MITI

SLAVI
Russi

MITI SLAVI
VELESŬ
IL SIGNORE DELLA POESIA E DEGLI ARMENTI
Per quanto fosse un dio di una certa importanza, Velesŭ non era rappresentato tra i sei idoli che si levavano sul colle di Kievŭ, ma sembra venisse adorato nella parte bassa della città. La sua natura è stata oggetto delle ipotesi più discordanti: signore degli animali? patrono dei poeti? re dei morti?

 

1 - VOLOSŬ, GARANTE DELLA PACE

Velesŭ
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-)
MUSEO: [Klimenko]►

ei trattati di pace che i gran principi di Kievŭ strinsero con gli imperatori di Carĭgradŭ [Costantinopoli], la parte russa chiamava a testimone Perunŭ della sacralità del proprio giuramento. Ma in certi passi, il dio supremo era invocato insieme a un altro nume: Volosŭ il signore degli armenti!

Si ricorderà che, nell'anno 6415 [907], quando venne conclusa la pace con gli imperatori di Carĭgradŭ, il saggio Olegŭ, reggente di Kievŭ, ed i suoi uomini giurarono, secondo la legge russa, su Perunŭ e sulle lame delle proprie spade, e inoltre su Volosŭ il dio degli armenti.

Quando, nell'anno 6479 [971], le vicissitudini storiche portarono i Russi a stipulare di nuovo la pace con Bisanzio, furono parimenti invocata la medesima coppia di dèi.

— Che io e coloro che sono con me e sotto di me, siamo maledetti da quel Dio in cui crediamo, da Perunŭ e da Volosŭ dio degli armenti! — Queste furono le parole del gran principe Svjatoslavŭ Igorevičŭ, che di tale patto fu il garante.

Non piccola era dunque l'importanza di questo dio Volosŭ se compariva nei giuramenti e nei sacri patti insieme al supremo Perunŭ. Sappiamo che il suo idolo non si trovava sulla cima della collina di Kievŭ insieme ai simulacri degli altri dèi: sembra piuttosto che fosse posto nella parte bassa della città. La ragione non è chiara: forse Volosŭ, o  Velesŭ com'era spesso chiamato, era un dio ancora più antico, vicino al cuore e all'anima delle genti slave, mentre i nobili variaghi erano devoti a Perunŭ. E forse, associando le due divinità a testimoni di un medesimo giuramento, si chiamavano a testimoniare insieme i patroni del popolo e quello dei loro dominatori.

2 - VELESŬ, SIGNORE DELLA POESIA

Bojanŭ (1910)
Dipinto di Viktor M. Vasnecov (1848-1926)
MUSEO: [Vasnecov]►

a non sappiamo se sia davvero così, e d'altronde il popolo slavo – ci informano gli evangelizzatori – adorava tanto Perunŭ quanto Velesŭ. Sembra piuttosto di capire che, mentre Perunŭ era un dio legato al cielo temporalesco, che poteva sentirsi a suo agio in cima alle colline, Velesŭ doveva essere al contrario un nume oscuro e sinistro, legato alla terra, alle anime dei morti, alla magia e al vaticinio.

Crediamo che gli stregoni, i volchvi, guardassero a Velesŭ come al loro patrono. Che i poeti e i vati lo venerassero è quasi certo. Bojanŭ, il più celebrato cantore dei tempi andati, era chiamato «nipote di Velesŭ». La sfera di appartenenza del dio era misteriosa, buia, infera, ctonia. Forse si opponeva a Perunŭ come la notte si oppone al giorno, in una complementarità che abbracciava tutti i livelli dell'essere.

3 - VELESŬ, DIO DEGLI ARMENTI

Invocazione
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-)
MUSEO: [Klimenko]►

cristiani, i quali sapevano che, dietro al nome di Velesŭ o Volosŭ si nascondeva non un dio, ma un dèmone, si limitarono a passare i suoi attributi e le sue funzioni a San Biagio.

San Biagio [Svjatoj Vlasij] era, come Volosŭ, il patrono protettore delle bestie e degli armenti. E infatti quei fuochi che ancora oggi vengono accesi nella ricorrenza del santo, in modo che le bestie passandoci in mezzo vengano purificate dalle malattie, sono quegli stessi fuochi che una volta i nostri antenati accendevano un tempo a Volosŭ.

Alternativamente, molte funzioni di Velesŭ/Volosŭ sono oggi passate a San Giorgio [Svjatoj Egorij] o a San Nicola [Svjatoj Nikolaj].

Fonti
1-3 Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6415/907 | 6479/971]
Slovo o pŭlku Igorevě [12]
Choždenie bogorodicy po mukam
Slova i poučenija > Slovo Christoljubca

I - PRESENZA DI VELESŬ/VOLOSŬ NELLE FONTI ANTICHE

Nel Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, o «Cronaca degli anni passati», il dio compare nella lezione Volosŭ. Esso non è citato tra le sei divinità del «Canone di Volodimirŭ», i cui idoli si levavano sulla collina di Boričevŭ in Kievŭ, ma è nominato, insieme a Perunŭ, in due dei tre trattati di pace stipulati dai gran principi di Kievŭ con i Bizantini.

Царь же Леонъ со Олександромъ миръ сотвориста со Олгом, имшеся по дань и ротѣ заходивше межы собою, целовавше сами крестъ, а Олга водивше на роту и мужи его по Рускому закону, кляшася оружьемъ своим, и Перуном, богомъ своим, и Волосомъ, скотьемъ богомъ, и утвердиша миръ. Carĭ že Leonŭ so Oleksandromŭ mirŭ sotvorista so Olgom, imšesja po danĭ i rotě zachodivše mežy soboju, celovavše sami krestŭ, a Olga vodivše na rotu i muži ego po Ruskomu zakonu, kljašasja oružĭemŭ svoim, i Perunom, bogomŭ svoim, i Volosomŭ, skotĭemŭ bogomŭ, i utverdiša mirŭ. Gli imperatori Leone ed Alessandro la pace conclusero con Olegŭ, accordandosi sul tributo e dandosi scambievole giuramento, baciarono la croce e Olegŭ invitarono a prestare giuramento, e gli uomini di lui secondo la legge russa giurarono sulle proprie armi, e su Perunŭ, loro dio, e su Volosŭ, dio degli armenti, e stipularono la pace.
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6415/907]
Аще ли от тѣхъ самѣхъ прежереченыхъ не съхранимъ, азъ же и со мною и подо мною, да имѣемъ клятву от бога, въ его же вѣруемъ в Перуна и въ Волоса, скотья бога, и да будемъ золоти, яко золото, и своимъ оружьемь да исѣчени будемъ. Ašče li ot těchŭ saměchŭ prežerečenychŭ ne sŭchranimŭ, azŭ že i so mnoju i podo mnoju, da iměemŭ kljatvu ot boga, vŭ ego že věruemŭ v Peruna i vŭ Volosa, skotĭja boga, i da budemŭ zoloti, jako zoloto, i svoimŭ oružĭemĭ da isěčeni budemŭ. Se non osserveremo qualche articolo [di questo patto], che io e coloro che sono con me e sotto di me, siamo maledetti da quel Dio in cui crediamo, da Perunŭ e da Volosŭ dio degli armenti; e che diventiamo gialli come l'oro e che la nostra stessa arma ci trafigga.
Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6479/971]

Il dio è quindi nominato, nella lezione Velesŭ, in un passo dello Slovo o pŭlku Igorevě, il «Cantare delle gesta di Igorĭ», dove l'antico cantore Bojanŭ è appunto chiamato «nipote di Velesŭ»:

Чили въ спѣти было вѣщей Бояне Велесовъ внуче... Čili vŭ spěti bylo věščej Bojane Velesovŭ vnuče... Invece così avresti dovuto cantare, o profetico Bojanŭ, nipote di Velesŭ...
Slovo o pŭlku Igorevě [12]

Il nome del dio è infine attestato in alcuni testi ecclesiastici. Compare nello Slovo Christoljubca, il «Sermone del Christoljubec», nella lezione Volosŭ, tra le false divinità che venivano invocate nel corso dei banchetti (Slovo Christoljubca). Lo troviamo citato poi nella Choždenie bogorodicy po mukam, la «Discesa della Vergine all'Inferno» un apocrifo russo del XII secolo, in cui la Vergine Maria, testimone dei tormenti infernali, intercede presso Dio per ottenere un periodo annuale di sospensione delle pene per i dannati. Quindi Velesŭ è citato in un'agiografia, la Žitija sv. Vladimira i Avraama, «Vita dei santi Vladimir e Afraam».

Fuori dal territorio russo, sono segnalate delle attestazioni di Velesŭ in Boemia, ma si tratta di testimonianze piuttosto dubbie. È il caso delle glosse ceche rinvenute sul manoscritto medievale latino Mater verborum (XIII sec.), dove il dio è citato due volte e identificato con Pán. Nella prima attestazione, si legge: «veless pan, ymago hircina»; nella seconda: «velles pan primus calamos cera coniungere plures instituit, pan curat oves oviumque magistros». Ma si tratta, con ogni probabilità, di falsi redatti dal poeta-filologo Václav Hanka (1791-1861), ardente panslavista, non nuovo alla fabbricazione di presunto materiale mitologico del suo paese, sulla falsariga dei poemi ossianici del Macpherson. (Potebnja 1989). Stessa cosa bisogna dire del cosiddetto Velesova kniga, il «Libro di Veles», sovente citato negli studi non-specialistici sulla mitologia slava, che è da rigettare in toto come goffo artefatto.

Velesŭ
Illustrazione di Viktor Anatol'evič Korol'kov (1958-2004)

II - ANALISI ETIMOLOGICA

Il nome del dio è attestato in antico russo in due forme alternative: Velesŭ e Volosŭ. n quale rapporto siano i due termini non è ben noto, anche se, dal punto di vista linguistico, è più probabile ipotizzare un passaggio Velesŭ > Volosŭ, che non la trasformazione inversa. La forma originale sembra dunque essere Volosŭ, anche se si impone di spiegare la ragione della trasformazione.

Tra le varie etimologie proposte, inaccettabile quella avanzata da Roman Jakobson che riportava la forma Velesŭ a un protoslavo *velsŭ, col significato di «che ha vista [vel-] buona [-sŭ]», da cui sarebbe regolarmente derivata la forma alternativa Volosŭ (Jakobson 1962). Tale composto è assolutamente impossibile giacchè in tutte le lingue indoeuropee – ivi comprese le slave – l'elemento *sŭ- funge unicamente da prefisso e mai da suffisso (Campanile 1994).

Un'altra etimologia riconduceva il nome del dio al verbo velěti «stabilire, decidere», di modo che Velesŭ veniva interpretato come un dio del destino (Vyncke 1970). Hanno avuto tuttavia maggior consenso gli accostamenti con l'antico russo vlŭchvŭ «vate» e vlŭšĭba «magia» (Pisani 1949)

Secondo l'etnologo Vlatomir Belaj, il nome Velesŭ/Volosŭ sarebbe da mettere in correlazione con il russo volosy «capelli», parola a sua volta derivata da un antico russo vĭlna/vŭlna «lana» (a sua volta da un indoeuropeo *HWHN- «lana»). In tal caso, il nome del dio significherebbe qualcosa come il «lanoso» o il «capelluto» (Belaj 1998). Una tanto fragile interpretazione avrebbe senso nell'ipotesi che si trattasse effettivamente di un dio degli armenti.

III - INTERPRETAZIONI DELLA FIGURA DI VELESŬ

L'idea che Velesŭ sia un dio del bestiame scaturisce dai giuramenti legati a due dei tre trattati di pace con i Bizantini, citati nella Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6415/907 | 6479/971], dove la parte russa giura su «Perunŭ il proprio dio» [Perunŭmĭ bogŭmĭ svoimĭ] e su «Velesŭ il dio degli animali» [Volosŭmĭ skotĭemĭ bogŭmĭ]. Se ne è concluso che i due dèi avessero due diversi campi di competenza, l'uno come dio degli uomini, e l'altro come dio sugli animali, sì che l'invocarli congiuntamente nel giuramento significava chiamare come testimoni coloro che presiedono ad ogni forma di vita (Campanile 1994).

Invece, nel trattato di pace del 945, riportato in Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6453/945], è detto che il gran principe Igor' andò sulla collina per fare offerte a Perunŭ, ma senza citare Velesŭ. Di qui, supponendo che Perunŭ fosse il dio tutelare del principe e del suo seguito, Frans Vyncke ha concluso che «logicamente» Velesŭ sarebbe stato il protettore dei guerrieri (Vyncke 1970). La logica di Vyncke francamente ci sfugge: il gran principe Igor' era senza dubbio un guerriero egli stesso.

Altri studiosi sono invece arrivati alla conclusione che Perunŭ fosse un dio importato dai conquistatori variaghi, cosa che spiegherebbe la sua posizione accanto al palazzo del gran principe, mentre Velesŭ sarebbe stato un dio nazionale slavo (Bazzarelli 1991) e come tale il suo idolo sarebbe stato escluso dalla collina e relegato nella parte bassa della città. Quest'idea, approvata dalla scuola di pensiero secondo la quale il pantheon slavo fosse d'importazione germanica, comporterebbe che Velesŭ fosse una divinità molto antica e ben radicata nelle tradizioni slave. Come cercheremo di dimostrare, sia Velesŭ che Perunŭ sono probabilmente delle divinità slave appartenenti al medesimo sistema teologico.

Lo strano attributo di «dio del bestiame» [skotĭemĭ bogŭ] ha portato Franz Ritter Von Miklosich al sospetto che la figura di Velesŭ fosse una «paganizzazione» di San Biagio [Svjatoj Vlasij], vescovo di Sebaste, che in epoca cristiana era considerato il santo protettore delle mandrie e degli armenti, e come tale chiamato ho boukólos, o ho boôn phrouròs mégas (Miklosich 1886 | Unbegaun 1948). Secondo Miklosich , quindi, il dio sarebbe derivato dall'immagine del santo, e non viceversa, opinione in seguito condivisa da altri studiosi. Ma anche questo sembra improbabile, in quanto i giuramenti citati nel Se pověsti sono avvenuti in epoca precedente alla conversione della Russia. Secondo Brückner, il redattore della cronaca avrebbe gabellato Velesŭ per un dio del bestiame proprio perché questa era la specializzazione di San Biagio (Brückner 1918). Il nome originale del dio sarebbe stato dunque Velesŭ: la forma alternativa Volosŭ, attestata nella cronaca, suggerirebbe appunto una confusione del teonimo col nome russo di San Biagio [Svjatoj Vlasij].

Per Vyncke, il curioso attributo di Velesŭ di «dio del bestiame» non si riferirebbe ad una sua funzione di divinità tutelare del bestiame, ma solo ad uno dei suoi aspetti minori. Lo studioso nota come il giovane partner della dea-madre, nella storia delle religioni, sia spesso un pastore (Vyncke 1970). Si tratta però di un'ipotesi senza fondamento: non abbiamo indicazioni che Velesŭ fosse legato a una dea-madre (quale dea madre?) e paragonarlo a una sorta di Tammûz slavo ci pare un tantino eccessivo.

Che la figura di Velesŭ sia più complessa di quella di un semplice «dio del bestiame» ci viene rivelato, quasi di soppiatto, dalla citazione del nome del dio presente nel Slovo o pŭlku Igorevě, dove il vate Bojanŭ è detto «nipote di Velesŭ». Bojanŭ era il grande cantore delle glorie del tempo passato, il detentore delle antiche tradizioni, le cui capacità erano sentite di gran lunga superiori a quelle di qualsiasi aedo dei tempi successivi. Poiché il suo nome viene avvicinato a quello di Velesŭ, ecco che il dio ci appare improvvisamente nella veste di un nume della poesia e del vaticinio, come del resto sembra confermato dall'etimologia che riconnetterebbe il nome del dio all'antico russo vlŭchvŭ «vate» e vlŭšĭba «magia».

Su questa linea è Edgardo Saronne che riunisce le due specificazioni di Velesŭ definendolo «una sorta di Apollo slavo, dio delle mandrie e dei poeti» (Saronne 1988). La definizione di Saronne è tuttavia soltanto descrittiva: lo studioso non tenta alcuna ipotesi comparatistica. In realtà la figura di Velesŭ – come ora vedremo – sembra appartenere a tutt'altro mitema.

IV - VELESŬ: ESITO SLAVO DEL DIO-VENTO INDOEUROPEO?

Il dio vento indoeuropeo, nella nostra ipotetica ricostruzione, è un dio legato al soffio creatore, all'ebbrezza poetica e alla poesia. E poiché la poesia è sapienza, il dio-vento è il signore della magia, che agisce e combatte e seduce grazie alle sue arti stregonesche. E poiché poesia e magia vanno a braccetto con la scrittura, egli sarà il creatore dell'alfabeto, delle note musicali, del tenere i conti. È l'artigiano, l'inventore, l'eroe culturale. Il dio-vento si muove ovunque, con grande rapidità. Scorta i viaggiatori, i pellegrini, i mercanti lungo le strade, ed è anche il dio sciamano che conduce le anime dei morti all'aldilà. È un dio economico, legato alla pecunia, al bestiame, alle proprietà. All'occorrenza il dio-vento è astuto, inganna, froda, imbroglia, mente. È il dio dei ladri e degli ingannatori.

Velesŭ
Dipinto di Jurij Lazarev

Ovviamente, nelle diverse culture derivate dalla comune matrice indoeuropea, la figura e il ruolo del dio-vento andarono incontro a profondi mutamenti. Le fasi di questa evoluzione ci sono sconosciute: conosciamo soltanto i loro esiti finali, allorché tali culture cominciarono a registrare per iscritto le tradizioni mitologiche. Il dio-vento compare come Vāta in India, Hērmês in Grecia, Mercurius a Roma, Mercurius/Lúg tra i Celti, Wotan/Óðinn tra i Germani. Secondo la nostra interpretazione, Velesŭ potrebbe essere appunto l'esito slavo di questo mitema.

Dalle considerazioni sovraesposte scaturisce infatti un'immagine del dio Velesŭ come di una sorta di signore della magia, forse intesa come conoscenza dei canti magici o come sciamanesimo. Ciò sembra confermato dall'etimologia che ricondurrebbe il teonimo nel campo delle parole antico-russe vlŭchvŭ «vate» e vlŭšĭba «magia» (Pisani 1949). Si ricordi ancora una volta il famoso verso del Slovo o pŭlku Igorevě, dove il vate Bojanŭ è detto «nipote di Velesŭ».

Nella mitologia germanica, Wotan/Óðinn era tra le altre cose il dio della poesia e della magia. Egli deteneva l'idromele della poesia, che elargiva in dono ai poeti, ma era anche il dio che aveva inventato le rune, capace di incantesimi e canti magici, il cui sguardo spargeva il terrore sugli eserciti ①. Il nome del dio si fa derivare da una radice protogermanica *wōđ-, che nei suoi esiti designa l'ebbrezza, l'eccitazione, il furore, il genio poetico (gotico Wōds «posseduto», anglosassone wōð «canto», norreno óðr «ebbrezza poetica», tedesco Wut «furore») (Dumézil 1959). Alla base della parola vi è la radice indoeuropea *WĀT-, del probabile significato di «soffio, ispirazione», da cui sono derivati il latino vates «poeta ispirato» e il protoceltico *watus «poesia profetica» (continuato nell'irlandese fáith «poeta» e nel gallese gwawd «poesia, preghiera»). Tutti i corradicali alludono alla violenta ispirazione poetica e profetica, alla capacità quasi mistica della poesia di penetrare i misteri dell'essere. (Dumézil 1959)

È possibile che Velesŭ e Óðinn fossero due figure divine legate all'ispirazione e alla divinazione, divinità che vati e poeti consideravano loro patroni e ispiratori, e insieme, due dèi esperti nelle arti magiche e nello sciamanesimo.

È doveroso ricordare qui la straordinaria figura di Vol'ga Veslav'evič, un eroe che, dopo la scomparsa degli dèi slavi, farà la sua comparsa nelle ballate popolari russe ②. Guerriero e insieme stregone, dai tratti sciamanici, dotato di esoteriche conoscenze, in grado di interpretare il linguaggio degli animali e capace di inaudite metamorfosi, questo personaggio deriva il suo nome da quello degli antichi stregoni slavi, i volchvi. È la stessa radice vlŭchvŭ che sembra alla base del nome di Velesŭ. Non ci stupiremmo affatto se questa singolare figura di eroe dagli spiccatissimi tratti odinici, figlio di una principessa e di un serpente, non sia che la trasformazione finale dell'antico dio Velesŭ.

Ma Wotan/Óðinn era anche il signore della Valhöll, dove regnava sui guerrieri caduti in battaglia. Nulla del poco che sappiamo di Velesŭ ci autorizza a interpretarlo come un signore dei morti, anche se già Brückner a suo tempo aveva proposto un possibile legame tra il nome di Velesŭ e le anime dei morti lituane, le Vėlės, associando quindi il dio slavo agli dèi baltici dell'oltretomba, il lituano Vélnias e il lettone Veļns, i cui nomi sarebbero divenuti in seguito quelli del diavolo (Brückner 1918).

Pisani, mettendo insieme le caratteristiche di dio del bestiame e del vaticinio, aveva pensato a suo tempo una divinità simile al greco Pán e «al suo doppione» Hērmês. Pisani trascura tuttavia di ricordare un elemento ancora più importante: che Hērmês, in qualità di dio che accompagnava i viandanti sulle strade, aveva anche un carattere psicopompo e scortava i morti nell'aldilà. (Pisani 1949). Questa serie di significati tra loro interlacciati offre una buona chiave di lettura per interpretare la figura di Velesŭ. A nostro avviso, una correlazione a largo spettro tra tutte queste figure, ci consente di proporre la loro omologia. Crediamo vi siano buone probabilità che Velesŭ sia l'esito slavo del mitologema del dio-vento indoeuropeo. Un parente slavo di Hērmês e di Óðinn, la cui figura sopravvisse nell'epica russa contribuendo a forgiare quella di Vol'ga Veslav'evič.

V - IL «MITO PRINCIPALE»

Velesŭ
Illustrazione di Viktor Križanovskij

L'espressione «mito principale» è stato introdotto da due studiosi russi, Vjačeslav Ivanov e Vladimir Toporov, e viene utilizzato tuttora da una nutrita scuola di loro seguaci. Cercando di fornire una visione quanto più ampia e sistematica del modello cosmico slavo-orientale, i due studiosi hanno riconosciuto la presenza, al livello superiore, di due divinità, Perunŭ e Velesŭ, a cui si aggiungeva un personaggio femminile (che nella tradizione russa si trattava probabilmente di Mokošĭ). Queste due divinità rappresentavano rispettivamente, secondo gli autori, la seconda e la terza funzione, cioè quella guerriera e quella economica, ed erano collegate tra loro come personaggi partecipanti al presunto «Mito principale».

Rifacendosi al motivo, proprio di ogni tradizione mitologica sviluppatasi dalla mitologia indoeuropea, «della lotta della divinità della tempesta contro un avversario ctonio» (secondo l'espressione usata nel sunto di Michajlov), il quale, nella visione dei due studiosi, poteva essere via via «diavolo, mostro che vive sotto terra, drago, serpente». Nell'esito slavo-orientale di questo mito, il dio della tempesta Perunŭ, che abitava in cielo o, secondo altre fonti, sulla cima di una montagna, perseguitava il suo nemico Velesŭ, che abitava invece sulla terra o nel sottosuolo e che poteva apparire anche sotto forma di un serpente o di qualche altro animale ctonio. La causa dell'ostilità tra le due divinità stava forse nei rapimenti, da parte di Velesŭ, del bestiame o degli uomini. In alcune versioni si poteva trattare anche del rapimento della sposa di Perunŭ. Durante la battaglia, Velesŭ, perseguitato ed attaccato dal suo avversario celeste, si nascondeva sotto un albero o sotto un sasso, si trasformava in cavallo, uomo o mucca. Perunŭ, lottando contro Velesŭ, colpiva gli alberi con il fulmine, spaccava i sassi, spaventava l'avversario con il tuono. La vittoria di Perunŭ veniva infine celebrata con la pioggia, che prometteva l'abbondante raccolto alla fine della stagione (Ivanov ~ Toporov 1974 | Ivanov ~ Toporov 1992 | Michajlov 1995).

La ricostruzione del «Mito principale» di Ivanov e Toporov si basa, in parte, sul materiale folkloristico lituano e lettone. Il ricorso alle analogie baltiche è in questo caso fondato poiché dobbiamo tener presente l'esistenza di uno stadio balto-slavo precedente alla tradizione slava. Se in questo i due studiosi russi non sbagliano, la difficoltà sta piuttosto nel fatto che il patrimonio folkloristico baltico è estremamente corrotto. Anche se nelle dainas (i canti popolari lettoni e lituani, di cui esiste un archivio immenso e in gran parte ancora inedito) appaiono motivi e personaggi di straordinaria antichità, essi sono stati riutilizzati in forma estremamente frammentaria e dissociata.

Il mito a cui si riferiscono i due autori, diffuso in tutte le mitologie indoeuropee, sembra essere piuttosto quello dell'uccisione, da parte del dio-tuono, del serpente cosmico che avvolge il mondo e trattiene le acque causando la siccità. I modelli sono la lotta di Indra con Vṛtra in India, di Tarḫunta contro Illuyanka in Anatolia, di Þórr contro Jǫrmungandr in Scandinavia, eccetera. In tutti questi casi nulla si riduce a un semplice furto di vacche od al rapimento di una moglie: è in gioco l'equilibrio e la continuazione dell'universo. Ora, anche se Velesŭ fosse una divinità ctonia, nulla ci autorizza a ritenerlo per questo un personaggio «negativo» ed opposto a Perunŭ. Se l'omologia col dio-vento, da noi tracciata, è corretta, Velesŭ verrebbe ad essere un dio dei morti, sì, ma alla maniera di Hērmês ed Óðinn. Dunque un personaggio appartenente soprattutto alla prima funzione e soltanto secondariamente alla terza.

Il motivo di uno scontro, nella tradizione popolare baltica, tra Pērkons/Perkū́nas e Veļns/Vélnias, ha sicuramente un'origine e una finalità differente: si può anche pensare a un'influenza cristiana, in cui il dio dei morti venne associato al diavolo. Ma sicuramente non ci autorizza a identificarlo come «mito principale» degli antichi popoli slavi.

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BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Slava - Koščej Vessmertij
Ricerche e testi di Dario Giansanti e Gustav Streich.
Creazione pagina:26.10.2004
Ultima modifica: 25.08.2014
 
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