I - POSSIBILI INFLUENZE
NELL'ETNOGENESI DEI POPOLI SLAVI
Quando trattiamo dell'origine degli Slavi, quando
cerchiamo di capire in quale contesto geografico si svilupparono come etnia,
quali altri popoli ne influenzarono la cultura e quanto profondamente, diventa necessario procedere con molta cautela.
Il termine «slavo», per quanto venga
usato soprattutto in
senso etnico, ha un significato essenzialmente linguistico. Slavi sono
quei popoli le cui lingue appartengono al ramo slavo della famiglia
indoeuropea. Questo ramo può essere agevolmente diviso in tre gruppi: orientale,
occidentale e meridionale. Gli odierni popoli slavi appartengono all'uno o
all'altro dei tre gruppi.
La stretta somiglianza delle varie lingue all'interno di ciascun
gruppo, e dei vari gruppi tra loro, mostra che la scissione di queste lingue è piuttosto recente. Sappiamo che gli Slavi parlavano ancora uno «slavo
comune» al periodo della loro espansione, cioè intorno al V-VI secolo.
A un livello tassonomico più alto, le lingue slave mostrano
strette affinità con le lingue baltiche, tanto che si parla un comune e più antico ramo
linguistico balto-slavo.
Nell'ambito delle lingue indoeuropee, il ramo balto-slavo sembra più vicino all'indoranico di quanto non sia
al germanico, l'italico o il celtico. Senza entrare in dettagli (e ricordando che la distinzione
delle lingue indoeuropee nei sotto-gruppi satǝm e kentum è
oggi superata), l'evidenza mostra che le lingue slave mostrano strette
affinità lessicali con le lingue iraniche. Per esempio, molti
termini slavi inerenti la sfera religiosa, quali svętŭ
«santo» e bogŭ «dio», le ritroviamo nel vocabolario
iranico (cfr. avestico spǝnta e baγa), ed anche alcune
divinità slave sembrano essere – come vedremo – di origine iranica. Resta da stabilire se i
parallelismi tra lingue slave e iraniche risalgano alla comune origine
indoeuropea o siano dei prestiti avvenuti in tempi più recenti attraverso la
mediazione dei popolo iranici delle steppe, quali Sciti e Sarmati. Il problema, se comune eredità o prestito storico, interessa
direttamente la natura e l'origine della cultura slava.
Gli etnologi
hanno spesso notato che gli Slavi, indoeuropei per lingua, mostrano tratti culturali che li avvicinano
assai più agli Ugrofinni. Evel
Gasparini scriveva: «È perfino incerta la misura in cui [gli Slavi] sono
partecipi del patrimonio indoeuropeo. La comparazione del loro corredo culturale
con quello dei più noti popoli indoeuropei dell'antichità conduce alla
constatazione che gli Slavi hanno appreso o adottato una lingua indoeuropea pur
trovandosi nell'impossibilità di appropriarsene la cultura o, forse,
ricusandola. In sostanza, essi parlano una lingua che non è quella della loro
reale civiltà» (Gasparini 1973).
Secondo Gasparini, se le lingue slave
appartengono alla famiglia indoeuropea, non è altrettanto certo che i
popoli slavòfoni provengano dal medesimo ceppo. L'ipotesi non è irragionevole,
anzi, vi sono dei casi storicamente documentati di popolazioni non slave che in
seguito hanno adottato una lingua slava.
È il caso dei
Bulgari, che pur parlando una lingua slava meridionale, discendono da gruppi turanici e iranici che, intorno al VII
secolo, si stabilirono tra il Mar Nero e il Danubio. È dunque possibile che, nella ricerca di un'originaria
cultura e religione
proto-slava, sia necessario distaccarsi dal modello indoeuropeo e cercare attinenze con realtà affatto diverse. È una tesi che in passato è stata
abbracciata da molti studiosi, i quali hanno messo in parallelo – spesso con
successo – molti elementi
della mitologia slava con dati tratti dalle mitologie ugrica, finnica, turanica
e altaica.
L'ipotesi di Gasparini è provocatoria, tesa
probabilmente a frantumare i pregiudizi dei più gelosi indoeuropeisti. Così,
prima di procedere nel nostro studio sulla mitologia slava, se vogliamo capire
da quali direzioni gli Slavi trassero gli elementi della loro cultura,
religione, e mitologia, bisognerà cercare – per quanto possibile – di
ricostruire la loro protostoria e di capire quali ambienti e quali popoli
esercitarono su di loro gli influssi più profondi e duraturi.
L'Ur-Heimat degli Slavi, prima del loro irrompere nella storia, sembra fosse localizzata in una regione compresa
grosso modo tra il Dnepr, il Dnestr e la Vistola. Da questi territori
ancestrali, essi si sarebbero poi espansi improvvisamente, tra il V e il VI
secolo, lungo tre direttrici: a nord, verso il Baltico e i grandi laghi della
Russia settentrionale; ad est, verso la Polonia; ed a sud, verso la penisola balcanica, occupando in poco tempo
quasi un terzo d'Europa.
Ma vediamo qual era la situazione etnica
nell'Europa orientale intorno al I sec. a.C., al tempo in cui l'Impero Romano
era al massimo del suo splendore, alcuni secoli prima che gli Slavi cominciassero la
loro espansione. Naturalmente non abbiamo dati precisi e quel che sappiamo
dobbiamo desumerlo dalle fonti storiche ed archeologiche.
In quest'epoca, le steppe a nord del Mar
Nero erano percorse da varie popolazioni nomadi che i Greci
accomunavano sotto il vago termine di «Sciti». Queste popolazioni parlavano lingue
iraniche e tutte insieme si stendevano negli aperti, immensi territori che dalle
porte del Caucaso arrivavano ad ovest fino alla puszta ungherese. I Greci
sapevano poi dell'esistenza, da qualche parte a nord dell'Ellesponto, risalendo
il fiume Boristene [il Dnepr], di «Sciti» che coltivavano la terra. Afferma Erodoto:
Muovendo dal porto dei
Boristeniti (è questo infatti che occupa il
punto centrale della regione costiera di
tutta la Scizia), a partire da questo, si
incontrano per primi i Callipidi, che sono
sono Greco-Sciti, ed a nord di questi un
altro popolo, gli Alizoni. Questi ultimi,
come anche i Callipidi, praticano le stesse
usanze degli Sciti, ma seminano grano,
cipolle, aglio, lenticchie e miglio, e se ne
cibano. Oltre gli Alizoni vivono gli Sciti
aratori, che seminano il grano pure loro, ma
non per cibarsene, bensì per venderlo; oltre
gli Sciti aratori si trovano i Neuri; a nord
dei Neuri, per quanto ne sappiamo, non ci
vive uomo. Sono queste le
popolazioni stanziate lungo il fiume Ipani,
a occidente del Boristene. |
Attraversato il Boristene, la
prima regione che si incontra, partendo dal
mare, è l'Ilea; dopo di questa, procedendo
verso l'interno, sono stanziati gli Sciti
agricoltori, che i Greci residenti sul fiume Ipani chiamano
Boristeniti (mentre a sé stessi danno il
nome di Olbiopoliti). Questi Sciti
agricoltori abitano un territorio che si
estende verso oriente per tre giorni di cammino
fino al fiume chiamato Panticape, e verso
settentrione per undici giorni di navigazione,
risalendo il Boristene. A settentrione di
questi popoli c'è una vasta zona deserta [...]. Al di là di questa ormai è
deserto pieno e, per quanto ne sappiamo, non vi è stanziato nessun popolo. |
Erodoto:
Storie
[IV: 17-18] |
Gli antenati degli Slavi sarebbero
probabilmente da
identificare con una di queste popolazioni di «Sciti coltivatori» stanziati lungo il
Dnepr. Erodoto non è molto preciso riguardo i dati geografici di queste regioni:
il fiume che chiama Ipani corrisponde all'odierno Bug; gli Alizoni
potrebbero essere identificati con qualche tribù protoslava. Sono probabilmente protoslavi anche i cosiddetti
«Boristeniti» stanziati lungo il fiume Panticape, che è un
affluente di sinistra del Dnepr non facile da identificare. In questo vasto territorio,
vagamente compreso tra l'Ucraina occidentale e la Polonia sudorientale, abitavano
dunque gli antenati degli Slavi nei primi secoli avanti Cristo. Gli antenati dei Balti
erano stanziati più a nord,
in una vasta regione che dalla
costa baltica penetrava profondamente nell'odierna Bielorussia.
|
L'ora del castigo |
Illustrazione di Andrej Klimenko (1956-) |
MUSEO: [Klimenko]► |
I progenitori comuni di Balti e Slavi erano presumibilmente giunti nei
territori sopra delineati provenendo da sud-est. Difficile dire se i due rami,
slavo e baltico, si fossero separati prima o dopo il loro arrivo in Europa. È possibile che, in un tempo remoto, i loro antenati abbiano condiviso le sorti
dei popoli nomadi della steppa, quei non ben definiti «Sciti» che l'esperienza
greca collocava a nord del Mar Nero. Se si
potesse risalire ancora più indietro nel tempo si vedrebbero probabilmente i
progenitori di tutti questi popoli – il gruppo satǝm
della famiglia indoeuropea, forse una diramazione della cultura Kurgan – originarsi da qualche parte
nelle steppe ad est del Dnepr. Un ramo, i futuri Indoiranici, si sarebbero sparsi in tutta
la fascia a nord del Mar Nero, con importanti migrazioni verso l'Irān e l'India.
Un altro ramo si sarebbe attestato a sud del Caucaso, per originare il futuro
popolo degli Armeni. Un terzo ramo, i futuri Baltoslavi, si sarebbero diretti
verso l'Europa centrale, attestandosi ad est del territorio occupato dai
Germani.
Nella loro espansione verso nord, i Balti prima e
gli Slavi poi, trovarono un immenso territorio popolato da genti di lingua
ugrofinnica, giunte da oriente in tempi preistorici, la cui religione si basava
sullo sciamanesimo e sul patto animale. È difficile dire quanto furono antichi e
quanto profondi i rapporti tra Baltoslavi e Ugrofinni. Probabilmente i Baltoslavi
cominciarono a premere sui vasti territori degli Ugrofinni fin
dal loro arrivo in Europa centrale, e la loro lenta e costante
infiltrazione fu favorita dalla bassa densità delle popolazioni boreali.
È ragionevole presumere che, colonizzando la regione della tajga,
Slavi e Balti abbiano assunto molti tratti culturali di coloro che vi
abitavano da secoli, non esclusi elementi religiosi e mitologici.
Fu sicuramente questo il crogiolo culturale da cui
emersero gli Slavi e non c'è da stupirsi se
essi mostrino una natura composita. Parlano una lingua indoeuropea, la cui
terminologia religiosa sembra provenire dal fondo iranico: è un tratto
originario o il risultato di un tardo influsso scito-sarmatico? Probabilmente entrambe le
cose: questi popoli avevano un'eredità comune e la lunga vicinanza deve aver contribuito a uniformare molti elementi linguistici e religiosi.
Per altri tratti
della cultura materiale, gli Slavi sembrano debitori dei popoli ugrofinni.
Anche qui non c'è da stupirsi, visto che, diffondendosi nei territori abitati dagli Ugrofinni,
gli Slavi hanno potuto assorbire alcuni
elementi della loro cultura. Stessa origine hanno probabilmente certe figure
della mitologia slava, alcune classi di spiriti naturali che sembrano riportare al mondo dello sciamanesimo
siberiano.
Concludendo, la mitologia slava è di sicuro
impianto indoeuropeo, con strette affinità al mondo baltico e iranico.
Questo senza ignorare influssi di origine ugrofinnica, di cui troveremo
agevolmente i modelli tra i Finni nel nord o tra alcuni popoli uralici, come i Voguli
e
gli Ostjaki. Aggiungiamo pure che, nel corso della loro grande espansione, nei
secoli V e VI, in cui dai territori di origine essi arrivarono a coprire quasi
un terzo dell'Europa, furono molti i popoli con cui gli Slavi vennero a contatto. I più
importanti dal punto di vista culturale furono i Greci, che trasmisero al mondo
slavo la scrittura e la religione ortodossa. Anche gli invasori variaghi, di origine
scandinava e ceppo germanico, non mancarono di
influenzare – ma è difficile stabilire fino a che punto – le credenze degli
slavi pagani.
Al novero di popoli con cui gli Slavi
interagirono nel corso della loro storia,
bisogna ancora aggiungere i popoli turchici,
genti di origine altaica le cui invasioni, che si sarebbero successe da oriente a occidente
per più di un millennio, interessarono profondamente la cultura russa. L'avanguardia
delle invasioni turaniche, nel IV secolo, era costituita dagli Unni e fu proprio del
vuoto che questi lasciarono in Europa
orientale che gli Slavi approfittarono nella
loro prima espansione. Per tutta la loro storia,
gli Slavi orientali subirono i contraccolpi
di invasori provenienti
dall'Asia centrale, quali i Pečenegi, i Klobuki, i Polovcy fino ai Mongoli, la cui tempesta si abbatté
sulla Russia nella prima metà del XIII secolo. Buona parte della letteratura
epica russa, dallo
Slovo o
pŭlku Igorevě
alle byliny,
si incentra sul motivo della difesa della
Santa Rus' contro gli invasori nomadi delle
steppe. Senza dubbio molti elementi di
origine turanica o altaica finirono con
l'essere conglobati nell'epica russa.
Difficile però stabilire quanto
profondamente questa presenza turanica
abbia influenzato la poesia epica degli
Slavi orientali: al riguardo gli studiosi
hanno opinioni contrastanti, tra chi difende
la «purezza russa» della letteratura epica a
chi ritiene che essa sia sorta in ambienti
profondamente influenzati dalla cultura
turanica. Come sia, sembra comunque certo che gli elementi turanici e altaici
non appartengono al più antico strato
mitologico slavo. |
II - TRE FASI NEL PAGANESIMO SLAVO?
Che l'antico paganesimo slavo abbia attraversato uno sviluppo
nel tempo, passando un certo numero di fasi, lo si evince
unicamente da un passo di un testo ecclesiastico, lo
Slovo sv. Grigorija ob idolach
o «Sermone di San Gregorio sugli idoli»,
dove si dice:
...Da
cui impararono gli Elleni
a compiere sacrifici ad Artemid
e Artemide,
cioè a Rodŭ e alle
rožanicy, così anche gli Egiziani e anche i
Romani. Così, dunque, anche agli Slavi è giunto questo racconto. E questi iniziarono a compiere sacrifici a
Rodŭ e
alle
rožanizy prima di
Perunŭ, loro dio, e prima di
questo facevano sacrifici agli
upyri
e alle
beregyni... |
Slova i poučenija
>
Slovo sv. Grigorija ob idolach |
|
Un idolo russo |
Illustrazione di autore sconosciuto |
Questo brano sembra individuare tre fasi nel
paganesimo russo:
- il culto degli upyri e delle
beregyni;
- il culto di Rodŭ e
delle rožanicy;
- il culto di
Perunŭ e delle altre
divinità.
Sembra di capire
– interpretando il brano – che la prima fase sia l'unica autoctona presso gli Slavi.
Il testo dello
Slovo sv. Grigorija ob idolach ci informa
che il successivo culto di
Rodŭ e
delle rožanicy sia di origine greca, una sorta di interprætatio
slava delle divinità elleniche Artemid [sic] e
Artemide. Si potrebbe dunque presumere che gli Slavi
abbiano desunto questi tratti nel periodo
della loro migrazione nella penisola balcanica, quindi tra il V e il VI secolo.
E dunque, seguendo questa linea interpretativa dello slovo, il culto di
Perunŭ
e degli altri dèi si sarebbe sviluppato soltanto intorno al VII-VIII secolo,
all'epoca dei Variaghi.
Si potrebbe qui riandare a certe
concezioni, diffuse negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, da studiosi
tedeschi come Erwin Winecke e Leonard Franz. Costoro sostenevano che, a causa
della loro inferiorità razziale, gli Slavi originari fossero stati incapaci di
«sollevarsi» al di sopra di qualche vaga forma di animismo o culto della natura;
e che, se intorno all'VIII secolo essi avevano un pantheon organizzato sul tipo
di quello classico e germanico, era solo grazie all'influenza dei dominatori Variaghi,
di origine germanica.
Queste concezioni non sono mai state del tutto abbandonate.
Anche se la polemica ideologica è caduta, molti studiosi continuano a sostenere
uno sviluppo della religione slava da quella germanica (Boyer
1989). E il modello dello sviluppo in tre fasi del paganesimo slavo era
ancora sostenuta, in tempi recenti, da uno studioso del calibro Boris Rybakov
(Rybakov 1987). Al contrario, la
maggioranza degli slavisti nega la validità di tale ipotesi.
La prima domanda da porci, naturalmente, è se lo
Slovo sv. Grigorija ob idolach possa essere un
testo affidabile ai fini di un'effettiva ricostruzione dello sviluppo
dell'antica religione slava. Alla base del testo vi sono i sermoni di San
Gregorio di Nazianzo, pronunciati tra il Natale del
308 e l'Epifania del 381 (o tra il 379-380). Diffusisi da Bisanzio nel mondo slavo subito
dopo l'evangelizzazione cristiana, tali
sermoni si prestavano ad essere
adoperati in senso anti-pagano e per tale
ragione attirarono subito l'interesse degli
evangelizzatori slavi. Vennero tradotti – o
piuttosto rielaborati in chiave slava – nel periodo tra l'XI
e il XII secolo. Le parti relative alle
divinità slave sembra fossero interpolate in epoca
ancora più tarda. I riferimenti alle divinità
classiche presenti nel sermone greco subirono – quando non furono mal tradotti – una sorta di interprætatio slava
(Simi 2003). Aggiungiamo che l'intento del testo
non era informativo ma polemico: il suo traduttore-interprete non intendeva
tanto darci una visione dell'antica religione slava, quanto denigrarla al fine
di combattere il paganesimo e favorire l'evangelizzazione. Le informazioni dello
slovo vanno dunque lette in controluce e accolte con prudenza.
D'altro canto, il traduttore-interprete del
Slovo sv. Grigorija era assai più vicino di noi al mondo del paganesimo slavo,
di cui sicuramente aveva esperienza diretta. Molte informazioni sono certamente
attendibili. Ad esempio, è sicuro che la credenza negli upyri e nelle
vily sia molto antica, visto che
queste creature soprannaturali sono conosciute presso tutti i popoli slavi,
essendo attestate nel folklore tanto russo quanto bulgaro e jugoslavo. Stessa
cosa si può dire per le rožanicy,
attestate in Serbia col nome di rođanice.
Sicuramente le fasi 1 e 2 del paganesimo slavo, come afferma
lo slovo risalgono alle origini stesse dei popoli
slavi.
Ma il fatto che le fasi 1 e 2 siano molto antiche, non ci
autorizza a sostenere che siano tra loro in situazione diacronica. E sicuramente
non ci autorizza ad affermare che siano più antiche della fase 3.
Come vedremo quando tratteremo in dettaglio le varie divinità,
Perunŭ e gli altri dèi
del pantheon slavo
appartengono anch'essi al fondo comune indoeuropeo. È presumibile che
gli Slavi li conoscessero fin dall'epoca della loro etnogenesi. Sembra quindi ovvio che, anche nelle fasi più antiche della loro
storia, gli Slavi abbiano affiancato il culto degli
upyri e delle
beregyni,
a quello di
Rodŭ e
delle rožanicy, e
questi al culto di
Perunŭ e degli altri dèi.
Le tre fasi sarebbero dunque sincroniche e non diacroniche.
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