I - PRESENZA DI SIMARĬGLŬ NELLE FONTI ANTICHE
Di molte divinità russe non conosciamo che il
nome, semplicemente citato nelle fonti antiche, senza altri ragguagli e
delucidazioni, e ai ricercatori non rimane che la sola etimologia del nome, per
tentare di interpretare il carattere o l'aspetto del personaggio. In molti casi gli stessi nomi compaiono in più di una fonte,
compensando la scarsità dei dati con la reciproca conferma. A
volte, però, rimane il dubbio che le fonti dipendano l'una dall'altra e che,
quindi, non facciano che palleggiarsi la medesima informazione, corretta o
errata che sia. Nel caso di
Simarĭglŭ sorge una difficoltà
insormontabile. Le uniche due fonti che ci tramandano questo nomen non sono
nemmeno d'accordo
se
Simarĭglŭ sia un unico dio o
se si tratti invece di una coppia di divinità,
Simŭ
e
Rĭglŭ.
La prima fonte è il
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ,
o «Cronaca degli anni passati». Il dio
Simarĭglŭ è infatti una delle sei divinità
antico-russe contemplate del «Canone di Volodimirŭ», il cui idolo sorgeva sulla
collina di Boričevŭ in Kievŭ:
И нача княжити Володимеръ въ
Киевѣ
единъ, и постави кумиры на холму внѣ
двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его
сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и
Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. |
I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi
kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a
usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. |
E cominciò
a regnare Volodimirŭ
in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla
collina che si trovava dietro il terem:
di
Perunŭ
in legno, con la testa d'argento e i baffi
d'oro, e di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, e di
Stribogŭ,
e di
Simarĭglŭ,
e di
Mokošĭ. |
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980] |
La seconda fonte è un testo ecclesiastico, lo
Slovo Christoljubca, il
«Sermone del Christoljubec», in cui il
dio viene citato due volte, ma non come un singolo personaggio, bensì sdoppiato in
una coppia di divinità:
Simŭ
e
Rĭglŭ.
...non potendo sopportare i cristiani che vivono nella
doppia fede e credono in
Perunŭ, in
Chŭrsŭ, in
Simŭ, in
Rĭglŭ, in
Mokošĭ, nelle
vile... |
...Quelli che pregano il fuoco sotto l'essiccatoio, le
vile,
Mokošĭ,
Simŭ,
Rĭglŭ,
Perunŭ,
Volosŭ dio del bestiame,
Chŭrsŭ,
Rodŭ,
le
rožanizy e tutti i loro dèi
maledetti... |
Slova i poučenija
>
Slovo Christoljubca |
Non si tratta di
una contraddizione da poco: tutte le teorie e le interpretazioni su
Simarĭglŭ
si basano sul fatto che il personaggio venga inteso come una singola divinità o
come una
coppia di dèi. Gli studiosi che nel corso degli anni si sono occupati di
Simarĭglŭ,
hanno via via abbracciato l'una o l'altra ipotesi, pervenendo a conclusioni diametralmente opposte.
Consultando i testi divulgativi o i soliti dizionari mitologici, si può tuttora
trovare l'una o l'altra interpretazione, a seconda di quale fonte sia stata
consultata dall'autore.
|
II - UN DIO
O DUE DÈI?
|
Simarĭglŭ |
Illustrazione di Igor' Savčenko |
Dobbiamo dunque parlare di un dio
Simarĭglŭ o di una coppia di
dèi
Simŭ
e
Rĭglŭ?
Come vedremo, gli studiosi sono ancora lontani da una
soluzione univoca.
Da un lato abbiamo il
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, che sembra molto preciso nel definire il
canone delle sei divinità adorate dal gran principe Volodimirŭ. Afferma che questi
innalzò gli idoli «di
Perunŭ,
e di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, e
di
Stribogŭ,
e di
Simarĭglŭ, e di
Mokošĭ»
[Peruna, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga, i Simarĭgla, i Mokošĭ].
Tutti i nomi degli dèi sono individuati con precisione e separati tra loro da una congiunzione «e»
[i].
Se il nome
Simarĭglŭ
fosse da intendere come giustapposizione di due teonimi, lo troveremmo regolarmente
spezzato dalla congiunzione. Così non è, e sembra evidente che, per l'autore del
Se pověsti,
Simarĭglŭ
sia un unico nomen e non una coppia di nomi. Se non avessimo altre fonti, non vi sarebbe alcun dubbio nel considerare
Simarĭglŭ
il nome di un'unica divinità.
La contraddizione scaturisce nel confronto tra il
Se pověsti e uno dei testi
ecclesiastici. Nel suo elenco di divinità adorate dai pagani, lo
Slovo Christoljubca
afferma che gli Slavi credevano
«in
Perunŭ, in
Chŭrsŭ, in
Simŭ, in
Rĭglŭ»
[vŭ Peryna i vŭ Chŭrsa, i vŭ Sima, i vŭ (E)rĭgla].
Sono più o meno gli stessi nomi che vengono citati dal
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, e anche
nel medesimo ordine. L'unica
differenza è questa strana scissione di
Simarĭglŭ in due nomi distinti:
Simŭ e
Rĭglŭ.
Alcune righe più in basso lo
Slovo Christoljubca cita un'altra lista di
nomina divina, additando coloro che pregano «...le
vile,
Mokošĭ,
Simŭ,
Rĭglŭ,
Perunŭ,
Volosŭ dio del
bestiame,
Chŭrsŭ,
Rodŭ, le
rožanicy e tutti i loro dèi maledetti...», e di nuovo
Simŭ e
Rĭglŭ
compaiono come due personaggi distinti.
Il nome
Simarĭglŭ
è dunque da considerare un intero o va invece scisso in due nomina separati:
Simŭ e
Rĭglŭ? È evidente che uno dei due testi è sbagliato, ma quale? Il
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ
o lo
Slovo Christoljubca? O c'è qualche altra possibile
interpretazione? Il problema ha di fatto
diviso gli studiosi, alcuni dei quali considerano
Simarĭglŭ
un singolo nomen divinum, mentre altri hanno voluto vedere in
Simarĭglŭ la fusione di
due nomi distinti.
Poiché non esiste ancora una
risposta, analizzeremo entrambe le ipotesi.
|
III - SIMŬ E RĬGLŬ: L'INTERPRETAZIONE COME
COPPIA DIVINA
Molti studiosi ritengono
possibile che il teonimo antico russo
Simarĭglŭ andrebbe visto come
giustapposizione dei nomi di due distinte divinità,
Simŭ e
Rĭglŭ.
Costoro si appoggiano ovviamente all'elenco fornito dallo
Slovo Christoljubca e ritengono che
l'autore del
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ abbia fuso due nomi
originariamente separati. In tal senso, sostengono che lo
Slovo sia una fonte
più attendibile, in quanto si tratta di un sermone religioso, mentre è fuor di
dubbio che l'autore del
Se pověsti abbia un interesse
esclusivamente storico e poca inclinazione alle faccende teologiche.
D'altra parte, è anche possibile che
Simŭ
e
Rĭglŭ
fossero una coppia di divinità strettamente associate. In tal caso bastava forse
un solo idolo per rappresentarle entrambe. È fuor di dubbio, in effetti, che l'elencazione del «Canone di Volodimirŭ» si
riferisca non tanto agli dèi, ma agli idoli che li rappresentano. Nel testo
antico-russo del
Se pověsti i nomi delle divinità sono
infatti declinati al genitivo, in quanto riferiti ai rispettivi idoli. Dunque,
là dove il testo dice che il gran principe eresse i simulacri «di
Perunŭ,
e di
Chŭrsŭ, di
Dažĭbogŭ, e
di
Stribogŭ,
e di
Simarĭglŭ, e di
Mokošĭ»
[Peruna, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga, i Simarĭgla, i Mokošĭ], la
congiunzione «e»
[i] separerebbe non tanto i nomi degli dèi, quanto i rispettivi idoli, uno dei quali dedicato alla coppia formata da
Simŭ
e
Rĭglŭ.
Si noti inoltre che il
Se pověsti non pone la congiunzione
«e» [i] nemmeno tra
Chŭrsŭ
e
Dažĭbogŭ, anche se non abbiamo dubbi a considerare distinte le due
divinità, anche grazie alle attestazioni fornite in altre fonti (cfr. lo
Slovo o
pŭlku Igorevě). In linea di principio, dunque, nulla
vieta di presumere che anche il nome
Simarĭglŭ
possa essere inteso, nel
Se pověsti, come la giustapposizione di due
nomina divina declinati al
genitivo: Sima
genitivo di
Simŭ più
Rĭgla genitivo di
Rĭglŭ.
(Brückner 1923)
Un simile costrutto grammaticale,
in cui due divinità strettamente associate finiscono per essere indicate con un
unico nome, è ben conosciuto agli indoeuropeisti. In sanscrito è chiamato dvandva ed è utilizzato negli inni vedici per unire divinità come
Mitra e Varuṇa – tra
loro poste in associazione complementare – in un unico sostantivo duale: Mitravaruṇa.
Questo potrebbe anche spiegare perché, nell'ipotesi che
Simŭ
e
Rĭglŭ
siano due divinità separate, il copista del
Se pověsti non abbia lasciato alcuno
spazio tra i due nomina.
Lo
Slovo Christoljubca ci dà due elencazioni di
divinità, di cui la prima enuncia i nomi nello stesso ordine del «Canone
di Volodimirŭ» (Perunŭ,
Chŭrsŭ,
Simŭ,
Rĭglŭ,
Mokošĭ,
le
vile),
mentre la seconda enuncia i nomi più o meno al contrario (le
vile,
Mokoš',
Simŭ,
Rĭglŭ,
Perunŭ,
Volosŭ,
Chŭrsŭ).
E
qui si nota un interessante dettaglio: anche
se nella seconda elencazione i nomi procedono in senso inverso rispetto
alla prima,
Simŭ
e
Rĭglŭ
si trovano tra loro nel medesimo ordine, con
Simŭ
che precede
Rĭglŭ.
Questo sembra indicare che, se pure
Simŭ
e
Rĭglŭ
erano due personaggi distinti, venivano enunciati insieme e sempre nel
medesimo ordine, come se costituissero una coppia divina. Si tratterebbe allora di
una sorta di dvandva slavo, l'indicazione di una coppia di divinità
strettamente associate e dunque inseparabili?
Ma è davvero così? Due sole occorrenze (tre se consideriamo anche il
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ)
non bastano per stabilire se due nomi, posti nel medesimo ordine, formino
una coppia indissociabile. Ma poiché non abbiamo altre indicazioni, si può
considerare l'idea della coppia divina un'interessante ipotesi di lavoro. Più difficile,
piuttosto, è capire quale
fosse la natura di questa coppia; quali elementi caratterizzassero i due
dèi; quali li accomunassero e quali invece li distinguessero; se avessero la
stessa funzione, oppure funzioni complementari. Sono state tentate
delle analisi filologiche dei due teonimi, presi separatamente, ma senza grandi risultati.
L'ipotesi più spesso citata è
quella di Brückner,
secondo cui le due distinte divinità
Simŭ e
Rĭglŭ, presiedevano all'insieme dei beni animati e terrieri:
ai servi e al bestiame, alla segala e agli altri cereali. Secondo Brückner, il
nome
Simŭ andrebbe collegato allo slavo
sěmija «insieme dei servi, familia», mentre
Rĭglŭ deriverebbe
da un paleoslavo
*rŭgjŭ «segale» (cfr. antico russo rŭžĭ, russo
rož', lituano rugiaĩ «segale», polacco rzysko «campo di
segale»), uno dei
cereali più diffusi nell'Europa settentrionale
(Brückner 1923). Si tratta però di un'ipotesi molto debole,
che cerca di estrapolare l'etimologia di due nomina già di per
sé stessi, ipotetici. Quello di Brückner è uno dei classici «eccessi di bravura» a cui
sono andati spesso incontro gli studiosi nel tentativo di spiegare il carattere delle
divinità slave a partire dalla pura etimologia del nome, senza altri dati su cui
basarsi. Il guaio è che non abbiamo
nulla di meglio. Ad ogni buon conto, l'ipotesi di Brückner ebbe una certa
fortuna nella prima metà del Novecento e fu largamente accettata da molti studiosi, tra i quali il nostro Vittore Pisani
(Pisani 1949). In tempi più recenti, tuttavia, i linguisti ne hanno preso
le distanze, in quanto le trasformazioni fonetiche ipotizzate da Brückner sono
considerate inaccettabili per le lingue slave (Vitčak 1994).
Sono subentrati tuttavia nuovi studi tra cui, interessante, quello di K.T. Vitčak,
il quale ha fatto notare che il nome di
Rĭglŭ
potrebbe essere, almeno sul piano linguistico, compatibilissimo con quello del
dio vedico Rudra (Vitčak 1994).
Se l'ipotesi fosse corretta, l'interpretazione di
Rĭglŭ
ne verrebbe rivoluzionata, ma possiamo anche chiederci se siamo autorizzati a
disegnare la fisionomia di un dio a partire da un lavoro interpretativo talmente
ipotetico.
Ma
queste sono soltanto ipotesi. In verità, è difficile dire, da un'unica ricorrenza, se il
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ consideri davvero
Simarĭglŭ
una giustapposizione di due nomi e non un nome unico. Con la possibilità,
peraltro, che nell'uno o nell'altro l'autore del testo potrebbe essersi
sbagliato. Analogamente, le due citazioni dello
Slovo Christoljubca non sono
probative. Tanto più che l'ipotesi di
Simarĭglŭ quale
coppia di divinità non è sorretta da alcun modello o alcuna omologia che
chiarisca, almeno in modo generale, la natura del personaggio.
|
IV - SIMARĬGLŬ , IL
GRIFONE SLAVO?
Al contrario, altri studiosi tendono a fidarsi delle informazioni fornite dal
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ e
sono persuasi che sia errato scindere il nome
Simarĭglŭ.
Secondo costoro, sarebbe l'autore dello
Slovo Christoljubca a
sbagliarsi, anche tenendo conto della vis polemica che anima l'intero
sermone. Bisognerà dunque trarre il maggior numero
di informazioni dall'analisi etimologica del nomen
Simarĭglŭ, inteso come unico e non
separabile.
Ma anche in questo caso le interpretazioni avanzate nel corso degli
anni non sono state meno varie e contrastanti. Alcuni studiosi hanno proposto di
confrontare il nome del dio col lettone saims
«gigante» (cfr. Saimi devos). Altri hanno tirato in
ballo un ipotetico
antico russo *Semĭgolvŭ o Sedmor(o)golvŭ «sette teste»,
con riferimento alla policefalia di alcune divinità degli
Slavi del Baltico, sul tipo di Triglav.
(Ivanov ~ Toporov 1992 | Michajlov
1995)
|
Due grifoni divorano un cavallo |
Dal corredo del kurgan Aržan 2, necropoli regale
scitica (tardo VII sec. a.C.)
Tuva, Siberia meridionale (confine russo-mongolo) |
Secondo un'ulteriore ipotesi, il teonimo
Simarĭglŭ,
deriverebbe da un'antica forma sarmatica oggi rinvenibile nell'ossetico marġ
«uccello» (cfr. avestico mǝrǝγo). In
tal caso, il nome del dio russo può essere agevolmente confrontato con quello
dell'uccello Saǝna-mǝrǝγo dell'epica iranica (Avestā:
Yasnā
[10: 10]), ovvero il meraviglioso Sīmorġ
della letteratura mistica neo-persiana (cfr. il Mantiq
aṭ-Ṭayr
di Farīd ud-Dīn ‛Aṭṭār).
Questa teoria ha goduto in passato di un certo credito. Per quanto col tempo
sia stata parzialmente messa in discussione, è ancora oggi considerata
attendibile da molti studiosi. Il problema che pone è stabilire come l'immagine
del Sīmorġ
sia pervenuta dall'Īrān alla Russia.
Secondo la ricostruzione effettuata da Boris Rybakov, un prototipo proto-iranico del mitico uccello
Sīmorġ
sarebbe passato nel mondo slavo attraverso la mediazione dei popoli
iranici delle steppe (Sciti, Sarmati, Alani), divenendo infine il dio
Simarĭglŭ citato dal
Se pověsti. Naturalmente a questo
punto il problema è stabilire se una simila figura mitologica sia effettivamente
attestata presso tali popoli.
Al riguardo, Aleksandr Gieysztor cita la scoperta, effettuata nel 1933 da Camilla Trever, di alcune raffigurazioni iraniche e caucasiche in cui un
Sīmorġ
cinocefalo apparirebbe come protettore della vegetazione. Secondo l'autore,
nella Russia del XII e XIII secolo sarebbe molto diffusa la raffigurazione di un
grifone dalla testa di cane rappresentato come guardiano dell'albero della vita,
funzione nel quale lo si incontrerebbe spesso in coppia ai lati dell'albero
stesso (Gieyszotr 1986 | Adinolfi 2003).
Che figure di grifoni fossero
ampiamente conosciute tra i popoli iranici delle steppe, quali gli Sciti, è noto non solo dalle
figurazioni su braccialetti e pendenti, dove queste creature appaino essere
degli ibridi tra aquile e lupi, ma anche da una notizia riferita da
Hēródotos, che poneva nelle
steppe grifoni a guardia di tesori, in lotta con il popolo degli Arimaspi:
A nord degli
Issedoni abitano gli Arimaspi che hanno un
occhio solo, più in là dei quali vivono i
grifoni custodi dell'oro; oltre i grifoni e
fino al mare gli Iperborei. Questi popoli,
tranne gli Iperborei, avrebbero premuto sui
loro confinanti, a partire dagli Arimaspi:
gli Issedoni furono spinti fuori del loro
paese dagli Arimaspi, gli Sciti dagli
Issedoni, e i Cimmeri, stanziati lungo le
coste del mare meridionale, abbandonarono la
loro terra scacciati dagli Sciti... |
Hēródotos:
Historíai
[IV: 13] |
Ma d'altra parte già Rybakov riteneva che
Simarĭglŭ potesse essere
raffigurato come cane alato. Questi esseri cinocefali potrebbero peraltro avere qualche connessione con
gli Aralez armeni, anch'essi raffigurati con
l'aspetto di cani alani. Nella leggenda armena, riportata da Movsēs
Xorenac‘i nella sua monumentale Hayoc‘
C‘eġaspanowt‘yown,
o «Storia della Grande Armenia», la regina assira
Šamiram li prega affinché scendano dal cielo e
riportino in vita il suo amato
Aray, caduto in battaglia.
Գտանեն
զԱրայն մեռեալ ի մէջ քաջամարտկացն, եւ հրամայէ դնել զնա ի վերնատան ապարանիցն: |
Gtanen zArayn meŕeaj i mēǰ k‘aǰamartkac‘n, ew hramayē dnej zna i vernatan
aparanic‘n. |
Aray
fu trovato senza vita insieme ai suoi valorosi compagni d'armi.
Šamiram [lo portò a Ninive e] lo fece deporre sulla
terrazza della sua reggia. |
Իսկ ի գրգռել միւսանգամ զօրացն Հայոց ի մարտ պատերազմի ընդ տիկնոջն Շամիրամայ,
քինախնդիր լինել մահուանն Արայի՝ ասէ.
«Հրամայեցի աստուծոցն իմոց լեզուլ զվէրս նորա եւ կենդանասցի»: |
Isk i grgŕej miwsangam zōrac‘n Hayoc‘ i mart paterazmi ənd tiknoǰn Šamiramay,
k‘inaxndir jinej mahowann Arayi asē: «Hramayec‘i astowcoc‘n imoc‘ jezowj zvērs
nora ew kendanasc‘i». |
Quando gli eserciti armeni si riunirono di
nuovo, pronti a marciare contro la regina
Šamiram, per vendicare la morte di
Aray, lei disse: «Ho
ordinato ai miei dèi di leccare le ferite di
Aray, ed egli tornerà in vita». |
Միանգամայն եւ ակն ունէր դիւթութեամբ վհկութեան իւրոյ կենդանացուցանել զԱրայ,
ցնորեալ ի տռփական ցանկութենէն: Իսկ իբրեւ նեխեցաւ դի նորա՝ հրամայէ ընկենուլ ի վիհ
մեծ եւ ծածկել. |
Miangamayn ew akn ownēr diwt‘owt‘eamb vhkowt‘ean iwroy kendanac‘owc‘anej zAray,
c‘noreaj i tŕp‘akan c‘ankowt‘enēn. Isk ibrew nexec‘aw di nora hramayē ənkenowj i
vih mec ew cackej; |
Ella sperava di poter resuscitare
Aray in virtù dei suoi incantesimi, tanto il
desiderio aveva offuscato la sua ragione. Ma quando il cadavere cominciò a
decomporsi, ella ordinò di gettarlo in un profondo pozzo e di ricoprirlo di
terra, così da celarlo alla vista di tutti. |
Movsēs
Xorenac‘i: Hayoc‘
C‘eġaspanowt‘yown [6488/980] |
È l'apologista armeno Eznik Kołbac‘i, in un suo libro
polemico contro le eresie, lo zervanismo e le dottrine filosofiche greche,
a descriverci l'aspetto cinomorfo di questi esseri: «Anche le immaginarie
creature simili a cani, chiamate Aralez, che si
crede possano curare le ferite leccandole, non esistono affatto. Sono soltanto
fiabe» (Contro le sette [I: 26]). La
figurazione è peraltro molto antica e piuttosto radicata, nei paesi del Caucaso,
dove i cani soprannaturali sono presenti al seguito di varie divinità
(Charachidzé 1981). ①②
Ma
ci stiamo avventurando per un sentiero fragile e ancora molto dibattuto dagli
specialisti. Se l'ipotesi di Rybakov è corretta,
Simarĭglŭ deriverebbe, attraverso la mediazione scitica
dei grifoni cinomorfi, dal
Sīmorġ
iranico, il volatile
sacro che rappresentava il ritorno della primavera, il sole che riscaldava la
terra dopo le rudi gelate dell'inverno.
Al riguardo, George Vernadsky suggerisce che il
Sīmorġ
iranico potrebbe anche spiegare la fisionomia del dèmone Divŭ
citato nello
Slovo o pŭlku Igorevě
[19 | 21] (Vernadsky
1959).
|
L'uccello Sīmorġ rapisce il piccolo Zāl |
Da un manoscritto persiano dello Šāhnamè. |
In seguito, trasformato
nello Žar-ptica, l'«uccello di fuoco» delle
fiabe russe,
Simarĭglŭ divenne il simbolo per eccellenza del
sole (Vernadsky 1959), l'uccello sacro che veniva nel giardino reale a becchettare le mele d'oro,
rotonde come soli. «Verso la mezzanotte lo carevič Ivan scorse una forte
luce che si avvicinava al giardino, e, ben presto, vi si poté veder chiaro come
in pieno giorno» (Afanas'ev 1855-1864). È
vero del resto che vi sono importanti relazione tra la fiaba dello
Žar-ptica e la
leggenda iranica di Zāl
e dell'uccello Sīmorġ,
narrata da Ferdowsī nello Šāhnamè, ma di
questo parleremo in altra occasione.
Ci troviamo forse in presenza di un mitema
diffuso in tutto il mondo, di cui il Sīmorġ
persiano è forse il modello più vicino a quello russo ma non è né l'unico né il
più antico. In tutti i miti del mondo troviamo delle creature a guardia dell'albero della vita,
talora in numero di due, e più specificatamente un serpente e un uccello. Ne troviamo
l'esempio più antico in un racconto sumerico, dove l'albero di
Huluppu, sacro alla dea
Inanna, ha un
serpente alle radici e l'uccello-tempesta
Imdugud appollaiato tra i rami. Il mito biblico
dell'Eden, con serpente e cherubini, potrebbe derivare dal medesimo mitemo.
Ne troviamo poi un esito in Grecia, con gli alberi delle
Hesperídes protetti dal
serpente Ládōn.
Il frassino Yggdrasill nel
mito nordico è raffigurato col serpente
Níðhöggr avvinghiato alle radici e
un'aquila posata tra i rami, la quale ha a sua volta il falco
Veðrfolnir
appollaiato tra gli occhi. Persino nella leggenda azteca, la città di Tenochtitlán venne fondata nel
punto dove un'aquila era scesa su un cactus, tenendo un serpente stretto tra gli
artigli.
Ma detto questo, bisogna fare un passo indietro, e ribadire che non sappiamo se il dio chiamato
Simarĭglŭ sia davvero da mettere in
correlazione con il Sīmorġ, e d'altra
parte non sappiamo nemmeno se vi sia una relazione con i grifoni scitici o
con i cani alati delle leggende caucasica, e anche se questi abbiano a
loro volta qualcosa a che vedere con il mitema del guardiano dell'albero della vita.
Infine, molti studiosi hanno giustamente osservato che non vi è alcuna prova che
l'immagine del grifone o cane alato fosse diffusa presso gli slavi. Insomma,
siamo avanzati lungo un percorso altamente ipotetico, allacciando idee molto
vaghe, sulla base di una debole ipotesi etimologica: che
Simarĭglŭ derivi da Saǝna-mǝrǝγo.
Ma c'è ancora un'ulteriore
difficoltà: se
Simarĭglŭ fosse stato davvero una sorta di uccello, o grifone, ci si potrebbe chiedere se la sua
importanza fosse tale da giustificare la sua presenza nel «Canone di Volodimirŭ» e
l'erezione di un idolo.
|
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BIBLIOGRAFIA ► |
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