igor' Svjatoslavič (1151-1201/1202). Figlio di Svjatoslav Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Oleg e Vsevolod Svjatoslaviči; padre di Vladimir
Igorevič; zio di Svjatoslav Ol'govič. Dapprima principe del piccolo feudo di Putivl' (♔ 1164-1180), quindi di Novgorod-Severskij (♔ 1180-1198), Igor' succedette
infine al padre sul trono di Černigov (♔ 1198-1202).
— È il protagonista del poema. →
Slovo
[1 | 5-7 | 11 | 14 | 16 | 18 | 20 | 31 | 45 |51 | 55-57 | 67 | 73-74 | 76-77
| 98-99 | 101 | 103-106 | 108 | 115-116 | 118-119].
Ingvar' I Jaroslavič (±1152-1220). Figlio di Jaroslav II Izjaslavič
(figlio di Izjaslav II
Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di
Vladimir II Monomach); fratello di Mstislav il «muto» e Vsevolod Jaroslaviči. Principe di
Dorogobuž, di Luck, gran principe di Kiev (♔ 1202), principe di Volyn' (♔
1207) e di nuovo gran principe di Kiev (♔
1214). — È uno dei principi oggetto
dell'appello lanciato dall'autore del poema. →
Slovo
[79].
Izjaslav I Jaroslavič (1024-1078). Figlio di Jaroslav
I Vladimirovič il «saggio»; fratello di Svjatoslav II e Vsevolod I
Jaroslaviči. Principe di Turov (♔ 1042-1078), gran principe di Kiev (♔ 1054-1073 |
♔ 1076-1078). — Morì nella battaglia condotta contro Oleg
Svjatoslavič/Gorislavič, a Nežatiaja
Niva (3 ottobre 1078). →
Slovo [37 | 39].
Izjaslav II Mstislavič (1097-1154). Figlio di Mstislav
Vladimirovič il «grande» (figlio di Vladimir II Monomach); padre di Mstislav e
Jaroslav
Izjaslaviči. Principe di Perejaslavl' (♔ 1132), di Turov (♔ 1132-1134), di Rostov (♔ 1134), di Volyn' (♔ 1134-1142), di nuovo di Perejaslavl' (♔ 1143-1145), e gran principe di Kiev (♔ 1146-1149
| ♔ 1151-1154).
Izjaslav Vladimirovič (978-1001). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič
il «santo»; fratello di Jaroslav
I Vladimirovič il «saggio», di Svjatopolk I Vladimirovič il «dannato» e di
Mstislav Vladimirovič il «coraggioso»; padre di Brjačislav Izjaslavič
(a sua volta padre di Vseslav Brjačislavič). Principe
di Polock (♔ 989-1001) e antenato dei principi di
quella città.
Jaropolk
Izjaslavič († 1087). Figlio di Izjaslav I Jaroslavič (figlio di Jaroslav I
il «saggio»);
fratello di Mstislav e Svjatopolk
Izjaslaviči.
Principe di Turov e di Volyn' (♔ 1078-1087).
Jaroslav II Izjaslavič († 1080?). Figlio di Izjaslav II
Mstislavič (figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di
Vladimir II Monomach); fratello di Mstislav
Izjaslavič; padre di Mstislav il «muto», Ingvar' e Vsevolod Jaroslaviči. Principe di Turov (♔ 1146), Novgorod
(♔ 1148-1154), Luck (♔ 1157-1180) e gran principe
di Kiev (♔ 1174–1175 | ♔1180).
Jaroslav
I Vladimirovič Mudryj, il «saggio» (978-1054). Figlio di
Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Svjatopolk I Vladimirovič
il «dannato», di Mstislav Vladimirovič il «coraggioso» e di Izjaslav
Vladimirovič di Polock; padre di Vladimir, Izjaslav, Svjatoslav, Vsevolod e Vjačeslav Jaroslaviči.
Principe
di Rostov (♔ 978-1010), principe di Novgorod (♔ 1010-1019) e gran principe di Kiev
(♔
1019-1054). — Jaroslav fu l'antenato di tutti i principi russi, gli
Jaroslavli,
eccetto quelli del ramo di Polock, i quali discendevano invece da Izjaslav. →
Slovo [3 | 36-37 | 83 | 86 | 113].
Jaroslav Vladimirovič Osmomysl, «ottuplice pensiero»
(1135-1187). Discendente di Jaroslav
I Vladimirovič il «saggio» (era infatti figlio di Vladimir Volodarevič,
figlio di Volodar Rostislavič, figlio di Rostislav Vladimirovič, figlio
di Vladimir Jaroslavič di Novgorod; quest'ultimo era il maggiore dei
figli di Jaroslav I il «saggio»); padre di Evfrosina Jaroslavna (sposa del
principe Igor'). Principe di Galič. — Esaltato dal poema come difendore
della Rus' nei confronti degli Ungheresi, viene invocato per accorrere in
aiuto del principe Igor', suo genero. → Slovo [74].
Jaroslav Vsevolodovič (1139-1198). Figlio di Vsevolod II Ol'govič
(figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello
di Svjatoslav III Vsevolodovič. Principe di Ropesk (♔
±1146-1166), di Starodub (♔ 1166-1176) e di Černigov (♔ 1176-1198). — Teneva quest'ultimo titolo all'epoca della spedizione del
principe Igor'. →
Slovo [69].
Jurij
I Vladimirovič Dolgorukij, dal «lungo braccio» (1099-1157).
Figlio di Vladimir II Monomach; fratello di Mstislav Vladimirovič; padre, tra
gli altri, di Gleb Jur'evič. Principe di Rostov e Suzdal' (♔
1108-1157) e gran principe di Kiev (♔
1149-1151 | ♔ 1155-1157). — È il tradizionale fondatore della città
di Mosca.
Mstislav
Izjaslavič († 1068). Figlio di Izjaslav I Jaroslavič (figlio
di Jaroslav I
il «saggio»);
fratello di Jaropolk e Svjatopolk
Izjaslaviči.
Mstislav II
Izjaslavič († 1172). Figlio di Izjaslav II Mstislavič (figlio di
Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Jaroslav
II Izjaslavič, padre di Roman Mstislavič il «grande». Principe di Perejaslavl' e
di Volyn', poi gran principe di Kiev (♔
1167-1169 | ♔ 1170).
Mstislav Jaroslavič Nemoj il «muto» († 1226). Figlio di
Jaroslav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I
Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Ingvar' e Vsevolod
Jaroslaviči. Principe di Peresopnica (♔
1180-±1220) e, insieme, di Galič (♔
1212-1213), poi di Luck (♔
±1220-1226). — Lo si identifica con uno dei principi oggetto
dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo
[75].
Mstislav Vladimirovič Chrabryj, il «coraggioso»
(±978-1036). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Jaroslav
I Vladimirovič il «saggio», di Svjatopolk I Vladimirovič il «dannato» e di
Izjaslav Vladimirovič di Polock. Principe di Tmutorokan' (♔ 990-1024) e
di Černigov (♔
1024-1036). → Slovo [3].
Mstislav I Vladimirovič Velikij, il «grande»
(±1076-1132). Figlio di Vladimir II Monomach; fratello di Jurij I
Dolgorukij. Principe di Novgorod (♔
1081-1093), di Rostov (♔
1095-1117) e, insieme al padre, di Belgorod (♔
1117-1125); gran principe di Kiev (♔
1125-1132).
Oleg Svjatoslavič (?-?). Figlio di Svjatoslav Ol'govič
(figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, eroi del poema; padre di Svjatoslav
Ol'govič.
Oleg Svjatoslavič Gorislavič, il «figlio di
Malagloria» (1053?-1115). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič (figlio di Jaroslav
I il «saggio»); fratello di Gleb, Roman e Davyd Svjatoslaviči; padre di Izjaslav,
Igor' e Svjatoslav Ol'goviči; nonno di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, eroi del
poema. Principe di Volyn' (♔
1073-1076), di Černigov (♔
1078), di Tmutorokan' (♔
±1083), di nuovo di Černigov (♔
1094 | 1097) e infine di Novgorod-Severskij (♔
1097-1115). — Partecipò alle lotte scatenatesi per il gran principato, per di più assoldando
i Polovcy contro i propri parenti. Il poema attribuisce a lui la responsabilità di
buona parte delle discordie che affliggono la Rus'. →
Slovo [27 | 36-38 | 40 | 113].
Rjurik II Rostislavič († 1215). Figlio di Rostislav I Mstislavič
(figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di
Davyd Rostislavič. Dapprima principe di Novgorod (♔ 1170-1171), poi gran
principe di Kiev (♔ 1173), quindi principe di Belgorod Kievsky (♔
1173-1194), per altre quattro volte gran principe di Kiev (♔ 1180-1202 |
♔ 1203-1205 | ♔ 1206 | ♔ 1207-1210), co-regnando anche con Svjatoslav III
Vsevolodovič (♔ 1182-1194); infine principe di Černigov (♔ 1210-1214). → Slovo [73 | 93].
RomanMstislavičVelikij, il «grande»
(1160-1205). Figlio di Mstislav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič,
figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di
Svjatoslav e Vsevolod Mstislaviči. Principe di Novgorod (♔ 1168-1170), di
Volyn' (♔ 1170-1189), e quindi di Galič e Volyn' (♔ 1189-1205). — Lo si
identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore
del poema. → Slovo [75 | 79?].
Roman Svjatoslavič Krasnij, il «bello» (±1053-1079).
Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello
di Gleb, Davyd e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Tmutorokan' (♔ 1069-1079). → Slovo [3].
Rostislav I Mstislavič (1110-1167). Figlio di Mstislav I
Vladimirovič (figlio di Vladimir II Monomach); padre di Rjurik e Davyd
Rostislaviči. Principe di Smolensk (♔ 1125-1160), di Novgorod (♔
1154), gran principe di Kiev (♔ 1154 | ♔ 1159-1167).
Rostislav Vsevolodovič (1070-1093). Figlio di Vsevolod I
Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Vladimir II Monomach.
Principe di Perejaslavl'l (♔
1078-1093). — Il poema ricorda il suo
annegamento nel fiume Stugna. → Slovo [107].
Svjatopolk II
Izjaslavič (1050-1113). Figlio di Izjaslav I Jaroslavič (figlio di
Jaroslav I il «saggio»); fratello di Mstislav e Jaropolk Izjaslaviči. Principe
di Novgorod (♔
1078-1088), di Turov (♔
1088-1093) e, infine, gran principe di Kiev (♔
1093-1113). — Lo Slovo,
confondendolo con il fratello Jaropolk, lo rappresenta nell'atto pietoso di trasportare il corpo del padre, caduto nella battaglia di Nežatiaja Niva (1078),
tra due cavalli ungheresi. → Slovo [39].
Svjatopolk I Vladimirovič Okajanij, il «dannato»
(±980-1019). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Jaroslav
I Vladimirovič il «saggio», di Mstislav Vladimirovič il «coraggioso» e di
Izjaslav Vladimirovič di Polock. Principe di Turov (♔ 988-1019) e poi
gran principe di Kiev (♔ 1015-1019). — Lottò per il potere contro i suoi fratelli; uccise Boris e Gleb;
sconfitto dal fratello Jaroslav, morì durante la fuga.
Svjatoslav II Jaroslavič (1027-1076). Figlio di Jaroslav I il
«saggio»; fratello di Izjaslav, Vsevolod e Vjačeslav Jaroslaviči; padre di Gleb,
Roman, Davyd e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Černigov (♔ 1054-1073),
poi gran principe di Kiev (♔ 1073-1076). — Fu il capostipite della linea principesca di Černigov,
città sulla quale regnarono i suoi due figli Oleg e Davyd Svjatoslaviči, i quali
in seguito sfidarono l'autorità kievana.
Svjatoslav Mstislavič
(1155-1195). Figlio del gran principe Mstislav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav
II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach);
fratello di Roman e Vsevolod Mstislaviči. Principe di Belz (♔ 1170-1195),
di Volyn' (♔ 1188). — Lo si
identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore
del poema. → Slovo [79?].
Svjatoslav Ol'govič († 1164). Figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič;
fratello di Vsevolod, Igor' e Gleb Ol'goviči; padre di Oleg, Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči.
Principe di
Novgorod
(♔
1136-1138),
di Kursk
(♔
1138-1139), ancora di Novgorod (♔
1139-1141),
di Starodube
Belgorod
(♔
1141-1146),
di
Novgorod-Severskij
(♔
1146-1157),di Černigov (♔ 1157-1164).
→
Slovo [55].
Svjatoslav Ol'govič (?-?). Figlio di Oleg Svjatoslavič
(figlio di Svjatoslav Ol'govič, figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); nipote di Igor'
e Vsevolod Svjatoslaviči. Principe di Ryl'sk. È uno dei «quattro soli» partecipanti alla spedizione del principe Igor'.
→
Slovo [63].
Svjatoslav III Vsevolodovič († 1194). Figlio di Vsevolod II Ol'govič
(figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Jaroslav Vsevolodovič;
cugino di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, gli eroi del poema. Principe di Turov
(♔ 1142 | ♔ 1154), di Vladimir e Volyn' (♔ 1141-1146), di Pinsk (♔
1154), di Novgorod-Severskij (♔ 1157-1164), di Černigov (♔
1164-1177) e infine gran principe di Kiev (♔ 1174 | ♔ 1177-1180 | ♔
1182-1194), alternandosi con Rjurik Rostislavič e co-regnando insieme a questi
per un breve periodo (♔ 1182-1194). — È il gran principe in carica al tempo della spedizione del principe Igor'.
Lo Slovo lo ritrae a Kiev, irritato per la
sconsiderata spedizione del principe, che ha rotto la pace da lui stabilita con
i Polovcy. Ne riporta il racconto del sogno [58-65]
e quindi l'«aureo discorso» [66-71]. →
Slovo [55 | 58 | 66].
Vjačeslav Jaroslavič (1036-1057). Figlio di Jaroslav I
Vladimirovič il «saggio»; fratello di Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod
Jaroslaviči; padre di Boris Vjačeslavič. Principe di Smolensk (♔
1054-1057).
Vladimir Glebovič († 1187). Figlio di Gleb Jur'evič (figlio di
Jurij I Dolgorukij, figlio di Vladimir II Monomach). Principe di
Perejaslavl' (♔ 1169-1187). — Sua sorella,
che il poema chiama con il patronimico Glebovna è sposa di
Vsevolod Svjatoslavič (fratello di Igor'). L'indifferenza dei principi lo
abbandona di fronte al nemico, a difendere da solo la città di Perejaslavl'.
→ Slovo [71].
Vladimir Igorevič. Figlio di Igor' Svjatoslavič (figlio di Svjatoslav Ol'govič, figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič). È uno dei quattro
partecipanti alla spedizione del principe Igor'. →
Slovo [63? | 119].
VladimirJaroslavič (1020-1052). Figlio di Jaroslav
I Vladimirovič il «saggio»; fratello di Vseslav, Izjaslav, Svjatoslav e Vjačeslav Jaroslaviči;
antenato di Jaroslav Vladimirovič Osmomysl. Principe di Novgorod (♔
1036-1052). — Premorì al padre e non partecipò alla successione per il
granprincipato di Kiev.
Vladimir I Svjatoslavič Svjatoj, il «santo» (958-1015).
Figlio di Svjatoslav I Igorevič (figlio di Igor' I Rjurikovič, figlio di Rjurik
di Novgorod († 879)). Gran principe di Kiev (♔ 980-1015). Dopo aver
sacrificato agli idoli, si convertì, introdusse ufficialmente il Cristianesimo
in Russia e ordinò il battesimo del popolo russo (988). Dalle sue molte mogli e
concubine ebbe un certo numero di figli, i quali alla sua morte scatenarono una
serrata lotta per il potere. Ricordiamo: Svjatopolk (980-1019), divenuto gran
principe alla morte del padre (♔
1015-1019), il quale fece uccidere i fratelli Boris e Gleb; Jaroslav, che prese
a sua volta il potere (♔ 1019-1054), antenato di
tutti i principi russi; e Izjaslav, progenitore del ramo dei principi di Polock.
→
Slovo [5? | 93?].
Vladimir II Vsevolodovič Monomach (1053-1125). Figlio di Vsevolod I Jaroslavič
(figlio di Jaroslav
I il «saggio»); fratello
di Rostislav Vsevolodovič; padre, tra gli altri, di Jurij I Dolgorukij
e Mstislav I Vladimiroviči il «grande». Principe di Smolensk (♔
1073-1078), di Černigov (♔
1078-1094), di Perejaslavl' (♔
1094-1113) e infine gran principe di Kiev (♔
1113-1125). — È uno dei maggiori e più importanti sovrani della Rus' kievana.
Ingiustamente, lo Slovo lo rappresenta
nell'atto di prendere parte alla contesa svoltasi nel 1078 tra il padre Vsevolod,
allora principe di Černigov, e Oleg Svjatoslavič, nonno del principe Igor',
che aveva conquistato la città. → Slovo [5?
| 37 | 93?].
Vseslav Brjačeslavovič (±1039-1101). Figlio di Brjačislav
Izjaslavič (figlio di Izjaslav Vladimorovič, figlio di Vladimir I il «santo»).
Principe di Polock (♔
1044-1101). — È il principe-stregone a cui il poema dedica un lungo excursus,
descrivendone la sete di sangue e la capacità di tramutarsi in animale. →
Slovo [80 | 83-84 | 88].
Vsevolod I Jaroslavič (1030-1093). Figlio di Jaroslav I
Vladimirovič il «saggio»; fratello di Izjaslav, Svjatoslav e Vjačeslav
Jaroslaviči; padre di Vladimir II Monomach e Rostislav Vsevolodoviči. Principe
di Perejaslavl' (♔
1054-1073), quindi di Černigov (♔
1073-1076 | ♔ 1077-1078) e infine gran principe di Kiev (♔
1078-1093). — Nel 1077, quand'era signore di Černigov, vide la sua
città assediata e conquistata da Oleg Svjatoslavič, nonno del principe Igor'. →
Slovo [37].
Vsevolod Jaroslavič († 1202). Figlio di Jaroslav II Izjaslavič
(figlio di Izjaslav II
Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di
Vladimir II Monomach); fratello di Mstislav il «muto» e Ingvar' Jaroslaviči. Principe di
Dorogobuž. — È uno dei principi oggetto
dell'appello lanciato dall'autore del poema. →
Slovo
[79].
Vsevolod III Jur'evič Bol'šoe Gnezdo, il «grande nido»
(1154-1212). Figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij (figlio di
Vladimir II Monomach). Gran principe di Kiev per un solo anno (♔
1173), divenne in seguito signore di Vladimir-Suzdal' (♔ 1177-1212). → Slovo [72].
VsevolodMstislavič
(1155-1195). Figlio del gran principe Mstislav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav
II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach);
fratello di Roman e Svjatoslav Mstislaviči. Principe di Belz (♔
1170-1195) e di Volyn' (♔ 1188). — Lo si
identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore
del poema. → Slovo [79?].
Vsevolod II Ol'govič († 1146). Figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič;
fratello di Svjatoslav, Igor' e Gleb Ol'goviči; padre di Svjatoslav III e
Jaroslav Vsevolodoviči. Principe di Černigov (♔ 1127-1139) e gran
principe di Kiev (♔
1139-1146).
Vsevolod Svjatoslavič, buj turŭ «toro impetuoso» (†
1196). Figlio di Svjatoslav Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič);
fratello di Igor' e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Kursk e Trubčevsk (♔
1164-1196). — È uno dei «quattro soli», protagonisti dello Slovo,
descritto con i tratti di un eroe mitico. → Slovo [14-15
| 33-34 | 45 | 55 | 67 | 119].
Tra le successive rielaborazioni artistiche del poema
antico-russo, spicca l'opera lirica Knjaz' Igor',
il «Principe Igor'», di Aleksandr Porfir'evič Borodin (1833-1887). Laureato
in medicina, ricercatore chimico presso l'Accademia Militare di Medicina di San Pietroburgo, Borodin era
anche un brillante compositore. Fondò, insieme a Modest Musorgskij, Milij Balakirev,
Cezar' Cui e Nikolaj Rimskij-Korsakov, il cosiddetto «gruppo dei cinque», volto
a diffondere una musica d'impronta russa, libera da remore convenzionali e da
influssi occidentali.
Le sue molte attività, costringevano Borodin a comporre
musica nei ritagli di tempo, correndo dal laboratorio di chimica al pianoforte,
ragion per cui la sua produzione non è molto vasta. Sovente non riusciva a
completare i suoi lavori musicali per le date stabilite e doveva ricorrere
all'aiuto dei suoi amici compositori.
Un'opera basata sullo
Slovo o pŭlku
Igorevě, e dunque di forte impronta nazionale, era un soggetto
ideale per Borodin, studioso appassionato sia di musica popolare
russa, sia di quella di origine orientale. Il completamento dello Knjaz' Igor' fu tuttavia lungo e laborioso.
La composizione impegnò Borodin per ben diciassette anni e rimase interrotta
dalla morte improvvisa del compositore. Si incaricò di completare l'opera
l'amico Rimskij-Korsakov, con l'aiuto del suo allievo Aleksandr Glazunov, il
quale poté ricostruire l'intera ouverture, che Borodin aveva suonato
al pianoforte in sua presenza ma non aveva mai fissato sulla carta.
Lo
Knjaz' Igor' venne rappresentato a San Pietroburgo, al Teatro Marinskij, il 23 ottobre 1890.
♪
Aleksandr Borodin. Danza delle fanciulle polovesiane
Alternative content
♫
Aleksandr Borodin. Danze polovesiane
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Seppure i critici le rimproverino una mancanza di equilibrio
tra tradizione popolare russa e musica colta occidentale, e profondamente
segnata
dall'influsso di Musorgskij, lo Knjaz' Igor'
rimane un'opera insieme fastosa e potente, a tratti barbarica, pervasa da quello che, all'epoca di Borodin, era avvertito come il più antico e profondo spirito nazionale russo.
Universalmente popolari le danze polovesiane, nel primo dei quattro atti, in seguito
rappresentate singolarmente, e con successo, dai Ballets Russes di Sergej
Djagilev.
Danze Polovesiane
Le Danze Polovesiane dallo
Knjaz' Igor' di Borodin, nella coreografia elaborata da Michajl
Fokin (1880-1942) per i Ballets Russes di Sergej Djagilev, nel 1909. I
costumi polovesiani furono elaborati da Nikolaj Roerich.
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Traduzione della Redazione Bifröst.
Introduzione e note di Dario Giansanti.
Si ringrazia la dottoressa Anna Gulidova per
l'attenta revisione del lavoro, per le molte correzioni, precisazioni e
annotazioni suggerite.
Creazione pagina:
14.08.2005
Ultima modifica:
12.02.2015