I - ANTICHI SOVRANI E
LEGISLATORI NELLA CRONACA DI MALÁLAS
Un passo della
Chronographía di Iōánnēs Malálas,
una cronaca bizantina del VI secolo, descrive gli esordi della civiltà egiziana
e i suoi primi sovrani. Primo a regnare in terra d'Egitto era stato
Miṣraym, della stirpe di Ḥām,
il biblico progenitore degli Egiziani (Bǝrēʾšîṯ [X:
| X: ]). Dopo di lui aveva regnato Hérmēs.
Dopo, il trono era passato a Hḗphaistos,
sovrano «bellicoso ma ingegnoso». Egli aveva introdotto una legge che vietava la
promiscuità femminile e introduceva un severo regime monogamico per entrambi i
sessi. Sotto il regno di Hḗphaistos
erano cadute dal cielo delle tenaglie da fabbro, e gli uomini – che fino ad
allora si erano combattuti con pietre e bastoni – avevano imparato a forgiare i
metalli per fabbricare le armi.
«Dopo la morte di Hḗphaistos,
suo figlio
Hḗlios
regnò sopra gli Egiziani per dodici anni e novantasette giorni», prosegue la
cronaca di Malálas.
Hḗlios
fu un sovrano potente e cupido di gloria. Riformò il calendario egiziano e si
adoperò per mantenere la morigeratezza di costumi che suo padre aveva imposto
per legge. L'unico racconto che Malálas narra su Hḗlios,
riguarda la crudele punizione inflitta a un'adultera e al suo amante. Dopo di
lui – continua Malálas – regnarono sull'Egitto Sósis,
Ósiris e Hṓros.
La cronaca di Malálas dipende da quella del sacerdote Manéthōn (III sec. a.C.).
Il primo libro della perduta Aigyptiaká,
nella versione armena di Eusebio, esordisce così: «Il primo uomo (o dio) in
Egitto fu Hḗphaistos, assai famoso tra
gli Egiziani per aver scoperto il fuoco. A suo figlio
Hḗlios
succedette Sósis, a questo, a sua volta,
Krónos» (Aigyptiaká
[1]). Si noti che sul Papiro di Torino,
le divinità egiziane si succedono sul trono d'Egitto in maniera analoga,
permettendoci di individuare le interprætationes græcæ di Manéthōn:
Ptaḥ, Râ‛,
Šu, Gebb, Ûsir,
Ḥûr,
etc. Nella sua versione, Malálas salta Krónos/Gebb,
ma premette alla lista Miṣraym (conformandosi così
al dettato biblico) e poi Hérmēs, che probabilmente
è da identificare con Thṓth/Ḏḥûti.
Nella traduzione russa della Chronographía,
piuttosto libera e interpolata, i personaggi della cronaca di Malálas vengono
sottoposti a una ulteriore interpretazione, questa volta con divinità slave:
По
умрьтвии же Феостовъ егож и Сварога наричить
и царствова сынъ его именем Солнце, егож
наричуть Дажьбог. Солнцеже царь сынъ
Сварогов еже есть Дажьбог. |
Po umrĭtvii že Feostovŭ egož i Svaroga naričitĭ i
carstvova synŭ ego imenem Solnce, egož naričutĭ Dažĭbog. Solnceže carĭ synŭ
Svarogov eže estĭ Dažĭbog. |
Dopo la
morte di
Feostŭ [Hḗphaistos]
detto
Svarogŭ,
regnò suo figlio Solnce [il «Sole», Hḗlios] detto
Dažĭbogŭ.
Re Solnce figlio di
Svarogŭ,
è questi
Dažĭbogŭ. |
Iōánnēs Malálas:
Chronographía
[3.5.1] (traduzione russa) |
E riprendendo di pari passo il Malálas russo, il Codice Ipaziano della
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
la «Cronaca degli anni passati», narra daccapo tutte le origini del regno
egiziano, insistendo sulle interpretazioni slave. Riportiamo il raro brano per
intero:
И бысть по потопѣ и
по раздѣленьи языкъ, поча царьствовати пѣрвое
Местромъ отъ рода Хамова, по немь Еремия, по немь Феоста, иже и Саварога
нарекоша Егуптяне. Царствующю сему Феостѣ
въ Егуптѣ, въ время царства его, спадоша
клѣщѣ
съ небесѣ, нача ковати оружье, прѣже
бо того палицами и камениемь бьяхуся. Тъ же Феоста законъ устави женамъ за единъ
мужь посагати и ходити говеющи, а иже прелюбы дѣющи
казнити повелѣваше, сего ради прозваше и
богъ Сварогъ, преже бо сего жены блудяху, к нему же хотяше, и бяху акы скотъ
блудяще; аще родяшеть дѣтищь, который ѣй любъ бываше дашеть; се твое дѣтя,
онъ же створяше празнество приимаше. Феость же сий законъ расыпа, и въстави
единому мужю едину жену имѣти, и женѣ
за одинъ мужь посагати, аще ли кто переступить, да ввергуть и в пещь огнену.
Сего ради и прозваша и Сварогомъ и блажиша и Егуптяне. И по семъ царствова сынъ
его, именемъ Солнце, егоже наричють Дажьбогъ, семъ тысящь и 400 и семъдесять дни,
и яко быти лѣтома двемадесятьмати по лунѣ,
видяху бо Егуптяне инии чисти, ови по лунѣ
чтяху, а друзии... деньми лѣть чтяху,
двою бо надесять мѣсяцю число потомъ увѣдаша,
отнележе начаша человѣци дань давати
царямъ. Солнце царь, сынъ Свароговъ, еже есть Дажьбогъ, бѣ
бо мужь силенъ, слышавше нѣ отъ кого
жену нѣкую отъ Егуптянинъ богату и
всажену сущю, и нѣкоему въсхотѣвшю
блудити с нею, искаше ся яти ю хотя, и не хотя отца своего закона расыпати
Сварожа, поемъ со собою мужь нѣколко
своихъ, разумѣвъ годину, егда прелюбы дѣеть
нощью припаде на ню, не удоси мужа с нею, а ону обрѣте
лежащю съ инѣмъ, с нимъже хотяше, емъ же
ю и мучи и пусти ю водити по земли у коризнѣ,
а того любодѣйца усѣкну;
и бысть чисто житье по всей земли Егупетьской и хвалити начаша. Но мы не
предложимъ слова, но рцѣмъ съ Давыдомъ:
вся елико въсхотѣ и створи Господь на
небеси и на земли, в мори въ всихъ безнахъ, възводяй облакы отъ послѣднихъ
земли. Се бо и бысть послѣдняя земля, о
нейже сказахомъ первое. |
I bystĭ po potopě i po razdělenĭi jazykŭ, poča
carĭstvovati pěrvoe Mestromŭ otŭ roda Chamova, po nemĭ Eremija, po nemĭ Feosta,
iže i Savaroga narekoša Eguptjane. Carstvujuščju semu Feostě vŭ Eguptě, vŭ
vremja carstva ego, spadoša klěščě sŭ nebesě, nača kovati
oružĭe, prěže bo togo
palicami i kameniemĭ bĭjachusja. Tŭ že Feosta zakonŭ ustavi ženamŭ za
edinŭ mužĭ posagati i choditi govejušči, a iže preljuby dějušči kazniti povelěvaše, sego
radi prozvaše i bogŭ Svarogŭ, preže bo sego ženy bludjachu, k nemu že
chotjaše,
i bjachu aky skotŭ bludjašče; ašče rodjašetĭ dětiščĭ, kotoryj ěj ljubŭ
byvaše
dašetĭ; se tvoe dětja, onŭ že stvorjaše praznestvo priimaše. Feostĭ
že sij
zakonŭ rasypa, i vŭstavi edinomu mužju edinu ženu iměti, i ženě za odinŭ mužĭ posagati, ašče li kto perestupitĭ, da vvergutĭ i v peščĭ ognenu. Sego radi i
prozvaša i Svarogomŭ i blažiša i Eguptjane. I po semŭ carstvova synŭ
ego, imenemŭ Solnce, egože naričjutĭ Dažĭbogŭ, semŭ tysjaščĭ i 400 i semŭdesjatĭ dni,
i jako byti lětoma dvemadesjatĭmati po luně, vidjachu bo
Eguptjane inii čisti,
ovi po luně čtjachu, a druzii... denĭmi lětĭ čtjachu, dvoju bo nadesjatĭ
měsjacju čislo potomŭ uvědaša, otneleže načaša čelověci danĭ davati carjamŭ.
Solnce carĭ, synŭ Svarogovŭ, eže estĭ Dažĭbogŭ, bě bo mužĭ silenŭ,
slyšavše ně
otŭ kogo ženu někuju otŭ Eguptjaninŭ bogatu i vsaženu suščju, i někoemu
vŭschotěvšju bluditi s neju, iskaše sja jati ju chotja, i ne chotja otca svoego
zakona rasypati Svaroža, poemŭ so soboju mužĭ několko svoichŭ, razuměvŭ
godinu,
egda preljuby děetĭ noščĭju pripade na nju, ne udosi muža s neju,
a onu obrěte
ležaščju sŭ iněmŭ, s nimŭže chotjaše, emŭ že ju i muči i pusti ju voditi po
zemli u korizně, a togo ljubodějca usěknu; i bystĭ čisto
žitĭe po vsej zemli Egupetĭskoj i chvaliti načaša. |
Dopo il Diluvio e la
divisione delle lingue, cominciò a regnare
prima di tutti Mestromŭ [Miṣraym], della stirpe di
Xam [Ḥām], dopo di lui
Eremija [Hérmēs],
dopo questo
Feostŭ [Hḗphaistos],
che gli Egiziani chiamarono anche
Svarogŭ. Mentre
Feostŭ regnava sull'Egitto, caddero dal
cielo delle tenaglie, e la gente cominciò a forgiare armi, mentre prima di
allora avevano combattuto solo con clave e pietre. Feostŭ
promulgò la legge, secondo la quale una donna avrebbe dovuto sposare un solo uomo
e osservare il digiuno, e ordinò ci punire coloro che commettevano adulterio.
Perciò lo chiamarono
Svarogŭ. Precedentemente le donne si
accoppiavano con chi volevano, e si accoppiavano come bestie. Se avevano dei
figli, lo donavano a chi volevano: «Ecco, questo è tuo figlio», e quelli,
accettandolo, facevano festa. Feostŭ abolì questa usanza e dispose che ogni uomo avrebbe dovuto avere una sola donna,
e ogni donna avrebbe potuto sposare un solo uomo; se qualcuno avesse trasgredito
a questa legge, sarebbe stato gettato nella fornace ardente. Perciò gli Egiziani lo chiamarono
Svarogŭ e lo
adorarono. Dopo di lui, regnò suo figlio Solnce [Hḗlios] detto
Dažĭbogŭ. Egli regnò settemila
quattrocento anni e settanta giorni, cioè venti anni e mezzo. Gli Egizi non
sapevano contare diversamente; contavano secondo la luna, mentre gli altri
[contavano] i giorni dell'anno; più tardi ebbero la nozione del tempo nei dodici
anni, dal tempo in cui gli uomini avevano cominciato a pagare il tributo al re [car'].
Re Solnce, figlio di
Svarogŭ, cioè
Dažĭbogŭ, era un uomo forte:
aveva udito di una certa donna egiziana ricca e nota, e di un certo uomo che
avrebbe voluto unirsi a lei. Andò in cerca di costei, volendo averla per sé e
non volendo trasgredire la legge del padre suo,
Svarogŭ. Avendo avuto sentore
dell'ora in cui ella avrebbe commesso adulterio, prese con sé alcuni uomini e
capitò da lei di notte. Non trovò il marito di lei, ma lo trovò con un altro che
ella amava. Presala, la seviziò e la lasciò andare disonorata per la terra. E
decapitò l'adultero. E si visse una vita casta in tutta la terra egizia, e
presero a lodarlo. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ (Codice Ipaziano) [6622/1114] |
In passato, alcuni eminenti autori si siano basati su questo brano per
«ricostruire» una supposta mitologia slava. Ad esempio, lo storico Boris
Aleksandrovič Rybakov, agguerrito nazionalista, vi ha voluto vedere un antico
mito russo delle età del mondo, ripartito più o meno in questo modo:
- un'epoca primitiva, priva di tecniche, leggi e costumi sociali;
- l'eta di Svarogŭ, in cui gli
uomini cominciano a lavorare i metalli e stabiliscono la famiglia
monogamica;
- l'eta di Dažĭbogŭ, in
cui emerge lo stato. (Rybakov 1981)
Sfortunatamente per Rybakov, la leggenda riportata da Malálas non ha
assolutamente nulla di slavo: i copisti russi si limitarono a inserire delle
interpolazioni, identificando rispettivamente – forse a scopo esplicativo –
Hḗphaistos ed Hḗlios
con Svarogŭ e
Dažĭbogŭ. Detto questo, il
testo potrebbe ancora esserci utilissimo, se solo riuscissimo a comprendere le
ragioni che sono dietro alle equazioni operate dai traduttori russi.
Dunque, perché i compilatori delle cronache identificarono Hḗphaistos con
Svarogŭ e
Dažĭbogŭ con
Hḗlios?
L'associazione fu fatta in virtù di qualche analogia della coppia di
dèi russi con i corrispettivi greci? Se così fosse, dovremmo aspettarci uno
Svarogŭ dio del fuoco, fabbro e artefice divino, e un
Dažĭbogŭ dal carattere luminoso e solare. Peccato
che, nel testo di Malálas,
Hḗphaistos viene detto essere una sorta
di sovrano e legislatore primordiale, mentre niente del genere si può dire per il dio-fabbro greco,
mentre
Hḗlios
sembra impegnato soprattutto nel perseguire la punizione di due adulteri, non
avendo peraltro nulla del dio-sole ellenico. I traduttori russi, nell'operare le loro
identificazioni, si rifecero al carattere delle due divinità greche, o al loro
ruolo nel testo di Malálas?
Altri studiosi hanno suggerito che, nello
stabilire la loro equazione, i cronisti russi abbiano semplicemente scelto due
divinità che fossero tra loro in relazione di padre e figlio, così come
Hḗphaistos ed
Hḗlios nel testo di Malálas (ma non nella mitologia greca!). Ne
risulterebbe che, nell'antica mitologia slava,
Svarogŭ sarebbe stato il padre di
Dažĭbogŭ, ipotesi che non aiuta affatto a decifrare il carattere delle due
divinità. È anzi assai probabile che nell'attribuire alle divinità un rapporto di
padre e figlio, il traduttore russo abbia seguito troppo alla lettera il testo
di Malálas.
La cosa più ragionevole, sicuramente, è di
non insistere troppo sull'assimilazione operata dai cronisti russi: si ha
la netta impressione che, cercare nel carattere delle divinità greche (Hḗphaistos
ed
Hḗlios)
una descrizione di quelle slave (Svarogŭ e
Dažĭbogŭ) sia impresa fuorviante. È evidente
che già Malálas, nell'originale greco, recuperava dei nomina divina
del mondo classico impiegandoli in ruoli che ad essi poco competevano,
sostituendoli a nomi di
originali divinità egiziane. I
traduttori russi associarono a loro volta ai
nomi greci quelli di antiche divinità slave... ma di nuovo, secondo quali criteri?
La presenza di
Svarogŭ nella
traduzione del Malálas,
potrebbe in effetti avere delle diverse giustificazioni: forse
Svarogŭ
fu il sovrano di un'età primordiale e un mitico legislatore? oppure fu un dio
fabbro o un dio del fuoco, com'era
Hḗphaistos
secondo il mito greco (ma non secondo Malálas)? oppure fu il padre del dio-sole
slavo e in questo caso si spiegherebbe il rapporto di paternità con
Dažĭbogŭ? Quello che sarebbe
importante sapere – e che purtroppo
ci sfugge – furono proprio i criteri con cui furono operate queste
assimilazioni.
|
II - SVAROGŬ: ANALISI ETIMOLOGICA
Il teonimo antico-russo
Svarogŭ sembra sia connesso con la radice sanscrita
var- «avvolgere,
legare», la stessa che si trova nel nome
del dio vedico Varuṇa. Il teonimo
verrebbe dunque a significare qualcosa come «colui che lega» o «colui che
avvolge». Si è
pure
ipotizzato un legame col sanscrito svarga «cielo luminoso», il che
ricondurrebbe il nostro personaggio alla sfera degli dèi celesti. Si è anche
pensato a un legame con il russo svarščik «fabbro», cosa che darebbe una
ragione alla sua identificazione con Hḗphaistos.
Ma per spiegare il nome
Svarogŭ sono stati anche chiamati in causa l'indoeuropeo
*SWĒL- «sole», anche con la mediazione dell'avestico xvarə
«sole», facendo di
Svarogŭ un dio solare; il russo svara «lotta», come se
fosse stato un dio della guerra; il sanscrito svarāj-
«autogoverno», conferendogli un carattere
regale; il sanscrito
īśvara, epiteto di Śiva, come
se
Svarogŭ fosse stato visto come un essere supremo nell'antica mitologia
slava (Unbegaun 1948). Queste etimologie
appaiono tuttavia meno probabili.
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Svarogŭ |
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov
(1958-2004) |
III - SVAROGŬ:
LE INTERPRETAZIONI
Altrettanto complessa l'interpretazione della fisionomia e del carattere del dio. Le ipotesi più
plausibili sono riconducibili a quattro possibilità:
1.
Svarogŭ
è un dio del fuoco, con caratteristiche di forgeron. Vale qui l'identificazione con Hḗphaistos, operata dai
traduttori russi di Malálas,
giustificata da un legame – forse solo paraetimologico – con il russo
svarščik «fabbro». A sostegno di questa ipotesi può essere fatta valere la
possibile identificazione del nome di
Svarogŭ con quella del dio del fuoco
Svarožičĭ.
In tal caso,
Svarogŭ si inquadrerebbe nel
mitologema del dio artefuce, come il dio greco Hḗphaistos
o l'indiano
Tvaṣṭṛ.
2.
Svarogŭ
è un legislatore primordiale. Viene qui
fatta valere, seppure in senso diverso, l'identificazione operata dai traduttori russi di Malálas,
che avrebbero visto
Svarogŭ nell'antico re egiziano che introdusse la monogamia al posto della poliandria. Se questo è vero,
Svarogŭ potrebbe essere avvicinato, fatte le dovute cautele, a un personaggio affine al
Varuṇa
vedico. A sostegno di questa teoria si ha la possibile corradicalità dei nomi
delle due divinità.
3.
Svarogŭ
è un dio-cielo, con caratteristiche varuṇiche e/o uraniche. I fautori di questa ipotesi si basano sulla possibile etimologia di
Svarogŭ col sanscrito svarga «cielo». Questa
interpretazione viene in genere fatta avvalorare dagli studiosi sul principio che
non si conosce un dio-cielo nella mitologia russa mentre esso è presente nella
mitologia baltica.
4. Viceversa,
secondo altri studiosi, il
nome di
Svarogŭ sarebbe del tutto da escludere dal pantheon paleorusso. A favore dei sostenitori di questa ipotesi vi è
innanzitutto il fatto che il nome di
Svarogŭ non è
contemplato nel «Canone di Volodimirŭ».
Secondo Pisani il nome stesso del dio è il risultato di un errore dei copisti
del Malálas, ragione per cui il dio andrebbe bandito dalla mitologia slava
(Pisani 1949) [infra].
Altri autori sono meno drastici: una volta identificato con Svarožičĭ,
considerato niente più dello spirito del fuoco,
Svarogŭ verrebbe ad appartenere
tutt'al più al livello inferiore del sistema mitologico
slavo (Michailov 1995).
|
IV - SVAROGŬ:
SUPREMITÀ COSMICA?
Non pretendiamo qui di risolvere il
problema rappresentato da
Svarogŭ:
d'altronde qualunque cosa si possa suggerire al riguardo, data la scarsità e la
cattiva qualità delle fonti a nostra disposizione, rimarrà soltanto una teoria. Quanto segue è semplicemente un'ipotesi di lavoro basata sul fatto che
il mitologema di un re e legislatore primordiale non è incompatibile con quello
di un dio uranico.
Come detto, questa interpretazione
viene in genere fatta avvalorare dagli studiosi sul principio che non si conosce un dio-cielo nella mitologia russa mentre esso è
ben presente nella mitologia baltica. Si tratta del dio che le dainas lituane e lettoni chiamano
Diēvs e presentano con spiccati caratteri odinici.
Come abbiamo detto, una delle possibile etimologie del nome di
Svarogŭ lo riconnetterebbe al termine
sanscrito svarga «cielo luminoso», giustificando appunto l'appartenenza
di
Svarogŭ a tale mitologema.
|
Svarogŭ |
Illustrazione di Viktor Križanovskij |
Una così vaga
etimologia non basta, purtroppo, a confermare una simile classificazione per
Svarogŭ. Questa però non è colpa degli studiosi, ma del fatto che ne
sappiamo troppo poco e da qualche parte bisogna pure cominciare, fosse anche da
un'etimologia alquanto incerta.
Ma facciamo un po' d'ordine. Nelle
mitologie indoeuropee sembrano esistere due tipi diversi di
divinità celesti. Vi è innanzitutto un dio-cielo, spesso riconoscibile dall'etimologia del nome, in quanto i suoi esiti derivano da un
antico *DʲĒW- «cielo» indoeuropeo, spesso
accompagnato dalla specificazione *PHTER
«padre».
Abbiamo così Dyauṣ Pitār
in India, Zeús Patḗr in Grecia,
Iūppiter a Roma. L'immagine di questa divinità sembra essere l'incarnazione del cielo
nel suo aspetto diurno e luminoso. Ma gli esiti che abbiamo elencato sono tutti
più o meno trasfigurati: Dyauṣ Pitār è
quasi scomparso dalla mitologia, Zeús ha
assorbito i tratti temporaleschi delle divinità semitiche,
Iūppiter ha mantenuto un carattere celeste, pur assorbendo la
mitologia del suo omologo greco. Ⓐ
Da un *DEJW-
«celeste», formazione aggettivale della precedente radice, è derivato il termine per «dio» in molte lingue indoeuropee (cfr.
sanscrito deva, iranico daēva, latino deus, norreno pl.
tívar). Questo termine si è ipostasizzato, a volte, nel nome di
specifiche divinità: il Tīwaz/Týr
germanico, o il baltico
Diēvs. Ma in questi ultimi casi, trattandosi
di individuazioni particolari di un sostantivo generale, non si tratta
necessariamente di figure omologhe al mitema del dio-cielo. Ⓑ
Sembra poi vi fosse, nei panthea indoeuropei, un dio
del cielo cosmico e notturno, dai tratti piuttosto inquietanti. La sua incarnazione più nota
sembra essere il
Varuṇa vedico: un dio legislatore,
guardiano dell'ordine universale e signore della sapienza magica. Georges Dumézil lo ha
associato, almeno sul piano analogico, all'Óðinn
norreno, ma il suo nome deriva dalla radice sanscrita var- «avvolgere,
legare»,
con forse sottesa l'idea del cielo che avvolge il mondo. I primi indoeuropeisti proposero una possibile parentela etimologica tra il vedico
Varuṇa e l'Ouranós
greco. Purtroppo tale parentela non solo non è stata mai completamente accettata,
ma
anzi, ha perso di credibilità al vaglio della critica più recente. Ricordiamo questo
punto per dovere, ma ci preme aggiungere che, nonostante le perplessità dei
filologi, tra i mitologi non si è mai spenta del tutto la sensazione che possa
comunque
sussistere un'omologia tra il dio vedico e il dio greco.
Ora nello sviluppo della mitologia greca, dovuto soprattutto al magistero dell'interpretazione esiodea, la figura greca di
Ouranós si è modellata sull'immagine dell'Anu
mesopotamico, distaccandosi dall'archetipo indoeuropeo.
Invano cercheremo in
Ouranós dei tratti che lo avvicinino a
Varuṇa. Rimane tuttavia l'idea di un
Ouranós
quale sovrano di una generazione di divinità primordiali, così come
Varuṇa era il primo
degli Asura, gli dèi antichi del pantheon
indiano. ①
Ora, che cosa sappiamo di
Svarogŭ?
Come abbiamo detto, l'etimologia più probabile del suo nome lo riconnette alla radice sanscrita
var- «avvolgere, legare», la stessa che si trova (forse) nel nome di Varuṇa
e (forse) in Ouranós. Sappiamo che
Svarogŭ – almeno secondo il Malálas russo – fu un antico sovrano e legislatore. Ouranós fu il primo sovrano dell'universo nel mito esiodeo,
Varuṇa
è il legislatore del pantheon vedico. Tutti e due, in qualche modo, sono legati
al cielo cosmico e notturno: Varuṇa
è signore del firmamento notturno (in seguito trasformato in dio dell'oceano,
inteso però come oceano cosmico), Ouranós com'è
noto è il cielo personificato, il quale, dice Esiodo, avvolge la terra portando
la notte stellata. ②
Se quanto detto è possibile, si potrebbe
ipotizzare per
Svarogŭ il
carattere di un dio antico, sovrano di un'età primordiale e
legislatore della prima età dell'uomo.
Ma ci stiamo muovendo su un terreno particolarmente infido.
Secondo Vyncke,
Svarogŭ,
in qualità di «colui che lega», verrebbe ad essere il dio che sancisce le
istituzioni del clan e conferma gli impegni presi dai membri di questo. Questa
funzione divina troverebbe la sua espressione mitica nella figura del fabbro che
salda gli oggetti sul fuoco (Vyncke 1970). Forse
stiamo spingendo le metafore oltre il consentito, ma a questo punto non
si può fare a meno di pensare al misterioso «fabbro del destino [Kuznec
Sud'by], presente in una bylina del ciclo di
Svjatogor, il quale ci permetterebbe appunto di
associare il carattere di
Svarogŭ
quale legislatore e la sua identificazione con Hḗphaistos. Altro, purtroppo, non
possiamo aggiungere.
|
V - PRESENZA DI DAŽĬBOGŬ NELLE FONTI ANTICHE
Poche e laconiche le fonti che trattano di
Dažĭbogŭ, attestato
perlopiù nelle forme paleorusse Dažĭbogŭ
e Daždĭbogŭ. Vi è
innanzitutto, come abbiamo visto, la
traduzione russa della Chronographía di Malálas,
a cui si affianca la citazione del Codice Ipaziano del
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6622/1114],
nella quale
Dažĭbogŭ viene identificato con il
sole
Hḗlios e si dice
avrebbe regnato sugli Egiziani alla morte di suo padre
Svarogŭ [supra].
Il nome di
Dažĭbogŭ compare
anche nel «Canone di Volodimirŭ»
tra le sei divinità i cui idoli il gran
principe aveva fatto erigere sul colle
di Boričevŭ in Kievŭ.
И нача княжити Володимеръ въ
Киевѣ
единъ, и постави кумиры на холму внѣ
двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его
сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и
Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. |
I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi
kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a
usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. |
E cominciò
a regnare Volodimirŭ
in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla
collina che si trovava dietro il terem:
di
Perunŭ
in legno, con la testa d'argento e i baffi
d'oro, e di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, e di
Stribogŭ,
e di
Simarĭglŭ,
e di
Mokošĭ. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980] |
Infine, nello
Slovo o
pŭlku Igorevě,
il celebre «Cantare delle gesta di Igorĭ»,
i Russi vengono chiamati in due occasioni «nipoti di
Dažĭbogŭ» [Daž(d)ĭboža
vnuka], sottintendendo forse che che un'altra funzione di questo dio era di
proteggere gli Slavi di cui veniva considerato il divino capostipite:
Тогда при Олзѣ
Гориславличи
сѣяшется ирастяшеть
усобицами; погыбашеть жизнь Даждь-Божа
внука, въ княжихъ крамолахъ вѣци человѣкомъ
скратишась... |
Togda pri Olzě Gorislavliči sějašetsja irastjašetĭ
usobicami; pogybašetĭ žiznĭ Daždĭ-Boža vnuka, vŭ knjažichŭ kramolachŭ věci
čelověkomŭ skratišasĭ... |
Al tempo di
Olegŭ
figlio di Amara Gloria, si seminavano e
crescevano le discordie, periva la potenza
dei nipoti di
Dažĭbogŭ
e nelle contese dei principi si
accorciava la vita alla gente. |
Slovo o
pŭlku Igorevě [40] |
Уже бо
братіе невеселая година въ стала, уже
пустыни силу прикрыла; въстала обида въ
силахъ Дажь-Божа внука... |
Uže bo bratіe neveselaja godina vŭ stala, uže pustyni
silu prikryla; vŭstala obida vŭ silachŭ Dažĭ-Boža vnuka... |
Perché ormai, o fratelli, è sorto
il tempo del dolore e la steppa ha
sopraffatto le schiere! Perché la
sconfitta si è levata sulle le schiere del
nipote di
Dažĭbogŭ... |
Slovo o
pŭlku Igorevě [48] |
Entrambi i brani si riferiscono a una fase di
decadenza del popolo russo. Il primo si affligge poiché le discordie interne dei
principi hanno portato pianto e povertà sulla terra di Rus', il secondo perché
la brama di gloria del principe
Igorĭ ha
portato le genti russe alla sconfitta. Ci si può chiedere perché
Dažĭbogŭ venga citato
proprio in tali contesti. A meno che il dio non venga chiamato in causa
semplicemente per via della metafora poetica, come
la maggior parte degli studiosi sembra ritenere, dobbiamo pensare che,
richiamando l'immagine del dio quale progenitore e fondatore del popolo russo,
si voglia mostrare per contrasto la corruzione e l'avidità con la quale i
principi sono riusciti a corrompere il paese.
Che
Dažĭbogŭ fosse popolare anche in
altre aree del mondo slavo sembra attestato da alcuni toponimi come il monte Dajbog in Serbia e le località polacche di
Daczbogy e Daźbóg (Michajlov 1995).
In Polonia è registrato anche un cognome Daćbog (Unbegaun
1948).
|
Gloria di Dažĭbogŭ
(1992) |
Illustrazione di Boris Ol'šanskij (1956-) |
MUSEO: [Ol'šanskij]► |
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VI - DAŽĬBOGŬ:
ANALISI ETIMOLOGICA: DIO DEL SOLE O DIO DEGLI INFERI?
|
Dažĭbogŭ |
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov
(1958-2004) |
Sono state suggerite
due interpretazioni
alternative della figura di
Dažĭbogŭ, secondo le
due etimologie principali proposte per spiegare della prima parte del suo nome.
Secondo la prima interpretazione, la prima parte del teonimo, dažĭ-, risalirebbe a un *dagjo-
«fiamma» (cfr. antico slavo žeštĭ, polacco żgę, russo sžigat'
«bruciare; e ancora prussiano dagis «estate», lettone degt,
lituano dègti «bruciare»). La parola deriva a sua volta dalla radice
indoeuropea *DʰEGʷʰ- «bruciare» (cfr. sanscrito dāha
«calore»; avestico dažaiti «bruciare»; greco
téphra «cenere»; latino fovēre «scaldare»; gotico dags, anglosassone dæġ e norreno dagr
«giorno») Ⓐ. (Korš 1909 | Pisani 1949)
Secondo questa etimologia,
Dažĭbogŭ
verrebbe ad essere il «dio che brucia».
Dunque un
dio del sole e della calura estiva. Si tratta di un'interpretazione
naturalistica, come ne andavano di moda ai primi del Novecento, in questo caso sorretta dalla traduzione russa del Malálas,
nella quale
Dažĭbogŭ viene
identificato con il dio-sole
Hḗlios.
Questa è anche l'immagine del dio che è riportata nella maggior parte dei testi
divulgativi.
L'ipotesi alternativa fa invece risalire la prima
parte del teonimo alla forma verbale dažĭ,
imperativo di dati «dare, donare».
Dažĭbogŭ verrebbe così ad essere il «dio che dà
la ricchezza»,
un nume della terza funzione, elargitore di ricchezza e di fecondità.
Ricordiamo anche che il termine slavo bogŭ «dio» deriva
da una radice indoeuropea *BʰAG- dal significato originale di «distribuire,
ripartire» (cfr. sanscrito bhaga «signore, elargitore», antico
persiano baγa «dio»; ma anche greco phageîn «mangiare»),
con correlazione al concetto di spartizione della ricchezza (cfr. paleoslavo
bogatŭ > russo bogatyj «ricco») Ⓑ.
(Vyncke 1970 | Boyer 1981)
I fautori
di questi ipotesi hanno richiamato
l'attenzione sul «re
della terra» [car zemlje] di una fiaba serba raccolta nel XIX secolo, un personaggio dal
carattere ctonio chiamato Dabog (e Daba in
serbo è uno dei nomi eufemistici di đavo, il diavolo) (Michajlov 1995).
Il classicista serbo Veselin Čajkanović (1881-1946), nel suo tentativo di
ricostruire il pantheon slavo-meridionale, riteneva addirittura che
Dabog ne fosse stato il dio supremo. «Quando gli antichi dèi sono stati privati di ogni potere ed eliminati dal
vecchio pantheon sotto la pressione del cristianesimo, solo
Dabog [...] funge da divinità uguale a Dio e con lo stesso potere di Dio. Nel
raggiungere questo grado, Dabog è stato aiutato
dalla circostanza che egli era stato un dio nazionale, generatore dell'intero
popolo». Čajkanović sosteneva che molti caratteri di Dabog
fossero passati ai santi cristiani: San Giovanni [Sveti Jovan], San Giorgio [Sveti Đorđe], Sant'Arcangelo [Sveti Arkanđeo],
San Nicola [Sveti Nikola], San Mrata [Sveti Mrata] e soprattutto
San Saba [Sveti
Sava], fondatore della chiesa autocefala serba, la cui biografia è in gran
parte leggendaria. Ed è appunto
sulla mitologia di costoro che Čajkanović partiva per reinventarsi la
fisionomia del presunto dio supremo Dabog.
(Čajkanović 1941). Ed era un personaggio
composito, quello che emergeva dai suoi appassionati studi:
dio supremo, sì, ma dal carattere ctonio, progenitore del popolo
serbo, signore delle ricchezze della terra e re dei morti.
Purtroppo, la ricostruzione di Čajkanović risponde più a necessità
nazionalistiche che filologiche, e il personaggio da lui delineato esiste solo nella mente del suo autore. Dabog
rimane il protagonista di una singola fiaba, peraltro tarda e isolata, e
qualsiasi collegamento con leggende citate nelle locali leggende agiografiche,
appare forzato e pretestuoso. Un possibile legame con
Dažĭbogŭ rimane un'ipotesi
assolutamente improponibile (Unbegaun 1948).
|
VII - ALTRE INTERPRETAZIONI DELLA FIGURA DI DAŽĬBOGŬ
Nikos Čausidis accoglie senz'altro
l'ipotesi di
Dažĭbogŭ quale
divinità infera. Secondo l'ipotesi di questo studioso, il racconto di Malálas
di
Dažĭbogŭ quale successore di
Svarogŭ
sarebbe di origine iranica e più precisamente andrebbe fatto risalire alle concezioni
teologiche dello Zərvanismo.
Secondo questa tarda corrente del mazdeismo, da Zərvan
Akaranak, il tempo infinito, sarebbero discesi Ahura Mazdāh e
Aṅra Mainyu, il dio e l'anti-dio,
il cui terreno di opposizione sarà l'universo e la cui battaglia sarà la storia. Secondo Čausidis,
Svarogŭ corrisponderebbe a Zərvan.
Invece
Dažĭbogŭ ed
Hḗlios,
che nella traduzione russa del Malálas sono
identificati l'uno con l'altro, andrebbero tenuti ben distinti: in
particolare, Hḗlios sarebbe da identificare con
Ahura Mazdāh,
e
Dažĭbogŭ,
tornato ad essere un dio infernale, sarebbe da associare ad
Aṅra Mainyu (Čausidis 2000).
|
Dažĭbogŭ |
Illustrazione di Viktor Križanovskij |
Ora, anche se vi sono delle sicure attinenze tra
mitologia slava e
iranica, l'ipotesi di Čausidis pecca per eccesso di fantasia. Innanzitutto il
racconto di Zərvan Akaranak
non è un mito quanto piuttosto una tarda speculazione teologica del mazdeismo. Che la teoria di Čausidis
consideri un errore l'identificazione tra Hḗlios
e
Dažĭbogŭ, possiamo considerarla
un'ipotesi di lavoro, tanto più che le identificazioni del traduttore di Malálas
sono molto discutibili: ma Čausidis arriva a porre Hḗlios
e
Dažĭbogŭ in opposizione antinomica,
sulla scolta dell'opposizione iranica di Ahura Mazdāh
e Aṅra Mainyu.
Questa è un'interpretazione che esula dai dati a nostra disposizione: non
solo non spiega ciò che conosciamo, ma inventa un mito di cui non si ha traccia.
In più
Dažĭbogŭ non è
più una semplice divinità ctonia, ma, quale versione slava dell'antidio iranico,
viene caricato di assoluti connotati negativi.
Altri studiosi, sulla linea di Georges
Dumézil, sono partiti dall'interpretazione secondo la quale
Svarogŭ sarebbe omologo al vedico Varuṇa,
e hanno proposto – immancabilmente – di fare di
Dažĭbogŭ un dio omologo a
Mitra. È noto, dai rigorosi studi duméziliani, come nel sistema teologico vedico,
Mitra
e Varuṇa
formassero una coppia di dèi appartenenti alla prima funzione, legati alle legge
e ai giuramenti, strettamente
uniti nelle invocazioni e rapportati in una sorta di opposizione complementare.
Secondo i funzionalisti, anche
Svarogŭ
e
Dažĭbogŭ verrebbero a
formare una coppia omologa a quella vedica: due divinità strettamente unite, di cui
Svarogŭ rappresenterebbe il lato magico, terrifico, oscuro, e
Dažĭbogŭ il lato
giuridico, conciliante, luminoso.
Questa ipotesi avrebbe il vantaggio di appoggiarsi a un archetipo ben
noto, suggerendo quindi tutta una serie di interessanti raffronti, ma per quanto
suggestiva, è sfortunatamente molto debole.
Proponiamo una possibile interpretazione della figura di
Dažĭbogŭ.
La nostra ipotesi ci porta al mitologema del dio
progenitore, una classe di divinità legate ai tempi primordiali,
ai passaggi ed ai cicli cosmici, talora considerate sovrane di tempi
antichissimi, a cui si fanno risalire le strutture delle classi sociali. Citiamo
in questo mitologema, l'Agni vedico, dio del fuoco
e progenitore delle caste indiane; il romano Ianus,
signore di un tempo primordiale, guardiano delle soglie e dei passaggi, creatore
della società umana; e infine il norreno
Heimdallr, dio degli inizi,
guardiano delle porte di Ásgarðr
e progenitore delle classi sociali. Ricordiamo nella
Vǫluspá islandese gli esseri umani vengono chiamati «stirpi
di Heimdallr», con
espressione parallela al «nipoti di
Dažĭbogŭ»
riportato nello
Slovo o
pŭlku Igorevě.
In molte mitologie, il dio infero è associato alla ricchezza: così in Grecia
uno dei nomi di Hádēs
è proprio Plóutōn «colui che elargisce la ricchezza»,
ed anche a Roma il nome di Dis Pater sembra essere una forma contratta di
dives pater «padre ricco». Ora, a dispetto delle opinioni di Veselin Čajkanović
sul suo dio serbo Dabog, nulla del poco che
sappiamo di
Dažĭbogŭ ci autorizza ad
attribuirgli un carattere ctonio, o a farne un dio dei morti. Tuttavia, una
possibile etimologia del nome di
Dažĭbogŭ, sembra indicarlo
come il «dio che elargisce la ricchezza», il che forse potrebbe avvicinarlo alla
sfera del
Dis Pater celtico, elargitore
di fecondità, da cui, secondo Cesare, i Galli pretendevano discendesse la loro
stirpe (De
bello Gallico [VI: 18]). |
VIII - PRESENZA DI SVAROŽIČĬ
NELLE FONTI ANTICHE
Le fonti principali che riguardano
Svarožičĭ sono latine, risalgono nel
periodo tra l'XI e il XII secolo e si riferiscono alla tradizione degli Slavi
del Baltico. Thietmar di Merseburgo (975-1018), riferendosi ai Redarii, una
tribù lusaziana
dell'Oder, riferisce di un tempietto di legno, posto nella città di Riedegost
(Rethra, slavo *Radgost). Al suo interno vi erano gli idoli degli dèi locali. Le fonti
latine riportano il nome del dio principale nelle forme Zuarasizi e Zuarasic;
nome che Vittore Pisani ha suggerito di ricostruire nella forma
*Swarożić.
Est urbs quædam in pago Riedirierun, Riedegost
nomine, tricornis ac tres in se continens portas, quam undique silva ad incolis
intacta et venerabilis circumdat magna. Duæ eiusdem portæ cunctis introeutibus
patent; tercia, quæ orientem respicit et minima est, tramitem ad mare iuxta
positum et visu nimis horribile monstrat. In eadem est nil nisi fanum de ligno
artificiose compositum, quod pro basibus diversarum sustentatur cornibus
bestiarum. Huius parietes variæ deorum dearumque imagines mirifice insculptæ,
ut cernentibus videtur, exterius ornant; interius autem dii stant manu facti,
singulis nominibus insculptis, galeis atque loricis terribiliter vestiti, quorum
primum Zuarasizi dicitur et præ ceteris a cunctis gentilibus honoratur et
colitur. |
C'è una città nella terra dei Redarii, chiamata Riedegost,
con forma triangolare e tre porte, circondata da una grande foresta lasciata
intatta dagli abitanti del luogo e venerata come sacra. Due delle porte possono
essere raggiunte per via terra; la terza, assai piccola, che guarda a oriente, è
posta dinanzi al lago e mostra un aspetto davvero orribile. Nella fortezza, c'è
un tempio edificato in legno, le cui fondamenta sono sostenute da corna di
animali. Sulle sue pareti sono meravigliosamente scolpite le immagini di molti
dèi e dee, i quali adornano la parte esterna. All'interno si trovano gli idoli
degli dèi, i quali portano incisi i loro nomi e sono abbigliati con elmi e
corazze. Il primo di essi si chiama Zuarasizi [*Swarożić] ed è onorato dalle genti pagane
sopra tutti gli altri dèi... |
Thietmar:
Chronicon [VI: 23] |
Questa posizione di preminenza di
*Swarożić (almeno tra gli Slavi del
Baltico) sembra confermata da una lettera di San Bruno ad Enrico II, del 1008: «Come possono
andare d'accordo Zuarasic [*Swarożić] il diavolo, e il vostro e nostro capo dei santi,
Mauritius?» [Quomodo conveniunt Zuarasiz diabolus et dux sanctorum vester et
noster Mauritius?]. Da questa notizia Vittore Pisani aveva dedotto che, come
Mauritius era dux sanctorum, così
*Swarożić doveva essere
il capo degli dèi pagani! (Pisani 1949)
La notizia di Thietmar ha indotto altri a congetturare che
*Swarożić fosse stato un dio
guerriero. Ma Thietmar descrive come
bardati di elmo e corazze tutti gli dèi del tempio di Riedegost e non il
solo *Swarożić. Inoltre, questa caratterizzazione guerriera può essere una
semplice caratteristica del culto locale tra i Leutici, nient'affatto
estendibile a tutta l'area slava. La stessa cosa, certo, si può dire delle
differenti descrizioni fornite dalle altre poche fonti in nostro possesso. In
quanto alla strana posizione di preminenza del dio tra gli Slavi occidentali,
nulla si può dire.
Enrico Campanile, ricordando il legame del russo Svarožičĭ
con il fuoco, ha invece avanzato un interessante parallelo con il
Miθra
iranico (Campanile 1994).
Sono da riferire allo stesso *Swarożić
le notizie riportate su un dio chiamato, con evidente confusione con il nome
della città, Redigast in Adamus Bremensis
(Gesta Hammaburgensis Ecclesiæ Pontificum [II:
18]) e Radigast in Helmond di Bosau (Chronica
Slavorum [I: 21 | I: 52]).
Svarožičĭ
è presente anche in Russia, dov'è citato negli
Slova i poučenija (omelie e
ammaestramenti ecclesiastici).
È infatti l'unica divinità attestata sia tra gli Slavi Settentrionali che presso gli Slavi Orientali. Qui
però sembra appartenere al livello inferiore del pantheon:
|
|
Svarožičĭ |
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov
(1958-2004) |
IX - SVAROŽIČĬ:
POSSIBILI ETIMOLOGIE
I teonimi
Svarožičĭ
e
Svarogŭ sono evidentemente corradicali.
Addirittura,
Svarožičĭ potrebbe essere una forma declinata del nome
di
Svarogŭ,
quale ad esempio un diminutivo, sul tipo «piccolo
Svarogŭ». Tali diminutivi sono molto comuni nel parlato finnico,
baltico e slavo orientale (si veda l'affettuoso batjuška, «piccolo
padre», attribuito alle persone anziane, agli spiriti, al fuoco, allo stesso
Stalin).
Alternativamente,
Svarožičĭ potrebbe essere inteso come un patronimico, in questo
caso a significare «figlio di
Svarogŭ». E ricordando che, nella traduzione russa del Malálas,
Dažĭbogŭ è figlio di
Svarogŭ,
si è finiti con l'identificare
Svarožičĭ con
Dažĭbogŭ [infra].
Tra le altre etimologie proposte, è assolutamente da scartare quella avanzata
da Vittore Pisani. La riportiamo a
titolo di curiosità. L'antico russo
Svarožičĭ sarebbe
da considerare l'ipostasi di un ipotetico sva rožičĭ, in cui *sva
sarebbe un'antica forma nominativa di «cane» (cfr. śvan, lituano
šuõ, greco kúōn), mentre
rožičĭ sarebbe lo
sviluppo russo di un pre-slavo *rogītio
«cornuto» (< rogŭ «corno»). In sintesi, nella proposta di Pisani, il nome
Svarožičĭ significherebbe qualcosa come «cane cornuto». A giustificare tale grottesca etimologia,
o per lo meno la sua metà canina, Pisani ricordava che nell'antichità Sirio era chiamata
«Stella del Cane», in quanto, apparendo nel crepuscolo mattutino, recava con sé il
tempo più caldo dell'anno, i dies caniculares. In slavo occidentale
questo nome sarebbe quindi suonato Swarożyć,
comportando la trascrizione di Thietmar e quella di S. Bruno Zuarasic
(Pisani 1949).
|
X - SVAROŽIČĬ:
IDENTIFICAZIONI E CONFUSIONI
Molti studiosi identificano tra loro
Svarogŭ e
Svarožičĭ, e
questa è un'ipotesi sostenuta anche dagli autori più recenti
(Michajlov 1995). Che
Svarožičĭ
sia detto essere uno spirito del fuoco (come ad esempio nello
Slovo Christoljubca) viene a supportare questa identificazione, visto che
il traduttore russo di Malálas aveva già interpretato
Svarogŭ con
Hḗphaistos.
Altri studiosi identificano, viceversa,
Svarožičĭ con
Dažĭbogŭ. Costoro partono
dall'interpretazione del teonimo
Svarožičĭ come «figlio di
Svarogŭ» e, ricordando che, nella traduzione russa del Malálas, il
figlio di
Svarogŭ è appunto
Dažĭbogŭ, l'interpretazione
diviene quasi ovvia. È questa la
conclusione di Vittore Pisani: gli antichi Slavi conoscevano solo uno
Svarožičĭ, dio del sole e del fuoco, che sarebbe
stato tutt'uno con
Dažĭbogŭ. Senonché, seguendo questa linea di pensiero, Pisani
finisce col capovolgere addirittura i termini della questione: il traduttore russo di Malálas, avendo
già identificato
Hḗlios
con Dažĭbogŭ/Svarožičĭ,
si sarebbe ritenuto autorizzato a ricavare dal nome
Svarožičĭ, in cui credeva di scorgere un patronimico in -vič,
un dio
Svarogŭ
altrimenti inesistente, destinato a far da padre a
Dažĭbogŭ.
Questo spiegherebbe perché il nome di
Svarogŭ
è assente da tutte le altre fonti (Pisani 1949).
L'ipotesi di Pisani è davvero cervellotica, tanto più che, nel Malálas russo, il nome
Svarožičĭ non
compare neppure! In effetti è più
probabile, se un legame vi è tra i due nomi, che
Svarožičĭ sia derivato da
Svarogŭ e non viceversa.
Nel corso del tempo, gli studiosi si sono accaniti sulla relazione tra
Svarogŭ e
Dažĭbogŭ e
Svarožičĭ, finendo con l'esaurire di fatto tutte le possibili
combinazioni tra i tre personaggi, pur senza arrivare a nulla di definitivo. Ad
esempio, lo studioso croato Franjo Ledić ha identificato tra loro
Svarogŭ e
Dažĭbogŭ
(Ledić 1974). I filologi russi Vjačeslav Vsevolodovič Ivanov e Vladimir
Nikolaevič Toporov hanno avanzato l'ipotesi che
Svarogŭ fosse un dio del fuoco,
simile all'Hḗphaistos greco, e che
avesse due figli:
Dažĭbogŭ a rappresentare il
fuoco celeste, ovvero il sole, e
Svarožičĭ il fuoco terrestre, ad esempio quello che arde nella
fucina del fabbro (Ivanov ~ Toporov 1992). Il serbo
Henrik Lovmjanjski ha teorizzato che
Svarogŭ fosse un dio del cielo
diurno e luminoso, possibile continuazione del DʲĒWOS PHTER
indoeuropeo, mentre
Dažĭbogŭ e
Svarožičĭ sarebbero stati, sì, un'unica divinità, ma con due
aspetti: uno ardente, da associare al sole, e uno notturno, da associare alla
luna (Lovmjanjski 1996).
È nostra
opinione che
Svarogŭ e
Dažĭbogŭ siano da considerare dèi separati e che
– ma qui la situazione è più incerta – il teonimo
Svarožičĭ sia stato in origine un nomen divinum attribuito
a Svarogŭ, o da lui derivato, ormai
sceso,
in epoca cristiana, al livello inferiore del pantheon e trasformatosi in
un semplice spirito del focolare. In tal caso, lo
Slovo Christoljubca
e lo
Slovo sv. Grigorija ob idolach
si
riferiscono sicuramente a quest'ultimo stadio del culto del dio. Questo
spiegherebbe anche il fatto che il nome
Svarogŭ sia completamente
assente nei testi ecclesiastici i quali, tra i
vari nomina divina, citano
Svarožičĭ e non
Svarogŭ.
D'altronde gli Slavi hanno sempre avuto un
culto del fuoco, che è probabilmente stato influenzato dai relativi
culti ugro-finnici (derivato forse dalle figure degli spiriti-signori, in questo
caso del fuoco, diffusi tra i popoli uralo-altaici). Ancora in epoca cristiana,
i Russi veneravano la fiamma del focolare e il fuoco acceso sotto l'essiccatoio
del grano (Vyncke 1970), evitavano di
sputare sulle fiamme, e si rivolgevano allo Zar Fuoco con l'epiteto affettuoso
di batjuška «piccolo padre»,
indirizzandogli brevi preghiere.
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