1 - PERUNŬ,
IL TUONO
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Perunŭ |
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-) |
MUSEO: [Klimenko]► |
ra
Perunŭ
il dio supremo degli antichi Russi, i quali lo consideravano
il fabbricatore della folgore, signore del tempo atmosferico. Essi ritenevano
anche che Perunŭ
fosse il re degli dèi, signore di tutte le cose.
Perunŭ era un
dio guerriero, il protettore dei Variaghi. Il fulmine era la sua
arma, ma aveva anche arco e frecce, brandiva una pesante mazza, un'ascia e
una lancia. Quale signore della družina,
Perunŭ accompagnava le armate nelle campagne militari e poteva garantire la vittoria o la sconfitta in battaglia.
Gli antichi Russi non riconoscevano al fato influenza alcuna
sugli uomini, ma quando si trovavano in pericolo di morte, vuoi perché malati,
vuoi perché si era in tempo di guerra, promettevano sacrifici al dio del
tuono affinché li scampasse dalla morte. In tal modo essi credevano di poter
comprare la loro salvezza.
A
Perunŭ erano sacre le
querce, specie quelle poste in cima alle colline, vicine al cielo. E sotto le
querce, infatti, gli Slavi solevano fare sacrifici al dio. Gli storici greci
riferiscono che quando mercanti o viaggiatori slavi giungevano da qualche parte,
non trascuravano di riunirsi sotto una quercia per fare i dovuti sacrifici al «fabbricatore del fulmine».
In genere gli venivano sacrificati dei galli e, in occasione delle maggiori
festività, tori, orsi o montoni.
I Russi tenevano
Perunŭ in altissima considerazione.
Quando, nell'anno del mondo 6488 [980], il gran principe [knjazĭ] Volodimirŭ
prese a regnare, in Kievŭ, eresse sulla
collina di Boričevŭ, dietro il terem, un maestoso idolo di
Perunŭ, dalla testa d'argento e dai
baffi d'oro. Insieme, vi erano gli idoli di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, di
Stribogŭ,
di
Semarĭglŭ
e di
Mokošĭ.
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2 - «PER PERUNŬ E PER LE
LAME DELLE NOSTRE SPADE»
|
Il santuario di Perunŭ |
Dipinto di Viktor Križanovskij |
quel tempo, i trattati militari e
commerciali stipulati dai Russi terminavano sovente col giuramento di mantenere la parola
data, «per Perunŭ e per le lame delle
nostre spade».
Quando il saggio
Olegŭ,
reggente di Kievŭ, concluse la pace con gli imperatori di Costantinopoli,
nell'anno 6415 [907], lui e i suoi uomini, secondo la legge russa, giurarono
sulle proprie armi e sul loro dio
Perunŭ, e inoltre su
Volosŭ, dio degli armenti. In tali giuramenti, infatti,
Perunŭ
era infatti spesso invocato insieme a
Volosŭ:
sicché si chiamavano a testimoni della sacralità del patto tanto il signore del
cielo quanto quello della terra.
Quando, alcuni anni dopo, nel 6453 [945], toccò al gran
principe Igorĭ
Rjurikevičŭ giurare la pace con
Costantinopoli, egli si recò sulla collina consacrata a
Perunŭ,
lì depose le proprie armi, gli scudi e tutto l'oro che portava con sé, e prestò giuramento.
Invece, coloro che già si erano convertiti al cristianesimo, andarono a prestare un analogo giuramento nella chiesa di
Svjatoj Ilĭja.
Allo stesso modo, quando il figlio di questi, il gran principe
Svjatoslavŭ Igorevičŭ, strinse il nuovo patto con l'imperatore bizantino,
nel 6479 [971], dichiarò ad alta voce: — Se non osserveremo qualche articolo di
questo patto, che io e coloro che sono con me e
sotto di me, siamo maledetti da quel dio in cui crediamo, da
Perunŭ
e da
Volosŭ dio degli armenti!
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3 - DOPO
L'ABBANDONO DEL PAGANESIMO
uando il gran principe
Volodimirŭ Svjatoslavičŭ
rinnegò gli dèi pagani e ordinò il battesimo a tutto il popolo della Rus', egli
ordinò di abbattere gli idoli, farli a pezzi e bruciarli. L'idolo di
Perunŭ , per ordine del gran
principe, fu gettato al suolo e dodici uomini lo percossero con dei bastoni. Dopodiché fu legato alla coda di un cavallo e trascinato nel fiume, dove venne abbandonato
alla corrente.
Tuttavia trascorsero molti secoli prima che il popolo dimenticasse il culto
del possente Perunŭ. A lungo perdurò la
dvoeverie, quella triste situazione di bicredenza in cui al culto di Cristo
si affiancava quello degli dèi pagani. Gli evangelizzatori
lamentavano di come, nelle zone rurali, il popolo continuasse ad adorare
Perunŭ e gli altri dèi, ed a loro
tributare sacrifici.
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Ilĭja
Gromovnikŭ (1984) |
Illustrazione di Aleksandr Koškin (1950-) |
4 -
PERUNŬ ED ILĬJA GROMOVNIKŬ
on il passare del tempo, quando gli dèi
vennero dimenticati, la figura di
Perunŭ sopravvisse trasformata in
quella del profeta biblico Elia, detto Ilĭja
Gromovnikŭ, il «folgoratore», che viene
tuttora raffigurato nelle icone seduto su un carro di fuoco, talvolta scacciando
i diavoli che tentano di sfuggirgli tramutandosi in animali, bersagliandoli con
le folgori.
Gli agricoltori russi venerano particolarmente il profeta
Ilĭja,
soprattutto perché suppongono che eserciti un controllo sulle forze della
natura, fra cui la pioggia che bagnava i loro raccolti e il fuoco che bruciava
le loro case. Ilĭja
è dunque un continuatore di
Perunŭ,
e quei contadini analfabeti si passano di padre in figlio le icone devotamente
appese alle pareti dell'izba come talismani contro la cattiva sorte,
insieme naturalmente a tutte le leggende legate alla figura di
Ilĭja.
Il giorno della festa del profeta, il 20 luglio (secondo il
calendario russo ortodosso) in molti luoghi vengono sacrificati ad
Ilĭja
buoi o
mucche, come si faceva un tempo per
Perunŭ.
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Fonti
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I - PRESENZA DI PERUNŬ NELLE FONTI ANTICHE
La
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
o «Cronaca degli anni passati»,
cita
Perunŭ in tutto cinque volte. Le prime tre
citazioni riguardano i giuramenti
che sanciscono altrettanti trattati di
pace con Costantinopoli, stretti rispettivamente dai gran
principi Olegŭ [6415/907], Igorĭ
Rjurikevičŭ [6453/945] e Svjatoslavŭ Igorevičŭ [6479/971]:
Царь же
Леонъ со Олександромъ миръ сотвориста со
Олгом, имшеся по дань и ротѣ
заходивше межы собою, целовавше сами крестъ,
а Олга водивше на роту и мужи его по Рускому
закону, кляшася оружьемъ своим, и Перуном,
богомъ своим, и Волосомъ, скотьемъ богомъ, и
утвердиша миръ. |
Carĭ že Leonŭ so Oleksandromŭ mirŭ sotvorista so
Olgom, imšesja po danĭ i rotě zachodivše mežy soboju, celovavše sami krestŭ, a
Olga vodivše na rotu i muži ego po Ruskomu zakonu, kljašasja oružĭemŭ svoim, i
Perunom, bogomŭ svoim, i Volosomŭ, skotĭemŭ bogomŭ, i utverdiša mirŭ. |
Gli
imperatori Leone ed Alessandro la pace
conclusero con Olegŭ,
accordandosi sul tributo e dandosi
scambievole giuramento, baciarono la croce e
Olegŭ invitarono a prestare giuramento, e
gli uomini di lui secondo la legge russa
giurarono sulle proprie armi, e su
Perunŭ, loro
dio, e su
Volosŭ,
dio degli armenti, e stipularono la pace. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6415/907] |
Заутра
призва Игорь слы, и приде на холмъ, кде стояше
Перунъ, и покладоша оружье свое, и щиты и
золото, и ходи Игорь ротѣ
и люди его, елико поганыхъ руси; а
хрестеяную русь водиша ротѣ
в церкви святаго Ильи. |
Zаutrа prizvа Igorĭ sly, i pride nа cholmŭ, kde
stojaše Perunŭ, i poklаdošа oružĭe svoe, i ščity i zoloto, i chodi Igorĭ rotě i
ljudi ego, eliko pogаnychŭ rusi; а chrestejanuju rusĭ vodišа rotě v cerkvi
svjatаgo Ilĭi. |
Il giorno
dopo Igorĭ
chiamò gli ambasciatori e andò sulla
collina, sulla quale era
Perunŭ , e
deposero le proprie armi, e gli scudi, e
l'oro, e prestarono giuramento
Igorĭ e i suoi uomini, i russi pagani;
mentre i russi cristiani prestarono giuramento nella chiesa di santo Ilĭja... |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6453/945] |
Аще ли
от тѣхъ
самѣхъ
прежереченыхъ не съхранимъ, азъ же и со мною
и подо мною, да имѣемъ
клятву от бога, въ его же вѣруемъ
в Перуна и въ Волоса, скотья бога, и да
будемъ золоти, яко золото, и своимъ оружьемь
да исѣчени
будемъ. |
Ašče li ot těchŭ saměchŭ prežerečenychŭ ne sŭchranimŭ,
azŭ že i so mnoju i podo mnoju, da iměemŭ kljatvu ot boga, vŭ ego že věruemŭ v
Peruna i vŭ Volosa, skotĭja boga, i da budemŭ zoloti, jako zoloto, i svoimŭ
oružĭemĭ da isěčeni budemŭ. |
Se non
osserveremo qualche articolo [di questo
patto], che io e coloro che sono con me e
sotto di me, siamo maledetti da quel Dio in
cui crediamo, da
Perunŭ
e da
Volosŭ dio
degli armenti; e che diventiamo gialli come
l'oro e che la nostra stessa arma ci
trafigga. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6479/971] |
La quarta citazione è quella
del cosiddetto «Canone di
Volodimirŭ», di cui abbiamo già trattato ①.
Vi si narra di come il
gran principe Volodimirŭ abbia innalzato sulla collina di
Boričevŭ in Kievŭ sei simulacri di altrettante divinità, di cui
l'idolo principale era quello di
Perunŭ:
И нача княжити Володимеръ въ
Киевѣ
единъ, и постави кумиры на холму внѣ
двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его
сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и
Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. |
I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi
kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a
usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. |
E cominciò
a regnare Volodimirŭ
in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla
collina che si trovava dietro il terem:
di
Perunŭ
in legno, con la testa d'argento e i baffi
d'oro, e di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, e di
Stribogŭ,
e di
Simarĭglŭ,
e di
Mokošĭ. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980] |
Nella quinta e ultima citazione,
che si svolge otto anni dopo l'innalzamento degli idoli, si narra
invece dell'abbattimento degli stessi, in seguito alla conversione del gran
principe Volodimirŭ al cristianesimo, a cui segue l'obbligo di conversione
di tutto il popolo russo:
Яко
приде, повелѣ
кумиры испроврещи, овы исѣщи,
а другия огневи предати. Перуна же повелѣ
привязати коневи къ хвосту и влещи с горы по
Боричеву на Ручай, 12 мужа пристави тети
жезльемь... |
Jako pride, povelě kumiry isprovrešči, ovy isěšči, а
drugija ognevi predаti. Perunа že povelě privjazаti konevi kŭ chvostu i vlešči s
gory po Boričevu nа Ručаj, 12 mužа pristаvi teti žezlĭemĭ... |
Allorché [Volodimirŭ]
giunse [in Kievŭ] ordinò di abbattere gli
idoli, alcuni fare a pezzi e altri mettere a
fuoco. Ordinò di legare
Perunŭ
alla coda di un cavallo e di
trascinar[lo] giù dalla collina di Boričevŭ
sul ruscello; a dodici uomini dette ordine
di percuoterlo con bastoni... |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6496/988] |
Perunŭ è ancora citato nella gramota di Lev Danilovič,
principe di Galizia, del 1302, dove si legge che il dio veniva adorato in cima a
una collina [A ot toj gory do Perunova duba gore sklon].
Perunŭ è ancora citato in diversi
Slova i poučenija,
opere che criticano e condannano il paganesimo. Si tratta di
fonti soggettive, visto il loro atteggiamento negativo verso
il mondo pagano, ma sono una preziosa testimonianza del
perdurare del culto del dio in epoca cristiana.
Troviamo quindi
Perunŭ, ormai trasformato
in un dèmone, nella Choždenie bogorodicy po mukam,
la «Discesa
della Vergine all'Inferno» un apocrifo russo del XII secolo,
in cui la Vergine Maria, testimone dei tormenti infernali, intercede presso Dio
per ottenere un periodo annuale di sospensione delle pene per i dannati.
|
II - ANALISI
ETIMOLOGICA
|
Perunŭ |
Illustrazione di Viktor Križanovskij |
L'etimologia del nome del dio Perunŭ si muove in un campo semantico abbastanza coerente,
nondimeno ha dato molte perplessità ai filologi. Il
confronto proposto da Roman Jakobson con altri nomina
divina, quali
il sanscrito
Parjanya, il lituano
Perknas, l'albanese Perëndí e il norreno
Fjörgynn
(Jakobson
1970), non è stato giudicato soddisfacente
(Vyncke 1970), dal momento che
questi quattro teonimi non concordano nemmeno tra di loro (Parjanya
presuppone, per esempio, un'affricata sonora [ʤ]
laddove
Perknas ha
l'occlusiva
sorda [k],
Perëndí deriva forse
da un latino imperatorem, mentre il maschile
Fjörgynn sembra essere
secondario rispetto al femminile
Fjörgyn)
(Campanile 1994).
Più prudente
attenersi alla vecchia etimologia proposta da Vittore
Pisani, che si limitava a confrontare il teonimo
Perunŭ con il nome baltico del dio del tuono, che è
in lituano Perknas e in lettone
Pērkons,
ammettendo che, in slavo, l'originario *perkynŭ/*pergynŭ
abbia perso l'occlusiva velare [k] per accostamento
paraetimologico con il verbo antico-russo perą «colpisco», passando
attraverso una forma intermedia
*perynŭ
(conservata in diversi toponimi: Perinplanina,
Perynskoj Monastir, etc.) prima di arrivare alla
lezione Perunŭ
(Pisani 1949 | Stender-Petersen 1956).
Anche Brückner e Jakobson hanno escogitato ingegnosi
artifici per spiegare la perdita di [k]
in slavo
(Brückner 1918 | Jakobson 1970).
I tre teonimi
Perunŭ,
Perknas e
Pērkons sarebbero a
loro volta derivati da un indoeuropeo *PERKʷU- «quercia»
Ⓐ,
seguito dal cosiddetto «suffisso del comando» [Herrschersuffix]
*-NO,
e quindi da intendere nel senso di «colui che ha potere sulle querce», il
«signore delle querce»
(Pisani 1949 | Campanile 1994).
Altri studiosi non concordano nella corradicalità di
Perunŭ
con il
gruppo Perknas/Pērkons
e sostengono che il teonimo slavo sia invece da connettere con il polacco
piórun
«fulmine» o con l'ucraino perun «lampo» (a cui
corrispondono, nell'area baltica, il lituano perknas e
il lettone pērkons «tuono»). È possibile
tuttavia che questi termini siano sorti in un secondo tempo come generalizzazione del nomen
divinum.
Qualunque sia la corretta storia etimologica, il nome di
Perunŭ
finisce per essere legato o con la «quercia» o con il
«tuono». Le due ipotesi non sono tra loro
incompatibili, in quanto un legame tra il dio fulminante e la
quercia (o il faggio) sembra
essere una costante di molte mitologie indoeuropee. In
Grecia c'era uno Zeús
Phēgōnaîos; in Frigia uno
Zeús
Bagaîos; a
Roma si aveva parimenti uno
Iuppiter
Quercus, in ambito celtico uno
Iuppiter
Baginatis
(Pisani
1949). Che anche gli Slavi
adorassero il dio fulminante sotto le querce, lo attesta
esplicitamente Costantino Porfirogenito (905-959), raccontando
di certi slavi che, sbarcati nell'isola di San Gregorio, celebrarono un
sacrificio a Zeús ai piedi di un'enorme quercia (De
administrando Imperio [9]).
Il benedettino Herbord di Michelsberg († 1168) ricorda che la plebe di Stettino adorava una quercia
(Dialogus de vita S. Ottonis
episcopi Babenbergensis). Se dunque la quercia
era oggetto di venerazione e centro di pratiche culturali,
ciò viene a rafforzare l'ipotesi di una connessione
cultuale, oltre che etimologica, fra il nome del massimo dio
slavo e il nome della pianta
(Campanile 1994).
Insomma, sia che richiami il fulmine, sia che richiami la
quercia, l'etimologia del nome di
Perunŭ
finisce sempre per ricadere
nel campo semantico legato al dio del tuono.
|
III -
PERUNŬ, DIO RUSSO O PANSLAVO?
Tra gli studiosi non c'è
unanimità sul fatto che
Perunŭ fosse un dio esclusivamente variago-russo o che fosse conosciuto
presso
altri popoli slavi. La corrente conservatrice insiste su
un culto di
Perunŭ
limitato alla sola Russia (Meriggi
1952 | Stender-Petersen 1956 | Rybakov 1987), talvolta
addirittura limitandolo alla
sola classe aristocratica (Aničkov 1914
| Brückner 1918).
Ma che il culto del dio fosse
diffuso in un modo o nell'altro presso tutti gli Slavi sembra
attestato dal frequente
tornare del suo nome nella toponomastica extrarussa: abbiamo
infatti Prohn in
Pomerania, Piorunowa e Piorunka in Polonia, Perunać nei Balcani e così via
(Pisani 1949 | Filipović
1954).
A favore di un culto panslavo di
Perunŭ, sono state
proposte anche delle indicazioni linguistiche. Voci come il
polacco piórun
«tuono» o l'ucraino perun «lampo» provengono
probabilmente dal nome del dio, e non viceversa.
Molti detti e proverbi diffusi in
tutta l'area slava, puntualmente fatti notare dagli
antropologi, non indicano necessariamente il dio folgoratore
ma piuttosto il fulmine stesso: nei dintorni di Chełm si
diceva ad esempio «la folgore cade anche sull'orfano» [na
syrotu i perun bje]; nei Carpazi si diceva «talvolta tuona
a ciel sereno» [i v pogodu časom perun b'e] e si
augurava poco gentilmente «che ti colpisca un fulmine!» [ubij
tebja perun!]. Vi sono, in tutto il mondo slavo,
anche espressioni in cui la parola perun non sembra indicare
la folgore ma piuttosto l'agente che la scaglia. Ad esempio in
Slovenia, in una regione dove la voce perun come nome
comune della folgore è del tutto sconosciuta, è stata
registrata l'espressione «quando Perün batte» [ko je Perün
bija], usata dai montanari per dire che tuona. In questo
caso Perün non può essere che un nome di persona. Stessa cosa
per un'espressione polacca traducibile con «va' al diavolo!» [iź
do Pióruna!]. (Gasperini
1973)
Evel Gasperini riferisce un curioso episodio registrato in Ucraina. Nel
1901 morì a Bystrikova, nel distretto di Starodub, un vecchio
contadino che aveva l'abitudine, prima di accendere il fuoco nell'essiccatoio
per asciugare il grano, di togliersi il berretto e farsi il segno della croce
dicendo «Dio, dacci salute!» [Da i bog,
dra!]. Se gli si domandava a chi si rivolgeva, il contadino rispondeva:
«A chi, a chi? A
Perun!
Il fuoco non è mica uno scherzo!» [Komu, komu? Perunu, s agnem ni velikaja
stuka!], e aggiungeva che così gli avevano insegnato a fare i vecchi. Per
quanto isolato, secondo Gasperini, questo episodio dimostrerebbe l'infondatezza
delle tesi di Aničkov e Brückner sul carattere aristocratico del culto di
Perunŭ (Gasparini 1973).
I fautori di un
Perunŭ panslavo, oltre a indicare
come possibili esiti slavo-occidentali il dio połabico
Prove, citato da Helmond
di Bosau (Chronica
Slavorum [I: 52 | I: 83]), e il dio rügiano
Porenuthius, citato da Sassone Grammatico
(Gesta Danorum [XIV: 577]), attirano anche
l'attenzione su un passo del De Bello Gothico di Procopio di
Cesarea (490-565), dove si parla di un dio
«fabbricatore della folgore» [astrapēs demiurgos], venerato presso
gli Slavi.
.Questi popoli infatti, Sloveni e Vendi,
credono che signore di tutte le cose sia il
solo dio fabbricatore della folgore ed a lui
sacrificano buoi ed ogni specie di offerte.
Nulla sanno del fato, né comunque riconoscono ad esso
influenza alcuna sugli uomini; ma quando si trovino in pericolo di
morte, o perché malati o perché guerreggiano,
promettono, se scampino al pericolo, un sacrificio a quel dio, in
grazia della vita; e, scampati, fanno il sacrificio promesso e
credono di aver comprato a tal prezzo la propria salvezza. Adorano
però anche fiumi e ninfe ed altre divinità e
sacrificano ad essi tutti; e nel corso di questi sacrifici tirano gli
auspici. |
Procopio di
Cesarea:
De Bello Gothico [III: 14] |
La notizia di Procopio si
riferisce più propriamente agli Slavi meridionali e
sud-occidentali, ma il quadro che ci offre si adatta alle
concezioni religiose degli Slavi orientali, in quanto
distingue un dio supremo, padrone di tutte le cose e non
dominato, come gli dèi greci, da
un fato ferreo [heimarménē],
più varie divinità inferiori tra cui i fiumi e le ninfe. Sembra probabile che in questo frammento si tratti
proprio del dio folgoratore slavo che nella mitologia russa figurerà poi sotto il nome di
Perunŭ
(anche se altri
autori hanno piuttosto associato il dio di Procopio al deus deorum
di cui parla Helmond a proposito degli Slavi del Baltico).
|
IV -
PERUNŬ,
ESITO SLAVO DEL DIO-TUONO INDOEUROPEO
I primi studiosi di mitologia
slava, ritenevano che
Perunŭ non fosse altro che un esito
slavo del
Þórr
norreno, che i Variaghi avevano importato dalla Scandinavia in Russia, poi fusosi con una divinità tutelare
autoctona (Rożniecki 1901).
Questa ipotesi veniva giustificata col fatto che i grandi
principi di Kievŭ, che giuravano nel nome di
Perunŭ ,
erano di stirpe variaga, ma anche col fatto che i nomi di
Perunŭ e
Þórr
erano entrambi legati, nelle
rispettive lingue d'origine, dalla parola per «tuono»,
segno incontestabile – a detta degli autori – di una
«traduzione» del nomen scandinavo in una lingua slava
(Vyncke
1970). Alcuni studiosi arrivarono addirittura a far dipendere completamente la figura di
Perunŭ da
quella del
Þórr
germanico. Adolf Stender-Petersen riteneva ad esempio che gli
Slavi non avessero affatto conosciuto un dio-tuono finché
il confronto con i dominatori variaghi non li spinse a crearne
uno sulla falsariga di
Þórr,
a cui poi sarebbe stato dato un nome derivato dalla parola
slava per «tuono» o «lampo» (Stender-Petersen
1956). Sulla stessa linea si pone anche, in tempi più recenti, il francese Régis Boyer, secondo cui
Perunŭ non era altro che il risultato della slavizzazione del dio scandinavo
Þórr,
con nome derivato per qualche ragione da quello della madre del dio,
Fjörgyn
(Boyer 1989).
|
Sotto l'albero di Perunŭ (1910) |
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-) |
MUSEO: [Klimenko]► |
Queste ipotesi derivano tutte, più o meno, dalla vecchia
concezione degli Slavi originariamente animisti che in seguito
avrebbero sviluppato un pantheon ricalcato su quello germanico,
introdotto dai Variaghi. Un'ipotesi che non tiene conto di un
retroterra culturale indoeuropeo comune tanto agli Slavi
quanto ai Germani. Non è ammissibile che la figura di
Perunŭ derivi in tutto
o in parte da quella di
Þórr,
né che il dio russo sia una slavizzazione dello scandinavo, anche se è
senz'altro possibile che vi siano state strette influenze
tra la religione variaga e quella antico-russa. Più
probabilmente,
Þórr e
Perunŭ sono figure omologhe, in quanto esiti differenti, l'uno
germanico e l'altro slavo, del mitema del dio-tuono, le
cui radici affondano nella comune
tradizione indoeuropea.
Si tratta di
una divinità attestata in tutta l'area indoeuropea, i cui
esiti principali sono Indra in India,
Hēraklês in Grecia,
Tarhunta in Anatolia,
Þórr in Scandinavia e
Taranis
in Gallia. In sintesi, l'archetipo di un re degli dèi, armato
di folgore e protettore dell'ordine cosmico. Sarebbe sciocco
presumere che gli Slavi, anch'essi di origine indoeuropea,
mancassero di un elemento così importante del comune
patrimonio. Questa visione di
Perunŭ
come esito slavo del dio indoeuropeo del tuono
è ammessa oggi da molti dei principali
slavisti (Michajlov 1995).
Le non molte informazioni che
abbiamo su
Perunŭ sono coerenti nel ricondurre la figura del dio verso il
mitema del
dio-tuono indoeuropeo. C'è innanzitutto il carattere di
Perunŭ,
quale dio guerriero, signore del tuono e della tempesta, a
inquadrarlo senza alcun dubbio nella seconda funzione, insieme ad
Indra
e
Þórr. Anche il legame
con la
quercia, attestato dalle fonti e forse anche etimologico, è un chiaro indizio che il dio va allineato con i vari
epiteti di Phēgōnaîos,
Bagaîos,
Quercus e
Baginatis diffusi in tutta
l'area indoeuropea, e questo è un altro chiaro indizio che
abbiamo a che fare con un dio fulminante. Sappiamo ancora che
Perunŭ era considerato il re degli dèi, e questa è di nuovo la
collocazione tradizionale del
dio-tuono indoeuropeo (si veda Indra
nel pantheon vedico),
detentore di una regalità
guerriera, più diretta e attiva rispetto alla distaccata supremità che appartiene invece al dio-cielo.
Questo punto è molto importante in quanto
risolve un'ambiguità rimasta in sospeso per decenni, ovvero se
Perunŭ sia da considerare o meno il dio supremo del
pantheon paleorusso. Il guaio è che gli studiosi hanno sempre
finito col riferire le
altre mitologie al modello classico, ragione per cui tutte le
divinità supreme venivano confrontate con lo
Zeús elllenico. Ora il pantheon greco
mostra caratteristiche provenienti dall'area semitica, e la
regalità di
Zeús, essenzialmente una
supremità celeste, di prima funzione, non è confrontabile con la regalità indoeuropea che
appartiene invece alla seconda funzione. Per questa ragione, mentre alcuni studiosi
confrontavano
Perunŭ con
Zeús, facendone il
dio supremo del pantheon russo, altri si affrettavano a negare
l'ipotesi, non pienamente giustificata dai dati filologici e
dalle fonti antiche. A causa della confusione imposta dal modello
classico, molti autori finivano per confondere il dio-tuono
con il dio-cielo, il primo portatore di una regalità guerriera
e il secondo di una supremità celeste.
Il punto è che l'evoluzione dei
vari esiti del dio-tuono nelle varie culture indoeuropee ha
portato diversi spostamenti di funzioni e di poteri. I dati per il mondo slavo sono limitati, ma abbiamo l'impressione che
Perunŭ sia rimasto abbastanza fedele all'archetipo originale. Come il vedico
Indra,
il russo
Perunŭ conservava la sua posizione regale e intanto rimaneva a tutti
gli effetti un dio
guerriero. Se
il traduttore russo della greca Vita di
Gregorio il Taumaturgo di Gregorio di Nissa, rendeva col vocativo
Perune il greco Zeû,
identificando il dio-tuono
slavo con il dio-cielo greco, è soltanto perché in Grecia le caratteristiche interenti
alla regalità guerriera e al carattere fulminante appartenevano al dio-cielo,
Zeús,
il quale le aveva però usurpate all'originario dio-tuono
Hēraklês.
Nell'evoluzione del mito greco, Hēraklês
era stato declassato al rango di semplice eroe e,
perduti i fulmini, aveva dovuto accontentarsi di spacciare i mostri con
una semplice clava, mentre
Zeús era stato ridisegnato
secondo il modelle delle divinità
supreme del
Medio Oriente: insieme alla supremità celeste aveva assunto in
sé la regalità e il potere
sui fulmini, ma non era mai diventato un dio guerriero e non aveva mai avuto nulla a che
fare con la seconda funzione.
Anche il fatto che gli Slavi dell'Elba avessero chiamato il
giovedì perün-dan (Rost 1907),
implica un ragionamento simile. Non dimentichiamo che lo
Iovis dies sarebbe passato in tedesco come Donnestag
e in inglese come Thursday, sempre con associazione
del dio-cielo
classico con un dio-tuono.
Diciamo questo per eliminare le false
interpretazioni: è logico che gli antichi osservatori
– e molti moderni studiosi – abbiano finito per confrontare
Perunŭ
con Zeús,
ma le due divinità, per quanto presentino alcune caratteristiche analoghe, non
sono affatto omologhe.
Perunŭ è
l'esito slavo del
dio-tuono indoeuropeo:
un re guerriero, appartenente alla seconda funzione, un nume
fulminante a cui è sacra la
quercia. Ma non era affatto un dio-cielo,
cosa che invece Zeús era in origine e rimase sempre.
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V -
SOPRAVVIVENZA DI PERUNŬ NELLA FIGURA DEL PROFETA ELIA
FOLGORATORE
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Gromovnikŭ Perunŭ, il folgoratore |
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov
(1958-2004) |
Molti dati interessanti sulla natura del
Perunŭ slavo si possono ancora desumere dall'agiografia cristiana,
tenendo conto che in tutta l'area slava orientale e meridionale le
funzioni di
Perunŭ passarono al profeta biblico Elia.
È indicativo il
fatto che, quando nel 945 i Russi stipularono il
trattato di pace con i Greci, il gran principe Igorĭ
Rjurikevičŭ
e gli uomini ancora pagani del suo seguito, andarono a giurare
«sulla
collina, sulla quale era
Perunŭ»,
mentre i Russi cristiani «prestarono
giuramento nella chiesa di Sant'Elia»
(Se pověsti
vremjanĭnichŭ lětŭ [6453/945]).
Per alcuni studiosi, come Alexander Brückner, questo passaggio
da
Perunŭ
ad Elia non sarebbe mai avvenuto e ciò che il popolo slavo
racconta di Elia Folgoratore [Ilĭja
gromovnikŭ] non concernerebbe affatto
Perunŭ;
al contrario, il folklore cristiano, greco e russo, avrebbe
attribuito ad Elia il dominio delle nubi e delle folgori
a causa della somiglianza del suo nome con quello greco del
sole, hḗlios (Brückner
1918). L'ipotesi di Brückner non regge:
non si è mai trovato nel folklore che Elia sia assimilabile al
sole, né si capisce perché il sole avrebbe un legame con nubi
e tuoni. Piuttosto, l'immagine biblica del profeta Elia che
sale in cielo sul suo carro di fuoco è facilmente assimilabile
a quella di un dio-tuono, simile a Indra o
Þórr,
che si muove tra le nubi sul suo carro, il cui frastuono
produce i temporali.
In
molti racconti popolari slavi troviamo Elia
nel posto in origine probabilmente riservato al dio tuono
Perunŭ.
Nella fiaba serba del matrimonio tra Mesjac [la luna] e
Danica [la stella del mattino],
di cui esistono diverse versioni, si racconta che primo
padrino era Dio, secondo padrino era San Pietro, đever era
San Giovanni e stari svat Elia Folgoratore [Ilija
Gromovnik]. Allorché Dio assegna agli invitati i doni nuziali,
dà ad Elia il tuono, il fulmine e i dardi
(Vuk 1841 | Andrić 1909). In altre
versioni della fiaba jugoslava questo avviene quando, subito
dopo la creazione, Dio assegna ai suoi santi funzioni di
governo sulla terra ed in questa occasione Elia ottiene il
tuono e la folgore (Grbić 1925 | Čajkanović
1934).
Ma
questa fiaba non è altro che l'esito della leggenda del
matrimonio celeste diffusa, in un modo o nell'altro, in tutta
l'Europa orientale. Non soltanto tra gli Slavi, ma anche tra i
Balti e addirittura tra molti popoli ugrofinnici. Nella
versione lettone, è il dio-tuono Pērkons
ad essere invitato al matrimonio di una figlia di
Diēvs
con Mēness
[la luna]. Presso i Mordvini troviamo il dio-tuono
Purgine-paz arrivare in cielo a
bordo di una trojka per sposare V'ezargo, la figlia del dio-cielo: e la
trojka –
come il carro di fuoco di Elia – fa tremare la terra e sprizza scintille.
D'altronde non dobbiamo dimenticare che le
funzioni di Elia come successore del dio del tuono in epoca
cristiana sono diffusi dal Caucaso alla Finlandia. Nel poema
alto-tedesco
Mūspilli, la lotta tra
Elia e l'Anticristo, che prelude all'ectopirosi, riecheggia
la lotta tra
Þórr e
Jörmungandr, alla vigilia dell'incendio universale. Tra gli Osseti, Elia compare nelle vesti del dio del tuono
Wacilla; in Georgia, Elia è di
nuovo divinità del tuono, sebbene il Karst, come fa Brückner per gli
Slavi, pretende che l'Elia caucasico non abbia nulla a che
vedere col profeta biblico e risalga ad un georgiano elua,
il lampo (Karst 1948). In
Finlandia, Elia succede al dio folgoratore
Ukko.
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