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ANTICA SAPIENZA TEDESCA

MERSEBURGER ZAUBERSPRÜCHE

GLI INCANTESIMI DI MERSEBURG

Titolo (tedesco)

Merseburger Zaubersprüche

Genere Poemetti magico-sacrali
Lingua Antico alto tedesco
Epoca
Composizione:
Redazione:
  < 750
X secolo

Segnatura

Merseburger Domstiftsbibliothek. Cod. 136, f. 85r

ANTICA SAPIENZA TEDESCA
MERSEBURGER ZAUBERSPRÜCHE
GLI INCANTESIMI DI MERSEBURG
Gli incantesimi di Merseburg

I due «incantesimi di Merseburg», Merseburger Zaubersprüche, sono l'unico monumento superstite, sul suolo tedesco, della poesia magico-sacrale degli antichi Germani, oltre all'ultima testimonianza sul continente dell'antica fede pagana. Si tratta di due brevi testi magici in antico alto tedesco, di cui è difficile definire l'epoca di composizione. Trascritti nel X secolo, i due incantesimi risalgono certamente ad alcuni secoli prima; considerazioni linguistiche permettono di ricondurli a un'epoca anteriore al 750 (Priest 1909). La metrica e il linguaggio, i versi secchi dal ritmo martellante, presentano tratti arcaici; i motivi sono senz'altro antichissimi, forse addirittura risalenti alla preistoria indoeuropea. L'originalità delle due composizioni sta proprio nel fatto che la formula magica vera e propria [galdar o galstar] è incastonata in coda a un breve racconto [spel] dove è narrato come la formula venne pronunciata ab origine da esseri soprannaturali quali le idisi o lo stesso dio Wōtan: la narrazione culmina quindi nell'operazione magica significata dalla formula conclusiva. Gli incantesimi vengono presentati come frammenti di sapienza divina, anche se poi il loro impiego è essenzialmente pratico: la liberazione nel primo caso di un prigioniero di guerra, nel secondo caso la guarigione di un destriero che si è distorto una zampa.

Testo originale dei due incantesimi in antico alto tedesco. Merseburger Domstiftsbibliothek, cod. 136, p. 85r.

Il manoscritto

I Merseburger Zaubersprüche furono scoperti nel 1841 dallo storico tedesco Georg Waitz (1813-1886), vergati sulla pagina bianca di un manoscritto liturgico latino del IX-X secolo conservato nel monastero benedettino di Fulda. La trascrizione, in scrittura carolina minuscola, risale all'incirca al 950. A eseguirla fu probabilmente un chierico, forse lo stesso abate di Fulda, ma è ignota la ragione per cui egli abbia deciso di riportare dei testi pagani su un libro di carattere religioso.

Il manoscritto è oggi conservato nella Merseburger Domstiftsbibliothek, la biblioteca capitolare del Duomo di Merseburg in Sassonia (da cui il nome dei Zaubersprüche), con la segnatura Cod. 136; gli incantesimi si trovano sul recto del foglio 85.

La pagina con i Zaubersprüche è stata esibita fino al novembre 2004 nella mostra «Tra la cattedrale e il mondo, mille anni del Capitolo di Merseburg». La precedente esibizione datava al 1939.

Il primo incantesimo

Le idisi liberano i prigionieri (✍ 1905)
Emil Doepler der Jüngere (1855-1922)
MUSEO: [Doepler. Walhall]►

L'Erste Merseburger Zauberspruch si presenta come invocazione alle idisi, le dee che fin dall'alba dei tempi si librano sopra i campi di battaglia, divise in tre schiere: la prima intenta a incatenare i nemici catturati dai compagni; la seconda decisa ad arrestare l'impeto dell'assalto nemico; mentre la terza, discesa alle spalle dell'esercito nemico, scioglie con mani esperte e leggere i nodi che serrano le mani e i piedi del prigioniero. L'evocazione dell'evento prodigioso e la ripetizione delle parole liberatrici: «Sorgi dai ceppi! sfuggi ai nemici!» sono finalizzate a riprodurre ogni volta lo stesso magico effetto.

Il secondo incantesimo

Wōtan cura il destriero di Balder (✍ 1905)
Emil Doepler der Jüngere (1855-1922)
MUSEO: [Doepler. Walhall]►

Lo Zweite Merseburger Zauberspruch potrebbe essere stato recitato da un cavaliere il cui cavallo si è distorto una zampa. Sentendosi in difficoltà, l'uomo si rivolge a Wōtan, il protettore dei viandanti, maestro di ogni magia, e ricorda un episodio in cui il dio si trovò a risolvere il medesimo problema. Mentre egli attraversava la foresta, al cavallo di suo figlio Balder si slogò una zampa. Invano le dee più esperte di magia s'industriarono a risolvere il malanno: Sunna, Sinhtgunt, Frīja e Volla recitarono inutilmente magici scongiuri, finché intervenne lo stesso Wōtan e pronunciò l'incantesimo come lui solo era in grado di fare. Le parole «Osso a osso, sangue a sangue, membro a membro, così tornino uniti» dovevano aver l'effetto di far rifluire la vita nell'arto leso e salvare il destriero e il cavaliere.

Genere e metro

I Merseburger Zaubersprüche sono due brevi componimenti, il primo di quattro versi allitterativi, il secondo di nove, ciascun verso separato in due semiversi. Vi è anche un accenno di rima, dovuto perlopiù al parallelismo lessicale, ma che potrebbe in parte rispecchiare certe innovazioni della poesia cristiana alto-medievale. Per motivi tipografici, nella nostra trascrizione e traduzione abbiamo trasformato i due semiversi in versi pieni. L'originale struttura metrica delle due composizioni è la seguente:  

eiris sazun idisi      sazun her duoder
suma hapt heptidun      suma heri lezidun
suma clubodun      umbi cuoniouuidi
insprinc haptbandun      inuar uigandun
phol ende uuodan      uuorun zi holza
du uuart demo balderes uolon      sin uuoz birenkit
thu biguol en Sinhtgunt      sunna era suister
thu biguol en friia      uolla era suister
thu biguol en uuodan      so he uuola conda
sose benrenki      sose bluotrenki
sose lidirenki
ben zi bena      bluot zi bluoda
lid zi geliden      sose gelimida sin
ANTICA SAPIENZA TEDESCA
MERSEBURGER ZAUBERSPRÜCHE
GLI INCANTESIMI DI MERSEBURG
  1. Primo Incantesimo
  2. Secondo Incantesimo
   

PRIMO INCANTESIMO

 




5
 

Eiris sazun idisi
sazun hera duoder.
suma hapt heptidun,
suma heri lezidun,
suma clubodun
umbi cuoniouuidi:

Un tempo le savie idisi
si posavano qua e là;
alcune annodavano lacci,
alcune immobilizzavano schiere,
alcune davano strappi
alle catene:

    insprinc haptbandun,
inuar uigandun.
“Sorgi dai ceppi!
sfuggi ai nemici!”
   

SECONDO INCANTESIMO

 




5




10
 

Phol ende uuodan
uuorun zi holza.
du uuart demo balderes uolon
sin uuoz birenkit.
thu biguol en Sinhtgunt,
sunna era suister;
thu biguol en friia,
uolla era suister;
thu biguol en uuodan,
so he uuola conda:
sose benrenki,
sose bluotrenki,
sose lidirenki:

Phol e Wōtan
cavalcavano verso il bosco.
Allora al puledro di Balder
si distorse un piede.
Allora gli parlò Sinhtgunt,
e Sunna sua sorella.
Allora gli parlò Frīja,
e Volla sua sorella.
Allora gli parlò Wōtan,
come lui sapeva ben fare
per strappi alle ossa,
per strappi sanguinanti,
per strappi di membra:


15
  ben zi bena,
bluot zi bluoda,
lid zi geliden,
sose gelimida sin.
“Osso a osso,
sangue a sangue,
membro a membro,
così tornino uniti”.

NOTE

Primo incantesimo

I.1 Idisi. Probabilmente delle divinità femminili della religione antico-tedesca. Difficile dire quale fosse la loro collocazione: la loro presenza nelle battaglie ha fatto naturalmente pensare alle valkyrjur, che stabilivano le sorti degli scontri, ma anche alle nornir in qualità di dee del destino individuale dei guerrieri. Tale interpretazione si scontra tuttavia col fatto che l'incantesimo è evidentemente finalizzato a conquistare il favore delle idisi, garantendo al guerriero che lo pronunciava la salvezza in battaglia e la fuga nel caso venisse catturato. Pur senza voler ricondurre forzatamente alla mitologia continentale il carattere di figure – come le valchirie o le norne – di cui conosciamo soltanto la versione della posteriore letteratura scandinava, si può ipotizzare che le idisi fossero una sorta di personali custodi femminili dei guerrieri, o degli uomini. In questo senso possono essere agevolmente essere messe in correlazione con le dísir della mitologia norrena, dee della fecondità che apparivano a volte come spiriti tutelari delle famiglie. Intese come una sorta di «sorellanza» delle antenate di una stirpe, le dísir proteggevano coloro che appartenevano alla famiglia stessa e danneggiavano i loro nemici. È evidentemente questo il ruolo delle idisi citate nell'incantesimo.

I.7-8 ― Si confronti con quanto detto nella Ljóða Edda dove Óðinn afferma di conoscere canti magici [galdrar] in grado di liberarlo da lacci e catene:

Ef mér fyrðar bera
bǫnd að boglimum,
svá ek gel,
at ek ganga má,
sprettr mér af fótum fjǫturr,
en af hǫndum haft.

Se uomini impongono
ceppi alle mie membra,
così io canto
che me ne possa andare:
la catena salta via dai piedi
e dalle mani il laccio.

Ljóða Edda > Hávamál [149]

La capacità di liberarsi da ceppi e catene era evidentemente un motivo ben noto alla tradizione magica germanica.

 

Secondo incantesimo

II.1 ― Dei vari problemi interpretativi legati ai Merseburger Zaubersprüche uno resta ancora insoluto: chi sia il misterioso Phol che appare come compagno di Wōtan nel primo verso del secondo scongiuro. Jacob Grimm lo identificò col Balder che compare nel secondo verso, richiamandosi per il culto del dio, conosciuto in Scandinavia come Baldr ma non altrimenti testimoniato sul continente, alla toponomastica tedesca (Pholesbrunnen, Pholesau) (Grimm 1842). L'identificazione di Phol con Balder, per quanto sia solo un'ipotesi, appare più probabile da quando, nel 1929, si è scoperta a Utrecht, nell'antico territorio dei Batavi, un'iscrizione votiva a un dio Baldruos Lobbonus:

[VOTA ERC]OVL MACVSAO BALDRVO LOBBO
SOL DDECUR VABVSOAE DEO LOBBO
BORVOBOENDOAE VO SS A LBB

[Vota (H)erc]oul(eo) Macusa(n)o [recte: Magusa(n)o] Baldruo Lobbo(no)
sol(verunt) ddecur(iones) Vabusoae deo Lobbo(no)
Borvoboendoae vo(ta) ss(olverunt) a(nimo) l(i)bb(entes)

AE [1977, 00539]

Sia come sia, l'identificazione tra Phol e Baldr viene spesso data per scontata nei manuali di storia della letteratura tedesca (Prampolini 1943 | Borges 1978). Altri autori, facendo derivare gli incantesimi da modelli latini, hanno identificato il problematico Phol con Apollo o addirittura con San Paolo; altri ancora vi vedono un semplice sostantivo come pol «forza» o pol «puledro». Poiché si ritiene che la lettura sia [fol] e non [pol], si è anche pensato al termine fol «abbondante, pieno di grazia», epiteto conveniente a colui che era dio della luce e il datore di ogni bene alla terra e agli uomini. (Grünager 1967)

II.5 ― Alcune dee esperte in magia provano a guarire con i loro canti magici il cavallo di Balder, inutilmente. Della prima dea, Sinhtgunt, poco possiamo dire, in quanto il suo nome non trova analogia con nessun altro nome conosciuto nella mitologia norrena o anglosassone. È detta sorella di Sunna, la dea del sole, ma questo poco ci aiuta.

II.6 Sunna è la dea del sole, equivalente della norrena Sól, che Snorri pone nel computo delle dee.

II.7 Frīja è la dea tedesca dell'amore e della fertilità, sposa di Wōtan. In Scandinavia le corrispondono sia Freyja che Frigg, essendo la distinzione tra i due personaggi una posteriore innovazione della religione norrena. In Germania alle due figure corrispondeva infatti un solo personaggio, il cui nome originale era *Frigja. Mentre l'occlusiva velare [g] si conservava in norreno producendo la forma Frigg, nel resto dell'area germanica esso si trasformava nella semiconsonante [j], generando così l'ortografia <Friia> Frīja presente nel testo antico alto tedesco. Estendendosi il culto di Frīja fuori dall'area germanica, la dea venne in seguito accolta nel pantheon scandinavo a fianco della stessa Frigg, formando un personaggio distinto da esso: Freyja.

II.8 Volla è la scandinava Fulla, che nella Prose Edda di Snorri è l'ancella di Frigg.

II.14-17 ― «Osso a osso...». In entrambe le composizioni, mentre il racconto proviene dal paganesimo germanico, la formula magica conclusiva mostra precisi paralleli e riscontri nelle più diverse letterature pagane e cristiane. Ad esempio, lo scongiuro scongiuro di questa seconda composizione concorda quasi alla lettera con un antico inno magico dell'Atharvaveda indiano: «Che il midollo si riunisca al midollo, che la pelle ricresca con la pelle, che il sangue e l'osso ricrescano, che la carne ricresca con la carne; | rimetti insieme pelo a pelo; rimetti insieme pelle a pelle; che il sangue e l'osso ricrescano: rimetti insieme ciò che è spezzato, o erba [medicamentosa]» (Atharvaveda [IV: 12: -]). Questo parallelismo formulare tra ambiti geograficamente così distanti – l'India vedica e la Germania alto-medievale – è stato chiamato a testimonianza di una comune tradizione magica indoeuropea (Grünager 1967 | Orlandi ~ Sani 1992).

Bibliografia

  • BORGES Jorge Luis, Literaturas germánicas medievales. Emecé Editores, Buenos Aires 1978. → ID., Letterature germaniche medioevali. Theoria, Roma-Napoli 1984.
  • DOLFINI Giorgio, Lineamenti di grammatica dell'antico alto tedesco. Mursia, Milano 1973.
  • GRIMM Jacob, Über zwei entdeckte Gedichte aus der Zeitdes deutschen Heidentums. In: Abhandlungen der kgl. preussischen Akadamie. Berlin 1842.
  • GRÜNAGER Carlo, La letteratura tedesca medievale. Sansoni, Firenze / Accademia, Milano 1967.
  • MANGANELLA Gemma, La creazione e la fine del mondo nell'antica poesia germanica. Liguori, Napoli 1966.
  • ORLANDI Chatia ~ SANI Saverio [cura], Atharvaveda. UTET, Torino 1992. Tea, Milano 1997.
  • PRAMPOLINI Giacomo, Letterature germaniche insulari. In: ID., Storia universale della letteratura, vol. III. UTET, Torino 1949.
  • PRIEST George Madison, A Brief History of German Literature. New York, 1909.
  • WOLFSKEHL Karl, Alteste Deutsche Dichtungen. Insel-Verlag, Wiesbaden 1953.
BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione e note della Redazione Bifröst.
Creazione pagina: 21.10.2006
Ultima modifica: 10.01.2018
 
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