I - PRESENZA DI TROJANŬ NELLE FONTI ANTICHE
L'enigmatico nome di
Trojanŭ compare
per ben quattro volte nello
Slovo o
pŭlku Igorevě,
il «Cantare delle gesta di Igorĭ»:
...Рища
въ тропу
Трояню чресъ поля на горы. Пѣти
было пѣснь
Игореви, того внуку... |
...Riščа vŭ tropu Trojanju črеsŭ polja nа gory. Pěti
bylo pěsnĭ Igorеvi, togo vnuku… |
...Percorrendo il sentiero di
Trojanŭ,
attraverso i campi e verso le
montagne, così, intoneresti questo
canto per suo nipote
Igorĭ... |
Slovo o pŭlku Igorevě
[10] |
Были вѣчи Трояни,
минула лѣта Ярославля,
были плъци Олговы, Ольга Святьславличя. |
Byli věči Trojani, minulа lětа Jaroslаvlja, byli
plŭci Olgovy, Olĭgа Svjatĭslаvličja. |
Sono lontani i tempi di
Trojanŭ,
lontani gli anni di Jaroslavŭ:
ci furono le imprese di Olegŭ,
di Olegŭ
figlio di Svjatoslavŭ.
|
Slovo o pŭlku Igorevě
[36] |
Въстала обида въ силахъ
Дажь-Божа внука, вступила дѣвою
на землю Трояню |
Vŭstаlа obidа vŭ silаchŭ Dаžĭ-Božа vnukа, vstupilа
děvoju nа zеmlju Trojanju. |
Perché la
sconfitta si è levata sulle le schiere del
nipote di
Dažĭbogŭ;
come una fanciulla è sorta sulla terra di
Trojanŭ... |
Slovo o pŭlku Igorevě
[48] |
На седьмомъ вѣцѣ
Трояни връже Всеславъ жребій о дѣвицю
себѣ любу... |
Nа sеdĭmomŭ věcě Trojani vrŭžе Vsеslаvŭ žrеbǐj o
děvicju sеbě ljubu... |
Nella settima età di
Trojanŭ, gettò
Vseslavŭ le sorti per la fanciulla
che tanto desiderava... |
Slovo o pŭlku Igorevě
[84] |
Lo troviamo citato poi nella Choždenie bogorodicy po mukam,
la «Discesa
della Vergine all'Inferno», un apocrifo russo del XII secolo,
in cui la Vergine Maria, testimone dei tormenti infernali, intercede presso Dio
per ottenere un periodo annuale di sospensione delle pene per i dannati. Qui,
Trojanŭ è citato tra i falsi dèi,
causa della perdizione dei pagani, insieme a Chorsŭ,
Velesŭ e
Perunŭ,
|
II - TROJANŬ: LE
INTERPRETAZIONI
|
Tempo di Trojanŭ |
Illustrazione di Boris Michajlovič Ol'šanskij (1956-) |
MUSEO: [Ol'šanskij]► |
Enigmatica figura del
pantheon antico-russo, su
Trojanŭ
è stato scritto moltissimo e sono state avanzate le più diverse interpretazioni,
senza peraltro arrivare a una conclusione.
Nel
Slovo o pŭlku Igorevě
il nome del dio compare, lo abbiamo visto, ben quattro volte, spesso in contesti
che rimandano a un tempo avvertito come un passato ormai remoto, e sempre con un
senso di nostalgia più o meno pronunciato: «sentiero di Trojanŭ» [tropu Trojanju], «tempi di Trojanŭ» [věči Trojani], «terra di Trojanŭ» [zemlju Trojanju], «settima età di Trojanŭ» [sеdĭmomŭ
věcě Trojani].
Se la «Terra di Trojanŭ»
è probabilmente la Rusĭ, è evidente che i
«Tempi di Trojanŭ»
(Slovo o pŭlku Igorevě [36])
sono i bei tempi passati, quando lo stato era
prospero e vi era unità tra i prìncipi russi, e non contese e rivalità interne.
In quanto alla «settima età di
Trojanŭ» (Slovo o pŭlku Igorevě [84]), in
cui il principe-stregone
Vseslavŭ
Brjačislavovičŭ di Polockŭ
avrebbe compiuto le sue discutibili imprese, inutile dire che questa espressione
ha dato molto da pensare agli interpreti. Si tratta probabilmente di numeri
simbolici. Eridano Bazzarelli pensa che l'espressione indichi gli ultimi tempi
del paganesimo e traduce il passo
«nell'ultimo tempo di
Trojanŭ»
(Bazzarelli 1991).
L'interpretazione più semplice
potrebbe essere
quella di considerare
Trojanŭ come il simbolo, o l'eroe della
storia più remota della Rusĭ. È quanto pensa
Dmitrij Lichačëv che traduce zemlja Trojanju con «terra russa»
(Lichačëv 1982 | Bazzarelli 1991).
Ma
Trojanŭ è
probabilmente un dio slavo (quantunque di possibile origine scitica), il cui nome potrebbe
forse essere collegato con il numero tre [tri]. Si tratterebbe dunque di un dio con
tre teste o facce. Il pantheon slavo è ricco di figure divine policefale. Trojanŭ,
in particolare, forse corrisponderebbe al dio Triglavŭ
adorato dagli Slavi dell'isola di Rügen (Bazzarelli 1991).
Che
Trojanŭ
sia un dio, però, sembra attestato nalla Choždenie bogorodicy po mukam,
la «Discesa della Vergine all'Inferno», dove
Trojanŭ compare insieme
Perun,
Chors e
Veles,
e tutti sono detti essere dèmoni malvagi che la gente malvagia
avrebbe adorato come dèi. La semplice presenza del suo nome in una lista di nomi divini ci autorizza a
sostenere che Trojanŭ
sia stato in origine una vera e propria divinità, oppure un personaggio di
grande importanza nell'antica mitologia slava in seguito addirittura divinizzato
o comunque confuso con figure divine.
Un'altra teoria vuole la figura di
Trojanŭ derivata da quella dell'imperatore romano Traiano,
sotto il cui regno furono fondate città e spianate strade in Dacia e in Tracia e
che è ancora ricordato in numerose leggende e canti popolari in Romania,
Bulgaria e Serbia.
L'evoluzione fonetica [a]
> [o]
dovrebbe essere già avvenuta nell'antichità, prima che gli Slavi cominciassero
la loro espansione nei Balcani (Magdearu 2002). «Terra di
Trojanŭ» sarebbe dunque in questo caso la Russia sudoccidentale e
la Bessarabia, che conservano in molti toponimi il ricordo dell'imperatore
romano. Tuttavia,
anche se l'ipotesi di
Trojanŭ come dio slavo è la più
verosimile, non si può escludere l'ampliamento dell'immagine divina al ricordo
di Traiano (Bazzarelli 1991 | Campanile 1994).
Si noti che Traiano fu anche un nome di
persona nei Balcani. Un principe bulgaro (figlio dell'ultimo zar Ivan Vladislav
che ha regnato nel 1015-1018) si chiamava Traian.
Il nome Troian è ugualmente attestato dai macedo-romeni durante il XVI
secolo.
Tra le altre teorie proposte, alcuni vedono in
Trojanŭ
una personificazione di tradizioni e canti epici che riflettono la
guerra di Troia. Renato Poggioli, nella sua resa del canto igoriano, traduce
ogni volta il nome
Trojanŭ con
l'aggettivo «troiano», giustificando la
traduzione con una pretesa confusione tra i Polovesiani, che erano di origine
turca, i Teucri
dell'epica omerica
(Poggioli 1954).
Lo scrittore kazako Olžas
Sulejmenov ha proposto invece una lettura del Slovo o pŭlku Igorevě
che elimina completamente il nome di
Trojanŭ, in quanto questo non sarebbe altro
che una contrazione del toponimo Tmutorokanĭ (Sulejmenov 1975).
L'ipotesi, seppur interessante, è però giudicata troppo ardita
(Bazzarelli 1991).
|
III - UN
IMPERATORE ROMANO NELLA MITOLOGIA DEL SUD-EST EUROPEO?
Sulla presenza di Traiano nel folklore del sud-est
europeo ha dedicato un fitto studio il romeno Alexandru Madgearu. Quanto segue
riassume i dati da lui forniti, le sue analisi e le sue conclusioni (Magdearu 2002).
|
Marco Ulpio Nerva Traiano |
Statua dell'imperatore nel Foro Traiano, Roma |
La mitologia medievale ha
fatto dell'imperatore romano Marco Ulpio Nerva Traiano (♔
98-117) un eroe leggendario, in Occidente
come in Oriente. Tale evoluzione, cominciata dalla stessa propaganda imperiale
romana,
che assimilò l'imperatore a eroi storici e mitici quali Ercole o Alessandro il Grande, trasformò Traiano in una sorta di eroe civilizzatore. La
funzione principale del monarca ellenistico e romano era quella di ktístēs
o conditor, di costruttore. Da qui questo modello ideale dell'imperatore
quale eroe conquistatore [philostratiṓtēs]
e fondatore [philópolis], su cui si basa la mitologia dell'attività costruttiva di Traiano,
diffusa nel sud-est europeo.
Il ciclo di leggende
che si sviluppò, riguardo a Traiano, nell'Occidente latino rivelò inizialmente
lo spirito di giustizia dell'imperatore (una fu inserita anche nel
Purgatorio di Dante).
Durante i secoli VIII e IX fu diffusa la leggenda secondo la quale Papa
Gregorio Magno avrebbe pregato Dio per la redenzione dell'anima di Traiano,
unico pagano che abbia ricevuto un tal favore (Watley 1984). La letteratura bizantina ha consegnato altre leggende che parlano della
giustizia di Traiano.
Nelle tradizioni
del sud-est europeo l'immagine di Traiano si caratterizzò sul fatto reale che l'imperatore fu anche un grande
costruttore. Diverse città e fortificazioni, molte vie e alcuni ponti, dalla
Romania alla Penisola Balcanica, furono erette durante il regno di Traiano, e
molte portano ancora oggi il suo nome.
Le città di Tropaeum
Traiani e Augusta Traiana furono erette durante il suo regno. Lo stesso dicasi
del famoso ponte di Drobeta sul Danubio. Un passo e una città, lungo la via tra
Oescus e Philippopolis, nell'attuale Bulgaria, si chiamano ancora oggi chiamano
Trojan.
L'importante via romana, usata anche nel Medio Evo, che collegava Singidunum [Belgrado] e Costantinopoli è nominata
Trojanov put dai bulgari e Trajan jol dai turchi. Questa via passava per una gola presso Ihtiman, dove esisteva la fortificazione romana
chiamata Trojanova Vratsa «porta di Traiano»,
nome che ha continuato ad essere usato anche dopo la
distruzione della fortificazione stessa. Sulla stessa via, accanto a Tatar-Pazarcik, il
ponte che attraversa il fiume Topolnica è chiamato Trojanov most «ponte di Traiano». Le rovine di Hissar,
a nord di Plovdiv, portano il nome di Trojanov-grad. Altre rovine e vie chiamate col nome di
Trojan sono
attestate a Lomeč, Razgrad e vicino Sofia.
Due città chiamate Trojanovgrad e Trojanskigrad sono attestate in
Serbia. A Mostar, in Bosnia, un ponte è considerato opera di Traiano. Anche in
Croazia, le rovine della città romana di Burnum [Ivoševci] sono chiamate
Trojanski-grad.
Secondo Procopio di Caesarea, una fortificazione dei Monti Rodopi era
chiamata nel VI secolo toû hagíou Traianoû (Degli Edifici [IV: 11]),
anche se non è sicuro se
il nome si riferisca all'imperatore o a un santo che sarebbe vissuto in
Macedonia nel quarto secolo (Graf 1883).
Alla
fine la tradizione popolare finiva per attribuire a Traiano quasi ogni antica costruzione monumentale,
tanto che a lui vennero attribuite quasi tutte le vestigia romane diffuse
lungo la valle del Danubio.
La cosa curiosa è che, mentre nella
tradizione occidentale e bizantina Traiano è un imperatore dalla virtù
esemplare, nelle leggende slave e balcaniche compare come un
personaggio affatto diverso, dai tratti titanici e demoniaci. Già
nell'Ottocento, lo scrittore e storico romeno Bogdan Petriceicu Hasdeu,
osservava come gli Slavi avessero trasformato l'Optimus
Princeps in un personaggio malvagio (Hasdeu 1973);
e Louis Léger puntualizza che nella tradizione popolare le rovine attribuite a Traiano
erano popolate
da dèmoni e lemuri (Léger 1897).
Secondo certe
tradizioni bulgare, serbe e macedoni, Traiano aveva orecchie di becco o di
asino, come il re Mídas della leggenda greca. Ne ebbe sentore anche lo scrittore
bizantino Iōánnēs Tzétzēs (XII secolo), che scrisse: «si dice che Traiano
avesse avuto un orecchio di caprone, un fatto che io non ho trovato nei libri» (Ho
bíblos historíôn).
Nel 1433 il viaggiatore Bertrandon de la Broquière riferisce una leggenda secondo
la quale la città di Traianopolis fu fondata da un imperatore «che aveva, come
dicono i greci, un orecchio di ariete»
(Léger 1897).
È possibile che questa tradizione sia sorta per accostamento paraetimologico tra
il nome Traiano e la parola greca trágos «caprone».
Secondo una leggenda bosniaca, nella cittadella di Trojanovgrad, vicino
al fiume di Sava, regnava nei tempi passati uno zar Trojan, descritto
come un tricefalo (in serbo troje significa
«tre») che ogni notte andava dalla sua amante a Sirmium
[Mitrovica].
Non sopportando la luce del sole, egli fu annientato quando ritornò troppo tardi a casa
(Léger 1897).
La narrazione assomiglia a certe leggende romene sul cosiddetto
Domnul
de Rouă, il «principe della rugiada» (Magdearu 2002).
Bulgari e Serbi ereditarono probabilmente le
tradizioni su Traiano dai Daci romanizzati della regione nord-danubiana. La
documentazione romena è vastissima. Le leggende e le fiabe popolari romene
tramandano una ricca tradizione
riguardo la figura di Traiano, di cui lo studio di Madgearu è costretto
necessariamente a scegliere solo alcuni degli aspetti più interessanti.
Nelle leggende
romene, l'imperatore Traiano,
che qui assume il nome di Trăian o
Troian, compare come un
personaggio puramente mitico, una sorta di grande condottiero ed eroe dei tempi
passati, vincitore di draghi e giganti; si diceva cavalcasse un destriero con gli zoccoli grandi come la testa e ferri di cavallo
d'argento, capace di varcare il Danubio con un balzo, tant'è vero che si usava
indicare il segno degli zoccoli sulle rive del fiume. In un
primo ciclo di leggende, raccolte nelle regioni di Brăila, Galați, Neamț
ed Argeș, a Trăian viene attribuita la
distruzione di una razza di giganti che, agli albori del tempo,
infestavano il mondo. Tali giganti erano descritti come esseri la cui statura
non era meno poderosa della loro malvagità, legati agli elementi naturali e
all'antico mondo pagano. Sconfiggendo il popolo titanico, Trăian
inaugurò l'età degli uomini.
(Magdearu 2002)
Alcune varianti
ricordano come Trăian vinse non i giganti, ma i
tartari, i cinocefali o
altre popolazioni pagane. Per citare alcune tradizioni orali raccolte nel
territorio romeno: «Gli
anziani sanno che qui abitavano i cinocefali, i tartari e i giganti e che
l'imperatore Trăian
li ha vinti e li ha cacciati via» (regione di
Neamț);
«Trăian ha cacciato via gli uomini
cattivi da tutto il paese ed anche i tartari» (regione di
Vâlcea).
Molto interessante è una testimonianza secondo la quale
Trăian
lottò contro i tartari: «I soldati di
Trăian
avevano cavalli con ferri messi al contrario per ingannare i nemici
sulla loro direzione» (regione
di Prahova).
Questo motivo dei ferri messi al contrario è tipico delle leggende su
Negru
Vodă, il semi-mitico nazionale di Valacchia, che trattano anche esse delle lotte
contro i tartari. È evidente che le tradizioni di
Trăian e Negru
Vodă derivano da qualche archetipo comune. D'altra parte la
mitologia popolare li dipinge entrambi come eroi fondatori del territorio.
(Magdearu 2002).
|
Iovan Iorgovan |
Scultura su legno di Romul Ladea (1901-1970)
Muzeul Național de Artă, Cluj-napoca (Romania) |
Altre leggende romene palesano aspetti
particolari dell'immagine di Traiano. Per esempio, quella raccolta da Constantin Rădulescu-Codin
all'inizio del XX secolo nella regione di Mehedinți: Trăian
lottò con un drago che lasciò nella terra una grande traccia, chiamata Brazda lui Trăian. L'eroe
riuscì a mozzare la testa del drago, ma
dalla testa uscirono fuori certe mosche, chiamate in romeno mustele columbace, che
presero a infestare le mandrie di bestiame facendo morire le bestie
(Rădulescu-Codin 1910). Questa leggenda può essere fatta derivare
dal ciclo degli eroi romeni Novac e
Iovan Iorgovan, i quali pure combatterono contro un
drago. Novac e
Iovan Iorgovan
erano eroi civilizzatori. A loro venne anche attribuita la vittoria sui giganti
o sui tartari. Inoltre, secondo le tradizioni, l'invenzione dell'agricoltura è prima di tutto l'opera di
Novac
il quale, scavando fossati, insegnò agli uomini come arare e dissodare i campi
(Fochi 1982). Tuttavia, benché
Trăian fosse considerato l'autore di vari fossati in tutta la
Romania, sembra non abbia ricevuto caratteristiche di primo agricoltore se non
nelle rielaborazioni letterarie ottocentesche dei canti popolari.
In un altro ciclo di
leggende romene,
Trăian fu
colpevole d'incesto. Secondo una leggenda attestata nelle regioni di Gorj, Mehedinți
e Vâlcea, Trăian sposò sua figlia: questo gli permise di costruire un
ponte attraverso il Danubio. Ma dopo la costruzione, la fanciulla si gettò nel
fiume. D'altronde, esistono anche tradizioni
romene dove Trăian è un personaggio demoniaco.
Nelle regioni vicine al Danubio si può
ammettere un'influenza bulgara, nelle regioni vicine al Danubio, come in una
leggenda raccolta nella regione di Teleorman, dove Trăian è descritto come una sorta di tiranno malvagio, i cui talloni emettevano fumo. Egli
fece lastricare di mattoni una lunga strada e le donne incinte trasportavano
anche loro tre mattoni per il bimbo che portavano in grembo. Questa via è quella
che si chiama ancora oggi Drumul lui Trăian (è il Limes Transalutanus
romano). (Magdearu 2002)
|
IV - POSSIBILE
CONCLUSIONE
Da questi dati sembra possibile
che, nello sviluppo del folklore romeno, la figura dell'imperatore Traiano dovette sovrapporsi a quella di qualche eroe locale,
il quale probabilmente affondava le sue radici nell'antica tradizione dacia.
Pochissimo sappiamo della mitologia dei Daci, se non che anch'essa traeva
la sua origine dal comune fondo indoeuropeo. È assai poco per decifrare i pochi
nomi che sono stati tramandati e per comprendere la natura degli antichi eroi
che intravediamo in controluce attraverso i canti popolari romeni.
È un po' anche questo il
caso di Trăian. Com'è
noto, certi personaggi storici che colpiscono l'immaginazione popolare tendono,
col tempo, ad attrarre su di sé motivi mitici preesistenti, fino a divenire il
nucleo di importanti cicli epici. Possiamo ricordare i racconti medievali su
Alessandro il Grande, nei quali confluirono addirittura miti e tradizioni le cui
prime formulazioni ci arrivano addirittura dal Gilgameš; oppure la figura
storica alla base del mito Arthur, qualche
oscuro condottiero britanno-romano che ottenne qualche vittoria contro gli invasori
sassoni, ma che, nella rielaborazione epica, finì per attrarre su di sé una
serie enorme di elementi originariamente indipendenti (la spada nella roccia,
Myrddin/Merlino, la tavola rotonda, il
Sangrail, etc.) fino a divenire il fulcro di un
immenso ciclo leggendario.
Difficile capire quale fosse l'antico personaggio mitico che fu messo in ombra
dall'imperatore Traiano. Forse una sorta di Hēraklês o
Θraētaōna dacio, che
sgombrò la terra da giganti e mostri, inaugurando una nuova età del mondo. Questo
potrebbe forse spiegare certe espressioni presenti nel Slovo o pŭlku Igorevě,
quali «Sentiero di Trojanŭ», «Tempi di
Trojanŭ», «Terra di Trojanŭ», «Settima età di
Trojanŭ».
Un rimando a un tempo primordiale in cui si stava appunto elaborando il
passaggio da un'età dominata dai titani al mondo presente, il tempo degli esseri
umani.
Ma è davvero così? Impossibile dirlo.
Rimane il fascino di una bella ipotesi.
|
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