SINTESI

ASIA ORIENTALE
Giapponesi

 

IL KOJIKI
Dèi ed imperatori del Giappone primordiale
 
Izanagi e Izanami
Antica stampa giapponese

IZANAGI E IZANAMI

ll'inizio del tempo, nell'Èra degli Dèi...

Le divinità si riunirono nella Pianura dell'Alto Cielo, guardarono sotto le nuvole e videro soltanto un caos informe. E dissero:

― Il mondo sotto il cielo non è che una distesa di acqua salmastra, oleosa, priva di forma. Che qualcuno vada e formi la terraferma, affinché si possa andarvi a vivere ed abitare.

Accettarono l'invito gli ultimi nati della stirpe divina, l'augusto Izanagi e sua sorella Izanami. Gli dèi consegnarono loro la Lancia Gioiello del Cielo [ame-nu-hoko] e dissero:

― Orsù, scendete dalla Pianura dell'Alto Cielo, formate un paese dal caos e rendetelo abitabile!

I due giovani dèi scesero sul Ponte Fluttuante del Cielo [ame-no-hashi-date] e sospesi al di sopra delle acque salmastre e turbinanti, vi immersero dall'alto la lunga lancia e, quando la ritrassero, dalla punta di quella lancia gocciolò del fango, che rapprendendosi divenne la prima isola del mondo. Quella è l'isola di Onogoro [Awagi].

YAMATOGONIA

zanagi e Izanami scesero su quella piccola isola e là innalzarono un palazzo. Ma il loro lavoro era appena iniziato: a parte quel piccolo scoglio deserto, il mondo era ancora una massa di acqua senza forma. Non vi era nulla: né piante né animali né creature viventi, e il paesaggio era piatto e spoglio. Izanagi e Izanami cominciarono a riflettere su come proseguire la loro opera di creazione ed Izanagi si trovò a chiedersi perché proprio loro due fossero stati scelti per scendere sulla terra.

Izanagi chiese a Izanami: ― Sorella mia, dimmi, com'è fatto il tuo corpo?

― Il mio corpo è compatto e ben fatto ― ella rispose. ― In un sol punto esso presenta una strana rientranza.

― Anche il mio corpo è compatto e ben fatto ― fece lui. ― Ma in un sol punto presenta una strana sporgenza. Tutto ciò, io credo, non può essere senza un motivo. Ascoltami bene, sorella. Se mettessimo la parte del mio corpo che sporge in quella parte del tuo corpo che rientra, che cosa credi che accadrebbe?

― Proviamo ― disse Izanami. E si levò da terra e corse intorno alla colonna che si ergeva al centro della casa. Izanagi le andò incontro dalla parte opposta e i due giovani si abbracciarono con trasporto.

― Che giovane amabile! ― disse Izanami.
― Che splendida fanciulla! ― replicò Izanagi.

Presto Izanami scoprì di essere incinta, e quando venne il momento del parto, ella diede alla luce un bambino debole e privo di ossa, a cui fu messo nome Hiruko, «bimbo-sanguisuga». I genitori, disgustati, lo misero su una barca di canne e lo abbandonarono in mare.

― Questo figlio non è stato ben concepito ― disse Izanagi. ― Dobbiamo avere sbagliato qualcosa. Andiamo a chiedere spiegazioni.

Allora Izanagi e Izanami salirono sul Ponte Fluttuante del Cielo e andarono a interrogare gli dèi. Questi risposero: ― Il concepimento di Izanami non è andato bene perché nel vostro incontro la donna ha parlato per prima. Ripetete la cerimonia nuziale ancora una volta e che l'uomo parli per primo!

Izanagi e Izanami ridiscesero dal cielo e tornarono a girare intorno alla colonna al centro della loro casa.

― Che splendida fanciulla! ― disse Izanagi.
― Che giovane amabile! ― replicò Izanami.

Fu così che Izanami si trovò di nuovo incinta e i figli che nacquero da lei furono grandi e possenti divinità. Essi proseguirono l'opera di creazione dei loro genitori formando altre otto grandi isole:

  • L'isola di Awaji-no-ho-no-sa-wake [Awaji];
  • L'isola di Ō-ya-shima-kuni [lo Shikoku];
  • L'arcipelago di Oki-no-mitsuko [le tre isole Chiburi, Nishi, Naka];
  • L'isola di Tsukushi [il Kyūshū];
  • L'isola di Iki;
  • L'isola di Ame-no-sa-te-yori-hime [l'isola di Tsushima];
  • L'isola di Sadō;
  • E l'isola di Ō-Yamato-toyo-akitsu [l'Honshū].

Tutte queste isole formarono lo Ō-ya-shima-kuni, il «Paese delle Otto Grandi Isole». A queste si aggiunsero poi altre sei isole minori.

Così fu creata la divina terra di Yamato, il Giappone.

Izanagi e Izanami
Antica stampa giapponese
DISCESA NEL PROFONDO

Izanagi e Izanami
Questi due scogli gemelli, chiamati con i nomi di Izanagi e Izanami, si trovano al largo della spiaggia Ame-no-hashi-date, non lontano da Ise. Rappresentano il mistero della sessualità, la differenza e la complementarità del maschio e della femmina.

zanami diede alla luce molti altri figli e figlie, che furono altrettante divinità. Gli dèi del vento, degli alberi, delle pianure, dei monti, delle salite, delle vette, delle valli, dei pendii, del mare, della spuma, delle onde, delle acque, della navigazione, delle costruzioni, del cielo, della natura e del fuoco. E le Otto Grandi Isole assunsero la loro fisionomia: si riempirono di monti e di laghi, di piante e animali, e il paesaggio divenne come è ancora oggi.

Ma purtroppo, nel dare alla luce il dio del fuoco, Izanami si ustionò il ventre e morì.

La donne fu sepolta sul monte Hiba, nella penisola di Izumo. Izanagi molto si dolse della morte della moglie. ― Oh, mia amata augusta sorellina! Perderti così, per un solo figlio!

Allora Izanagi si mise in viaggio per il Profondo, lo Yomi-tsu-kuni, il paese dei morti che si trovava nel sottosuolo. Entrò in una caverna, e dopo aver percorso un lungo cunicolo, giunse a una strana costruzione che sprofondava ancor più nelle viscere della terra. Izanagi si sporse in giù da una botola e gridò nell'oscurità:

― Dolce Izanami! Il paese che tu ed io abbiamo cominciato a costruire non è ancora finito! Su, che cosa aspetti, ritorna!

E dall'oscurità rispose l'augusta Izanami: ― Non posso tornare, o mio diletto, ché ho già mangiato il cibo dei morti. Tuttavia andrò a conferire con gli dèi degli inferi e chiederò il loro augusto giudizio. Tu attendi e non guardare. Se guarderai, mi perderai per sempre.

Izanagi si dispose all'attesa, ma il tempo passava e dalla botola non venivano voci. Allora, non potendo più attendere, prese il pettine che portava al nodo sinistro dei capelli, ne ruppe un dente e vi accese un piccolo fuoco. Poi diresse il lumicino all'interno della botola e vide Izanami. Era orrenda come in vita era stata bella. Sul suo corpo si ammassavano dagli spiriti degli inferi. Il viso era una massa di carni putrefatte, brulicanti di vermi.

Izanami si voltò di scatto. ― Izanagi, perché hai guardato? Mi hai coperta di vergogna!

E trasformatasi in una furia, colei che era stata Izanami balzò fuori dalla botola per ucciderlo.

Izanagi fuggì su per il cunicolo e Izanami lo inseguì, mentre gli spiriti degli inferi la seguivano con gran fragore. Izanagi le sfuggì per un soffio e una volta uscito dal Profondo, afferrò una grande roccia che solo mille uomini avrebbero potuto spostare, e con quella bloccò l'ingresso del mondo dei morti.

Dall'altra parte della roccia, si udì la voce di Izanami: ― Mio augusto fratello, giacché tu mi hai disonorata, ogni giorno i miei spiriti verranno sulla terra e strangoleranno mille uomini!

Rispose Izanagi: ― Graziosa sorellina, se tu farai così, in un sol giorno io genererò mille e cinquecento uomini!

Per questa ragione tuttora muoiono sulla terra almeno mille uomini al giorno, ma d'altra parte ne nascono più di mille e cinquecento.

NASCITA DI AMATERASU E SUSANO-Ō

ssendo cosparso delle impurità degli inferi, Izanagi provvide subito a purificarsi. Giunse sull'isola Tsukushi, dove adempì ai sacri lavacri. E dal lavacro di ogni suo abito e di ogni parte del suo corpo nacque una diversa divinità. Vennero così alla luce gli dèi del pianto, dei dolori, delle strade, dei bivi, delle spiagge, dei mali, del fondo del mare, della superficie del mare, dell'alto mare, della morte, dei banchetti, dei meandri, dei fiumi...

Dal lavacro del suo occhio sinistro nacque Amaterasu-ō-mi-kami, la Grande Augusta Divinità che Regge il Cielo. Dal lavacro del suo occhio destro nacque Tsuki-yomi-no-mikoto, Sua Altezza la Luna delle Notti. E dal lavacro del suo naso nacque per ultimo Take-haya-Susano-ō-no-mikoto, Sua Altezza il Maschio Rapido Impetuoso.

Allora Izanagi si tolse la collana di pietre ricurve che aveva al collo e la diede ad Amaterasu dicendole: ― Tu, signora, sarai la dea del sole, e governerai la pianura dell'alto cielo.

Poi si rivolse a Tsuki-yomi e gli disse: ― Tu, signore, sarai il dio della luna, e governerai il regno buio della notte!

Poi parlò a Susano-ō: ― E tu, signore, sarai il dio della tempesta, governerai la pianura del mare!

Nascita di Amaterasu-ō-mi-kami
Antica stampa giapponese

SUSANO-Ō SI RIBELLA

 figli di Izanagi si accollarono ciascuno l'incarico avuto dal padre loro, tranne Susano-ō, che rifiutò di governare l'oceano come gli era stato comandato e piuttosto cominciò a piangere e pestare i piedi. E a lungo pianse tanto che i mari e i fiumi si disseccarono e i monti divennero brulli.

Perciò Izanagi lo chiamò a sé e gli disse: ― Perché non governi il paese che ti fu affidato? Perché invece ti disperi e fai i capricci?

― Io piango perché non desidero governare il mare! Piuttosto scendo anch'io nel Profondo, dove si trova nostra madre Izanami!
― Se è così che la pensi, ebbene, non sei degno di governare l'oceano! Vattene, allora! Via dal consesso degli dèi!

E Susano-ō, cocciuto e orgoglioso, preferì accettare l'esilio piuttosto che adempiere ai suoi obblighi. Si preparò per partire, ma prima decise di andare sulla Pianura dell'Ampio Cielo per salutare la sorella Amaterasu. Afferrò spada e lancia e s'incamminò sul Ponte Fluttuante del Cielo.

Amaterasu lo sentì arrivare dal fracasso dei suoi passi e gli andò incontro alle soglie del firmamento. Il dio della tempesta e la dea del sole s'incontrarono sulle due opposte sponde del Fiume Via Lattea e Amaterasu investì Susano-ō:

― Perché sei venuto quassù, fratello?
― O augusta sorella, non ho accettato di governare l'oceano e per questo ho accettato l'esilio a cui nostro padre Izanagi mi ha condannato. Perciò sono salito col pensiero di salutarti prima di partire.
― La tua è una scusa per sconvolgere il cielo come hai già sconvolto la terra! ― gridò Amaterasu e gli voltò le spalle lasciandolo lì alle porte del cielo.

Allora Susano-ō si adirò. Distrusse le risaie di Amaterasu, ne otturò i canali, fece grandi danni in cielo e in terra. Amaterasu, augustamente, lo ignorò. Allora Susano-ō penetrò nottetempo nella sala dove gli dèi si riunivano a banchetto e la insozzò con i propri escrementi.

Nonostante tali insolenze, Amaterasu mantenne la sua calma e il suo decoro.

Ciò fece irritare ancora di più Susano-ō, il quale catturò il Cavallo Pezzato del Cielo e lo scorticò contropelo, quindi salì sul tetto della casa dove lavorava la ricamatrice di Amaterasu, vi praticò un buco, e lasciò cadere la carcassa nel mezzo del salone principale. La ricamatrice si spaventò talmente che si trafisse con la spola al basso ventre e morì.

Susano-ō sconvolge le mandrie di Amaterasu
Disegno di Kinuko Y. Craft
Susano-ō sta per scorticare il Cavallo Pezzato del Cielo, appartenente ad Amaterasu. Lo «scorticare di una scorticazione a rovescio» era un'azione che l'antico shintoismo considerava particolarmente riprorevole.
Ume-no-Uzume
Disegno di Kinuko Y. Craft
La dea intreccia la sua danza sulla botte rovesciata, mentre uno specchio viene sollevato  dinanzi alla caverna che si sta aprendo. Il gallo si appresta a cantare annunciando il ritorno del sole.
 
Il ritorno di Amaterasu
Disegno di Kinuko Y. Craft
L'universo intero viene illuminato, allorché il dio Taji-kawa-ō «forza nelle mani» trascina fuori la riluttante Amaterasu.

LA SCOMPARSA DEL SOLE E LA CERIMONIA DELL'ECLISSE

opo questi fatti, la dea del sole, umiliata e furibonda, lasciò la sua dimora celeste e, senza ascoltare nessuno, entrò in una profonda grotta che si trovava in cielo e ne sbarrò l'ingresso.

Subito la notte calò sul mondo.

Allora le ottantamila divinità si radunarono lungo il Fiume Via Lattea, spaventate e piangenti, e cominciarono a domandarsi in che modo si potesse convincere la dea del sole ad uscire dalla grotta, sicché l'intero universo non dovesse rimanere per sempre privo della sua luce. Intervenne allora Omoi-kane, il dio della saggezza, che tosto cominciò ad esporre un suo piano.

Allora il dio fabbro Ama-tsu-mara forgiò un enorme specchio metallico, che fu disposto dinanzi all'ingresso della grotta. Poi giunse Ame-no-Uzume, la dea della danza, che rovesciò un calderone di legno accanto alla grotta, vi salì sopra, e dopo essersi fatta una ghirlanda d'edera, cominciò a danzare. Sotto i suoi piedi il calderone rimbombava e tutti gli dèi battevano il tempo. L'atmosfera cominciò a riscaldarsi. Travolta dalla frenesia della sua stessa danza, Ame-no-Uzume prese a spogliarsi: dapprima scoprì i seni, poi abbassò il perizoma lungo le cosce. Le ottantamila divinità risero tanto da far traballare la Pianura dell'Ampio Cielo.

Le risate giunsero all'interno della caverna e Amaterasu levò il capo furibonda. Il cielo e la terra erano immersi nelle tenebre: perché le ottantamila divinità ridevano, invece di piangere e disperarsi? Si avvicinò alle porte della caverna e ne aprì un sottilissimo spiraglio per sincerarsi dell'accaduto. Allora gli dèi Ame-no-koyane e Futo-tama tesero lo specchio verso la fessura, cosicché gli occhi di Amaterasu incontrarono la sua stessa immagine riflessa e la dea credette per un istante che una nuova dea del sole stesse illuminando il mondo.

Amaterasu aprì ancora di più lo spiraglio e il dio Taji-kawa-ō, che era particolarmente forzuto, la afferrò e la trasse fuori dalla caverna. Allora la luce del giorno si distese nuovamente sulla Pianura dell'Alto Cielo.

ESILIO DI SUSANO-Ō

Espulsione di Susano-ō
Disegno di Kinuko Y. Craft

iconciliatisi con Amaterasu-ō-mi-kami, le ottantamila divinità rivolsero la loro attenzione su chi aveva causato lo sdegno della dea. Afferrarono Susano-ō, gli tagliarono la barba, gli strapparono le unghie delle mani e dei piedi e lo esiliarono dal cielo sulla terra, nel paese Yamato.

Susano-ō andò nella penisola di Izumo e si stabilì nel luogo detto Torikami, lungo il corso del fiume Hi. Per lungo tempo Susano-ō condusse in quel luogo una vita solitaria, provvedendo da sé stesso al proprio sostentamento, finché un giorno notò delle bacchette per mangiare che scendevano lungo la corrente e capì che a monte del fiume abitavano degli uomini.

Allora Susano-ō si mise in cammino lungo il fiume. E così giunse a una casa, dove trovò un vecchietto e una vecchietta in lacrime. Poco discosta da loro, una bella fanciulla sedeva triste e sconsolata.

― Chi siete? ― chiese Susano-ō.
― Il mio nome è Ashinazuchi ― disse il vecchietto. ― E questa è mia moglie Tenazuchi.
― E la ragazza?
― È nostra figlia Kushi-nada-hime.
― E qual è il motivo del vostro pianto? ― chiese Susano-ō, sedendosi.

― Nobile signore, la ragazza che vedete è l'ultima di otto figlie che avevamo. Una volta all'anno viene qui dalla regione di Koshi il drago dalle otto teste, Ya-mata-orochi, e divora una delle mie figlie. Sette ne ha già divorate. Ed ora è ormai tempo che il drago ritorni per divorare anche l'ottava. Per questo io piango e mi dispero.

SUSANO-Ō CONTRO IL DRAGO DALLE OTTO TESTE

Espulsione di Susano-ō

Antica stampa giapponese

usano-ō annuì gravemente. Si alzò in piedi e disse: ― Io sono Take-haya-Susano-ō-no-mikoto, l'augusto fratello della dea del sole. Vostra figlia è nobile e bella. Datela in sposa a me ed io vi libererò dal drago.

― Lo farò con tutto il cuore, mio signore. Ma come intendete sconfiggere quel mostro?
― Ascoltatemi bene. Adesso alzeremo una palizzata di bambù tutto intorno alla casa e vi faremo otto aperture. Sotto ogni apertura disporremo una mensola e su ogni mensola metteremo un vaso pieno fino all'orlo del sakè più forte che riusciremo a distillare.

Si misero subito al lavoro. La fanciulla, Kushi-nada-hime, venne rinchiusa in una gabbia di bambù onde evitare che il drago la catturasse. Intanto, il vecchietto e la vecchietta cominciarono a masticare la fecola di riso in modo da accelerarne la fermentazione; il succo venne spremuto otto volte finché si ottenne un sakè così forte che bastavano i soli vapori per ubriacare chiunque.

Poi si udì un gran frastuono, il cielo si riempì di nubi e giunse il drago. Ya-mata-orochi era così grande che la sua lunghezza oltrepassava otto valli e otto monti e sul suo corpo scaglioso crescevano alberi e muschio. Aveva otto teste, dagli occhi rossi come frutti splendenti. Otto code frustavano il cielo. Subito, il drago introdusse le otto teste nelle otto aperture della palizzata e avvertendo l'aroma del sakè, tuffò le otto teste negli otto vasi pieni di liquore. Il mostro bevve avidamente quel sakè e ben presto le otto teste si afflosciarono ubriache.

Allora Susano-ō sfoderò la spada che portava al fianco e una dopo l'altra tagliò le otto teste del drago e poi continuò a infierire sul suo corpo facendolo in tanti pezzetti. Il fiume Hi divenne rosso di sangue.

Ma mentre tagliava la coda di mezzo del mostro, la spada di Susano-ō si spezzò in due. Incuriosito, Susano-ō usò la punta della sua spada per squarciare quella grande coda e all'interno di essa trovò la più bella spada che avesse mai visto: la spada detta Ame-no-mura-kumo che mandò in cielo in dono a sua sorella Amaterasu.

In seguito, Susano-ō costruì una casa a Suga, sposò la bella Kushi-nada-hime ed ebbe una grande e gloriosa discendenza. I suoi figli regnarono sull'Izumo per molte generazioni.

 

IL CONIGLIETTO DI INABA

olti anni dopo, regnava sull'Izumo re Ame-no-fuyu-gino, pronipote di Susano-ō. Costui aveva avuto dalla sua prima moglie il figlio Ō-kuni-nushi. In seguito aveva avuto altri ottanta figli da varie concubine.

Nel regno di Inaba, a oriente dell'Izumo, viveva una bellissima principessa di nome Yagami. Ciascuno degli ottanta fratelli aveva deciso di sposarla, così tutti quanti partirono alla volta di Inaba per chiedere la sua mano. Ō-kuni-nushi seguiva i fratellastri in qualità di servitore, portando sulle spalle il sacco delle provviste.

Mentre percorrevano le spiagge del capo Keta, gli ottanta fratelli s'imbatterono in un coniglietto bianco, tutto nudo, ché un coccodrillo gli aveva mangiato la pelliccia. Allora gli ottanta fratelli gli dissero:

― Ecco quel che devi fare, coniglietto. Bàgnati nell'acqua di mare, poi vai sulla cima di un monte, là dove soffia il vento. Vedrai che così la pelliccia ti ricrescerà.

Il coniglietto fece come gli avevano detto. Si bagnò nel mare e poi si espose soffiava il vento. Ma non appena l'acqua evaporò, il sale gli screpolò la pelle provocandogli grandi sofferenze. E steso sulla spiaggia, il coniglietto piangeva e si disperava.

In quel momento arrivò il giovane Ō-kuni-nushi, e impietositosi dell'animale, gli disse: - Ascoltami, coniglietto. Adesso va' a lavarti nell'acqua dolce, poi ròtolati sui fiori di canna. Vedrai che il tuo corpo guarirà e presto riacquisterai la pelliccia.

Il coniglietto fece come il giovane gli aveva consigliato e guarì.

Ō-kuni-nushi
La storia di Ō-kuni-nushi e del coniglio di Inaba è molto popolare in Giappone, come sta a testimoniare questo simpatico monumento che ritrae il principe intento a consolare il coniglietto piangente. Nel luogo dove sarebbe avvenuto l'incontro, la spiaggia del capo Keta, si trova oggi un importante tempio shintoista dedicato appunto al dio coniglio.
 

SUSANO-Ō METTE ALLA PROVA Ō-KUNI-NUSHI

el frattempo, nel regno di Inaba, la principessa Yagami riceveva gli ottanta fratelli.

― Siamo venuti per chiederti in sposa ― dissero questi alla principessa. ― Scegli pure tra noi colui che sarà tuo marito.

― Mi è giunta voce della vostra crudeltà e della vostra sconsideratezza ― rispose lei, ché il coniglietto l'aveva opportunamente avvertita di ciò che era accaduto. ― Per tale ragione, non ho intenzione di sposare nessuno di voi. L'unico che può aspirare alla mia mano è invece il vostro nobile fratello minore Ō-kuni-nushi.

Presi dalla gelosia, gli ottanta fratelli cospirarono per uccidere Ō-kuni-nushi. Dapprima cercarono di arderlo sotto una pietra incandescente, poi tentarono di schiacciarlo facendogli rotolare addosso un tronco d'albero. Ō-kuni-nushi scampò a entrambi i tentativi. Ma gli ottanta fratelli non gli diedero tregua e lo inseguirono su per i monti bersagliandolo di frecce.

Allora Ō-kuni-nushi decise di scendere nel Regno del Profondo per chiedere consiglio al suo antenato Susano-ō.

Susano-ō dimorava in un angolo del Profondo, in una grande casa sotterranea. Con lui stava la bellissima figlia Suseri. Suseri si trovava sulla porta di casa quando giunse Ō-kuni-nushi. La ragazza si innamorò immediatamente del giovane e decise in cuor suo che lo avrebbe avuto come sposo.

Ma quando Suseri condusse Ō-kuni-nushi al cospetto di Susano-ō, questi fissò quel suo discendente e decise di provare personalmente se fosse all'altezza di salire al trono dell'Izumo.

Susano-ō ordinò di farlo dormire in una grotta piena di serpenti. Ma Suseri consegnò a Ō-kuni-nushi una benda e gli disse: ― Quando i serpenti staranno per morderti, agita tre volte la benda e loro si allontaneranno. ― Ō-kuni-nushi fece come gli era stato detto e poté dormire tranquillo.

La notte seguente, Susano-ō mandò Ō-kuni-nushi a dormire nella grotta dei millepiedi velenosi, ma di nuovo Suseri intervenne dandogli una seconda benda magica con la quale il ragazzo poté cacciare i millepiedi.

Allora Susano-ō scoccò una freccia in mezza a una gran prateria e ordinò a Ō-kuni-nushi di andare a prenderla. E mentre il giovane si trovava nel mezzo della prateria, Susano-ō appiccò il fuoco alle stoppie da tutte le direzioni. Ō-kuni-nushi si trovò di colpo circondato dalle fiamme ed era ormai convinto che sarebbe morto bruciato, quando un topo uscì da un buco del terreno e gli disse di seguirlo. Ō-kuni-nushi si ritrovò in una grotta sotterranea e poté stare al sicuro mentre le fiamme divoravano la prateria sopra di lui. Quando ogni cosa fu arsa, e Suseri già piangeva la perdita di Ō-kuni-nushi, il giovane venne fuori dalla prateria e reggeva in mano la freccia. Susano-ō cominciò suo malgrado a provare ammirazione per il suo giovane discendente.

Allora Susano-ō gli ordinò di liberargli i capelli dai pidocchi, che erano enormi e velenosissimi. Intervenne di nuovo Suseri, che diede a Ō-kuni-nushi un cartoccio di bacche; così il giovane, mentre frugava tra i capelli di Susano-ō, masticava le bacche e le sputava. Susano-ō credette che il giovane stesse schiacciando tra i denti i suoi pidocchi e pensò che quel suo discendente era veramente degno di lui.

L'operazione proseguiva lentamente, e Susano-ō si addormentò. Allora Ō-kuni-nushi disfece i capelli del suo antenato e li intrecciò a ogni trave della camera. Poi ostruì la porta della caverna con una grossa pietra, si caricò in spalla Suseri, rubò la spada del dio, il suo arco con le frecce e la sua arpa ornata di perle, e fuggì via dal Profondo.

Ma durante la fuga l'arpa urtò contro un albero e cominciò a suonare. Susano-ō si svegliò, capì cos'era accaduto e subito balzò all'inseguimento del giovane. Ma i capelli si tesero tra le travi della camera e a furia di tirare, Susano-ō fece crollare l'intera casa. Il dio dovette perdere del tempo prezioso a sciogliere tutti i capelli e intanto Ō-kuni-nushi usciva dalle caverne alla luce del sole.

Quando Susano-ō riuscì a districarsi, corse sul limitare nel Profondo e sporgendosi fuori dalle caverne vide il giovane ormai lontano. Allora alzò la voce e gli urlò dietro:

― Servendoti della gran spada e dell'arco che porti con te, insegui e prostra tutti i tuoi fratellastri fino alle estremità dei pendii, inseguili e spazzali via nelle rapide dei fiumi, e tu, vigliacco, diventa il signore dell'intero Yamato! E che mia figlia Suseri sia la tua legittima moglie! Poi, giunto ai piedi del monte Uka, pianta nella roccia le colonne di un palazzo e rizzane il tetto fino al cielo! E in quel posto, miserabile, abita e regna!

Ō-kuni-nushi fece come il suo augusto antenato Susano-ō gli aveva consigliato. Spazzò via i suoi fratellastri, sposò Suseri, eresse un meraviglioso palazzo alle pendici del monte Uka e impose il suo regnò sullo Yamato. La sua seconda moglie fu Yagami, ma ebbe anche altre mogli e la sua discendenza fu numerosa.

ME-WAKA-HIKO SCENDE SULLA TERRA

li anni trascorsero e un giorno, nella Pianura dell'Alto Cielo, la dea Amaterasu-ō-mi-kami rivolse il suo pensiero alla terra e disse: ― Il paese della pianura delle canne abbondanti, di mille autunni e di cinquecento lunghi autunni, è il paese che verrà governato dal mio augusto figlio primogenito.

Cosui aveva nome Masa-ka-a-katsu-kachi-haya-bi-ame-no-Oshi-ō-mimi-no-mikoto.

Oshi-ō-mimi obbedì all'ordine della madre e scese dal cielo sulla terra. Ma subito dopo Amaterasu lo vide ritornare indietro atterrito. ― Madre! Il paese di Yamato è pieno di semidèi feroci e potenti che si agitano senza tregua tanto che la terra trema e ne risuona!

Con un comando imperioso, Amaterasu riunì sul letto asciutto del Fiume Via Lattea le ottantamila divinità. Quindi si rivolse all'assemblea e disse:

― Il paese di Yamato è il paese che il mio augusto figlio Oshi-ō-mimi dovrà governare. È il paese che mi sono degnata di offrirgli a lui e ai suoi discendenti, per sempre. Ecco, siccome in questo paese vi sono già i figli di Susano-ō-no-mikoto, i quali sono violenti e pieni di forza e di vigore, che cosa dobbiamo fare per assoggettarli al nostro volere?

Omoi-kane, il dio del pensiero, rispose: ― Manda sulla terra il nobile Ame-waka-hiko. Lui saprà domare l'animo fiero dei discendenti di Susano-ō.

Allora consegnarono al giovane Ame-waka-hiko l'arco celeste e gli ordinarono di scendere sulla terra per sottomettere i discendenti di Susano-ō. Ame-waka-hiko promise che avrebbe inviato frequenti rapporti per informare gli dèi celesti delle sue vittorie e scese dal cielo aprendosi il passo tra le nubi.

Ma il paese di Yamato era così bello e accogliente che Ame-waka-hiko decise che non sarebbe più tornato in cielo. S'incontrò con il re del paese, Ō-kuni-nushi. Ma invece di trasmettergli l'ordine di Amaterasu, ne sposò la figlia, la principessa Shita-teru, e rimase con lui come suo genero.

Passarono così otto anni, e Amaterasu e gli dèi celesti attendevano invano il rapporto di Ame-waka-hiko. Alla fine, decisero di mandare una fagiana sulla terra per vedere cosa fosse successo. La fagiana scese nel paese di Izumo, si fermò sopra un albero che si trovava presso la casa di Ame-waka-hiko e cominciò a chiamarlo a gran voce, chiedendogli per quale ragione non avesse più dato notizie di sé.

Ame-waka-hiko, infastidito dal richiamo, brandì l'arco e uccise la fagiana. Ma dopo aver trafitto l'animale, la freccia proseguì lungo la sua trattoria, arrivò in cielo e si fermò ai piedi di Amaterasu. La dea riconobbe la freccia di Ame-waka-hiko, poi notò il sangue sulla punta e capì che la fagiana era stata uccisa. Allora raccolse la freccia e disse:

― Se Ame-waka-hiko ha tradito la sua casa, che questa freccia lo uccida!

E lasciò cadere la freccia sulla terra.

Ame-waka-hiko stava dormendo nella sua casa, quando la freccia cadde fischiando dal cielo e si piantò nel suo petto. Così il giovane morì.

STRETTE DI MANO

'era in cielo un dio bizzarro di nome Itsu-no-ō-ha-bari, che per qualche ragione aveva sbarrato il Fiume Via Lattea. Il figlio di questo, Take-mi-kazuchi, che era di grande forza fisica, fu inviato sulla terra con il compito di conquistare il paese per conto di Amaterasu. Con lui andò il suo compagno, il dio Ame-no-tori-bune.

I due dèi scesero nella piccola spiaggia di Inasa, nell'Izumo, e si recarono subito da Ō-kuni-nushi.

Gli dissero: ― L'augusta gran dea Amaterasu ci ha inviato da te. Questo paese di Yamato che tu governi da signore, dovrai cederlo a suo figlio Oshi-ō-mimi perché regni al tuo posto per sempre.

Ō-kuni-nushi fece un sorriso storto. ― Chi viene nel mio paese e dice tali empietà merita di provare la forza delle mani di mio figlio.

Costui aveva nome Take-mi-na-kata ed era il più forte e orgoglioso dei discendenti di Ō-kuni-nushi. Lo chiamarono e giunse subito. Squadrò le due divinità celesti e disse: ― Voi che parlate così bene, qua, vediamo se osate stringere la mia augusta mano!

Afferrò la mano di Ame-no-tori-bune e la strinse con una presa così possente che la mano si frantumò nella sua stretta. Ame-no-tori-bune fuggì urlando.

Take-mi-kazuchi rimase da solo dinanzi a Take-mi-na-kata, il quale lo fissò con intenzione. ― Tocca a te, giovane nobile rampollo del cielo. Su, afferra la mia mano e mostra la tua forza!

Take-mi-kasuchi afferrò la mano di Take-mi-na-kata. Entrambi strinsero con quanta forza avevano ma questa volta fu Take-mi-kasuchi a spezzare la stretta del principe e la mano di questi rimase stritolata tra le sue dita.

Allora Ō-kuni-nushi si gettò ai piedi di Take-mi-kasuchi. ― Signore, davvero la tua forza è superiore alla nostra! Obbedisco all'ordine dell'augusta signora che regge il cielo, Amaterasu-ō-mi-kami! E non mi opporrò che il suo nobile figlio Oshi-ō-mimi scenda a governare il paese al mio posto!

La cerimonia dell'eclisse
Antica stampa giapponese
DISCESA DI NINIGI

I tre tesori divini
Lo specchio, la spada e i gioielli, i tre tesori che scesero dal cielo insieme a Ninigi, sono tuttora il simbolo dell'investitura divina del legittimo mikado. L'investitura del nuovo imperatore del Giappone avviene infatti dalla presa di possesso di questi tre tesori, che simboleggiano le virtù della saggezza, coraggio e benevolenza.
Lo specchio [Yata no kagami] è considerato manifestazione della dea del sole Amaterasu-ō-mi-kami e quindi fondamento del dogma di stato della divinità del sovrano. È conservato nel tempio di Ise.
La spada [Kusanagi no tsurugi] è conservata nel tempio di Atsuta.
I gioielli [Yasakani no magatama] sono conservati nel palazzo imperiale.

ra che il paese di Yamato era stato domato, Amaterasu chiamò suo figlio Oshi-ō-mimi e gli disse che poteva scendere a governarlo. Ma Oshi-ō-mimi s'inchinò dicendo:  ― Madre, in questo tempo che abbiamo atteso la pacificazione dello Yamato, mi è nato un figlio. Il suo nome è Ame-nigishi-kuni-nigishi-ama-tsu-hi-daka-hi-ko-hi-no-Ninigi-no-mikoto. Che sia questo Ninigi a governare al mio posto il paese di Yamato.

Allora Amaterasu fece chiamare Ninigi, suo nipote, e gli disse: ― Questo paese di Yamato, la pianura sotto il cielo, è il paese che tu governerai!

― Farò secondo il tuo comando! ― disse il nobile Ninigi.

La dea gli consegnò allora i tre tesori divini, affinché Ninigi e i suoi discendenti li tenessero in segno della loro investitura celeste. Questi erano: la collana di pietre ricurve che Izanagi aveva consegnato ad Amaterasu, lo specchio col quale gli dèi avevano fatto uscire Amaterasu dalla caverna in cui si era rinchiusa, la spada che Susano-ō aveva trovato nella coda del drago Ya-mata-orochi e che aveva dato in dono ad Amaterasu.

Ninigi separò le infinite nubi e ritto sul Ponte Fluttuante del Cielo, calò sulla terra leggero come una foglia. Scese sulla cima del monte Kigiburu, a Tsukushi nel Himuka. E Ninigi divenne signore e sovrano di quel paese.

 

FONDAZIONE DELL'IMPERO

i narra che un giorno il nobile Ō-yama-tsumi, il signore della grande montagna, s'incontrò con Ninigi e gli propose di sposare entrambe le sue figlie. La minore, la principessa Kamu-ata-tsu-hime, era bella come un fiore appena sbocciato, ma la maggiore, Iwa-naga-hime, era brutta come una roccia spaccata. Così Ninigi sposò la prima e rimandò indietro la seconda.

Il nobile Ō-yama-tsumi, umiliato per il rifiuto di Ninigi, gli disse:

― La ragione per cui ti avevo offerto entrambe le mie figlie era chiara. La principessa Kamu-ata-tsu-hime ti avrebbe reso rigoglioso come un fiore, la principessa Iwa-naga-hime ti avrebbe reso immutabile come una roccia. Avendo scelto la minore e rimandato indietro la maggiore, la tua vita sarà splendida ma transitoria, così come sono instabili i fiori degli alberi.

Iwa-naga-hime rese in seguito Ninigi padre di tre figli, uno dei quali fu in seguito padre del nobile Kamu-yamato-iware-biko-no-mikoto. Costui fu poi conosciuto col nome di Jinmu-tennō, che dalla penisola del Kyūshū avanzò conquistando tutto il paese e divenne in seguito il primo imperatore dello Yamato, fondatore della Dinastia del Crisantemo che ancora oggi regna sul paese.

Questa è la ragione per cui gli imperatori del Giappone sono dèi essi stessi, discendendo in linea diretta dalla dea Amaterasu-ō-mi-kami. I tre tesori che si tramandano sono il simbolo stesso di questa celeste investitura. Ma poiché Ninigi aveva scelto la principessa bella come un fiore e aveva rifiutato quella brutta come una roccia, ancora oggi, gli imperatori del Giappone, pur essendo delle divinità, sono soggetti alla vecchiaia e alla morte.

 

NOTE

Lo shintoismo, una religione di stato

 
Sogni e Rapsodia d'Agosto
Due film di Akira Kurosawa
Il bimbo spia il matrimonio delle volpi, nel primo episodio del film Sogni (1990). I due cugini ammirano da lontano i due alberi colpiti dal fulmine, nel bellissimo Rapsodia d'agosto (1991). Il maestro Akira Kurosawa è abilissimo nel ricreare ambienti e situazioni in cui il soprannaturale scaturisce dalla forza e dalla bellezza della natura. Queste non sono soltanto scene dalle forti valenze pittoriche, ma vi è alla base il preciso tentativo di filmare un'energia kamica.

Se dovessimo dare una definizione della mitologia, compito iniquo già in partenza, una buona risposta sarebbe la seguente: «mitologia» è un particolare sistema di simboli su cui una civiltà costruisce i propri presupposti culturali, sociali e psicologici. Una mitologia è «viva» finché è funzionale, finché gli uomini cercano in essa una risposta alle loro domande e la società vi trova le proprie basi e il proprio equilibrio.

Dunque la mitologia classica è morta e sepolta: i suoi dèi si sono trasformati in favole e la sua visione del mondo non viene più accettata.

Ma quando si affronta la mitologia del Giappone, si scopre con meraviglia che essa è viva e vegeta. I miti giapponesi non solo continuano a parlare all'anima del popolo giapponese, ma costituiscono tuttora le basi civili e sociali dell'intera nazione. Lo shintoismo è una religione di stato: in essa la tradizione, l'etica e la coscienza civica si fondono in armonia. L'imperatore del Giappone non è solo un capo di stato, ma anche una divinità a cui è tributato un culto, quale discendente diretto della dea del sole Amaterasu-ō-mi-kami.

Lo shintoismo è una forma sofisticata di animismo. La parola è di origine straniera, derivando dal cinese shen dao, mentre la formula giapponese è kami no michi, significando entrambe le espressioni «via degli dèi». Tradurre kami con «dio» è però una bella forzatura: la parola giapponese significa letteralmente «superiore», indicando tutto ciò che, essendo la sede di una forza numinosa, trascende la materialità. Un dio è kami, uno spirito è kami, un antenato è kami. Ma anche un albero, una pietra, una montagna: ogni cosa, nella mentalità animista, può essere kami.

Un teologo occidentale chiese un giorno a un sacerdote giapponese quale fosse la teologia dello shintoismo. Il giapponese fece un sorrisetto imbarazzato: «Noi non abbiamo teologia. Noi danziamo». Questo aneddoto, riferito da Joseph Campbell, spiega in parte la mentalità animistica: la religione non ha nulla a che vedere con la razionalità. Il divino non va spiegato, va sperimentato.

A cercare un parallelo occidentale dello shintoismo, bisognerebbe indicare alcuni aspetti dell'antica religione romana. In entrambe le culture, il nazionalismo è un fatto religioso e la religione contempla un culto dello stato. L'imperatore è divinizzato (di là la discendenza viene fatta risalire ad Amaterasu, di qua alla dea Venere). Ai personaggi storici e agli antenati si tributa un culto. Analogamente vi è un culto di luoghi, animali e oggetti caricati di energia numinosa. La parola giapponese kami, che indica le divinità in quanto esseri «superiori», ha un preciso equivalente semantico nella parola latina superi.

L'interesse dello shintoismo è concentrato esclusivamente sul Giappone. Abbiamo visto che nei miti non si parla affatto di una creazione dell'universo ma piuttosto della creazione del solo Giappone (onde per cui ho preferito evitare la parola «cosmogonia» e parlare piuttosto di «yamatogonia»). La mentalità giapponese è sempre stata etnocentrica. Nient'altro può spiegare il nazionalismo addirittura feroce con cui i Giapponesi, tra il 1931 e il '45, s'impegnarono a liberare l'Asia e il Pacifico dal colonialismo occidentale per costruire la sfera di coprosperità della Grande Asia Orientale, sotto la divina guida dell'imperatore. Lo shintoismo contribuì meravigliosamente a indirizzare le energie dell'intero Giappone verso questo sogno utopistico. Nient'altro può spiegare gli eccessi di crudeltà di cui furono capaci i Giapponesi, peraltro uno dei popoli più cortesi e gentili del mondo. E il fanatismo estremo dei kamikaze, i suicidi rituali di intere scolaresche, la dedizione di quei soldati che, decenni dopo la fine della guerra, ancora rifiutavano di lasciare le loro postazioni senza un ordine ufficiale da parte dei loro superiori. Riporto qui, a titolo esplicativo, i dogmi dello shintoismo di stato che il Ministero dell'Istruzione Giapponese diffuse nel 1937, ricavati dal Kokutai no hongi:

  1. Gli imperatori del Giappone discendono dalla dea del sole Amaterasu-ō-mi-kami.
  2. Il Giappone è stato sempre governato dalla stessa dinastia.
  3. Il Giappone è un paese unico al mondo, senza paragoni.
  4. Tutti gli imperatori del Giappone e la dea Amaterasu-ō-mi-kami fanno una sola cosa.
  5. La dea Amaterasu risiede nello Specchio del tempio di Ise.
  6. I tre simboli del potere imperiale (lo Specchio, la Spada e la Collana) furono consegnati agli imperatori dalla dea Amaterasu.
  7. L'azione di governare il Paese è opera divina.
  8. L'imperatore è una divinità visibile.
  9. Gli imperatori del Giappone sono diversi dai sovrani delle altre nazioni, avendo un'origine divina.
  10. L'atto di governare il Paese e quello di pregare gli dèi sono la stessa cosa.
  11. Gli imperatori offrono preghiere all'antenata Amaterasu per il benessere del popolo.
  12. Le regioni non sottomesse all'imperatore sono infelici. Le guerre fatte ultimamente contro la Cina e la Russia hanno per scopo il benessere di quei popoli.
  13. L'imperatore e il popolo formano una sola cosa.
  14. La lealtà verso l'imperatore è la base della morale giapponese.
  15. La lealtà non consiste solo in atti di valore in guerra; lealtà è sinonimo di rispetto ai genitori, unione tra fratelli, pace tra i coniugi, fedeltà tra gli amici. Lealtà significa economia, beneficenza studio e lavoro. Lealtà significa praticare la virtù, favorire il benessere della società, rispettare le leggi, dare sviluppo all'industria

Quando, alla fine della Guerra del Pacifico, il 15 agosto del 1945, il Giappone accettò la resa incondizionata, gli Americani pretesero che l'imperatore Hirohito dichiarasse pubblicamente di non essere una divinità; e quando i Giapponesi, poco avvezzi alla logica della teologia occidentale, ascoltarono alla radio lo storico comunicato, conclusero che Hirohito doveva davvero essere un dio, perché solo un dio aveva l'autorità di fare una simile dichiarazione.

Oggi i Giapponesi hanno indirizzato la loro dedizione alla nazione verso il reddito interno lordo, hanno sublimato il feudalesimo nelle multinazionali e hanno adattato il codice dei samurai alle esigenze dell'economia. Sono sospesi tra tradizione e modernità, e se da un lato sognano incubi robotici, dall'altro non hanno mai rinunciato veramente alla loro mitologia. Il tennō, che è l'ultimo imperatore della Terra, continua ad essere per tutti i Giapponesi il legittimo e diretto discendente della dea del sole Amaterasu-ō-mi-kami.


La mitologia giapponese

I miti fondanti dello shintoismo sono documentati in due antichi classici. Il primo è il Kojiki «vecchie cose scritte», non a torto definito la Bibbia dei Giapponesi. Le storie che contiene, tramandate oralmente per secoli, furono messe per iscritto intorno al 700 d.C. Ci si affidò, sembra, alle memorie di una certa Hieda no Are, forse una danzatrice sacra dei kagura (rappresentazioni drammatiche di argomento mitologico). Il testo fu poi presentato dal nobile Ō-no Yasumaro all'imperatrice Genmyo (708-714). Yasumaro ne scrisse personalmente l'introduzione. Il Kojiki tratta del regno degli dèi e della creazione del Giappone, spiega le genealogie divine e quindi narra le leggende del Ciclo d'Izumo. Il punto centrale è il racconto di come Jinmu-Tennō, discendente di Amaterasu, divenne il primo imperatore del Giappone. Dopodiché il Kojiki si dilunga sulle imprese dei sovrani successivi, arrivando fino al VII secolo. Il testo è complicato, ridondante, di difficile interpretazione, un inizio rozzo ma splendido per la letteratura giapponese, la quale raggiungerà il culmine della raffinatezza solo intorno all'anno 1000 con quel capolavoro universale che è il Genji Monogatari, il diluviale romanzo di Murasaki Shikibu.

L'altro grande testo mitologico giapponese è il Nihongi. Più tardo rispetto al Kojiki, e inquinato da pesanti influssi cinesi, il Nihongi riporta gli stessi miti ma con alcune interessanti varianti.

Che origine hanno i miti giapponesi? I primi studiosi occidentali, d'impianto classicista, non tardarono a trovarvi riferimenti greci: la storia di Izanagi che scende negli inferi per riprendersi la sposa morta, il divieto di guardarla e l'immancabile trasgressione, ricordano irresistibilmente la leggenda di Orfeo. Anche le prove che Susano-ō impone a Ō-kuni-nushi richiamano da vicino le imprese di Giasone nella Colchide.

Ma c'è molto di più. Il problema della mitologia giapponese è legato a quello dell'origine della razza giapponese. Si è ancora lontani dal definire le origini del popolo giapponese, quanto pare il primo popolo a immigrare in Giappone furono gli Emishi, genti di razza bianca che giunsero dalla Siberia fino ad occupare tutte le isole dell'arcipelago. I loro discendenti sono oggi gli Ainu dell'Hokkaidō. La seconda ondata arrivò dalla Corea e dalla Cina, e portò elementi sinici, mongoli, tungusi e manciù. La terza corrente migratoria giunse dalla Malesia. Nei miti giapponesi si trovano elementi provenienti da tutti questi ceppi. I racconti cosmogonici si avvicinano molto ad analoghi miti della Polinesia. Ma vi sono anche chiari elementi uraloaltaici. La lingua giapponese, che è tradizionalmente considerata isolata (solo il coreano le è vicino strutturalmente, tanto che oggi si preferisce parlare di un ramo ainu-coreano-giapponese), sarebbe, secondo alcuni studiosi, imparentata alle lingue uraloaltaiche. Tale teoria, mai pienamente accettata dai linguisti, è oggi tornata alla ribalta grazie ai monumentali studi di Greenberg sulla superfamiglia euroasiatica.

Già Fosco Maraini aveva notato come i canti popolari degli Ainu, gli Yukari, rassomigliassero per atmosfera al Kalevala finlandese. Giorgio De Santillana ha ritrovato nel Kojiki parecchi punti in comune sia con il Kalevala che con i miti hawaiiani dall'altro. Io stesso non ho potuto fare a meno di notare una scena del Kojiki straordinariamente simile a un'altra contenuta nel Kalevipoeg estone. Là vediamo Kalevipoeg scendere negli inferi, lottare con Sarvik, schiacciarlo al suolo e quindi fuggire su per i cunicoli portando sulle spalle le ragazze prigioniere del re dei morti, avendogli inoltre rubato la spada e il cappello; qui troviamo Ō-kuni-nushi scendere negli inferi, legare Susano-ō alle travi della casa, e quindi fuggire su per i cunicoli con la figlia di Susano-ō sulle spalle, avendogli rubato la spada e l'arpa. Un caso? Il Kojiki contiene tratti antichissimi, che la secolare politica d'isolamento giapponese ha preservato; il Kalevipoeg è sì, una costruzione ottocentesca, ma ha incastonate in sé gemme di un'antichità portentosa. Forse stiamo soltanto ripetendo esiti appena diversi dello stesso antichissimo mito.

Ho trovato queste simpatiche GIF animate in un sito giapponese, oggi scomparso, e le riporto non solo a testimoniare l'importanza che questi miti hanno tuttora per il popolo nipponico ma anche quale simbolo dell'interazione giapponese tra tecnologia e tradizione. Raffigurano tre famosi miti del Kojiki: Izanagi e Izanami formano la prima isola del Giappone. Ame-no-Uzume danza nuda dinanzi alla grotta dove si è rinchiusa Amaterasu. Susano-ō affronta il drago Ya-mata-orochi.  Susano-ō scrive una poesia per Kushi-nada-hime, tuttora  ricordata come la più antica composizione poetica in lingua giapponese.


RICERCHE

Le mie prime ricerche sulla mitologia giapponese mi portarono diversi anni fa all'Istituto di Cultura Giapponese a Roma, dove misi alla prova la mia esile conoscenza di questa lingua cercando di far capire alla bibliotecaria che cercavo delle edizioni inglesi o francesi del Kojiki o del Nihongi. Passai alcuni giorni trascrivendo in italiano le informazioni salienti. In seguito trovai un'ottima traduzione italiana del Kojiki, curata nel '38 dal dottor Mario Merega della Missione Cattolica di Ōita. Trattandosi di una traduzione letterale veniva privilegiata la precisione a scapito della forma. Veniva in aiuto l'imponente apparato di note curato dallo stesso Marega. Notai con divertimento che le scene erotiche erano messe in latino affinché gl'incolti non avessero a trarne un illecito diletto! Alcuni anni fa l'opera del dottor Marega è stata ristampata dalla Laterza (1986) col titolo Ko-gi-ki: vecchie cose scritte, in un'edizione conforme all'originale. Il mio riassunto è stato tratto (con enormi aggiustamenti e sfrondamenti) proprio da quest'opera e con piccole aggiunte tratte dalla versione inglese del Nihongi. I dogmi dello scintoismo di stato del '37 sono ugualmente riferiti dal dottor Marega nella splendida introduzione alla sua traduzione del Kojiki.

Sezione: Rielaborazioni - Chat de Carabas
Rubrica: Sintesi - Šāhrazād
Materia: Cultura e letteratura orientale - Chang'e
Ricerche e riscrittura di Dario Giansanti.
Angolodidario: 01.05.2001
Creazione pagina: 15.04.2006
Ultima modifica: 29.11.2012
 
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