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Finlandesi

MITI UGROFINNI
Marcello Ganassini
TRE PERCORSI KALEVALIANI
Studi comparatistici su alcuni episodi del Kalevala.
TRE PERCORSI KALEVALIANI
Il sacrificio del toro nel mito balto-finnico
Väinämöinen e la discesa all'inferno
Väinämöinen suona il kantele

IL SACRIFICIO DEL TORO NEL MITO BALTO-FINNICO

 

Nel Runo Ventesimo del Kalevala viene descritta l'uccisione di un toro dalle dimensioni immense (1) in onore delle nozze tra Ilmarinen, il fabbro celeste, «artefice sempiterno» della volta celeste e la bella figlia di Pohjola.

La signora di Pohjola e sua figlia
Illustrazione di Tamara Jufa
MUSEO: [Kalevala d'amore]►

Nel runo precedente, la signora di Pohjola sottopone l'eroe a tre perigliose imprese: arare il campo infestato di serpenti, catturare l'orso e il lupo infernale e pescare l'enorme luccio che nuota nel fiume di Tuonela. Ilmarinen supera brillantemente le tre prove anche grazie ai consigli della sposa promessa e la solennità del ciclo epico raggiunge l'apice con la preparazione (sacrificio del toro, fermentazione della birra, preparazione delle pietanze e recapito degli inviti) e celebrazione del sontuoso banchetto, la descrizione del quale occupa ben cinque dei cinquanta runot che compongono l'opera. Il bue, «la cui coda ondeggia nell'Häme mentre la testa ciondola a Kemijoki» [XX, 21-22] (2), viene condotto dalla Carelia fino alle lontane terre del Nord. La narrazione delle sue dimensioni smisurate ricorre a figure iperboliche piuttosto comuni nella lirica popolare: l'ermellino impiegava una settimana per coprire la lunghezza della pastoia, la rondine volava un giorno intero per passar da un corno all'altro [XX, 25-28], lo scoiattolo correva per un mese dal garrese alla testa del bove, e invero nemmeno ci arrivava, che a fatica, il mese successivo [XX, 31-34].

Per uccidere la bestia viene convocato Virokannas, mitico «reggitore delle umane cose», come vuole l'origine del nome (dal norreno verr, «mondo», e il tema di kantaa, «portare, sorreggere»), personaggio ricorrente nella funzione di officiante anche in altri cicli (3). Il suo epiteto è contestualmente karjalainen, «careliano», come sinonimo di kalevainen, «appartenente alla stirpe di Kaleva», e nel parallelismo compare il nome Palvoinen, personificazione celeste e appellativo di divinità uraniche, nel contesto specifico frutto di convergenza con il tema di palvoa, «servire» e anche «adorare». Nelle varianti, oltre a Virokannas vengono convocati altri numi delle schiere maggiori, Palvoinen (ora Palvanen) come figura autonoma, Tuuri ovvero il Þórr scandinavo, Ukko dio del tuono e la consorte Rauni (Akka), divinità della fertilità e della pioggia.

I tentativi di uccidere l'animale a colpi di mazza si rivelano vani e Virokannas è costretto ad arrampicarsi su un abete e a fuggire tra i rovi (4). Le genti di Kalevala e di Pohjola cercano ovunque un mattatore [kaataja], in Carelia, in Finlandia, in Russia, in Svezia, in Lapponia e perfino tra le terre infere di Tuonela (5), ma l'impresa viene affrontata e risolta con successa da una figura affatto estranea, un minuscolo uomo nero [musta mies] sorto all'improvviso dalle acque. Il motivo compare già nel Runo Secondo, ove Väinämöinen fa appello agli uomini perché sia trovato chi abbatta l'immensa quercia che oscura il sole con le sue fitte fronde. L'eroe rivolge una preghiera alla propria madre, la divina Luonnotar, affinché mandi in suo aiuto le schiere dall'altra metà del mondo («chiama le genti dell'acqua – tante ve ne sono dentro il mare» [II, 105-106]) e dai flutti emerge il forte e audace taglialegna «lungo come il pollice di un uomo, alto come la spanna di una donna» [II, 115-116] (6). Nel mito dell'albero infernale, il suo abbattitore ha l'elmo, i guanti, la cintura e l'ascia di rame, mentre nel sacrificio del toro è descritto «color del metallo» [rauankarva katsannolta], con elmo e scarpe di roccia e un coltello d'oro con l'impugnatura di rame. Al prode mattatore basta uno sguardo [heti kun näki eränsä] e un colpo assestato dietro il cranio [ruhtoi niskahan rutosti]: la bestia si piega sulle zampe prima di accasciarsi su un lato, ormai priva di vita. Il profitto, non grande cosa [ei paljo saalihiksi] [XX, 112], secondo l'ironico rapsodo, è di «cento secchi interi di carne, cento braccia di salsicce, sette barche colme di sangue, sei barili pieni di grasso per la festa di Pohjola, il banchetto di Sariola» [XX, 113-118] (7).

Prima di addentrarci nell'analisi storico-critica del mito e della sua rappresentazione lirica, dobbiamo osservare che il Lönnrot mutuò la quasi totalità dei luoghi attinenti ai canti nuziali [häävirret] dal carme Päivölän pidot, il «Banchetto di Päivölä», (8) o dallo Jumalisten juomingit, le «Libagioni degli dèi», il cui nucleo ci è stato trasmesso dai versi che lo stesso Lönnrot e più tardi Borenius raccolsero nella Viena, presso Vuokkiniemi. Affascinato dalla bellezza del canto sulla preparazione della birra e di altre immagini dal contenuto cerimoniale, il compilatore del Kalevala spostò il teatro della vicenda dalla dimora divina del sole a Pohjola, terra oscura e tenebrosa, ma anche asilo dell'astro radioso all'orizzonte nel solstizio d'estate (nel Runo Quarantasettesimo la perfida Louhi nasconde il sole e la luna nel monte roccioso di Pohjola). Lo sposo divenne Ilmarinen in conformità con la linea narrativa che voleva imprimere all'epopea, mentre il tema originale di Lemminkäinen (9), furibondo ospite indesiderato, venne collocato al termine della vicenda.

L'arrivo di Lemminkäinen a Pohjola
Illustrazione di Tamara Jufa
MUSEO: [Kalevala d'amore]►

Inoltre, come illustra il Lönnrot nella prefazione all'edizione definitiva del 1848, pur avendo valore autonomo, tali canti nuziali venivano talvolta declamati all'interno di cicli di carattere cosmico o eroico: il rapsodo poteva addirittura omettere il canto stesso limitandosi al solo contesto epico nel quale era inserito. Non stupisce quindi che il piccolo uomo misterioso uscito dal mare, protagonista di un carme dal respiro cosmico ad alto contenuto simbolico, come quello della quercia infernale che oscura il mondo coi suoi rami, ricompaia con caratteri ed attributi praticamente uguali nel contesto, solo apparentemente conviviale, del tema nuziale.

L'uccisione del toro è quindi lungi dal mero presupposto per la preparazione delle pietanze del banchetto, come del resto non troviamo traccia di lirica profana e puramente descrittiva neanche nei luoghi successivi, il canto della birra [oluen virsi] e i versi d'invocazione all'ape [mehiläisen sanat] che consegna le erbe e i fiori nelle mani di Kave/Osmotar, mastra birraia. Inoltre la consumazione collettiva delle carni al termine del rito sacrificale è comune presso tutti i popoli finno-ugrici e ne abbiamo esempio anche nel rito del «funerale dell'orso» [karhun peijaiset] compreso nel Runo Quarantaseiesimo, ove Väinämöinen, come da «protocollo cerimoniale», invitando la divinità silvestre Tellervo al banchetto, nomina l'orso ricorrendo ad una perifrasi non certo casuale: «Orsù vieni alle nozze del tuo bue, al banchetto del tuo lungo vello!» [Tule nyt häihin härkösesi, pitkävillasi pitoihin!] [XLVI, 341-342].

Non è quindi azzardato accostare l'immagine del mito balto-finnico alla tauroctonia della religione mitraica nella sua rappresentazione rituale romana, il taurobolium del culto di Attis e Cibele. In entrambi i casi si tratta della messa in scena di un «dramma sacro» culminante nell'uccisione della bestia e nell'aspersione del sangue sacrificale grazie al quale l'eroe divino, scelto e investito di una funzione sacra, purifica sé stesso e la comunità che lo circonda propiziando il benessere dei corrispettivi vertici celesti, lo sposo Ilmarinen [da ilma, «aria, cielo»] o l'imperatore. Le origini e la propagazione del culto di Miθra all'interno dell'Impero romano sono ancora oggetto di studio e la datazione proposta dagli storici non spiega la comparsa di elementi chiaramente riconducibili all'iconografia mitraica in reperti anteriori all'epoca volgare.

Il sacrificio del toro rappresentato nella lamina sul fondo del calderone di Gundestrup (10) costituisce una versione «settentrionale» della tauroctonia mitraica non lontana dalla rappresentazione del mito balto-finnico. Assediato da un cane (sopra) e un felino (sotto), il toro sembra scrollarsi di dosso il mattatore che, con una corta spada sguainata, fluttua tra rami fronzuti come lo sventurato dio-titano nelle strofe che Arhippa Perttunen declamò al Lönnrot: «il vecchio si gettò sopra un abete, Virokannas scappò tra i cespugli» [ukko kuusehen kavahti, Virokannas vitsikkohon] [XX, 70-71]. Nel Kalevala viene fatto riferimento a luoghi come Novgorod e l'isola di Götland già teatro di scambi commerciali tra Bisanzio e le popolazioni dei variaghi e dei balto-finnici molto prima del dodicesimo secolo, quando sant'Enrico ancorò definitivamente l'attuale Finlandia all'Occidente, ma vi sono testimonianze di contatti anteriori con popolazioni finno-permiane come dimostra il ritrovamento di stoviglie d'argento di fattura persiana nelle cosiddette «tombe dei čudi».

La sposa di Pohjola
Illustrazione di Tamara Jufa
MUSEO: [Kalevala d'amore]►

Ciò che unisce le diverse rappresentazioni della tauroctonia è la presenza del simbolo astrale che nella versione in oggetto è limitata alla figura del toro laddove nel mito di Miθra si presenta nella forma di animali allegorie delle costellazioni (il serpente per Hydra, il cane per Canis Maior o Minor, lo scorpione per Scorpius). In Mythologia fennica (1789), Kristfrid Ganander aveva ricollegato il grande toro al simbolo della costellazione dell'Orsa Maggiore. Com'è evidente i versi di carattere descrittivo e i riferimenti geografici sono puro metalogismo, artifizi dei quali il linguaggio del mito si serve per alzare un sipario iconografico davanti all'occhio dello spettatore, ma il palcoscenico è quello di Päivölä e l'intera vicenda si svolge già oltre i «radiosi bastioni di Pohjola» (paistavat Pohjolan portit, l'aurora boreale), nella sfera del simbolo astrale. Del pari nella lirica popolare elementi apparentemente dettati da allitterazione sono in realtà componenti sostanziali della Bildung tradizionale.

Nel distico «sette barche colme di sangue, sei barili pieni di grasso» il numerale del primo verso, risparmiato dal procedimento poetico [verta seitsemän venettä] come nel secondo l'oggetto «barili» [kuuta kuusi tynnyriä], costituisce l'autentico attributo celeste dell'ufficio sacrificale. Il numero sacro dello sciamanismo, ricorrente nei miti che riguardano l'uccisione del toro (11), riporta alle sette Pleiadi (12), le sette sorelle figlie di Atlante, il titano Virokannas che non seppe domare la bestia perché, tramontata l'epoca di Kaleva, era giunto ormai il tempo d'eroi più piccini, mediatori tra uomini e dèi, luminosi garanti di pace e giustizia. La botte rimanda alla volta celeste che, nella mitologia ugro-finnica, era rappresentata da una calotta ribaltata tempestata di fori dai quali promanava la luce della perfezione divina. Una botte traforata veniva utilizzata nella produzione del lino, descritta nel Runo Quarantottesimo del Kalevala, per la sgusciatura dei semi di canapa che venivano pressati all'interno del contenitore. Il termine finnico delle Pleiadi, Seulaset (da seula, «setaccio», «vaglio»), rimanda a questa immagine cosmologica. È quindi nell'atto del sacrificio che l'eroe perpetua e rinnova il sodalizio tra gli dèi e il cosmo, le «nozze del campo radioso», una coreografia maestosa e universale nella quale gli attributi del mattatore sono tanto simili nell'iconografia mediterranea del culto indo-persiano quanto nella lirica balto-finnica: il pugnale d'oro [veitsi kultainen] con l'impugnatura ornata di rame [varsi vasken-kirjavainen], la chioma scura e riccioluta [musta pää, kähärä tukka] (13) e quell'elmo di roccia in testa [päässä paatinen kypärä] che non può non ricordare il berretto frigio di Mithra, semidio nato dalla petra genitrix e che nella pietra stessa fu reso immortale dal genio dell'arte romana.

VÄINÄMÖINEN E LA DISCESA ALL'INFERNO

 

Il lamento della barca
Dipinto di Akseli Gallén-Kallela (1865-1931)
MUSEO: [Dipingere il Kalevala]►

Nel Runo Sedicesimo, Väinämöinen intraprende la costruzione di una barca per fare vela verso Nord e chiedere in sposa la bella figlia di Pohjola contesa all'eroe Ilmarinen. Sarà quest'ultimo, più giovane ed attraente, ad essere scelto dalla fanciulla e il rito d'unione, vera e propria ierogamia, verrà accompagnato dalle note e dalla poesia del pretendente sconfitto.

All'interno del carme sulla contesa amorosa [kilmakosinnnan Runo] si trovano incastonati due tra i temi a più alto contenuto magico-sciamanico dell'intero corpus lirico: la discesa di Väinämöinen nelle viscere di Tuonela alla ricerca di tre parole magiche per completare la costruzione della barca [Tuonelan käynti] (14), impresa che si rivelerà vana, e il successivo viaggio nelle viscere di Antero Vipunen [Vipusen käynti], gigante e «oracolo possente» addormentato sotto terra.

L'eroe chiede a Sampsa Pellervoinen (15) di cercare il legno per costruire la barca. Il pioppo e il pino si dichiarano inadatti allo scopo (l'uno è cavo perché roso dal verme, l'altro nodoso e consumato dal corvo) e solo la quercia (16) accetta di essere tagliata. Väinämöinen può così proseguire la sua opera, «cantando (17) un verso per fissare la chiglia, cantandone un altro per saldare il fasciame, cantandone un terzo per inchiodare gli scalmi, rifinire i bordi della costa, unire bene tutte le giunture» [XVI, 107-112]. Ma gli vengono a mancare tre parole «per collocare il parapetto, sollevare alta la prua, completare la poppa» [XVI, 116-118]. Parte per recuperare le formule «dal capo delle rondini, dalla testa d'una scia di cigni, dalle spalle di uno stormo d'oche» [XVI, 128-130], «sotto la lingua d'una renna d'estate, nella bocca dello scoiattolo bianco» [XVI, 139-140], cioè nella sfera della psiche e del soma, ma il tentativo si rivela infruttuoso.

Non resta quindi che recarsi alle «dimore di Tuonela» [Tuonelan ko'it] (18), all'«eterna sede di Manala» [Manalan ikimaja] (19), ove poter trovare «parole a centinaia». Cammina una settimana sulla terra brulla, un'altra tra i cespugli di pado (Prunus padus), una terza tra i ginepri finché scorge l'isola di Manala. Ritto sulla riva del fiume di Tuonela, l'eroe grida alla figlia di Tuoni di portargli una barca (20) affinché possa attraversare le acque dello stretto. Intenta a lavare i panni la fanciulla gli risponde che potrà avere quello che cerca se spiegherà il motivo della sua venuta «se non ti ha ucciso il morbo, afferrato la morte naturale, annientato un'altra sciagura» [XVI, 178-180].

A quel punto Väinämöinen snocciola una serie di argomenti pretestuosi prontamente smontati dalla scaltra guardiana infernale:

«Mi ha portato qui Mana stesso.»
«Allora perché mai non ti accompagna o almeno non porti il cappello (21) di Tuoni e i suoi guanti?»
«Mi ha portato il ferro, mi ha ucciso l'acciaio.»
«Allora perché mai il sangue non cola dai tuoi vestiti?»
«Mi ha portato l'acqua, mi ha trascinato l'onda.»
«Allora perché mai il tuo abito è asciutto?»
«Mi ha portato il fuoco, mi arse la fiamma.»
«Allora perché mai non hai la chioma bruciata?»

Väinämöinen
Dipinto di Akseli Gallén-Kallela (1865-1931)
MUSEO: [Dipingere il Kalevala]►

Alla fine l'eroe si decide a dire la verità: discese a Tuonela per cercare le magiche parole e una trivella con la quale costruire (riparare) la slitta (22). Tuonetar (23) lo rimprovera: dissennato chi si avventura nel regno dei morti «senza motivo» [syyttä], cioè senza che morte lo abbia colto.

Väinämöinen non indietreggia nemmeno di fronte ad un pericolo mortale. Raggiunta l'altra riva gli viene offerto vitto e alloggio: un «boccale di benvenuto» brulicante di rane e di vermi ed il giaciglio dell'oblio (24). L'eroe dichiara che non è sceso all'inferno per fare baldoria ma per «imparare le formule magiche» [ongelmoita oppimahan] (25). Le porte dell'inferno non si aprono a chi fugge: la figlia di Tuoni sprofonda l'eroe in un sonno senza risveglio mentre una vecchia dal mento adunco ed un vecchio con tre uncini di ferro al posto delle dita tessono una rete metallica, una nassa di rame affinché Väinämöinen non possa mai più tornare tra i vivi. L'eroe prende la forma di una lontra, una biscia ed una serpe e, strisciando sotto le acque del «mare nero», passa attraverso le maglie della rete mortale, ritorna alle sue terre e dissuade chiunque dal ripetere quell'impresa tanto audace quanto rischiosa. Rende inoltre testimonianza di quanto severe siano le pene (26) per chi «reca danno all'innocente, offesa a chi non ha macchia» [tekee syytä syyttömälle, vikoa viattomalle] [XVI, 403-404].

Nello sciamanesimo uralo-altaico come nella pratica magica di altri popoli il «viaggio estatico» finalizzato all'ottenimento di un risultato nella sfera mondana (ad esempio l'isolamento e la cura di un male attraverso la conoscenza delle sue origini) può svilupparsi lungo due traiettorie opposte, quella anagogica, l'ascesa e il superamento dei livelli celesti fino alla luce divina e alla perfezione del pneuma, e quella della catabasi, la discesa nelle profondità ctonie attraverso gli antri sinuosi della psiche (27). La rappresentazione di questa esperienza trascendente si presenta nella forma di un «diagramma universale» (28), uno schema delle tappe cosmiche volte verso una direzione specifica, il ribaltamento della quale, il «ritorno tra i vivi», è interamente affidato alla forza dello sciamano e alle sue capacità di controllo dell'io. Sulla betulla sacra, attorno alla quale lo sciamano altaico svolge il proprio ufficio di purificazione, sono incise sette, nove o dodici tacche corrispondenti ad altrettanti livelli celesti, il cui superamento viene scandito dal verso liturgico e accompagnato dal suono del tamburo. Parimenti presso tutte le popolazioni dell'Asia centro-settentrionale lo psicopompo conduce l'anima alla dimora eterna in un «itinerario funebre» descritto come una serie immaginifica di luoghi-tappa, ostacoli e prove di carattere iniziatico. Presso i Nanai (o Goldi), popolazione manciù-tungusa, lo sciamano del villaggio accompagna le anime dei defunti lungo un sentiero che diventa presto un intrico di diramazioni quante sono le famiglie del clan. La prova più impegnativa consiste nel raggiungere l'altra riva del fiume. Il suolo diventa una distesa di fascine e rami secchi, lo sciamano sente i cani abbaiare, scorge il fumo dei comignoli e raggiunge l'«altro villaggio».

Nella rappresentazione della lirica balto-finnica tali «stazioni dell'estasi» sono immagini archetipiche riconducibili a figure analoghe presso altre culture. L'ubicazione dell'inferno oltre un corso d'acqua oltre il quale lo psicopompo traghetta le anime è una concezione universalmente diffusa, l'Hubur dei babilonesi oltre il quale la zattera di Humut-Tabal accompagna i dannati, l'Acheronte greco-romano e Caronte, il portitor horrendus descritto da Virgilio come pure altre immagini analoghe, dai Dajak del Borneo agli Ewe del Togo, alle popolazioni indigene del Nord e Sud America.

In altri runot ove l'immagine di Tuonela è affiancata a quella di Pohjola si parla di un ponte, un filo di seta teso tra una riva e l'altra: «scaglia seta a far da ponte, come passaggio un filo rosso» [silkki sillaksi ravakkah, punalanka portahaksi] (SKVR [I: 4 107]). Nella sua Crónica moralizada de la orden de San Agustín en el Perú (1674), Antonio de la Calancha riporta come tra gli Inca del Perú le anime dei morti oltrepassano il fiume infernale camminando su un capello. La conversazione tra Väinämöinen e la scettica figlia di Tuonela attiene alla credenza secondo la quale, passato a «miglior vita», il defunto si presenti nelle medesime condizioni nelle quali si trovava al momento del decesso. Nella Eyrbyggja saga islandese si parla di Þórólfr che fece naufragio con i suoi cinque marinai. I cadaveri non furono trovati ma, al momento del funerale, i sei dispersi si presentarono ai vivi con gli abiti grondanti d'acqua.

Il boccale offerto all'eroe è conforme alla pessima mensa di ogni altro inferno. In Egitto l'anima [ka] del defunto può nutrirsi solo di sterco e orina. La rete ordina dalle schiere infernali per trattenere l'anima audace è un immagine diffusa in ambito uralico. Presso ai popoli ugrici dell'Ob, lungo il fiume dell'inferno, sono tese reti a sbarramento (29) costituite da capelli dei defunti ma, se non è già arrivato al mare, lo sciamano riesce ugualmente a risalire la corrente riportando a riva l'anima del malato temporaneamente staccata dal corpo. Il riscatto del vecchio Väinämöinen, il ritorno al mondo dei vivi, è affidato all'intelletto dell'eroe: egli è in grado di rimanere desto nello stato di «trance catabasica» ingannando la deriva gravitazionale («l'uomo dormiva, l'abito vegliava» [mies makasi, vaate valvoi]) e, attraverso la trasfigurazione nello «spirito-guida» (30), può ritornare tra gli uomini portando con sé quella «pianta della giovinezza» che Gilgameš estrasse dalle profondità del mare e che la serpe gli sottrasse, la parola immortale della saggezza eterna.

La barca per Tuonela
Dipinto di Akseli Gallén-Kallela (1865-1931)
MUSEO: [Suggestioni dalla terra di Suomi]►

VÄINÄMÖINEN SUONA IL KANTELE

 

Il luccio
Illustrazione di John Sibbick

Dobbiamo a Gabriel Haberfelt (1742-1789), cappellano di Laitila, la definizione di «Orfeo finnico» che, nella sua Dissertatio Academica (Turku 1766), egli attribuì a Väinämöinen inaugurando, per quanto potesse esserne consapevole, un filone fecondo della scienza del mito, lo studio comparato del prodigioso cantore tracio e del «runoja eterno».

Le immagini di carattere estatico e trascendente largamente presenti nella lirica europea, Orfeo che ricorre al suo canto per placare la furia di Caronte e di Cerbero e discendere agli inferi e l'incantamento degli uccelli e dei pesci come ci è stato trasmesso dal frammento di Simonide, sono rintracciabili ed a tratti evidenti in almeno due cicli: Väinämöinen in visita a Tuonela [Tuonelan käynti] alla ricerca di un trapano per aggiustare la slitta (31) e l'origine del kantele [Kanteleen synty] cui sono correlati gli episodi delle creature rapite dal suono di Väinämöinen [Kalteleen soitto] e dell'effusione delle lacrime [Kyynelten vierintä], questi ultimi alla base del Runo Quarantunesimo.

Il Lönnrot diede ai canti collocazioni distinte (32), mentre egli stesso, rapsodo e incantatore, volle conquistare il lettore inserendo due varianti sull'origine del kantele tra le più suggestive di tutta la produzione lirica, l'una raccolta nella regione della Viena, l'altra diffusa principalmente nell'Ingria ed in Estonia, rispettivamente la costruzione del sacro strumento per mare con l'osso di un pesce (33) [Kalanluinen kantele] (Runo Quarantesimo) e sulla terra con il legno di betulla [Koivuinen kantele] (Runo Quarantaquattresimo).

Nella prima, gli eroi Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen fanno vela verso Pohjola per recuperare il Sampo ma la loro imbarcazione si arena sul dorso di un enorme luccio. Väinämöinen sguaina la spada e uccide il «cane d'acqua» (34). La carcassa viene issata a bordo ma la coda cade in mare. Gli eroi raggiungono un isolotto, il pesce viene cucinato e mangiato. Con le lische rimaste Väinämöinen ordina ad Ilmarinen, l'«artefice sempiterno», di costruire uno strumento, ma questi dichiara che con quei miseri resti non ne verrebbe grande cosa. Allora l'eroe costruisce egli stesso il kantele.

Di questo ciclo vi è una variante estone sulla base della quale Kaarle Krohn ha ricostruito la forma originale delle strofe: «Come [nacque] la tavola del kantele? Dalla mascella del gran salmone. Come il ponticello del kantele? Dal garretto della renna celeste. Dove i bischeri del kantele? Dai denti del gran luccio. Dove le corde del kantele? Dai capelli della giovinetta» [Mistä koppa kantelehen? Lohen suuren leukaluusta. Mistä orsi kantelehen? Sinipeuran polviluusta. Mistä naulat kantelehen? Hauen suuren hampahista. Mistä kielet kantelehen? Hi'uksista neidon nuoren].

Diversi tipi di kantele tradizionale, fabbricati con legno di betulla
<www.people.iup.edu>

Come ha osservato l'etnomusicologo Armas Otto Väisänen, la forma del kantele con la tavola armonica affusolata e la rosetta a guisa di occhio ricorda quella di un pesce. L'origine mitica di strumenti musicali zoomorfi accomuna culture tra loro diverse. La cetra in uso presso i popoli obugrici richiama per forma e nome [mansi toor-sapt-jux, «legno di collo di gru»] l'animale dal quale ebbe origine. Hermes poté tenersi il bestiame rubato ad Apollo in cambio della lira che egli fabbricò con un guscio di tartaruga trovato sulle rive del Nilo.

Le redazioni sull'origine del kantele parte dei Runi Quarantesimo e Quarantaquattresimo sono entrambe basate su versi lirici autoctoni; tuttavia come in altri carmi dall'ispirazione marcatamente orfica lo sviluppo evidenzia l'influsso di elementi riconducibili a poesia epica e folklore stranieri, in particolare baltico-slavi. All'origine delle due versioni individuiamo due luoghi d'ambito fiabesco universalmente diffusi: lo strumento costruito con le parti di una fanciulla il cui corpo viene ritrovato in mare e con il legno cresciuto sulle spoglie di una donna seppellita sotto terra. Il tema demoniaco e funerario delle corde fatte con i capelli di una dannata permane in alcune varianti («Come le corde del kantele? Dai capelli della vecchia di Hiisi» [mistä kielet kantelehen? Hivuksista Hiiden ämmän] (SKVR [VII: 1 552]) mentre nel Kalevala prende la forma dei «crini del purosangue di Hiisi».

Gli elementi acqua/pesce e terra/albero segnano lo sviluppo successivo del mitologema. Nella redazione del Lönnrot, al canto sull'origine del kantele d'osso di pesce, inserito nel ciclo della spedizione «argonautica» per il Sampo, segue l'episodio del rapimento delle creature e dall'effusione delle lacrime. Alcuni elementi narrativi rilevanti (catabasi, viaggio per mare, estasi musicale) sono debitrici della bylina russa di Sadko, mercante avventuriero e cantore che scende nelle profondità abissali e delizia il re delle acque e le sue creature suonando il gusli (35), strumento cordofono del tutto simile al kantele. I creatori del runo hanno sviluppato un mito orfico universalmente presente nella poesia euro-asiatica sotto l'influsso di elementi dell'epica di periodo variago-slavo (36), ricamando poi la trama con estetismi e richiami cosmici di carattere proprio (37).

Il tema della melodia incantevole e del suo effetto, il profluvio di lacrime versate da Väinämöinen e dal suo uditorio, trova riscontro nella versione scandinava della fiaba dell'«Osso che canta» (38), ove la fanciulla, assassinata la propria sorella per invidia, cede alla musica dello strumento incantatore e scoppia in un pianto dirotto rivelando così la propria colpa. In quella estone, il kannel (39) è costruito con il legno di una betulla cresciuta sul corpo della fanciulla assassinata. Come nel Kalevala viene cercato invano colui che riesca a trarre dallo strumento una musica melodiosa e, nel caso specifico, è il fratello della vittima a cimentarsi suscitando le lacrime di commozione delle fanciulle presenti.

Come Väinämöinen, anche Lemminkäinen fa appello alle genti, ai giovani e ai vecchi, per poi impegnarsi egli stesso senza successo. Lo strumento viene mandato a Pohjola ma anche nelle terre del Nord il risultato è una stridente cacofonia. Un vecchio cieco (40) disturbato da quei suoni orrendi consiglia di rispedire il kantele da dove è venuto ma lo strumento dichiara di voler cantare sotto le dita di chi lo ha costruito. Väinämöinen prende posto sulla «pietra della gioia» (41), sulla «roccia del canto» e le sue note richiamano l'attenzione delle creature di terra, cielo ed acqua (42): scoiattoli, ermellini, alci e linci accorrono saltellanti di gioia; il lupo e l'orso travolgono la palizzata e si arrampicano su un albero; Tapio, il re della foresta, e le sue schiere salgono su un monte per meglio ascoltare la melodia, mentre la consorte si veste a festa (43) e prende posto nel cavo di un albero; l'aquila lascia il suo nido; le anatre, i cigni, i passeri e gli zigoli volteggiano esultanti sulle spalle del bardo; le ninfe dell'aria si sporgono dalle nubi; le divinità astrali Kuutar e Päivätär, intente a tessere un cosmico drappo, lasciano cadere la spoletta, sì da spezzare l'aurea trama. Il luccio, i salmoni, i coregoni, la lasca, il persico e il lavarello si avvicinano alla costa; Ahto il re degli abissi si solleva oltre i flutti e rivolge un complimento a Väinämöinen; le pulzelle dalla foggia d'anatra abbandonano le loro toelette mentre la divina signora delle acque si erge fino alla scogliera per sprofondare in un sonno sublime.

Väinämöinen suona il kantele
Illustrazione di John Sibbick

La lirica balto-finnica come nessun'altra forma d'espressione ha saputo coniugare un contenuto magico-operativo, l'interpretazione poetica di un'istanza propiziatoria, all'elaborazione di miti ed immagini di carattere universale. Jyrkini Iivana, erede di una gloriosa stirpe di rapsodi, i Malinen di Vuonninen, spiegò a Kaarle Krohn come in primavera, durante la semina, si usasse cantare i runot sulla forgia e sulla contesa del Sampo, concludendo poi con il carme della vittoria di Väinämöinen contro il freddo [pakkanen] mandato dalla perfida signora di Pohjola. Il richiamo alle schiere dei numi silvestri accomuna il runo del quale ci occupiamo alle tradizionali invocazioni rivolte alle divinità di terra, di cielo e d'acqua, prima di partire per le battute di caccia e pesca.

Il Ganander riporta una variante del runo recuperata in Ostrobotnia: uomini e donne chiedono a Väinämöinen di suonare il kantele (in questo caso si tratta dello strumento di legno) per incantare le bestie inducendole verso le trappole tese dal cacciatore: «soave signora di Metsola, meticolosa fanciulla di Tapiola, trascina il carico della selvaggina, fai marciar la gran ricchezza, l'oro dritto tra i miei lacci» mielus Mehtolan Emäntä, Tapiolan tarkka neito, vedä rijstasta rekiä, tavaraista taluttele, kohden kulta langojani (SKVR [XII: 1 102]). Questo costituisce tuttavia una «guarnizione etnica» dello sviluppo di un mitologema, il tema orfico dello strumento incantatore, la cui propagazione in Europa è testimoniata dalle fonti dell'epica e della poesia scaldica.

Il poema in medio inglese Sir Orfeo, rielaborazione celtico-cristiana del mito dell'eroe tracio, fu il modello per alcune ballate scandinave (Harpans kraft e Villemann och Magnhild) e vi è motivo di credere che tali immagini abbiano attraversato i mari del Nord da Occidente ad Oriente.

Nella Carta marina et Descriptio septemtrionalium terrarum di Olaus Magnus (1539), in corrispondenza della porzione Nord-Orientale dell'Islanda troviamo un uomo intento a suonare uno strumento ad arco simile alla crotta [forse il gue delle Shetland]: un piccolo mammifero, forse uno zibellino, spunta da un anfratto, mentre dal mare cigni e pesci si avvicinano festanti alla riva. In ambito uralo-altaico troviamo un immagine analoga descritta in un ciclo epico dei Tartari di Abakan: l'eroe suona uno strumento a corde mentre gli uccelli volteggiano sulla sua testa e i vecchi piangono dalla commozione. Nell'induismo, uno dei numerosi appellativi di Kṛṣṇa è muralī manohara, «colui che incanta con la musica del flauto».

Il nucleo simbolico più autentico del runo balto-finnico, la rielaborazione del mito universale di Orfeo filtrato dalla schietta vocazione trascendente dello sciamanismo, trova una rappresentazione quasi esemplare in un mito samoiedo riportato da Kai Donner: nella lotta tra un mostro marino fornito di un solo corno ed un enorme volatile di nome Pyyne, quest'ultimo perde un'unghia che rimane infilzata nella schiena del grosso pesce. L'invincibile forza del pennuto viene meno e questi chiede all'eroe Itje di recuperare l'artiglio. L'uomo costruisce uno strumento simile al kantele in grado di comunicare nella lingua di tutti gli animali attraverso una musica accattivante. Le creature d'acqua e di terra accorrono ad ascoltare, l'eroe salta in groppa al gigantesco pesce e si allontana cavalcandolo.

Il compito del rapsodo-sciamano è quello di «richiamare le anime» (le cui lingue egli conosce ed è in grado di tradurre) in una liturgia collettiva che produce un segno di partecipazione nei presenti, un trasporto emotivo cui insiste un processo di significazione ora caratterizzato da connotazione (nel ciclo di Sadko la danza dello Car' Morskoj provoca una tempesta), denotazione (nell'Osso che canta la drammatica verità della fanciulla fratricida) o evocazione (nella versione estone il suono dello strumento del fratello «pare il pianto di una fanciulla»).

Nell'interpretazione balto-finnica dell'immagine delle lacrime di commozione ci troviamo di fronte ad un carme sviluppatosi autonomamente (44) nel quale l'immagine portante, l'effetto tangibile dello struggimento alla melodia elegiaca, costituisce una limpida quanto esplicita metafora del potere di trasfigurazione esercitato dall'espressione lirica. Väinämöinen ordina all'uccello cosmogonico, l'«anatra celeste» [sininen sotka], di tuffarsi ancora una volta per raccogliere dalle acque chiare le lacrime che nel frattempo si sono trasformate in perle, eterni ornamenti per la stirpe regale dei virtuosi: helmiksi heristynehet, kuningasten kunnioiksi, Valtojen iki-iloiksi.

NOTE
 

1 — Il Lönnrot si avvalse di una versione registrata dalla voce di Arhippa Perttunen a Latvajärvi nel 1834. Il luogo si presenta in versioni piuttosto simili tra loro in un'area molto più vasta della sola Viena, dal Savo alla Carelia Settentrionale all'Ingria, fino alle regioni occidentali e insulari dell'Estonia dove, secondo il Kaarle Krohn, nacque e si sviluppò il nucleo originale. RITORNA

2 — Nelle altre varianti le corna dondolano nel Tornio, il toro si aggira a Hämälässä, più genericamente in Finlandia o, con un tono di esotismo, viene portato direttamente dalla Turchia. RITORNA

3 — Nel Runo Cinquantesimo, Virokannas si rifiuta di battezzare il figlio di Marjatta, il messia destinato a porre fine all'età eroica. RITORNA

4 — L'immagine è presente anche nel «Runo del grande maiale» [ison sian runo], versione certamente più recente limitata alle regioni dell'Ingria e dell'istmo di Carelia, probabilmente frutto di interferenza tra kalppi, sinonimo di «bue», e lo svedese galt «maiale». RITORNA

5 — Il parallelismo tra Turja, misteriosa terra settentrionale, e l'inferno è un accostamento retorico tipico della topologia mitica. In alcune varianti estoni, il mattatore viene portato dalla Turchia (vedi nota 2) o dal Tatarstān. RITORNA

6 — La descrizione delle dimensioni compare anche nelle varianti del runo in oggetto: «alto tre dita, lungo quattro pollici» [kolmen sormen korkuinen, neljän peukalon pituinen] (SKVR [VI: 1 47]). RITORNA

7 — Sull'isola di Mantsinsaari, presso la costa orientale del lago Ladoga, sopravvisse fino agli ultimi anni dell'Ottocento un rituale del tutto simile ad altri diffusi presso i popoli ugro-finnici: il giorno di Sant'Elia (1° agosto), se domenica, o la prima domenica del mese, il «toro del Santo» [Illjanhäkki] era portato nel bosco sacro [uhrilehti] ed abbattuto. Le carni cucinate venivano consumate all'interno di una spoglia tsasouna o «camera di preghiera» allestita con una croce di Sant'Andrea. La bestia prescelta era offerta a Sant'Elia [Pühä Ilja] e lo scopo del rito era di garantire l'integrità del bestiame. RITORNA

8 — Da päivä «sole», con suffisso adessivo -la; -lä per armonia vocalica. RITORNA

9 — Nel ciclo della «visita a Päivölä» [Päivölän retki] la descrizione del toro, analoga a quella del presente runo, compare nell'episodio della «sfida magica» tra Lemminkäinen e il signore di Päivölä. Costui evoca un lago al centro della sala e l'eroe suscita un grande toro per prosciugarlo. Nella compilazione del Lönnrot, il brano è parte del Runo Ventisettesimo. RITORNA

10 — Conservato al Museo Nazionale Danese di Copenhagen, e datato alla fine del II secolo a.C., costituisce una delle testimonianze più rilevanti dell'arte e della religione dei Celti. RITORNA

11 — Nell'epopea di Gilgameš, Ištar desidera l'eroe come suo sposo, ma questi si rifiuta temendo la malasorte che toccò ai passati amanti della dea. Adirata, Ištar chiede al padre Anu, divinità del firmamento, di lasciare la pastoia del Toro Celeste affinché scorrazzi per Uruk. Anu dichiara che vi saranno sette anni di carestia, ma la figlia ribatte che ha già raccolto grano per gli uomini e fieno per le bestie. Gilgameš e il compagno Enkidu affrontano e sconfiggono l'animale. Come nel mito balto-finnico, il frutto del sacrificio sono sei barili di grasso: gli artigiani ammirano lo spessore delle corna, capienti sei gur (misura pari a circa 300 litri) di olio, che l'eroe offre al culto del padre Lugalbanda. RITORNA

12 — Tra le interpretazioni sull'origine del nome vi è anche quella di πλέω «navigo» (secondo Esiodo, le Pleiadi sono origine di tempeste quando, inseguite da Orione, si gettano nel mare), che riporta alla figura delle sette barche colme di sangue. RITORNA

13 — Variante raccolta dall'Europaeus nel 1853 presso Narvusi (russo Kuzemkino, Ingria Occidentale) (SKVR: [III: 3 219]). RITORNA

14 — Vi sono due versioni distinte: nella prima, connessa con il canto di Antero Vipunen, l'eroe cerca le formule per fabbricare la barca, nell'altra egli deve procurarsi un trapano per riparare la slitta. Basandosi sulle varianti cantate da Arhippa Perttunen, il Lönnrot collocò quest'ultima nel Runo Venticinquesimo, ove al termine del banchetto Väinämöinen si allontana da Pohjola e un pattino del traino urta contro una roccia. Secondo Kaarle Krohn, la prima versione sarebbe una fioritura della prima sotto l'influenza del tema di Antero Vipunen. RITORNA

15 — Nel Runo Secondo, quando la terra era ancora saari sanaton, mantere puuton, letteralmente un'«isola senza nome, un continente senza alberi», Väinämöinen lo incarica di seminare la vegetazione per le valli e sopra i monti. Figura legata alla coltivazione ed alla fertilità, il nome è stato associato al Sansone biblico la cui figura fu mutuata dal sincretismo balto-finnico attraverso l'iconografia ortodossa. L'appellativo Pellervoinen deriva da pelto «campo». RITORNA

16 — La presenza di questa essenza arborea nel canto della cerca del legno [Venepuun etsintä] rivela la provenienza meridionale, particolarmente ingrico-estone, del nucleo originale. Solitamente è Väinämöinen a cercare il legno mentre Sampsa compare nelle varianti della Viena, ove il luogo funge da preambolo per il tema del «viaggio per mare del Creatore» [Luojan laivaretki], alla base della spedizione per il Sampo. RITORNA

17 — Sovente in ambito lirico il verbo laulaa, «cantare», assume contestualmente il significato di «evocare», «generare», «innalzare», dando così espressione alla solidarietà magica tra poesia e istanza del ποιέιν.RITORNA

18 — Anche Tuonelan tupa. In questo caso il sintagma precede il luogo mitico del quale è composto e non viceversa. In origine l'espressione indicava la singola tomba che, presso molti popoli ugro-finnici, aveva le sembianze di una vera e propria abitazione, per poi allargare il proprio significato a luoghi sepolcrali e infine all'immagine del regno dei morti. RITORNA

19 — Nell'interpretazione come maan alla, «sotto terra», e dietro a un (corso) d'acqua il luogo restituisce l'immagine della topologia infernale. RITORNA

20 — Samuli Paulaharju riporta la credenza, diffusa nella Viena, secondo la quale, quando l'orecchio avverte come il fischio d'un campanello, è un congiunto che, dalle viscere di Tuonela, chiede una barca per traversare il fiume. A quel punto bisogna recarsi davanti all'icona e pronunciare «Buon Dio, offri un passaggio oltre il fiume di Tuonela a chi lo invoca!» [Peässä, Jumala, huhuajoa Tuonelan joesta poikki!]. RITORNA

21 — Riferimento all'usanza di vestire la salma con il «cappello di Tuoni» [Tuonin hattu], sorta di cappuccio coperto sul collo lungo fino alle spalle, e i «guanti di Mana» [Manan kintahat]. RITORNA

22 — Il Lönnrot ha inserito strofe della variante che contempla la slitta, qui menzionata in chiave di metafora dell'intera scienza sacra: «si ruppe la slitta dei poemi, si spezzò il pattino delle formule» [rikkoihe reki runoilta, jalas taittui lausehilta]. RITORNA

23 — Da Tuoni, qui personificazione infera, con suffisso femminile -tar. RITORNA

24 — Nella versione scelta dal Lönnrot si parla solo di un taljavuode, letto di pelo, mentre altrove troviamo un giaciglio di bisce e serpenti. RITORNA

25Ongelma, letteralmente «problema», contestualmente in ambito lirico in riferimento alla sapienza misterica. Il significato originale di «sinuosità» [di alberi o arbusti] rimanda alle contorte formae mentis del simbolo iniziatico. RITORNA

26 — L'immagine dell'inferno come luogo di punizione è dovuta all'influsso del pensiero cristiano. Propria del paganesimo è altresì la concezione dell'aldilà come mondo speculare a quello dei vivi, ove il sole splende quando da noi è notte e i defunti svolgono le medesime attività di prima. Sia nelle lingue uraliche che in quelle altaiche l'inferno è letteralmente l'altro mondo, l'udmurto tịsdor jugịd, lo jakuto atgu doïdu. RITORNA

27 — Secondo il Ganander, nel XVIII secolo l'espressione käydä Tuonelassa, «andare a Tuonela», era ancora usata in riferimento allo stato di rapimento estatico dello sciamano. RITORNA

Tamburi sciamanici

28 — I disegni sul tamburo dello sciamano lappone sono esempi di tali «mappe cognitive». Vediamo rappresentate le tre «porzioni del cosmo», celeste, terrestre ed infero, popolate di animali e figure legate alle gerarchie divine, sociali e totemiche del clan, separate da due palizzate inaccessibili al centro delle quali vi è un'apertura destinata esclusivamente al medium di provate capacità. In corrispondenza di tale orifizio la linea di demarcazione può presentarsi piegata verso il basso come nelle trappole a gabbia o a nassa per catturare piccoli animali, suggerendo così una direzione «per caduta» che renderebbe altrettanto difficile ascendere al cielo come pure ritornare dal regno dei morti. RITORNA

29 — Sistema di pesca molto diffuso presso tali popoli. RITORNA

30 — Nello sciamanesimo lappone l'anima ritorna nella forma di un pesce, salmone, luccio o trota, ma sul diagramma del tamburo ricorre il serpente [il saivo-gärmui o serpe degli inferi presso i lapponi di Svezia] che adorna i paramenti cerimoniali dello sciamano altaico. RITORNA

31 — Carme il cui tema è strettamente legato a quello della discesa nelle viscere di Vipunen per recuperare le tre parole magiche e completare la costruzione della barca, benché secondo Domenico Comparetti si sarebbe trattato di un accostamento posteriore allo sviluppo originario dei rispettivi runot. RITORNA

32 — La scelta non era scontata dal momento che la discesa agli inferi (o dentro alle viscere di Vipunen) e la nascita del kantele si trovavano non di rado combinati nello stesso canto, ad esempio Vipunen, Laivaretki ja kantele, raccolto dall'Europaeus a Ilomantsi (SKVR [VII: 1 356]). RITORNA

33 — Lönnrot scelse il luccio coerentemente con la variante del canto nella quale la barca di Väinämöinen si arena sul dorso di un pesce. In un'altra versione, anch'essa originaria della Viena, l'eroe naufraga su uno scoglio dove trova lische di salmone, una testa di luccio, frammenti di una costola di balena e ossa di anatra con le quali fabbrica il kantele. RITORNA

34Ve'en koira, allegoria descrittiva di ambito lirico già menzionata dal Ganander. RITORNA

35 — Il nucleo originale è costituito da tre atti, raramente cantati in successione. Nel primo Sadko suona laconico il suo strumento sulle rive del lago Il'men. Il re delle acque rimane incantato e per gratitudine gli suggerisce di scommettere con i mercanti di Novgorod che nel lago vive il pesce dalle pinne d'oro. Nel secondo atto, Sadko, ormai diventato ricco, scommette ancora che riuscirà ad acquistare tutte le proprietà dei mercanti. Questi portano altri beni da Mosca e Sadko deve ammettere la sconfitta. Nel terzo atto Sadko, dimenticatosi di ringraziare degnamente lo Car' Morskoj, il re delle acque, viene bloccato in mare con la sua flotta. Non ottenendo risultato in altro modo decide di offrire sé stesso agli abissi, si tuffa e suona il gusli in fondo al mare. Il re si mette a danzare dando luogo ad una terribile tempesta che fa naufragare altre navi. I marinai pregano San Nicola il quale fa spezzare le corde dello strumento e diffida Sadko dal ricevere le ricchezze del mare, consigliandogli di sposare una delle figlie dello Car' Morskoj. RITORNA

36 — A tale periodo storico si è fatto risalire più in generale il tema eroico della spedizione per mare. RITORNA

37 — «Il dente di luccio tintinnava, la coda del pesce incalzava, ululavano le setole del cavallo, echeggiavano i crini del corsiero» [Helähteli hauin hammas, kalan pursto purkaeli, ulvosi upehen jouhet, jouhet ratsun raikkahuivat]. Il richiamo al contenuto allegorico dello strumento nelle sue componenti è un espediente retorico diffuso e consolidato. Nell'epilogo del Kalevala, l'arca sacra dei versi è la metafora della bocca del cantore, che custodisce nella memoria la saggezza del runo eterno: «Metto i versi in cima al tabernacolo, dietro alle serrature d'osso, affinché mai più escano di lì, si liberino nei secoli dei secoli, se nessuno sposterà le ossa, allargherà le mascelle, spalancherà tutti i denti, muoverà svelto la lingua» (Kalevala [L: 541-548]). RITORNA

38 — Nella versione dei Grimm (Der singende Knochen [ATU 780]), il Re manda nel bosco due fratelli, l'uno superbo e l'altro di buon cuore, per dare la caccia ad un cinghiale. Sicuro del suo successo il primo prende tempo gozzovigliando, mentre il più valente dei due riesce a catturare la preda. Colto da invidia l'uomo uccide il proprio fratello e nasconde il corpo sotto un ponte. Anni dopo un pastore trova un osso e vi costruisce un corno. Dallo strumento si diffonde un motivo che rivela al Re il tragico svolgimento dei fatti. Questi ordina di annegare il fratricida e seppellisce degnamente il corpo dello sventurato. RITORNA

39 — Anche kandle (cfr. lituano kanklės). Sull'origine baltica o finnica del nome non vi è un'opinione condivisa. Lo strumento si presenta in versioni molto simili tra loro in un'area molto ampia del Baltico orientale fino alle regioni dei finnici del Volga (mari kislja).RITORNA

40 — Nelle varianti dell'Ingria e dell'istmo di Carelia è Väinämöinen stesso ad essere cieco. RITORNA

41Ilo, metonimia d'ambito lirico per lo strumento (ilo ikuinen, letteralmente «gioia eterna») e il prodotto di questo, la melodia della musica. RITORNA

42 — Comune a tutte le varianti, il ricorso alla sineddoche descrittiva per le bestie di terra, «non c'era invero nel bosco creatura a quattro zampe, dalle gambette saltellanti, che non fosse giunta ad ascoltare, a godere di quella melodia» [ei ollut sitä metsässä jalan neljän juoksevata, koivin koikkelehtavata, ku ei tullut kuulemahan, iloa imehtimähän] (Kalevala [XLI, 32-36]), di cielo e d'acqua, «fluttuante tra due ali, che si muove tra sei pinne» [kahden siiven huiskavata […], kuuen evän kulkevata] (SKVR [IX: 2 30]). RITORNA

43 — Altrove i «paramenti cosmici», le calze azzurre e i lacci rossi sono attribuiti a ve'en emäntä, la «signora delle acque». RITORNA

44 — Il runo Kyynelten vierintä, il cui tema centrale è presente in alcune dainas lituane, si è propagato fino alla Viena a partire da un nucleo originario proprio dell'Estonia, del quale la versione ingrica selezionata dal Lönnrot conserva alcuni tratti, ad esempio lo scivolare delle lacrime dagli occhi al petto, dalle ginocchia ai piedi fino a terra. RITORNA

L'AUTORE

Marcello Ganassini di Camerati, studioso di ugrofinnistica, già traduttore di Aki Kaurismäki e Arto Paasilinna per i tipi di Iperborea, è curatore e traduttore della prima versione filologica del poema epico Kalevala, pubblicato dalle Edizioni Mediterranee (2009).

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Rubrica: Articoli - Alonso Quijano
Area: Finnica - Vaka Vanha Väinö
Testi e note di Macello Ganassini (2010)

Creazione pagina: 15.05.2011
Ultima modifica: 01.11.2012

 
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