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ANTICA SAPIENZA TEDESCA

MŪSPILLI

L'INCENDIO UNIVERSALE

Titolo

[Mūspilli]

Genere Poema escatologico
Lingua Antico alto tedesco
Epoca
Composizione:   ±850-870

Segnatura

Bayerische Staatsbibliothek. BSB Clm 14098, ff 61, 119, 120, 121

ANTICA SAPIENZA TEDESCA
MŪSPILLI
L'INCENDIO UNIVERSALE

La poesia germanico-cristiana e il Mūspilli

Benché avara di documenti pagani, la letteratura in antico alto tedesco produsse, intorno al IX secolo, una poesia d'ispirazione e contenuto cristiani. Sembra caratteristico dell'indole del popolo tedesco che i più antichi documenti letterari di questo tipo trattino argomenti metafisici come l'origine e la fine del mondo. Senza dubbio, a tali quesiti aveva già dato una risposta l'antica mitologia germanica: il trapasso al cristianesimo pare, in molti casi, ereditare motivi e immagini della poesia pagana. Se della creazione tratta la Wessobrunnen Gebet, la fine del mondo è l'argomento di un poemetto in dialetto bavarese conosciuto come Mūspilli. In poco più di cento versi, il Mūspilli tratta con robusto e vivido vigore temi escatologici: attingendo alla Apokálypsis ma anche, forse, ad antichi motivi pagani; narra del destino dell'anima dopo la morte, della lotta tra Elia e l'Anticristo, dell'incendio del mondo, della resurrezione dei morti e del giudizio universale.

Il manoscritto

Il Mūspilli è stato trascritto sui margini e sulle pagine bianche (fogli 61, 119, 120, 121) di un manoscritto latino contenente il Sermo sancti Augustini de symbolo contra Iudæos, donato, come si rileva dalla dedica, da Adalram, arcivescovo di Salzburg (821-836), a  Ludovicus II Germanicus, re di Baviera, che vi s'insediò nell'825. Da ciò si desume che il dono dovette essere offerto tra l'825 e l'836, ma tali dati non sono indicativi per la determinazione dell'epoca della trascrizione del poema sulle pagine del manoscritto, giacché essa poté essere stata fatta sia prima che dopo tali date. L'inizio e la conclusione del poema, probabilmente appuntati nella parte interna della rilegatura, sono andate perdute insieme a questa.

Il poemetto fu riscoperto nel 1817 da Johann Andreas Smeller, che lo pubblicò nel 1832. Dato che il poemetto non aveva un titolo, Smeller lo intitolò opportunamente Mūspilli, un'antica parola citata nel testo col significato di «fine del mondo, incendio universale». In quanto all'autore, è sconosciuto. Lo stesso Smeller riteneva, senza alcun fondamento, che potesse trattarsi dello stesso Ludovico.

Il manoscritto è oggi custodito nella Bayerische Staatsbibliothek («Biblioteca Statale Bavarese»), con segnatura Codex Lat. Monac. (clm) 14098.

Pagina del Sermo sancti Augustini de symbolo contra Iudæos con la trascrizione del Mūspilli.
Bayerische Staatsbibliothek, BSB clm. 14098, ff. 119v, 120r.

Il contenuto

Il Mūspilli rassomiglia, nella disposizioni delle sue tre parti, a un trittico. Nel quadro iniziale, l'anima umana, strappata dal corpo, nuda e sola, che assiste sgomenta alla lotta tra angeli e dèmoni, dai quali dipende il suo eterno destino [1-59]. Segue una breve sequenza in cui si prelude al giudizio universale [60-71]. Nel quadro centrale, la possente battaglia di Elias con l'Anticristo, a cui segue la fine del mondo: dal sangue del profeta si sprigionano fiamme che divorano tutto quanto è sulla terra e nel cielo. Quando arderanno i monti e nessun albero rimarrà in piedi, quando le sorgenti si inaridiranno e il mare si prosciugherà, quando il cielo andrà in fiamme, la luna precipiterà e il mondo sarà inghiottito dal fuoco, dove saranno allora i confini per i quali i fratelli hanno combattuto contro i fratelli? [72-123]. Il terzo quadro inizia preludendo al giudizio particolare delle anime. Il giudice, che qui in terra per vile guadagno conculca la legge, non sa che al suo fianco sta il demonio, invisibile, a spiarlo: esso pesa ogni sua sentenza e un giorno lo accuserà davanti al trono dell'Eterno [124-143]. Segue, il giudizio universale, annunciato dal suono non già delle trombe ma dei corni: i morti risorgono e le anime si ricongiungono ai corpi. Il Giudice supremo, in mezzo a una gran moltitudine di angeli, giudica gli uomini uno a uno. Invano il dannato spera nella misericordia divina, ma il suo nome è cancellato dalla memoria del Re dei cieli. Nel giorno dell'ira ogni singolo membro del corpo umano testimonia contro di lui, e l'inganno e la menzogna nulla potranno nascondere all'occhio di Dio. Solo chi ha condotto la vita tra digiuni, mortificazioni ed elemosine potrà sperare di avere la pietà del Signore [144-200]. Il poema termina con un frammento, mutilo, in cui compare la Croce [201-208].

Con i suoi accenni vividi e infiammati, il poema intendeva scuotere l'animo dei fedeli col terrore dei Novissimi. Negli anni in cui i nipoti di Carolus Magnus insorgevano contro il padre e si contendevano brani dell'impero carolingio, i versi dell'ignoto poeta dovevano risuonare come un ultimo disperato appello alla concordia e alla pace. Centro del poema è il dramma della coscienza umana, posta al paragone di una legge inequivocabile ed eterna, qui espressa per la prima volta nella poesia germanica, in tutta la sua tremenda verità. Ad essere in gioco non è il più il destino degli eroi, ma la tragedia personale di ogni singolo uomo. (Grünanger 1967)

   

L'estremo giudizio ( <1473)

Trittico di Hans Memling (1433/1440-1494). Cattedrale di Gdańsk (Polonia).

Il titolo: Mūspilli

Il titolo originale del poemetto è sconosciuto. Il titolo Mūspilli gli fu assegnato dal suo scopritore e primo editore, Johann Andreas Smeller, che lo pubblicò nel 1832. Questa suggestiva parola l'autore l'aveva tratta da uno dei versi del poema, nel quale si tratta dell'incendio universale che distrugge il mondo:

Hdar ni mac denne mak andremo
helfan vora demo muspille.

Allora nessun parente
potrà aiutare l'altro nel mūspilli.
Mūspilli [112-113]

Questo termine, mūspilli, è un hápax legomenon nella letteratura anticoaltotedesca, ma ricorre in sassone, nel Hēliand, per ben due volte. La prima ricorrenza definisce esplicitamente il mūtspelli (o mūdspelli) come «la fine di questo mondo» [endi thesaro uueroldes].

Thot sculun sia her uuahsan forth
thia forgripanun gomon,
so samo so thia guodun man,
antthat mutspelles megin,
endi thesaro uueroldes,
obar man ferit.

Tuttavia gli uomini dannati
continueranno a vivere qui,
tal quale gli uomini buoni,
finché la potenza del mūtspelli,
la fine di questo mondo,
coglierà gli uomini.
Hēliand [2589-2592]

Nella seconda ricorrenza, il giorno di mūtspelli è detto «l'ultimo di questo mondo» [thie lezto theses liohtes] (il sassone lioht è letteralmente «luce», ma anche «vita» e «mondo»).

Mutspelli cumid
an thiustria naht,
all so thiof farit
darno mid is dadion,
so cumit thie dag mannon,
thie lezto theses liohtes,
so it err thesa liudi ni uuitun...

Il mūtspelli viene
nella cupa notte;
come il ladro procede
nascostamente nelle sue azioni,
così viene per gli uomini quel giorno,
l'ultimo di questo mondo,
senza che la gente lo sappia prima...
Hēliand [4358-4362]

Questo passo cita testualmente alcuni passi neotestamentari inerenti alla fine del mondo, dove l'arrivo dell'ultimo giorno è paragonato a un ladro che giunge inaspettato nel cuore della notte. Scrive san Paulus nella Prima lettera ai Tessalonicesi «Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore» (A' pros Thessalonikeís Epistolḗ [5: 1-2]); e san Petrus nella sua Seconda Lettera: «Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta» (Epistolḗ Pétrou B' [3: 10]). Entrambi i passi si riferiscono al detto evangelico in cui si profetizza la Parusia: «Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà» (Euaŋgélion katà Matthaîon [24: 43-44]; cfr. Euaŋgélion katà Loûkan [12: 39-40]). Sembra che il passo fosse piuttosto apprezzato nella poesia germanica, e anglosassone in particolare: ne troviamo un accenno anche in Cynewulf, Crīst [867-874].

Dunque, il temine mūspilli/mūtspelli indica la conflagrazione finale che distrugge l'universo nel fuoco [ekpyrosis]. È difficile dire se questo sia stato anche il significato originale del termine, o se nel corso del tempo sia slittato semanticamente fino ad assumere il presente significato nella letteratura germanico-cristiana.

Riguardo all'etimologia della parola, i filologi hanno avanzato molte ipotesi, a volte anche piuttosto diverse l'una dall'altra. Pare che l'etimologia di questo termine sia mista, derivando dal latino mundus «mondo» e dal norreno spilla «distruggere», ove la -n- di mundus sarebbe caduta in analogia agli infissi nasali dei temi verbali presenti, secondo un fenomeno comune sia al latino che all'antico nordico; cfr. norreno standa (pres.) → stóð (perf.) e latino tundo (pres.) → tutudi (perf.) (Gordon 1927). Il significato è dunque qualcosa come «fine dei tempi».

Ritroviamo questa radice, questa volta in un contesto pagano, nella letteratura sapienziale norrena, dove è presente in due composti: Múspellsheimr «mondo di Múspell» e Múspellsmegir (o Múspellssynir) «figli di Múspell». Alcuni esegeti hanno voluto vedervi un riferimento a qualcuno chiamato «Múspell», forse il nome di un gigante in una fase perduta della mitologia scandinava, o forse un epiteto dello stesso Surtr, il gigante al quale il mito attribuisce l'incendio dell'universo, quale «distruttore del mondo». In realtà nulla fa pensare che sia mai esistito un personaggio con tale nome. Anzi, il fatto che in Scandinavia il termine Múspell sia attestato perlopiù in composti e quasi mai in forma pura, fa pensare che esso sia stato importato dalla Germania in epoca recente, probabilmente non oltre il 900. In tal caso, perduta la valenza cristiana, il termine sarebbe stato assorbito nella letteratura escatologica pagana, a indicare l'incendio finale dell'universo destinato a concludere il Ragnarǫk.

La critica

I problemi sollevati dal poemetto anticoaltotedesco sono molteplici. Tra i più dibattuti, l'incerta ortografia, le reminescenze mitologiche, il rapporto di dipendenza dalla poesia sassone e anglosassone, la contrastata unità e la datazione della composizione. Le conclusioni della critica, non sempre concordi, tendono ad assegnare la composizione del poema alla seconda metà del IX sec. e a giustificare le differenze ortografiche attribuendole all'imperizia del copista.

Il Mūspilli presenta indubbie affinità con alcuni poemi sassoni d'impostazione cristiana quali l'Hēliand e il frammento sassone della Genesi, e ha rilevanti concordanze nella letteratura anglosassone con il Crīst di Cynewulf. Non è stato però possibile riconoscere un rapporto di dipendenza diretta tra i vari testi. Il Mūspilli d'altronde presenta una struttura omogenea: le digressioni e gli episodi intercalari non ne compromettono l'unità, assicurata dai mezzi metrici e sintattici comuni alla struttura del poema, il che fa pensare a una struttura unitaria.

Alcuni passi del poema sembrano altresì mostrare reminescenze della mitologia germanica. Ad esempio, la lotta tra Elias e l'Anticristo ha suscitato vivaci discussioni presso i filologi, che hanno voluto ravvisarvi l'elaborazione di qualche antico canto pagano. In questo caso, la memoria va naturalmente alla lotta tra il dio Þórr e il serpente Jǫrmungandr (Vǫluspá [56]). L'incendio suscitato dal sangue del profeta rimanderebbe inoltre alla deflagrazione che conclude il Ragnarǫk (Vǫluspá [57]).

Ma detto questo, non si può negare al Mūspilli un'ispirazione schiettamente cristiana. Gli elementi presenti nel poema attingono all'Apokálypsis e a vari passi scritturali, che il poeta rielabora fondendo a suo arbitrio elementi attinti a passi diversi delle sacre Scritture, e anche la lotta tra Elia e l'Anticristo appartiene alla tradizione cristiana medievale (Manganella 1965 | Grünanger 1967).

Genere e metro

Il Mūspilli è un poema escatologico in versi allitterativi, ciascuno dei quali diviso in due semiversi o emistichi. Detto questo, la scansione in versi del componimento non risulta sempre chiara, in quanto il testo originale è scritto di seguito, senza alcuna indicazione precisa dei capoversi o delle cesure interne. Questo un esempio dei primi cinque versi nel metro originale:

...sin tac piqueme      daz er touuan scal.
uuanta sar so sih diu sela      in den sind arhevit,
enti si den lihhamun      likkan lazzit,
so quimit ein heri      fona himilzungalon,
daz andar fona pehhe:      dar pagant siu umpi.

Quanto rimane del poema consiste, a seconda delle formalizzazioni operate dai filologi, di 103 o 105 versi. Nella nostra edizione, per motivi tipografici, abbiamo sciolto i versi lunghi riportando ogni volta a capo il secondo semiverso. La nostra numerazione è in funzione del criterio scelto in questa pagina e non è, dunque, quella usata nelle pubblicazioni critiche del Mūspilli.

La traduzione riportata è di Gemma Manganella, con piccole variazioni (Manganella 1965).

ANTICA SAPIENZA TEDESCA
MŪSPILLI
L'INCENDIO UNIVERSALE
         
       
Angeli e diavoli si contendono l'anima dell'uomo   ...sin tac piqueme
daz er touuan scal.
uuanta sar so sih diu sela
in den sind arhevit,
enti si den lihhamun
...giunga il giorno
che egli deve morire.
Poiché appena l'anima
si leva in viaggio
e il suo corpo
10 likkan lazzit,
so quimit ein heri
fona himilzungalon,
daz andar fona pehhe:
dar pagant siu umpi.
abbandona in terra,
un esercito viene
dal firmamento,
l'altro dalla pece:
ivi se la contendono.
 


 
Sorgen mac diu sela,
unzi diu suona arget,
za uuederemo herie
si gihalot uuerde.
uuanta ipu sia daz Satanazses
In ansia dovrà essere l'anima,
finché non sarà emessa la sentenza:
a quale delle due schiere
essa venga assegnata.
Perché se il seguito di Satanaz
 
  20 kisindi kiuuinnit,
daz leitit sia sar
dar iru leid uuirdit,
in fuir enti in finstri:
daz ist rehto virinlih ding.
la conquista,
questo la conduce subito
dove le toccherà dolore,
nel fuoco e nelle tenebre:
una cosa veramente terribile.
    upi sia avar kihalont die
die dar fona himile quemant,
enti si dero engilo
eigan uuirdit,
die pringent sia
Ma se la prendono
coloro che vengono dal cielo
e degli angeli
diventa possesso,
essi la portano subito su,
 
30 sar uf in himilo rihi:
dar ist lip ano tod
lioht ano finstri,
selida ano sorgun:
dar nist neoman siuh.
nel regno dei cieli:
là c'è vita senza morte,
luce senza tenebre,
beatitudine senza affanni:
là nessuno è infermo.
  denne der man in pardisu
pu kiuuinnit,
hus in himile,
dar quimit imo hilfa kinuok.
pidiu ist durft mihhil
Se l'uomo in paradiso
acquista seggio,
dimora in cielo,
gli perviene aiuto a sufficienza.
Perciò è assolutamente necessario
  40 allero manno uuelihemo,
daz in es sin muot kispane,
daz er kotes uuillun
kerno tuo
enti hella fuir
per tutti gli uomini
che l'animo li sproni
a fare di buon grado
la volontà di Dio
e il fuoco dell'inferno
    harto uuise,
pehhes pina:
dar piutit der Satanaz altist
heizzan lauc.
so mac huckan za diu,
tenacemente evitare,
il tormento della pece:
là offre l'inveterato Satanaz
fiamma ardente.
Dovrebbe perciò darsene pensiero,
  50 sorgen drato,
der sih suntigen uueiz.
uue demo in vinstri scal
sino virina stuen,
prinnan in pehhe:
preoccuparsene molto,
chi si sa peccatore.
Guai a chi nelle tenebre
deve espiare i suoi peccati,
ardere nella pece:
 



 

daz ist rehto paluuic dink,
daz der man haret ze gote
enti imo hilfa ni quimit.
uuanit sih kinada
diu uuenaga sela:
è una cosa proprio terribile
che l'uomo invochi Dio
e non gli venga alcun aiuto.
Spera per sé grazia
l'anima afflitta:
    ni ist in kihuctin
himiliskin gote,
uuanta hiar in uuerolti
after ni uuerkota.
non è nella mente
di Dio celeste,
giacché qui nel mondo
non agì conformemente.
 
         
Preludio al giudizio universale 60 So denne der mahtigo khuninc Allorché il possente re  
  daz mahal kipannit,
dara scal queman
chunno kilihaz:
denne ni kitar parno nohhein
den pan furisizzan,
indirà l'adunata,
dovranno accorrere
tutte le genti:
perché nessuno oserà
mancare all'appello,
  70 ni allero manno uuelih
ze demo mahale sculi.
dar scal er vora demo rihhe
az rahhu stantan,
pi daz er in uuerolti
eo
ma ognuno
dovrà andare al giudizio.
Là, davanti al sovrano,
dovrà rendere conto
di tutto ciò che nel mondo
    kiuuerkot hapeta. ha compiuto.  
         
Scontro tra Elia e l'Anticristo   Daz hortih rahhon
dia uueroltrehtuuison,
daz sculi der antichristo
mit Eliase pagan.
Questo sentii dire
da uomini esperti e saggi,
che dovrà l'Antichristo
battersi con Elias.
  80 der uuarch ist kiuuafanit,
denne uuirdit untar in uuic arhapan.
khenfun sint so kreftic,
diu kosa ist so mihhil.
Elias stritit
Il maligno è armato,
quindi ha inizio tra loro la pugna.
I duellanti sono tanto forti,
quanto importante è la causa.
Elias si batte
 
 

 
pi den euuigon lip,
uuili den rehtkernon
daz rihhi kistarkan:
pidiu scal imo helfan
der himiles kiuualtit.
per la vita eterna,
vuole assicurare
il regno ai giusti:
perciò lo aiuterà Colui
che ha il governo del cielo.

 

90 der antichristo
stet pi demo altfiante,
stet pi demo Satanase,
der inan varsenkan scal:
pidiu scal er in deru uuicsteti
L'Antichristo
sta dalla parte dell'antico nemico,
sta dalla parte di Satanaz,
che lo sprofonderà:
perciò cadrà ferito
    uunt pivallan
enti in demo sinde
sigalos uuerdan.
doh uuanit des vilo
[...]
gotmanno
sul campo di battaglia
e resterà sconfitto
sul posto.
Pure molti ritengono,
tra i servi di Dio,
    daz Elias in demo uuige
aruuartit uuerde.
che Elias sarà ferito
nel combattimento.
       
L'incendio universale 100 so daz Eliases pluot
in erda kitriufit,
so inprinnant die perga,
Quando il sangue di Elias
gronderà sulla terra,
si incendieranno i monti
    poum ni kistentit
enihc in erdu,
aha artruknent,
muor varsuuilhit sih,
suilizot lougiu der himil.
nessun albero resterà ritto
nella terra,
le acque si essiccheranno,
la palude si prosciugherà,
il cielo si dissolverà in fiamma,
 
    mano vallit,
prinnit mittilagart,
la luna cadrà,
brucerà la terra,
  110 sten ni kistentit.
verit denne stuatago in lant,
verit mit diu vuiru
non resterà ferma alcuna pietra;
verrà allora sulla terra il giorno del castigo,
verrà col fuoco
 
    viriho uuison:
dar ni mac denne mak andremo
helfan vora demo muspille.
a visitare gli uomini:
allora nessun parente
potrà aiutare l'altro nel mūspilli.
    denne daz preita uuasal
allaz varpr
innit,
Quando l'immensa pioggia
tutto brucerà
 
  120 enti vuir enti luft
iz allaz arfurpit,
uuar ist denne diu marha,
dar man dar eo mit sinen magon piehc?
diu marha ist farprunnan,
e il fuoco e il vento
spazzeranno via tutto,
dove sarà allora il confine,
per cui sempre si combatteva coi propri parenti?
Il confine è incenerito,
 
    diu sela slet pidungan,
ni uueiz mit uuiu puaze:
sar verit si za uuize.
l'anima è oppressa,
non sa come espiare:
quindi si avvia alla pena.
 
         
Il giudizio particolare   Pidiu ist demo manne so guot,
denne er ze demo mahale quimit,
Perciò è bene per l'uomo,
quando viene al giudizio,
 
  130 daz er rahhono uueliha
rehto arteile.
denne ni darf er sorgen,
denne er ze deru suonu quimit.
ni uueiz der uuenago man,
ch'egli giudichi
con rettitudine ogni cosa.
Allora non dovrà preoccuparsi
quando verrà al giudizio.
Non sa il pover uomo
 
    uuielihan uuartil er habet,
denner mit den miaton
marrit daz rehta,
daz der tiuval dar pi
kita
rnit stentit.
quale sindaco egli ha,
quando dietro compenso
impartisce la giustizia,
non sa che il diavolo
sta lì nascosto.
 
  140 der hapet in ruovu
rahhono uueliha,
daz der man er enti sid
upiles kifrumita,
daz er iz allaz kisaget,
Questi registra
ogni cosa
che l'uomo abbia mai
commesso di male,
perché egli dica tutto
 
    denne er ze deru suonu quimit;
ni scolta sid manno nohhein
miatun intfahan.
quando sarà sotto giudizio;
nessun uomo dovrebbe pertanto
lasciarsi corrompere.
 
         
Il giudizio universale e la resurrezione della carne   So daz himilisca horn
kihlutit uuirdit,
Quando il corno celeste
verrà suonato

 
  150 enti sih der suanari
ana den sind arhevit
[der dar suannan scal
toten enti lepenten],
denne hevit sih mit imo
e il giudice
si metterà in cammino
[che dovrà là giudicare
i morti e i vivi],
allora si leverà con lui
 
    herio meista,
daz ist allaz so pald
daz imo nioman kipagan ni mak.
denne verit er ze deru mahalsteti
deru dar kimarchot ist:
una schiera immensa,
tutta così baldanzosa
che nessuno potrà opporvisi.
Poi andrà al tribunale
che è stato là delimitato:
 
  160 dar uuirdit diu suona
di
e man dar io sageta.
denne varant engila
uper dio marha,
uuechant deota,
là avverrà il giudizio
di cui si è sempre parlato.
Allora gli angeli
andranno per la terra,
sveglieranno la gente
 
    umssant ze dinge.
denne scal manno gilih
fona deru moltu arsten,
lossan sih ar dero leuuo vazzon:
scal imo avar sin lip piqueman,
indirizzandola al tribunale.
Allora ogni uomo
risorgerà dalla polvere,
si libererà dal peso del tumulo:
avrà di nuovo il suo corpo,
 
  170 daz er sin reht allaz
kirahhon muozzi,
enti imo after sinen tatin
arteilit uuerde.
denne der gisizzit,
perché possa esporre
tutte le sue ragioni
ed essere giudicato
secondo le proprie azioni.
Quando siederà colui
 
    der dar suonnan scal
enti arteillan scal
toten enti quekkhen
,
denne stet dar umpi
engilo menigi,
che là deve arbitrare
e giudicare
i morti e i vivi,
gli starà intorno
una moltitudine di angeli,
 
  180 guotero gomono:
gart ist so mihhil:
dara quimit ze deru rihtungu
so vilo
dia dar ar resti arstent,
so dar manno nohhein
di uomini santi:
la corte è amplissima:
verranno là, al giudizio,
tutti coloro che risorgono dal riposo,
così là nessun uomo
 
    uuiht pimidan ni mak.
dar scal denne hant sprehhan,
houpit sagen,
alero lido uuelih
c
unzi in den luzigun vinger,
potrà occultare nulla,
parlerà la mano,
riferirà il capo,
ciascun membro
fino al dito mignolo,
 
  190 uuaz er untar desen mannun
mordes kifrumita.
dar ni ist eo so listic man
der dar iouuiht arliugan megi,
daz er kitarnan megi
dirà ciò che tra la gente
egli commise di male.
Non vi sarà là mai nessuno tanto furbo
da poter falsare alcunché,
da poter nascondere
 
    tato dehheina,
niz al fora demo khuninge
kichundit uuerde,
uzzan er iz mit alamusanu
furimegi
qualche azione,
sì che davanti al re
non venga denunciato da tutti,
a meno che con l'elemosina
non l'abbia prevenuto
 
  200 enti mit fastun
dio virina kipuazti.
denne der paldet
der gipuazzit hapet,
denne er ze deru suon
u quimit.
e col digiuno
espiato i peccati.
Allora sarà baldanzoso
chi ha fatto penitenza,
quando verrà al giudizio.
 
         
L'apparizione della Croce gloriosa   uuirdit denne furi kitragan
daz frono chruci,
dar der heligo Christ
ana arhangan uuard.
denne augit er dio masun,
Verrà allora presentata
la Croce del Signore,
alla quale il santo Christ
venne appeso.
Allora egli mostrerà le ferite
    dio er in deru menniski anfenc,
dio er dur
uh desse mancunnes
minna fardol
êta...
patite nella sua vita terrena,
che sopportò per amore
del genere umano...
         
         
     
  ASCOLTA
 

 
  Lettura del Mūspilli in antico alto tedesco.  
     
 

Alternative content

 
     

NOTE

1 ― L'inizio del poema è mutilo. L'incipit si trovava probabilmente nella rilegatura anteriore ed è andato perduto insieme ad essa.

Morte di un avaro

Hieronymus Bosch (1450-1516)

Dipinto ispirato al motivo dell'ars moriendi. Il demonio tenta di allettare il morente mostrandogli un sacco pieno di denaro, in un ultimo tentativo di sviare la sua attenzione verso i beni terreni, mentre l'angelo gli indica il Crocifisso; intanto già la Morte fa capolino nella stanza.

10 ― Il motivo dell'angelo e del diavolo che si contendono le anime dei morti ha forse le sue basi nella Lettera di Giuda, dove l'arcangelo Mîḵāʾēl e il diavolo si affrontano contendendosi le spoglie mortali di Mōšẹh.

Invece, l'arcangelo Mîḵāʾēl, quando contendeva con il diavolo disputando per il corpo di Mōšẹh, non osò pronunziare contro di lui un giudizio ingiurioso, ma disse: «Ti sgridi il Signore!»
Epistolḗ Ioúda [9]

Nell'apocalisse di Paulus (✍ III sec.), un testo ben noto in tutto il Medioevo, si mette a confronto la morte di un malvagio con la morte di un giusto. Nel momento del trapasso di quest'ultimo, l'anima si trova di fronte a un assembramento di demoni pronti a ghermirla, ma a questo punto intervengono gli angeli a salvarla e si accende uno scontro...

C'è una tenzone fra gli angeli buoni e quelli cattivi. [...]. E i principati e gli spiriti di malvagità, venuti a prendere [l'anima], nulla trovando, digrignano i loro denti. L'angelo custode ordina loro di allontanarsi: «Voi avete tentato quest'anima ed essa non vi ha prestato ascolto»...
Apokálypsis Paúlou

La scena era ancora nota alla tradizione medievale. Nel quinto canto del Purgatorio, Bonconte da Montefeltro, ucciso nella battaglia di Campaldino, racconta a Dante di come la sua anima, alla morte, fosse stata contesa da un angelo e un diavolo. Il primo aveva vinto, e il demonio, infuriato, aveva oltraggiato il cadavere gettandolo in un fiume:

Io dirò vero, e tu 'l ridì tra' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: «O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io farò de l'altro altro governo!»
Commedia > Purgatorio [V: 103-108]

Questo motivo entrò di prepotenza nelle concezioni dell'ars moriendi che, a partire dal XV secolo, si svilupparono nella letteratura e, soprattutto, nell'arte. Si immaginava che il diavolo e l'angelo comparissero al capezzale del morente nell'ultimo tentativo di accaparrarsi la sua anima. La disputa per la divisione delle anime, d'altra parte, sembra non esclusa dal mondo pagano. Sappiamo che Óðinn, Þórr e Freyja si appropriavano delle loro porzioni di anime, anche se non risulta tra loro vi fossero scontri violenti.

72-97 ― Nella battaglia del profeta Elias (ebr. liyyāhû, it. Elia) contro l'Antichristo si è voluta vedere l'elaborazione di un precedente canto pagano, e si è pensato alla scena dello scontro tra Þórr e il serpente Jǫrmungandr, che è una delle grandi battaglie escatologiche del mito norreno del Ragnarǫk.

Þá kømr enn mæri
mǫgr Hlǫðvinjar
gengr Óðins sonr
ormi mæta.
Drepr af móði
Miðgarðs véurr;
munu halir allir
heimstǫð ryðja;
gengr fet níu
Fjǫrgynjar burr
neppr frá naðri,
níðs ókvíðinn.

Ecco viene il famoso
figlio di Hlóðyn,
s'avanza il figlio di Óðinn
a contrastare il serpente.
Con ira lui colpisce
il difensore di Miðgarðr.
Gli uomini tutti
sgombreranno il mondo.
Nove passi indietreggia
il figlio di Fjǫrgyn,
muore lontano dal serpe
che disonore non teme.
Ljóða Edda > Vǫluspá [56]

Detto questo, però, non si può negare al Mūspilli un'intonazione profondamente cristiana, le cui suggestioni attingono per la maggior parte all'apocalisse giovannea e ad altri passi delle Scritture. Anche il motivo del ritorno futuro di liyyāhû nei tempi dell'Anticristo, fa parte della tradizione apocalittica cristiana, anche se l'autore del Mūspilli sembra averla sviluppata in maniera originale. Alla base vi è un passo nell'undicesimo capitolo dell'apocalisse nel quale si parla di due «testimoni» [mártysín], vestiti di sacco, che compariranno negli ultimi giorni del mondo. Chiamati «olivi» e «lampade», essi sono investiti di terrificanti poteri. Possono bruciare col fuoco della loro bocca chiunque voglia far loro del male. Possono inoltre impedire alla pioggia di cadere, cambiare l'acqua in sangue e sferzare la terra con ogni tipo di flagello. Poi, all'inizio dell'ultima settimana che precede la fine del mondo, i due «testimoni» vengono uccisi dalla Bestia che sale dall'Abisso, e i loro corpi vengono esposti al dileggio dell'umanità corrotta. Ma dopo tre giorni e mezzo, uno spirito divino resuscita i due testimoni, ed essi salgono al cielo in una nube, mentre un terremoto devasta la città che aveva negato loro la sepoltura.

Ma farò in modo che i miei due testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni. Questi sono i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male. Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiar l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno.

Quando poi avranno compiuto la loro testimonianza, la Bestia che sale dall'Abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove appunto il loro Signore fu crocifisso. Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permetteranno che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. Gli abitanti della terra faranno festa su di loro, si rallegreranno e si scambieranno doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra.
Ma dopo tre giorni e mezzo, un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube sotto gli sguardi dei loro nemici. In quello stesso momento ci fu un grande terremoto che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti presi da terrore davano gloria al Dio del cielo.
Apokálypsis Iōánnou [11: 3-13]

Fin dall'antichità gli esegeti si sono interrogati sull'identità dei due «testimoni». Vengono presentati come i «due olivi» e le «due lampade», con immagini che rimandano a Zəḵaryāh [4: 1-14]. Che siano in numero di due ha probabilmente la sua ragione nel fatto che la legge mosaica chiedeva due testimoni per la validità della testimonianza processuale. In quanto alla loro identità, si è voluto vedere in essi delle manifestazioni simboliche (la Legge i Profeti, la Legge Mosaica e il Vangelo di Cristo), oppure lo si è voluti identificare con vari personaggi scritturali. Nella versione etiopica dell'Apokálypsis Pétrou, uno degli apocrifi apocalittici più antichi (la sua composizione è da porsi nel 133-135) e a lungo accettato come scrittura canonica, è scritto che il patriarca Ḥănôḵ e il profeta liyyāhû ritorneranno sulla Terra allorché l'Anticristo verrà a compiere la sua opera nefasta tra gli uomini: «Saranno inviati Ḥănôḵ ed liyyāhû a svelare che costui è l'ingannatore che deve venire in questo mondo e manifestare segni e prodigi per ingannare» (Apokálypsis Pétrou). Anche se il passo non parla di un'uccisione di Ḥănôḵ ed liyyāhû per mano dell'Anticristo, la loro identificazione con i «testimoni» dell'Apokálypsis Iōannou venne accettata da molti esegeti successivi. La scelta del patriarca Ḥănôḵ e del profeta liyyāhû è d'altronde giustificata dal singolare destino che accomuna i due personaggi: nelle Scritture non si parla della loro morte, bensì della loro scomparsa dalla vista degli uomini (rispettivamente nella Genesi, Bǝrēʾšîṯ [5: 24] e nel Secondo libro dei Re, Sēẹr Mǝlākîm Bêṯ [2: 11]). Sembrava quindi logico ritenere che fossero proprio Ḥănôḵ ed liyyāhû a ricomparire alla fine del mondo per smascherare le menzogne dell'Anticristo. Tale identificazione venne accettata, con una certa autorità, dallo pseudo-Hippolytus (inizio del III secolo), nel quale si attribuisce al martirio dei due «testimoni» una funzione rilevante nello scenario dei tempi finali (mártys in greco vuol dire appunto «testimone»): «Così, dicendo una sola settimana, [Giovanni] indicò l'ultima, che verrà negli ultimi tempi alla fine di tutto il mondo, e di questa settimana i due profeti Ḥănôḵ ed liyyāhû occuperanno la metà. Predicheranno infatti milleduecentosessanta giorni, rivestiti di sacco, predicando penitenza al popolo e alle genti tutte» (Beatissimi Hippolyti episcopi et martyris oratio de consummatione mundi, ac de Antichristo, et secundo adventu Domini nostri Iesu Christi [62: 2]). Questa interpretazione non impedirà l'affiorare di ipotesi alternative (liyyāhû e Mōšẹh, liyyāhû e Yirməyāhû (it. Geremia), gli apostoli Pétros e Paûlos, i fratelli Iōánnēs e Iákōbos (i figli di Zebedaîos), o i protomartiri Stéphanos e Iákōbos); ma rispetto a quella formata da Ḥănôḵ ed liyyāhû, queste ultime coppie godranno di minor fortuna nel panorama esegetico antico e medievale (Biguzzi 2004 | Potestà ~ Rizzi 2005). D'altronde, di un ritorno di liyyāhû alla vigilia della fine del mondo già avevano parlato i libri profetici, come in Malachia: «Ecco, io invierò il profeta liyyāhû prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore» (Malʾāḵî [4: 5]), di fatto giustificando la sua presenza nella letteratura apocalittica. È per una di queste vie che liyyāhû – ormai privato del suo compagno – è finito per essere collocato nello scenario escatologico tracciato dal Mūspilli. Il panorama è però cambiato: liyyāhû non è più il martire ucciso dall'Anticristo, ma è diventato il guerriero che lo abbatte per assicurare la vita eterna all'umanità. Difficile dire dietro quale autorità l'ignoto autore del Mūspilli si sia sentito autorizzato a elaborare la figura di liyyāhû, inserendolo in un combattimento escatologico. Nel secondo libro degli Oracula Sibyllina, composto in ambienti cristiani intorno all'anno 150, si descrive tra l'altro il ritorno trionfante del profeta liyyāhû (il «Tisbita», cioè della città di Tisbe) su un carro celeste, alla vigilia della fine del mondo:

Allora dal cielo discende il Tisbita sopra la terra,
reggendo il carro celeste, e tre segni porta agli uomini,
che sulla terra hanno dimora, i segni della vita prossima a svanire.
Oracula Sibyllina [II: 187-189]

Gli Oracula Sibyllina furono assai ben conosciuti e citati nel mondo tardo-antico e medievale, ed è evidente che l'autore del Mūspilli li aveva ben presenti nel corso della composizione del poemetto. La scena dell'arrivo di liyyāhû>Elias sul suo carro di fuoco non sarebbe sembrata certamente incongrua a un poeta di cultura germanica, abituato a figurarsi il dio Þórr in contesti non dissimili. D'altronde liyyāhû e Þórr sono personaggi che si parlano a vicenda: il carro di fuoco sul quale liyyāhû ascende al cielo può benissimo essere stato associato al carro di Þórr, le cui ruote creano il rimbombo del tuono tra le nubi. Ricordiamo che nei paesi slavi, il profeta era chiamato Il'ja Gromovnik, «Elia il folgoratore» e nelle icone lo si rappresentava a volte assiso nel suo carro, nell'atto di bersagliare i diavoli con i fulmini, e come tale era stato identificato col dio-tuono Perunŭ.

98-123 ― Il motivo dell'ecpirosi (distruzione del mondo con il fuoco) è già presente nel mito norreno. La Vǫluspá descrive l'incendio finale proprio nella strofa successiva a quella in cui aveva trattato dello scontro tra Þórr e il serpente Jǫrmungandr.

Sól tér sortna,
sigr fold í mar,
hverfa af himni
heiðar stjǫrnur;
geisar eimi
ok aldrnari;
leikr hár hiti
við himin sjalfan.

Il sole si oscura
la terra sprofonda nel mare,
scompaiono dal cielo
le stelle lucenti.
Sibila il vapore
con quel che alimenta la vita,
alta gioca la vampa
col cielo stesso.
Ljóða Edda > Vǫluspá [57]

Nella Vǫluspá non sembra tuttavia esservi un legame logico tra il combattimento tra Þórr e il serpente e il successivo incendio del mondo, anche se un eventuale collegamento poteva benissimo essere implicito e conosciuto ai fruitori pagani del poema eddico. Comunque sia, Snorri scarta l'idea e asserisce che sia invece il gigante Surtr ad appiccare il fuoco che brucerà l'universo (Gylfaginning [51]). L'autore del Mūspilli, al contrario, l'accetta assolutamente e suscita le fiamme ecpirotiche dal sangue del profeta, anche se non è impensabile che i due motivi siano stati collegati posteriormente con un ragionamento post hoc propter hoc. Difficile dire, in ogni caso, quale di queste diverse tradizioni sia originaria o sia frutto di una rielaborazione successiva. È anche possibile che il motivo dello scontro tra Þórr e il serpente Jǫrmungandr, presente nella tradizione norrena, e quindi dell'incendio universale, siano giunte in Scandinavia attraverso la tradizione cristiana. Il motivo della distruzione del mondo per fuoco, infatti, fa parte del pensiero escatologico classico-cristiano. Ha la sua origine più lontana in Īrān, nella teologia zoroastriana, dove il mondo è destinato ad ardere nel fuoco purificatore del frašōkǝrǝti. Il motivo passò alla fisica stoica, dove il mondo ciclicamente si consumava e risorgeva nel fuoco. D'altronde, sembrava ragionevole ai pensatori apocalittici cristiani ritenere che il mondo, in passato devastato da un diluvio d'acqua, finisse in un diluvio di fuoco. Il motivo è presente negli Oracula Sibyllina, in una scena che nel testo è collocata subito dopo la comparsa di Elia:

Allora una fiumana potente, di ardente fiamma
fluirà dal cielo e annienterà la creazione regale,
la terra asciutta e il mare e gli azzurri flutti dell'oceano,
i laghi e i fiumi e le sorgenti, l'Ade impietoso
e la volta celeste. La luna e il fulgente sole
in uno si fondono, e tutto si fa deserto e desolazione.
Dal cielo precipitano nell'oceano le stelle.
Convocati, gli uomini ancora in vita faranno stridore di denti,
ardendo nella corrente piena di zolfo e di inestinguibile fuoco
nell'atroce pianura, e la cenere copre ogni cosa.
Oracula Sibyllina [II: 196-205]

Queste fonti e motivi influenzarono la letteratura germanica altomedievale, il quale seppe fondere motivi pagani e sapienza cristiana per produrre visioni apocalittiche altrettanto suggestive. Il motivo dell'ecpirosi è presente in diversi documenti germanici, di cui il Crīst di Cynewulf fornisce un vivido esempio nella letteeratura anglosassone:

Dyneð deop gesceaft, ond fore dryhtne færeð
wælmfyra mæst ofer widne grund,
hlemmeð hata leg, heofonas berstað,
trume ond torhte, tungol ofhreosað.

Il vasto creato risuonerà, e dinanzi al Creatore andrà
il più grande degli incendi infurianti attraverso la spaziosa terra,
l'ardente fiamme divamperà strepitante; i cieli schianteranno:
le stelle fisse scintillanti cadranno.
Cynewulf: Crīst [930-933]

...Ðonne eall þreo on efen nimeð
won fyres wælm wide tosomne,
se swearta lig, sæs mid hyra fiscum,
eorþan mid hire beorgum, ond upheofon
torhtne mid his tunglum. Teonleg somod
þryþum bærneð þreo eal on an
grimme togædre.                

...Allorché la fosca marea di fuoco, la funesta fiamma,
per ogni dove travolgerà d'un tratto
ciascuna di queste tre cose: i mari coi loro pesci,
la terra coi suoi monti, e l'alto cielo
risplendente, con le sue stelle. La fiamma distruttrice
arderà selvaggiamente tutt'e tre queste cose insieme,
con ferocia.                                          
Cynewulf: Crīst [964-970]

107 ― Compare qui, a indicare la terra, l'espressione mittilagart «recinto di mezzo», che ha un riscontro diretto nel termine Miðgarðr, che la poesia mitologica norrena usa per indicare il mondo degli uomini, opposto a quello dei giganti o degli dèi. Usata probabilmente come costrutto poetico, indica che l'autore del Mūspilli avesse una certa esperienza della poesia pagana.

113 ― La problematica parola mūspilli è qui usata nell'evidente senso di «incendio universale, deflagrazione del mondo». Johann Andreas Smeller la attribuì come titolo al poemetto nel 1832. In quanto al significato e all'etimologia, si veda in introduzione [supra]▲.

144 ― Le trombe suonate dagli angeli, destinate a risvegliare i morti nel giorno del Giudizio, sono qui sostituite, significativamente, dal suono di un corno [horn]. Oltre a essere giustificata dall'ambiente culturale nel quale il poema venne composto (nella Germania alto-medievale i corni erano assai più comuni delle trombe), la sostituzione rimanda alla mitologia norrena, nella quale Heimdallr, suonando il corno Gjallarhorn, chiama i guerrieri caduti alla battaglia finale, nel giorno di Ragnarǫk.

201-208 ― L'apparizione della Croce gloriosa nel cielo è uno dei segni che prelude tradizionalmente alla Parusia, la seconda venuta di Cristo nel giorno del supremo giudizio. La base scritturale è nel Vangelo secondo Matteo: «Allora comparirà nel cielo il Segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria» (Euaŋgélion katà Matthaîon [24: 30]). Il motivo, ben presente nella letteratura apocalittica, era ovviamente ben noto nel medioevo germanico. Nel Crīst anglosassone di Cynewulf l'apparizione celeste della Croce gloriosa è il «fulgido segno» [beorhta segn] che annuncia l'avvento di Cristo, il quale dovrà presiedere al Giudizio universale. La scena è argomento di versi ispiratissimi:

Ðonne sio byman stefen ond se beorhta segn,
ond þæt hate fyr ond seo hea duguð,
ond se engla þrym ond se egsan þrea,
ond se hearda dæg ond seo hea rod,
ryht aræred rices to beacne,
folcdryht wera biforan bonnað...

Allora la voce delle trombe, e il fulgido segno,
e il fuoco ardente, e la sublime schiera,
e la maestà degli anteli, e l'angoscia del terrore,
e il giorno spaventoso, e l'alta Croce
sollevata diritta quale segno di sovranità,
chiameranno innanzi le moltitudini degli uomini...
Cynewulf: Crīst [1061-1066]

Ne bið him to are þæt þær fore ellþeodum
usses dryhtnes rod ondweard stondeð,
beacna beorhtast, blode bistemed,
heofoncyninges hlutran dreore,
biseon mid swate þæt ofer side gesceaft
scire scineð. Sceadu beoð bidyrned
þær se leohta beam leodum byrhteð.

Non per grazia di loro [dei malvagi] si ergerà là,
al cospetto di tutte le genti, la Croce del nostro Signore,
il più luminoso dei segnacoli, cosparsa del sangue
del Re del Cielo, del Suo puro sangue,
bagnata del Suo cruento sudore, cosicché essa rifulgerà
sopra il vasto creato. Le tenebre saranno scacciate
laddove l'Albero fulgido darà luce alle genti.
Cynewulf: Crīst [1083-1089]

...Þæs he eftlean wile
þurh eorneste ealles gemonian,
ðonne sio reade rod ofer ealle
swegle scineð on þære sunnan gyld.

...Di tutto questo, Egli
severamente esigerà il pagamento
allorché la sanguinosa Croce sopra a tutti
brillerà nel cielo al posto del sole.
Cynewulf: Crīst [1099-1102]

208 ― Il poema è mutilo della parte finale, che era probabilmente compresa nella rilegatura del codice, poi perduta. La conclusione del poema è ovviamente prevedibile sulla base delle concezioni apocalittiche comuni di questo tipo di letteratura, di cui il Crīst di Cynewulf offre un modello sicuramente non lontano: concluso il supremo Giudizio, i malvagi saranno gettati per l'eternità nelle profondità infernali, mentre i giusti saranno accolti nel cielo, nella comunione dei santi e nella gloria dei beati.

Bibliografia

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  • CLEASBY Richard ~ VIGFÚSSON Guðbrandur, An Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
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  • GORDON Eric Valentine, An introduction to old norse. Oxford 1927.
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  • PRAMPOLINI Giacomo, Letterature germaniche insulari. In: Storia universale della letteratura, vol. III. UTET, Torino 1949.
  • RICCI Aldo [cura]: CYNEWULF, Il sogno della Croce • Cristo. Sansoni, Firenze 1926.
  • SCHMELLER Johannes Andrea [cura], Muspilli, Bruchstück einer alliterierenden Dichtung vom Ende der Welt. Monaco 1832.
BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione di Gemma Manganella, con lievi variazioni.
Introduzione e note della Redazione Bifröst.
Si ringraziano Dario Chioli e Stefano Mazza per il contributo bibliografico.
Creazione pagina: 21.04.2008
Ultima modifica: 10.01.2018
 
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