MITI

SLAVI
Russi

MITI SLAVI
IL CANONE DI VOLODIMIRŬ
GLI DÈI DI KIEVŬ
Sei erano gli idoli che si levavano sul colle di Kievŭ. Di questi dèi ben poco è stato tramandato. Esamineremo qui le pochi fonti a nostra disposizione e faremo dei veri e propri virtuosismi interpretativi per trarne il massimo delle informazioni.

1 - GLI DÈI DI KIEVŬ

Idoli (Russia Pagana) (1901?)
Dipinto di Nikolaj K. Roerich (1874-1947)
MUSEO: [Roerich]►

uando il gran principe Volodimirŭ Svjatoslavičŭ inaugurò il suo regno in Kievŭ, eresse, sulla collina di Boričevŭ all'esterno del palazzo, gli idoli delle divinità maggiori a cui gli antichi Russi, nostri antenati, dovevano fede e obbedienza.

L'idolo principale era dedicato a Perunŭ, il dio supremo, padrone del tuono e della folgore. Aveva quell'idolo la testa d'argento e i baffi d'oro. Gli altri idoli erano dedicati a Chŭrsŭ, Dažĭbogŭ, Stribogŭ, Semarĭglŭ e Mokošĭ. E il popolo offriva sacrifici a questi idoli, chiamandoli dèi. E presso di essi conduceva i propri figli e le proprie figlie ed a tali dèi li sacrificava. Fu così che la collina si lordò di sangue e da quel sangue la terra russa venne profanata.

Se sei divinità costituivano il «canone di Volodimirŭ», molti altri dèi arricchivano il pantheon degli antichi russi. Ma tutti costoro che i nostri antenati adoravano come divinità erano in verità dèmoni malvagi. Da tali dèmoni, chiamati Trojanŭ, Chŭrsŭ, Volosŭ e Perunŭ, gli antichi Russi, nella loro ignoranza, avevano tratto degli dèi e li avevano adorati. Erano anche convinti che alcuni di questi dèmoni, come Svarogŭ e Dažĭbogŭ fossero stati antichi re dei tempi primordiali, e parimenti li veneravano e li adoravano.

2 - CONVERSIONE E DVOEVERIE

L'abbattimento di Perun
Dipinto (particolare) di Sergej Simakov

poi, nell'anno 6496 [988], il gran principe Volodimirŭ Svjatoslavičŭ si convertì alla santa religione ortodossa e volle che tutto il popolo venisse condotto al fiume e là fosse battezzato.

Per ordine del gran principe, i sei idoli che si levavano sulla collina di Boričevŭ furono abbattuti, fatti e pezzi e bruciati. L'idolo di Perunŭ venne percosso a bastonate da dodici uomini e, legato alla coda di un cavallo, fu trascinato verso il fiume e abbandonato alla corrente. Uomini degni di fede affermano che di aver udito il diavolo che si trovava dentro l'idolo lamentarsi amaramente di essere stato cacciato anche dalla Russia. Poi il fiume trascinò l'idolo alle cateratte e là esso scomparve per sempre.

Sulla collina di Boričevŭ, dove un tempo si ergevano gli idoli, si innalza oggi la chiesa di Svjatoj Vasilij [San Basilio].

Tuttavia non diremmo il giusto, se affermassimo che il popolo russo dimenticò da subito il paganesimo e divenne fervente nella fede in Cristo. In verità ancora oggi, specialmente nelle regioni rurali, sono molti coloro che indugiano nella dvoeverie, l'odiosa bicredenza, coloro che allietano le feste ed i matrimoni con musiche e danze e canti profani, adorano Perunŭ, Chŭrsŭ, Semarĭglŭ e Mokošĭ, preparano la doppia mensa per Rodŭ e le Rožanicy, e fanno sacrifici alle vily e alle beregyni, fanno il bagno per le navi, e pregano il fuoco sotto l'essiccatoio chiamandolo Svarožičŭ.

Fonti

1 Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980 | 6496/988]
Iōánnēs Malálas: Chronographía [3.5.1] (traduzione russa)
Slovo o pŭlku Igorevě
2 Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6496/988]
Slova i poučenija > Slovo Christoljubca
Slova i poučenija
> Slovo sv. Grigorija ob idolach
Slova i poučenija
> Slovo Ioanna Zlatousta
Choždenie bogorodicy po mukam

I - INTRODUZIONE PER UNO STUDIO DEL PANTHEON SLAVO

Conversazione con gli dèi
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov (1958-2004)

Per troppo tempo il settore della mitologia slava, e russa in particolare, ha dovuto farsi largo attraverso le maglie di un fastidioso preconcetto, dovuto in parte agli stessi slavisti, i quali, ancora nella prima metà del XX Secolo, si ostinavano nell'idea che gli dèi enunciati dalle antiche cronache russe fossero stati introdotti dagli invasori variaghi e fossero quindi di origine scandinava. Di conseguenza, si riteneva che il popolo slavo non avesse che delle confuse tendenze animistiche che trovavano in una impersonale «Madre Umida Terra» una sorta di vaga divinità ctonia e agricola.

Un assunto come questo era certamente una conseguenza della scarsità di informazioni riguardo alla mitologia slava. Ben pochi studiosi, in Occidente, si preoccupavano di approfondire la religione slava precristiana, soggetto che generalmente occupava al più qualche paragrafo nei testi di mitologia europea. Negli anni appena precedenti lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, studiosi tedeschi come Erwin Winecke e Leonard Franz reputavano gli Slavi incapaci di sviluppare credenze superiori a qualche genere di animismo e affermavano che fu solo grazie all'influenza dei dominatori variaghi, di ceppo ovviamente germanico, se essi arrivarono a costruire un pantheon di divinità personali e definite. Molti insigni filologi, quali Alexander Brückner o il nostro Vittore Pisani, si limitavano a isolare (talvolta a inventare) le radici dei nomina divina, così da sbarazzarsi del «problema» posto da questo o quel dio una volta individuatane l'origine iranica o germanica. Dopo la guerra, in Unione Sovietica, la religione e la mitologia erano considerate semplici superstizioni, assolutamente prive di rilevanza scientifica; gli studiosi di tradizioni popolari e di folklore, tra cui lo stesso Volodimirŭ Jakovlevič Propp, si accontentavano di individuare l'origine delle leggende e delle fiabe russe in riti agrari o di passaggio.

Questi preconcetti hanno condizionato per decenni gli studi sulla mitologia slava. Può parere un'affermazione paradossale, ma soltanto negli ultimi decenni gli studiosi sembrano essersi resi conto che gli Slavi, il cui ceppo linguistico è solidamente impiantato nel tronco della grande famiglia indoeuropea, dovevano avere un pantheon strutturato secondo le categorie che riscontriamo tra gli altri popoli appartenenti allo stesso ceppo, stanziati dall'India all'Irlanda. E che quindi, dèi e miti, lungi dall'essere stati importati dai Variaghi o dagli Sciti, dovevano piuttosto appartenere al retaggio slavo. La mitologia germanica o iranica serviranno piuttosto da pietra di paragone, per cercare di comprendere, dal confronto con un comune modello di matrice indoeuropea, quali siano le affinità e le differenze nell'esito slavo di tale matrice.

Gli studi attuali procedono soprattutto col metodo della comparazione, anche se purtroppo non rimane molto da comparare, visto l'esiguità e l'ambiguità delle fonti. Dai lavori degli studiosi, che spesso procedono con faticosi veri sforzi di interpretazione, deriva tutta una serie di opinioni, raramente convergenti, anzi, molto spesso in contrasto tra loro, che il più delle volte confondono invece di far luce. In questo capitolo faremo una carrellata delle fonti principali e ne discuteremo l'attendibilità. Nei prossimi capitoli richiameremo, per ogni singolo nomen divinum, la storia delle interpretazioni più rilevanti avanzate dagli studiosi, prima di azzardare – se è il caso – una nostra personale interpretazione.

II - IL «CANONE DI VOLODIMIRŬ»

Gli slavisti definiscono «Canone di Volodimirŭ» il gruppo di sei divinità i cui idoli il gran principe Volodimirŭ Svjatoslavičŭ aveva eretto sulla collina di Boričevŭ, in Kiev, allorché inaugurò il suo regno, nell'anno 980. A tramandarne i nomi è un celeberrimo passo del Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, la celebre «Cronaca degli anni passati, all'anno» 6488 (980).

И нача княжити Володимеръ въ Киевѣ единъ, и постави кумиры на холму внѣ двора теремнаго: Перуна древяна, а главу его сребрену, а усъ златъ, и Хърса, Дажьбога, и Стрибога и Симарьгла, и Мокошь. I nača knjažiti Volodimerŭ vŭ Kievě edinŭ, i postavi kumiry na cholmu vně dvora teremnago: Peruna drevjana, a glavu ego srebrenu, a usŭ zlatŭ, i Chŭrsa, Dažĭboga, i Striboga i Simarĭgla, i Mokošĭ. E cominciò a regnare Volodimirŭ in Kievŭ, da solo, ed eresse simulacri sulla collina che si trovava dietro il terem: di Perunŭ in legno, con la testa d'argento e i baffi d'oro, e di Chŭrsŭ, di Dažĭbogŭ, e di Stribogŭ, e di Simarĭglŭ, e di Mokošĭ.
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6488/980]

Vladimir
Illustrazione di Viktor M. Vasnecov (1848-1926)
MUSEO: [Vasnecov]►

È evidente che l'autore del Se pověsti non riteneva conveniente tramandare il carattere e gli attributi delle divinità antico-russe: si limita a citarne i nomi, senza entrare troppo nei dettagli. D'altronde il suo scopo non era di informarci sulla teologia del paganesimo slavo, ma piuttosto documentare la situazione di errore in cui viveva un tempo il popolo russo e mettere ancor più in risalto la conversione al Cristianesimo che lo stesso gran principe Volodimirŭ opererà otto anni dopo (nel 988). Non ci è dato di sapere quanto e come il cronista calcò le tinte nel descriverci i sanguinosi sacrifici umani che venivano compiuti ai piedi degli idoli, che la sua penna si sofferma a demonizzare più che a spiegare.

All'epoca in cui il cronista scriveva, all'inizio del XII secolo, la fede cristiana ancora stentava a imporsi in un mondo le cui radici rimanevano sostanzialmente ancorate nel paganesimo. Questa situazione di dvoeverie o «bicredenza» si trascinò per secoli, tanto che ancora nel XIX secolo, nelle regioni rurali russe, si registravano esempi di compresenza di elementi cristiani ed elementi pagani. L'autore della cronaca, da buon monaco, aveva tutte le ragioni per tacere quanto sapeva delle divinità slave, alla sua epoca ancora vive e radicate nell'anima del popolo, e questo spiega il suo riserbo. Tuttavia, procedendo nella narrazione, allorché la cronaca arriva al punto in cui Volodimirŭ apprende i rudimenti della religione cristiana, il cronista non esita a riportarci un lunghissimo riassunto della storia sacra biblica, di certo edificante per il gran principe, ma lo studioso di mitologia ne è giustamente annientato! Se invece di rinarrarci punto per punto ciò che conosciamo benissimo, il pio autore del Se pověsti avesse speso altrettante parole per documentare quanto sapeva sulle divinità slave, oggi non staremmo qui a cercare di strappare brandelli di informazioni da un puro elenco di nomi!

Detto questo, il brano della cronaca sopra riportato, pur nella sua irritante stringatezza, rimane, vista la grande penuria di fonti a nostra disposizione, di importanza inestimabile per lo studioso di mitologia slava.

Il «Canone di Volodimirŭ» consiste di sei nomi: Perunŭ, Chŭrsŭ, Dažĭbogŭ, Stribogŭ, Semarĭglŭ e Mokošĭ. Che esistessero altri dèi, oltre a questi sei, è confermato dalla stessa cronaca. Ad esempio, in una serie di tre giuramenti che sanciscono altrettanti trattati di pace con Costantinopoli, stretti rispettivamente dai gran principi Olegŭ [6415/907], Igorĭ Rjurikevičŭ [6453/945] e Svjatoslavŭ Igorevičŭ [6479/971], viene citato Perunŭ, ma nel primo e nel terzo di questi giuramenti gli è affiancato un dio non presente nel «Canone», Volosŭ. D'altronde pare che l'idolo di Volosŭ si trovasse nella parte bassa della città: sembra quindi logico che questo dio non faccia parte del gruppo dei sei idoli innalzati in cima alla collina di Kiev.

Concludendo, il «Canone di Volodimirŭ» è l'elenco dei sei idoli che un sovrano, in un preciso momento storico, aveva innalzato presso il suo palazzo, sulla collina principale di Kiev. Al contrario, il «Canone» non è un documento teologico, non esaurisce il pantheon slavo e probabilmente non circoscrive un gruppo di divinità che debbano essere considerate speciali rispetto ad eventuali non citate. Il «Canone» si limita a suggerire una preminenza di Perunŭ sugli altri dèi, ma tace riguardo al carattere, al rango e alla natura di tali dèi.

III - LE FONTI ECCLESIASTICHE

I nomi divini citati nel «Canone di Volodimirŭ» sono attestati anche in antiche fonti cristiane. In un apocrifo russo del XII secolo, il Choždenie bogorodicy po mukam, la «Discesa della Vergine all'Inferno» – dove la Vergine Maria, testimone dei tormenti infernali, intercede presso Dio per ottenere un periodo annuale di sospensione delle pene per i dannati –, viene riportato un nuovo «canone» di divinità (anzi di dèmoni adorati come tali), di cui tre nomi su quattro già presenti nella Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ:

Это те, кто не веровали в отца и сына и святого духа, забыли бога и веровали в то, что сотворил нам бог для трудов наших, прозвав это богами: солнце и месяц, землю и воду, и зверей и гадов; все это те люди сделали из камней, — Траяна, Хорса, Велеса, Перуна в богов превратили, и были одержимы злым бесом, и веровали, и до сих пор во мраке злом находятся, потому здесь так мучаются Ėto te, kto ne verovali v otca i syna i svjatogo ducha, zabyli boga i verovali v to, čto sotvoril nam bog dlja trudov našich, prozvav ėto bogami: solnce i mesjac, zemlju i vodu, i zverej i gadov; vse ėto te ljudi sdelali iz kamnej, — Trajana, Chorsa, Velesa, Peruna v bogov prevratili, i byli oderžimy zlym besom, i verovali, i do sich por vo mrake zlom nachodjatsja, potomu zdesĭ tak mučajutsja. Questi sono coloro che non credono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, hanno dimenticato Dio e non credono in ciò che Dio a creato per noi, ed essi hanno chiamato dèi il sole e la luna, la terra e l'acqua, gli animali e i rettili, più tutti quegli idoli di pietra, Trojanŭ, Chorsŭ, Velesŭ e Perunŭ, ed essi adorarono come dèi questi dèmoni malvagi, e sono ancora nelle tenebre del male, perché ancora credono in essi.
Choždenie bogorodicy po mukam

Il quarto nome, Trojanŭ, non presente nel Se pověsti, è invece attestato nello Slovo o pŭlku Igorevě, il celeberrimo «Cantare delle gesta di Igorĭ», segno sicuro che la Choždenie bogorodicy non deriva dal Se pověsti, ma viceversa ne conferma l'affidabilità.

Vi è poi un ampio corpus di Slova i poučenija napravlennye protiv jazičestva, testi ecclesiastici, sermoni e omelie contro il paganesimo, che confermano i nomi di alcune divinità del «Canone di Volodimirŭ». Questi testi, pur tramandati a noi in copie tarde (tra il XIV e il XVII secolo), risalgono con ogni probabilità ai secoli XI-XII, un'epoca in cui il paganesimo era ancora diffuso. Pur scritti con intento polemico, gli slova finiscono con l'essere documenti importantissimi per la nostra conoscenza dell'antica mitologia slava. Ad esempio nello Slovo Christoljubca, il «Sermone del Christoljubec», troviamo citate, in due passi distinti, alcune delle divinità attestate nel «Canone».

...non potendo sopportare i cristiani che vivono nella doppia fede e credono in Chŭrsŭ, in Simŭ, in Rĭglŭ, in Mokošĭ, nelle vile...
...Quelli che pregano il fuoco sotto l'essiccatoio, le vile, Mokošĭ, Simŭ, Rĭglŭ, Perunŭ, Volosŭ dio del bestiame, Chŭrsŭ, Rodŭ, le rožanizy e tutti i loro dèi maledetti...
Slova i poučenija > Slovo Christoljubca

L'elenco dello Slovo Christoljubca porta, rispetto al «Canone», delle significative differenze che testimoniano la sua indipendenza dalla fonte storica. La prima volta i nomi sono citati nello stesso ordine del «Canone»: Perunŭ, Chŭrsŭ, Simŭ, Rĭglŭ, Mokošĭ; ma vi sono delle interessanti differenze: innanzitutto mancano due nomi importanti come Dažĭbogŭ e Stribogŭ; inoltre il dio Semarĭglŭ viene apparentemente diviso nei due nomina Simŭ e Rĭglŭ; infine si aggiungono le vile. Ciò prova forse che l'ordine degli dèi dato dal «Canone di Volodimirŭ» non era casuale ma rifletteva una qualche relazione teologica tra le varie divinità. Nella seconda lista di divinità, lo Slovo Christoljubca fornisce invece una serie invertita rispetto alla prima: si parte dalle vile, quindi Mokošĭ, Simŭ, Rĭglŭ, Perunŭ, a cui si aggiunge per la prima volta il nome di Volosŭ, quindi Chŭrsŭ, e poi Rodŭ e le Rožanicy.

Nello Slovo sv. Grigorija ob idolach, il «Sermone di San Gregorio sugli idoli», compare una serie simile, ma diversa nei dettagli, che sembra riflettere soprattutto le divinità dello strato inferiore:

...A tali dèi compie sacrifici anche il popolo slavo: alle vile, a Mokošĭ, a Diva, a Perunŭ, a Chŭrsŭ, a Rodŭ e alle rožanizy, agli upyri, alle beregyni, a Pereplutĭ e girando, bevono per lui nei corni...
...E questi iniziarono a compiere sacrifici a Rodŭ e alle rožanizy prima di Perunŭ, loro dio, e prima di questo facevano sacrifici agli upyri e alle beregyni...
...Ma adesso nei sobborghi pregano il maledetto dio Perunŭ e Chŭrsŭ e Mokošĭ e le vile e questo lo fanno di nascosto; di questo non possono farne a meno, cominciando dal tempo del paganesimo fino ad ora, della preparazione della maledetta seconda mensa a Rodŭ e alle rožanizy, con grave scandalo per i devoti cristiani e con grande offesa al sacro battesimo e provocando l'ira di Dio..
Slova i poučenija > Slovo sv. Grigorija ob idolach

È pur vero che l'antichità di tali citazioni è dibattuta. Se è vero che gli slova i poučenija risalgono al periodo tra l'XI e il XII secolo, sembra che le liste delle divinità pagane siano state aggiunge in epoca posteriore (Aničkov 1914), probabilmente non prima dell'inizio del XII Secolo (Łowmiański 1978); se questo è vero tali liste rifletterebbero una situazione teologica posteriore e non sarebbero quindi confrontabili con la situazione presentata invece dal «Canone di Volodimirŭ».

Schedario: [Velesŭ | Trojanŭ | Rodŭ | Pereplutĭ | Beregyni | Rožanizy]►

IV - LE FONTI EPICHE

Un'ultima importantissima fonte per la nostra conoscenza delle divinità slave è costituita dall'epica antico-russa. La quale, purtroppo, si riduce a un unico titolo utile, lo Slovo o pŭlku Igorevě, il «Cantare delle gesta di Igorĭ», essendo la Zadonščina (la «Spedizione oltre il Don») e il Povestĭ o razorenii Rjazani Batyem (il «Racconto sulla distruzione di Rjazan'») avari di riferimenti sul paganesimo slavo.

Nel panorama delle fonti sulla mitologia slava, il bellissimo Slovo o pŭlku Igorevě si staglia come un unicum: è il solo monumento poetico pagano antico russo, il più vicino a un'ipotetica sapienza slava. In una serie di passi si citano alcune divinità già attestate nel Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, ma questa volta i nomi sono soventi accompagnati da piccole specificazioni, dettagli minimi ma preziosissimi. Tra le divinità citate vi sono Dažĭbogŭ, di cui i Russi sono detti «nipoti», e Stribogŭ, i cui «nipoti» sono invece i venti. Vi è Velesŭ, regolarmente associato al vate-cantore Bojan. È citato ancora Chŭrsŭ, che gli tagliano la strada i lupi mannari. E Trojanŭ, già attestato nella Discesa della Vergine all'Inferno, che qui è citato quattro volte in strane locuzioni quali «tempo di Trojanŭ», «terra di Trojanŭ», eccetera.

Stranamente nello Slovo o pŭlku Igorevě non troviamo mai Perunŭ, e la ragione di questa assenza non è mai stata spiegata. Si tratta di una mancanza casuale, oppure il nome è stato ignorato per qualche ragione difficile da stabilire? Non si può saperlo. Con le fonti epiche abbiamo esaurito la lista dei documenti antico-russi che trattino delle antiche divinità slave.

Giuramento agli dèi
Illustrazione di Boris Ol'šanskij (1956-)
MUSEO: [Ol'šanskij]►
V - INAFFIDABILITÀ DELLE FONTI APOCRIFE

!!! SALVIAMO LA MITOLOGIA !!!A meno di non amare svisceratamente il mondo slavo, la mitologia russa non ha mai riscosso molto interesse da parte degli stessi appassionati di miti e leggende, sempre troppo occupati ad elencare le genealogie greche o a perdersi dietro le nebbie dell'epica celtica. Gli autori dei soliti dizionari mitologici, si limitano a citare le divinità russe solo per completezza di esposizione, liquidandole con qualche nota frettolosa: Perunŭ dio del tuono, Svarogŭ dio del fuoco, Velesŭ dio del bestiame, ma senza un reale interesse. Dato che questi «autori» si limitano a scopiazzarsi tra di loro, gli errori e le approssimazioni si perpetuano e si moltiplicano. Moltissimi testi riportano informazioni tratte dalle fonti più svariate, senza il minimo senso critico, e finiscono con l'assegnare a questo o quel dio una personalità precostituita.

Questo è tanto più vero da quando il mezzo informatico ha permesso a studiosi e appassionati di tutto il mondo di scambiarsi informazioni in tempo reale. D'un tratto si sono resi disponibili studi e fonti altrimenti irreperibili. Di contro, alla quantità delle informazioni non corrisponde necessariamente la loro qualità. Esplorando il web su qualunque argomento si possono trovare studi pregevoli, rigorosi e ben documentati, e poco importa se portino firme note nel mondo accademico o quelle di semplici appassionati. Naturalmente vi è anche una gran quantità di spazzatura: ma basta un minimo di senso critico per escludere quanto è stato scritto da dilettanti o da incompetenti. Wikipedia, purtroppo, non fa eccezione: i suoi redattori si limitano a prendere notizie da fonti secondarie, senza alcuna competenza filologica

Esplorando i non pochi siti – soprattutto russi e serbi – incentrati sulla tradizione, la mitologia e la sapienza slava, non è difficile trovare una quantità di informazioni, genealogie, miti, preghiere, invocazioni, su questo o quel dio, questo o quel personaggio, ben superiore a quanto si può trovare – o evincere – dalle fonti in nostro possesso. Una piccola ricerca (le bibliografie di tali siti sono tutto tranne rigorose) rivela che la maggior parte di tali informazioni sono state tratte da testi mitologici poco o per nulla attendibili, prodotti in epoca piuttosto recente.

Il fatto è che, alla fine del Settecento, con la riscoperta delle mitologie nazionali, i popoli slavi si riscoprirono del tutto privi di un corpus di miti e leggende paragonabile a quello degli altri popoli, e molti intellettuali, perlopiù usciti dalle file dei vari nazionalismi, provvidero alla bisogna, producendo essi stessi il necessario materiale. Un caso emblematico è rappresentato dal manoscritto medievale latino Mater verborum, prodotto in Svizzera nel IX secolo. Inizialmente custodito nella biblioteca del conte František Antonín Kolovrat-Libštejnský [Franz Anton von Kolowrat-Liebsteinsky] (1778-1861), esso era passato nel 1818 al Museo Nazionale [Národní muzeum] di Praga, inaugurato nello stesso anno. Pochi anni dopo, nel 1827, il filologo Václav Hanka (1791-1861), attirò l'attenzione del mondo della cultura su una serie di glosse in ceco appuntate ai margini del manoscritto. La scoperta ebbe da subito una notevole risonanza, in quanto si trattava di una delle più antiche testimonianze in lingua ceca. Tra l'altro, alcune glosse riportavano i nomi di antiche divinità slave, illsutrate tramite la comparazione con analoghe figure del mondo classico. Ad esempio, Velesŭ veniva identificato con Pán; Živa con Ceres; Marzanna con Hekátē. I nomina corrispondevano perlopiù a quelli di divinità già conosciute, ma alcuni erano del tutto nuovi, come gli dèi Kirt, Hladolet e Sytiwrat, quest'ultimo paragonato a Saturnus. Uno studio paleografico sul documento venne eseguito solo nel 1878, e si scoprì che buona parte delle glosse erano false o contraffatte. Il colpevole, ovviamente, era proprio Hanka, il quale, ardente panslavista, non era nuovo alla fabbricazione di presunto materiale mitologico (Potebnja 1989).

Ma lo glosse del Mater verborum sono solo la punta dell'iceberg: il numero di falsi documenti mitologici prodotti in Boemia nella prima metà dell'Ottocento è davvero impressionante (Gaskill 2002). Ad ogni buon conto, si tenga presente che, all’epoca, la Cecoslovacchia era parte dell’Impero Austroungarico: questi documenti, avanzati come prova dell’antichità della cultura ceca e della sua pari dignità nei confronti di quella tedesca, contribuivano ad alimentare la coscienza nazionale del popolo boemo.

C'è poi il caso dei Veda Slovena, pretesi canti precristiani della Bulgaria, pubblicati a Belgrado nel 1874 e a San Pietroburgo nel 1881. In una sequela di ben ventitremila versi, questi canti mescolano le divinità slave e indiane ad Alessandro il Grande. Il loro compilatore, il serbo-bosniaco Stjepan Verković, aveva preteso di averli raccolti dalla viva voce del popolo in una remota regione della Macedonia. In realtà i canti erano stati commissionati al bulgaro Ivan Gologanov (1839-1895), un maestro elementare del villaggio di Tarlis, presso Valovišta (attuale Sidērókastro in Grecia), il quale aveva una buona conoscenza dell'epica omerica. La mistificazione aveva anche in questo caso ragioni patriottiche: fornire alla Bulgaria un épos nazionale che restituisse al paese, allora sottomesso all'Impero Ottomano, la dignità e la fierezza di un passato mitico. L'autenticità dei Veda Slovena fu per molti anni al centro di un acceso dibattito tra i più insigni slavisti d'Europa e quando, molti anni dopo, il primo ministro della moderna Bulgaria, Stefan Stambolov, invitò Gologanov a Sofia e gli offrì un vitalizio, ebbe a giustificarsi dicendo che non aveva importanza se Gologanov avesse inventato lui quei canti o gli fossero stati tramandati: essi avevano attirato l'attenzione dell'Europa colta sull'ignorata nazione bulgara e questo era ciò che importava.

Ma se possiamo guardare con un po' di simpatia ai Veda Slovena, che in fondo non si discostano molto, nelle intenzioni, dai canti ossianici di James Macpherson, non è questo il caso del cosiddetto Velesova Kniga, il «Libro di Veles», che è un falso.

La «scoperta» di questo testo viene fatta risalire al 1919, ad opera di un colonnello dell'esercito bielorusso, certo Ali Fëdor Arturovič Izenbek, il quale avrebbe trovato, in un maniero dei pressi di Charkov, una serie di circa trentacinque tavolette di legno sulle quali apparivano delle iscrizioni in un alfabeto simile al cirillico. Le tavolette sarebbero state poi portate da Izenbek a Bruxelles, dove sarebbero scomparse nel 1941, durante l'occupazione tedesca. Secondo una versione, esse sarebbero state requisite dalla Ahnenerbe Forschungs und Lehrgemeinschaft (la famigerata «Società di ricerca dell'eredità ancestrale»); secondo un'altra, sarebbero andate distrutte in un incendio. Ne sarebbero però rimaste delle trascrizioni, eseguite da un altro emigrato bielorusso, il paleografo e bizantinista Jurij Petrovič Miroljubov (1892-1970), l'unica persona a cui il geloso Izenbek avrebbe mostrato le preziose tavolette. Il testo di Miroljubov venne pubblicato a San Francisco, sulla rivista di slavistica Žar Ptica, tra il 1957 e il 1959. Si noti che, poco tempo dopo, l'entomologo ucraino Sergej Jakovlevič Paramonov (1894-1967), già autore di vari studi di letteratura e storia slava pubblicati sotto lo pseudonimo di Sergej Lesnoj, si mise al lavoro sugli appunti di Miroljubov e curò un'altra traduzione del Velesova Kniga, non del tutto compatibile con quella uscita su Žar Ptica.

Il testo, apparentemente scritto da sacerdoti pagani tra il V e il IX sec. d.C., si apre con un'invocazione al dio Veles, per poi raccontare l'etnogenesi dei popoli slavi dalla preistoria fino alla conversione della Russia al cristianesimo (anno 988). Secondo il testo, i più lontani antenati degli Slavi erano anticamente stanziati in una lontana terra artica, da dove sarebbero poi migrati verso sud per sfuggire alle glaciazioni. Dopo essersi divisi in tribù ed aver a lungo combattuto con altre popolazioni, questi proto-Slavi – che il testo identifica con gli Ariani tout-court – sarebbero passati dall'Asia alla Persia, quindi alla Mesopotamia e all'Egitto. Giunti in Anatolia, avrebbero fondato la città di Troia, per poi scontrarsi con gli Achei. Stabilitisi più tardi nelle steppe russe, gli Slavi avrebbero condotto un'esistenza pacifica, guidati da sovrani benevoli e sapienti sacerdoti. Si noti che il Velesova Kniga attribuisce agli Slavi un alto livello etico e un elevato grado di spiritualità, al contrario degli altri popoli, Greci e Romani in primis, presentati invece come barbari e rapaci. Affrontati vittoriosamente i Romani guidati da Traiano, e quindi i Goti, i Russi sarebbero stati infine sottomessi dai Variaghi. La conversione a opera dei Bizantini avrebbe messo fine fine all'idilliaco paganesimo slavo, creando le condizioni della nascita dello Stato russo come la conosciamo oggi.

Oltre al fatto che non sussiste alcuna possibilità di verifica sui presunti «originali», se mai siano esistiti (l'unica foto scattata da Miroljubov è piuttosto controversa), il Velesova Kniga è considerato da tutti gli slavisti privo di qualsiasi fondamento di autenticità. Autore del testo è, assai probabilmente, lo stesso Miroljubov, il quale avrebbe anche inventato l'intera storia del ritrovamento delle tavolette e della loro scomparsa.

Nonostante il Velesova Kniga circolasse anche in Russia, durante il periodo comunista, il governo vigilava per evitare gli eccessi nazionalistici. Ma dopo la caduta dell'Unione Sovietica, nel 1991, i fanatici del Velesova Kniga hanno potuto rilanciare la pubblicazione del testo e gli ambienti neopagani sono diventati i più avidi recettori di tale letteratura apocrifa. Tra i difensori più conosciuti, lo scrittore  Aleksandr Igorevič Asov si è battuto a favore dell'autenticità del testo, in libri, articoli e programmi televisivi, rivestendolo di un carattere eminentemente «sacro».

A fronte, tuttavia, dell'entusiastica pretesa di autenticità del Velesova Kniga, nonché delle numerose edizioni continuamente ristampate, lo studioso Anatolij Alekseevič Alekseev, dopo aver raccolto in un libro le opinioni di molti dei più autorevoli filologi russi, ha concluso così l'annosa querelle: «La questione dell'autenticità del Velesova Kniga si risolve in modo semplice e inequivocabile: si tratta di un falso malamente contraffatto. Non vi è alcun argomento in difesa della sua autenticità. Un gran numero di argomenti depongono invece a suo sfavore». (Alekseev 2004)

Difatti, la forma di cirillico utilizzata – con le lettere allineate sotto una linea, al modo della scrittura devanāgarī – è incompatibile con le più elementari conoscenze di paleografia slava, oltre a rivelare un'accozzaglia di fenomeni fonetici risalenti a periodi e lingue diverse, nonché incompatibili tra loro. La lingua è un miscuglio incoerente di parole russe, polacche, ucraine e ceche, con singolari strutture grammaticali che non è possibile ricondurre ad alcuna lingua slava, né antica, né moderna; le caratteristiche letterarie sono in conflitto con ogni tipo conosciuto di epica antica (nessuna allitterazione, ritmica goffa, esagerata magniloquenza, linguaggio scarsamente poetico, etc.). L'autore del Velesova Kniga rivela infine una conoscenza del folklore slavo, ma nessuna competenza in fatto di storia e religione. Il testo sottintende sia le concezioni esoteriche sulle origini iperboree della civiltà ariana (si vedano gli scritti di Bāl Gaṃgādhar Tilak), sia le teorie dell'eurasismo, anch'esse in voga tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, secondo il quale gli antenati degli Slavi sarebbero giunti nelle attuali sedi dall'Asia centrale. In effetti, alcune delle pubblicazioni di Miroljubov – prolifico autore di saggi sulla mitologia e il folklore slavo – mostrano il suo interesse verso interpretazioni di questo genere.

Nonostante le glosse del Mater verborum siano un'evidente contraffazione, i Veda Slovena un'opera romantica e il Velesova Kniga un falso costruito in evidente malafede, tutti questi testi continuano a venire utilizzati come fonti da molti appassionati mitografi, e considerati «autentici» – se non «sacri» – dai vari gruppi nazionalisti e neopagani sorti nei paesi slavi dopo la caduta dei regimi comunisti.

E capita spesso, consultando la saggistica prodotta nei paesi dell'est europeo, imbattersi in ricercatori assai ben disposti a effettuare prodigi di interpretazione, al fine di aggiungere materiale mitologico... anche a costo di inventarselo. È il caso del serbo Veselin Čajkanović (1881-1946), insigne classicista, teologo e storico delle religioni, a volte paragonato addirittura a Mircea Eliade. I suoi scritti tracciano vividissime descrizioni di divinità slavo-meridionali... che a un esame attento appaiono però completamente inconsistenti. Le tracce esiziali pescate nel folklore e nelle agiografie non giustificano in nessun modo le appassionate ed entusiastiche ricostruzioni di Čajkanović e dei suoi emuli.

Così, buona parte delle informazioni che circolano in rete riguardo la mitologia slava sono invenzioni assolutamente infondate e prive di valore mitologico. Dispiace vedere come vengano spesso prese sul serio da studiosi ed appassionati, i quali non hanno gli strumenti necessari per separare il grano dal loglio. Molte recenti divulgazioni, anche in Italia, riportano stralci di mitologia slava derivate in ultima analisi da fonti inconsistenti.

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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Slava - Koščej Vessmertij
Ricerche e testi di Dario Giansanti.
Creazione pagina:26.10.2004
Ultima modifica: 25.08.2014
 
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