SINTESI

SLAVI
Cèchi

MITOLOGIA SLAVA
LIBUŠE
Profetesse e guerriere alle origini di Praga
 
Lumír e Píseň
Scultura di Josef Václav Myslbek (1848-1922)
Lumír è il cantore della mitologia cèca. Píseň «canzone», la bambina che accompagna Lumír e sfiora la sua arpa, è una allegoria del canto e della musica.
LUMÍR E PÍSEŇ

arà per sempre il cantore Lumír, suonando la sua arpa, a ricordare alle genti cèche la storia dei loro padri e dei loro antenati, di come giunsero nella terra cèca e la abitarono.

Gli Slavi presero origine nelle vaste pianure boscose oltre i monti Tatra. Là, in tempi antichissimi, ebbero origine comune le numerose stirpi di questo grande ceppo, affini per lingua e costumi, ma divise da lotte intestine tra le varie tribù.

Fu così che due fratelli di una potente famiglia, entrambi insigniti della dignità di vojvoda, decisero di abbandonare la terra natia, dilaniata da tante contese.

― Andremo alla ricerca di una nuova terra, ove i nostri figli possano vivere nella concordia e nella pace.

Convocate le loro tribù, sacrificarono agli dèi, presero le immagini degli antenati, i dedki, e, salutata la terra dei padri, si misero in cammino. Li guidavano i due fratelli Čech e Lech.

L'ARRIVO DI ČECH IN BOEMIA

L'arrivo dei Cèchi in Boemia
Disegno di Mikoláš Aleš (1852-1913)

e tribù slave attraversarono l'Oder e l'Elba, e giunsero nella valle della Moldava. Qui, gli uomini cominciarono a protestare, esclamando che quel viaggio non aveva mai fine, e pretesero di fermarsi. Così Čech indicò un alto monte azzurro proponendo di arrivare fin laggiù. Era il monte Říp. Alle prime luci dell'alba, Čech salì sul monte, ancora immerso nella semioscurità, e sotto vide l'immensa foresta boema. Gli esploratori riferirono che le acque erano pescose e il suolo fecondo e ospitale. Non vi abitavano uomini, ma solo gli esseri soprannaturali della natura selvaggia. Allora Čech si rallegrò. Riunì il suo popolo e disse:

― Ora sono finite le nostre tribolazioni. Ecco la terra che cercavamo e che gli dèi hanno preparato per noi: qui affonderemo le nostre radici. A questa terra manca solo un nome: pensateci e sceglietelo.

E il popolo gridò: ― Il tuo! Che questa terra porti il tuo nome!

Čech si chinò e baciò la terra, e quando l'ebbe baciata si alzò in piedi e la benedisse. Quindi posò al suolo le immagini dei dedki che avevano portato con sé lungo il viaggio, le svolse dal lino, e accese un grande falò. Vennero fatti sacrifici agli dèi: a Perun che abbatte la folgore, a Veles che governa i morti, a Vesna dea della primavera, Kupalo dio dell'estate, Morana dea dell'inverno.

E fu così che quella terra prese il nome di Cechìa, e Cèchi si chiamarono i suoi abitanti.

I Cèchi si stabilirono nell'ampia regione presso il monte Říp, abbatterono gli alberi e dissodarono i campi. E là costruirono le loro case.

L'arrivo dei Cèchi sul monte Říp
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).

PARTENZA DI LECH

Padre Čech
Disegno di autore sconosciuto
 

opo un po' di tempo, Lech, fratello minore di Čech, decise di proseguire il viaggio per proprio conto alla ricerca di nuove terre. Preso atto del suo desiderio, Čech e il popolo tutto gli dissero addio, sia pure a malincuore, con la raccomandazione di non allontanarsi troppo, in modo che i due fratelli e la loro gente potessero recarsi vicendevole soccorso nell'eventualità di un'improvvisa aggressione.

Così disse Lech: ― Non dimenticherò mai di essere sangue del vostro sangue, fratelli, né intendo allontanarmi tanto ch'io non sappia nulla di voi. Vi farò sapere dove prenderò dimora. Il terzo giorno, dopo la nostra partenza, salite sul monte Říp prima che spunti l'alba; io farò accendere un gran fuoco, e dove scorgerete il fumo, quella sarà la nostra nuova sede.

Il giorno convenuto, prima del sorger del sole, i Cèchi salirono sul monte Říp e si guardarono intorno da tutti i lati, finché videro in lontananza una colonna di fumo. Laggiù si era stabilito Lech. Da lui prese nome la Polonia, e Polacchi si chiamarono coloro che erano andati con lui.

STORIA DI KROK

La vecchiaia di Čech
Disegno di autore sconosciuto

cudiero di Čech era il giovane Krok, pieno di ardore e di coraggio, sano e robusto. A lui erano stati affidati i cavalli del suo signore. Li portava al pascolo ogni giorno in un luogo ameno ai piedi di una bella quercia e lì trascorreva le sue giornate.

Ora, quella quercia era la dimora di una lesní panny, la ninfa dell'albero, la quale ogni giorno spiava tra le fronde il giovane uomo. Quando Krok dormiva in un giaciglio ai piedi della quercia, la ninfa gli mandava sogni piacevoli, rivelandogli talvolta ciò che sarebbe successo l'indomani, o magari dicendogli dove ritrovare un cavallo smarrito nella nebbia.

Intanto, il popolo di Čech continuava a tagliare alberi per creare pascoli e procurarsi legna, e la ninfa temette che ben presto sarebbero arrivati alla sua quercia. Così, una notte d'estate, mentre Krok si era attardato nei pascoli, ella gli comparve sulla riva di un laghetto. Dinanzi a quella pallida apparizione, Krok ne fu stupito e forse un po' impaurito. Ma la ninfa gli disse:

― Non temere, giovane uomo, io sono lo spirito dell'albero sotto i cui rami fronduti tu trovi riposo. Ti cullai in dolci sogni, aiutandoti con visioni del futuro. Contraccambia i miei favori con quanto ti chiedo: sii il difensore di quest'albero che ti ha protetto sovente dal sole e dalla pioggia, e non permettere alla scure dei tuoi fratelli di infierire contro il suo venerabile tronco. Vedi, la mia vita è legata a quest'albero. Se esso fosse abbattuto, la mia vita finirebbe.

― Signora, ― rispose Krok, ― chiedimi ciò che vuoi ed io adoprerò tutte le mie forze per aiutarti.

Per adempiere al suo voto, Krok si dimise dal ruolo di scudiero e si stabilì all'ombra dell'albero che si era incaricato di difendere. Costruì una casa accanto alla quercia e la difese ogni volta che qualcuno si avvicinava per tagliarla.

Dopo qualche tempo, la ninfa ricomparve e lo ringraziò di quanto aveva fatto. Ella strappò una canna dalla palude, la ruppe in tre parti e ne piantò i pezzi al suolo. ― Scegli una di queste tre verghe. La prima racchiude onore e gloria, la seconda la ricchezza, la terza la felicità in amore.

Krok scosse il capo. ― Non desidero nessuna di queste tre cose. Il mio cuore mira a qualcosa di più grande. Esaudisci il mio desiderio di riposare all'ombra della tua quercia per trovarvi ristoro e permettimi di ascoltare dalle tue dolci labbra quei saggi insegnamenti che mi permettano di decifrare i segreti del futuro.

La ninfa annuì. ― Quanto desideri è molto, ma cada dunque la benda dai tuoi occhi umani: il saggio è un essere superiore perché assapora il nettare dell'amore senza avvelenarlo con labbra impure.

E così, tutte le notti, la ninfa visitava Krok e i due s'incamminavano nell'intimità della sera. Ella gli mostrava i segreti della natura, gli rivelava l'origine e l'essenza delle cose, gli spiegava le loro proprietà naturali e magiche. Fu così che tra la ninfa offrì a Krok tutta sé stessa e divenne la sua sposa.

Morte di Čech
Disegno di autore non identificato
NASCITA DI LIBUŠE E DELLE SUE SORELLE

Krok sceglie un luogo per fondare il Vyšehrad
Disegno di autore sconosciuto
Krok, noto nelle leggende polacche col nome di Krak, è anche considerato il fondatore della città di Cracovia [Kraków]

al matrimonio segreto tra Krok e la ninfa, nacquero tre figlie: Kazi, Tetka e Libuše, belle e sagge come la loro madre. Kazi era maestra nella scienza delle erbe, di cui conosceva tutti i segreti. Tetka era in grado di controllare il sereno e la pioggia. Libuše aveva il dono della profezia e vedeva nel futuro.

Passarono gli anni, e Krok viveva isolato nella foresta, e la gente lo guardava con un po' di perplessità, anche se ammirava le sue doti di saggio e di veggente. Se qualcuno cercava del bestiame disperso, si rivolgeva a Krok, che indicava dove cercarlo. Se vi era stato un furto o un omicidio, Krok convocava gli abitanti del villaggio e indicava immancabilmente il colpevole. Addirittura era in grado di guarire dalle malattie uomini e animali. Così la sua fama crebbe e con la fama crebbe la sua ricchezza.

Un giorno, dopo diversi anni, la quercia finì col seccarsi, divorata dagli insetti, e la ninfa morì. Così Krok costruì un castello sulla riva destra della Moldava. La fortezza di Vyšehrad era di legno, circondata tutt'intorno da solide mura, e si ergeva su una roccia lambita alla base dalle onde inquiete del fiume. Krok prese con sé le tre figlie e là si stabilì.

Trent'anni dopo l'arrivo dei Cèchi in quella terra, Čech morì. Allora Krok fu eletto sovrano al suo posto, e il suo regno fu lungo e giusto.

Fu così che Krok, grazie alla sua accortezza, ebbe tutti e tre i doni della ninfa: onore e gloria, ricchezza, e felicità in amore.

Il vecchio Krok e le sue tre figlie: Libuše, Kazi, Tetka
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).
 

PŘEMYSL

Libuše, profetessa dei Cèchi
Disegno di Mikoláš Aleš (1852-1913)

'era, tra le genti arrivate con Čech, un vecchio cavaliere di nome Mnat', che si era stabilito in una zona boscosa nei pressi del villaggio di Stadice, l'aveva bonificata e ne aveva ricavato un podere, dove adesso viveva del ricavato dei campi. Un giorno un vicino s'impadronì di quel podere e cacciò il cavaliere. Questi aveva un figlio: un giovane forte e robusto di nome Přemysl. Il ragazzo avrebbe voluto opporsi all'ingiusta prepotenza, ma il padre, che temeva di perderlo in una faida, gli disse:

― Figlio mio, va' dal saggio Krok o dalle sue figlie dotate di acume e intelligenza, e chiedi se gli dèi sono favorevoli alla tua impresa. In caso affermativo, cìngiti di spada, prendi la lancia e combatti. In caso negativo, resta qui finché non mi avrai chiuso gli occhi, poi farai ciò che vuoi.

Il giovane partì ma giunto che fu al Vyšehrad, scoprì che Krok era assente: si era recato dalle genti di Lech per ricomporre un dissidio.

Così Přemysl decise di rivolgersi alle sue figlie e si portò a Kazín, dove abitava Kazi. Kazi era una donna bella e sprezzante, che sapeva ben usare la magia e adorava il potere che le dava. Poiché Přemysl non aveva di che pagare, venne messo alla porta.

Přemysl andò allora alla casa di Tetka. Tetka era forse meno arrogante della sorella, ma era comunque capricciosa e lunatica, e pretendeva di essere ammirata e corteggiata. Anche qui, non avendo di che pagare, Přemysl fu nuovamente cacciato.

Přemysl riprese la strada del ritorno, ben sicuro che la terza sorella non gli avrebbe dato accoglienza migliore. Ma mentre camminava lungo il fiume udì uno scalpitare di cavalli. Apparve un cervo in fuga nella macchia inseguito da una bellissima cacciatrice e dalle sue damigelle. La fanciulla scoccò un dardo senza però cogliere l'animale. Allora Přemysl trasse l'arco dalla spalla e vibrò a sua volta una freccia: il cervo crollò al suolo.

La ragazza si fermò, incuriosita. Riconoscendo Libuše, Přemysl si mostrò. Libuše lo guardò dall'alto del suo cavallo e domando: ― Dimmi, straniero, chi sei e quale coincidenza ti conduce qui?

Přemysl si presentò e con discrezione espose a Libuše il suo problema, senza nasconderle di essere stato cacciato dalla casa delle sue sorelle, cosa che lo aveva profondamente avvilito. Ella annuì e gli disse:

― Seguimi nella mia dimora, a Libusín. Interrogherò per te il libro del destino, e domani ti darò il responso.

Il giovane ubbidì di buon grado e l'ospitalità di Libuše fu davvero molto generosa. La padrona di casa, poi, era incantevole e affascinante. Quando fu l'ora, ella si ritirò nelle sue stanze e si addormentò, poiché il dono della profezia la visitava nei sogni.

Ma quella notte, in sogno, non faceva che comparire il viso di Přemysl.

Così Libuše gli chiese di fermarsi un'altra notte, e poi un'altra, e un'altra ancora.

Il quarto giorno, Libuše chiamò Přemysl e gli disse: ― Gli dèi non vogliono che tu competa con un uomo troppo potente. Soffrire e sopportare è destino dei più deboli. Torna da tuo padre, sii la consolazione della sua vecchiaia e provvedi a lui col lavoro dei campi. Prendi in regalo due tori bianchi dalla mia mandria e questo bastone per guidarli. Un giorno questo bastone fiorirà e darà frutti, e lo spirito della divinazione si poserà su di te.

Il giovane, un po' deluso, accettò i doni di Libuše. I tori erano splendidi e bianchi, e col bastone in pugno, il giovane salutò la fanciulla e tornò da suo padre.

Libuše, profetessa dei Cèchi
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).

IL FORTE BIVOJ

Bivoj
Disegno di autore sconosciuto

na sera, Libuše e sua sorella Kazi erano dirette al Vyšehrad, con un seguito di donne e una buona scorta, quando scorgero lungo la strada un uomo che ben conoscevano, che abitava in un villaggio poco distante. L'uomo si chiamava Bivoj ed era giovane e piacente, oltreché forte e dal cuore coraggioso.

Verso sera le sorelle arrivarono al castello e scesero da cavallo che sul terreno già si spandevano le lunghe ombre della sera. Salirono sugli spalti dietro le mura e guardarono giù verso la Moldava, e poi oltre il fiume, dove i boscosi pendii di Petřín esalavano un forte profumo muschioso.

In quel mentre dall'altra estremità del cortile si levò un brusio eccitato. Libuše e Kazi si volsero a guardare e videro avvicinarsi una folla di uomini. In mezzo al loro si trovava il forte Bivoj, il quale reggeva un enorme cinghiale che egli aveva sopraffatto a mani nude nel bosco paludoso. Lo teneva per le orecchie e lo portava con il dorso setoloso premuto contro la propria schiena.

La folla gridava il nome del giovane, grata per quel gesto straordinario, ché il gigantesco cinghiale già da molte settimane causava danni ai contadini nei campi e nessuno era mai riuscito a ucciderlo. Bivoj portò il suo fardello dinanzi alle due sorelle. Lo sguardo di Libuše brillò d'orgoglio all'idea che tra i Cèchi potesse esserci un uomo così valoroso, ma lo sguardo di Kazi brillò di passione e dolcezza.

Bivoj scaricò a terra il cinghiale e, non appena l'animale si scagliò contro di lui, senza nemmeno muoversi d'un passo, sollevò la lancia e lo trafisse. Il cortile del castello si riempì di mormorii di ammirazione.

UNO SPOSO PER LIBUŠE

rascorsero molti anni. Il vecchio Krok morì e gli fecero una bara con il legno della quercia che per tanto tempo aveva amorevolmente protetto. L'intero popolo lo pianse. Quando fu il momento di pensare al futuro, i capotribù dei Cèchi si riunirono in consiglio per decidere chi sarebbe stato il nuovo sovrano. Tuttavia non v'era nel paese nessuno che sembrasse all'altezza di Čech e di Krok, e si levarono accanite discussioni. Alcuni proposero di scegliere tra le tre figlie di Krok, e in tal caso la preferita era Libuše, che di tutte era la più amata e assennata. Ma altri protestarono, perché non intendevano essere governati da una donna.

Přemysl
Stampa ottocentesca tratta dalla Libussa di Johann Musäus
Il contadino Přemysl sta mangiando sul suo aratro quando viene avvicinato dal cavallo di Libuše. La leggenda di Přemysl che ara il campo ricorda quella del mitico contadino russo Mikula Seljaninovič, il cui aratro era così grande che solo lui era in grado di spostarlo.

Chiamarono dunque Libuše e, ben sapendo che lei era una profetessa, le proposero di scegliersi un marito: lui sarebbe stato il nuovo sovrano. Due signori avevano già chiesto la mano di Libuše: il nobile Vladomir e il cavaliere Mizysl. Essi sarebbero stati ben lieti di sposare la duchessa, ma Libuše non amava né l'uno né l'altro, ché li giudicava vanesi e violenti.

Sembrava che Libuše non considerasse nessuno degno di lei e i capotribù le chiesero irritati da quale paese avrebbero dovuto prendere il loro nuovo signore. Libuše replicò che non avrebbe mai accettato un principe straniero. I capotribù allora le diedero tre giorni per scegliersi uno sposo.

La mattina del terzo giorno, Libuše giunse al cospetto dell'assemblea e disse: ― Nobili capotribù della terra dei Cèchi: scegliete tra di voi dodici rappresentanti pronti a partire alla ricerca del mio sposo. Li guiderà il mio bianco destriero. Libero e senza cavaliere, esso galopperà dinanzi a voi, finché giungerà a un uomo che mangerà su un tavolo di ferro, all'ombra di un albero solitario. Gli renderete omaggio e lo rivestirete come si addice a un principe. Il cavallo lo prenderà su di sé e lo condurrà qui, dove egli sarà mio sposo e vostro sovrano.

Con ciò Libuše sciolse l'assemblea. Non pochi rimasero stupiti da questo discorso, tuttavia fecero come lei aveva detto. Bardarono sfarzosamente il cavallo e lo lasciarono libero di andare dove volesse. I dodici rappresentanti seguirono il cavallo per molte miglia, finché, dopo aver lungo girovagato, giunsero al villaggio di Stadice. Dopo aver attraversato un campo arato di fresco, il cavallo si fermò all'ombra di un pero. Lì sedeva un contadino, intento a mangiare pane nero. Il vomere di ferro dell'aratro gli serviva da tavolo. I messi compresero che lui era il predestinato, gli si avvicinarono e dissero:

― Libuše figlia di Krok ti manda questo messaggio: è volere degli dèi che tu abbandoni l'aratro e la frusta per prendere possesso del regno. Ti sceglie come suo sposo: con lei regnerai sul popolo cèco.

Přemysl, l'aratore
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).

Přemysl, perché era proprio lui il contadino, pensò dapprincipio che gli stessero tirando uno scherzo, ma poi si ricordò della sua visita a Libuše. Erano passati molti anni, ma forse, pensò, Libuše aveva già visto tutto questo nei suoi sogni. Allora Přemysl afferrò il bastone che lei gli aveva donato e lo conficcò al suolo. D'incanto il bastone germogliò e mise rami con foglie e fiori. Due rami appassirono, il terzo crebbe robusto e i suoi frutti maturarono. Allora lo spirito profetico scese su di lui e Přemysl disse:

― Eccomi, l'uomo che guida l'aratro è destinato a prendere in mano le redini del regno. Ahimé, se l'aratro avesse scavato i suoi solchi fino alla pietra di confine, la Cechìa sarebbe rimasta per sempre un regno indipendente! Troppo presto mi avete distolto dal mio lavoro, per cui i confini del regno non saranno mai sicuri e il paese sarà un giorno governato dallo straniero. I tre rami verdi predicono alla vostra sovrana tre figli; due germogli immaturi appassiranno, ma il terzo darà frutti e la sua discendenza renderà il nostro regno glorioso nel mondo.

Allora Přemysl sganciò i buoi dall'aratro e quelli svanirono dolcemente nell'aria. Si tolse gli zoccoli da contadino, si lavò nel ruscello, e i messi lo vestirono suntuosamente. Quindi Přemysl balzò a cavallo e insieme tornarono alla fortezza di Vyšehrad, dove lo attendeva Libuše.

Libuše invita Přemysl
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).
LIBUŠE E PŘEMYSL

Libuše e Přemysl
Scultura di Josef Václav Myslbek (1848-1922)

l popolo accolse l'uomo destinato ad essere duca con curiosità e perplessità. Přemysl era un uomo giovane e piacente, e il suo volto era saggio e modesto a un tempo. Libuše, che stava cogliendo prugne nel giardino del palazzo, si recò da lui così come si trovava, fresca e bella. Intanto vennero avanti Vladomir e Mizysl, i quali con invidia chiesero ad alta voce che cosa potesse mai avere un contadino che non avevano loro.

Irritata, Libuše depose il cestino di prugne davanti a tutti, e disse: ― Valorosi compagni, a ciascuno di voi ho pensato di dare una parte delle prugne che vi è in questo cestino. Il primo ne riceverà la metà più una. Il secondo la metà delle rimanenti più una. Il terzo la metà delle rimanenti più tre. Sapete dirmi quante sono in tutto le prugne?

L'impulsivo Mizysl misurò ad occhio il cesto e rispose: ― Vi saranno cinque dozzine di prugne.

Vladomir osservò a lungo il cestino e disse: ― Secondo me ce ne sono quarantacinque.

Přemysl scosse il capo: ― No, invece. Nel cesto vi sono trenta prugne, non una di più e non una di meno.

Libuše annuì. Tirò fuori quindici prugne dal cesto più una e le mise nel cappello di Vladomir. Delle quattordici che rimanevano, ne tolse sette più una e le mise nel cappello di Mizysl. Ce n'erano ancora sei nel cestino: ne diede a Přemysl tre più altre tre. Fu così che Přemysl ebbe l'amore di Libuše e ai due pretendenti andò il cestino vuoto.

Matrimonio di Libuše e Přemysl
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).
FONDAZIONE DI PRAGA

La profezia di Libuše
Disegno di autore sconosciuto

ibuša e Přemysl si sposarono e fu così i Cèchi ebbero il loro sovrano, anche se poi il governo continuava ad essere in mano alla donna. Přemysl non fu solo un valente guerriero, ma anche fu un modello esemplare di consorte, che mai contese alla sua sovrana né il comando della casa né quello del paese. D'altronde le sue idee erano sempre del tutto concordi a quelle della sua sposa. Essi sedevano su un trono di pietra nella fortezza di Vyšehrad, e da quel luogo stabilivano per il paese leggi eque e giuste.

Il paese dei Cèchi si arricchì in gloria e ricchezza. Molti uomini giunsero dalle terre circostanti, attirate da quel paese prospero e ridente, e la popolazione crebbe. I fitti boschi lasciarono il posto ai campi, e tra i campi mani laboriose costruivano villaggi e fortezze e castelli. E quante più fortezze c'erano nel paese, tanto meglio gli abitanti si difendevano dagli attacchi dei nemici. Gli abitanti si ritiravano dietro le mura e i terrapieni, vi accumulavano provviste, vi ammassavano il bestiame, e da dietro le mura difendevano le proprie vite e quelle delle loro famiglie.

La stirpe dei Cèchi si andava rafforzando ed era necessario trovare continuamente nuove dimore. Alla domanda dove più conveniente costruire un nuovo villaggio, Libuše rispondeva così: ― Stabilitevi lì dove troverete quattro elementi in armonia tra loro. Un terreno fertile dispensatore di vita, acqua pura, aria salubre e sufficiente alimento per il fuoco, lì dove gli alberi offrono legno ed ombra. Se tra questi elementi regnerà l'armonia, non ci troveremo in difficoltà.

Molte famiglie si stabilirono nella regione seguendo il consiglio di Libuše e i loro campi diedero ricchi raccolti e le loro greggi si moltiplicarono. Dai focolari delle nuove abitazioni il fumo saliva verso il cielo.

Un giorno Přemysl e Libuše camminavano insieme al loro seguito sugli spalti del vecchio palazzo di Libusín. Era sera: il sole si stava abbassando sui boschi lontani, che tutto intorno avevano lasciato il posto ai campi coltivati e ai villaggi, e l'ombra del castello cadeva alle spalle del fiume. Libuše si volse verso le ombre azzurre e tiepide della notte che avanzava e all'improvviso un gran silenzio s'impossessò di tutte le cose della terra e dell'aria. Nessuno del loro seguito aprì bocca: il vento trattene il fiato e gli uccelli che avevano cantato fino a quel momento, ammutolirono nelle chiome degli alberi. Libuše levò un braccio, e come toccando qualcosa in lontananza, mosse delicatamente le dita e disse:

Vedo una città
che sarà illustre nel mondo
e la cui gloria raggiunge le stelle.
Questo luogo è celato nelle profondità dei boschi,
a nord lo protegge la valle del Brusnice,
a sud una grande montagna rocciosa.
La Moldava si apre la strada sotto le sue pendici.
Costruite questa città, ve l'ordino,
là dove io vi indicherò.
Sulla Moldava, sotto Petřín,
un falegname fabbrichi con il figlio una soglia;
e per questa soglia chiamate la città Praga.
I popoli, seppur forti come leoni,
curveranno la testa davanti a questa soglia
per averla salva.
Così la mia città
avrà lode e gloria.

Přemysl e i suoi uomini guardarono in quella direzione, ma videro solo la notte che avanzava. Poi lo spirito divinatorio abbandonò Libuše e il bagliore negli occhi si spense. E quando fu mattino, Libuše chiamò i capotribù dei vari distretti e li mandò nella direzione indicata con la raccomandazione di fermarsi dove avrebbero trovato un uomo che faceva buon uso dei denti.

I messi giunsero in un luogo chiamato Petřín, a nord del Vyšehrad, sulla Moldava, e qui trovarono un contadino e suo figlio che tagliavano un albero con una sega. Essi giudicarono che il contadino stesse appunto facendo buon uso dei denti della sega. In quel luogo sorse una grande fortezza, e un villaggio sotto la fortezza, che poi si sarebbe allargato fino a diventare la capitale del popolo cèco, e, giacché con l'albero che stava tagliando il contadino intendeva fare una soglia [prah], la città che vi sorse si chiamò Praga [Praha].

Libuše profetizza la gloria di Praga
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).
 
LA CULLA D'ORO

Moldava
Dal Vyšehrad, Libuše gettò la sua corona nella Moldava. Le antiche mura romaniche sulla scogliera sono tuttora chiamate «Bagno di Libuše». Alla Moldava [Vltava] è dedicato il secondo celeberrimo movimento del poema sinfonico La mia Patria, di Bedřích Smetana. Fotografia di Dario Giansanti.

e Libuše sapeva come scrutare nel futuro, ella anche vedeva le cose nascoste nelle profondità della terra. Disse al suo popolo quali monti nascondevano l'oro e quali l'argento, e infatti, come ella aveva detto, a Jílové trovarono l'oro e a Katná Hora l'argento, e in alcuni punti il prezioso metallo scaturiva dalla terra come una verga e non si aveva che da spezzarlo. Si narra che un uomo trovasse un giorno una pepita d'oro tanto grande che pesava più di quanto pesassero il duca e la duchessa. L'uomo inviò quel mirabile e pesantissimo pezzo d'oro a Přemysl, il quale incaricò uno scultore di creare con quell'oro una statua raffigurante un uomo seduto sul trono. L'idolo venne chiamato Zelů, fu posto in una capanna di legno e lì i Cèchi gli offrivano dei sacrifici in segno di riconoscenza per i doni che la terra fertile e ricca offriva loro.

Come Přemysl aveva profetizzato, Libuše e Přemysl ebbero tre figli dei quali sopravvisse soltanto l'ultimo, che aveva nome Nezamysl. D'oro era la culla che aveva accolto i suoi primi sogni. Ma gli anni passavano, e poiché erano anni felici, passarono in fretta. Nezamysl già cercava di tendere l'arco e di sollevare la spada del padre, e Přemysl era orgoglioso di lui. Libuše, un po' triste al pensiero che il tempo correva, ordinò alle sue donne di prendere la culla d'oro di Nezamysl e di seguirla. Giunta ai piedi del Vyšehrad la duchessa si fermò in un punto dove l'acqua era profonda, tanto che la superficie appariva buia e cupa.

― Gettate la culla nell'acqua ― ordinò Libuše alle donne.

Elle obbedirono e la culla sprofondò nel fiume e sparì. Solo Libuše seguì il suo lungo sprofondare nelle acque che frattanto diventavano secoli. Vide una luce fendere le profondità dei tempi, che ora era lo splendore del sole, ora il fuoco di un incendio, e udì suoni che ora erano canti e ora grida e lacrime. La culla s'inabissava sempre di più.

― Nasconditi, nasconditi! ― gridò la duchessa. ― E un giorno, purificata dalle lacrime di quelli che vivono sulla terra, uscirai dalle onde e mani buone ti afferreranno e deporanno dentro di te un bimbo che porterà la salvezza al suo popolo e alla sua terra.

E in silenzio la duchessa fece ritorno al Vyšehrad.

Si narra che alla fine della sua vita, Libuše si portò sulla rocca del Vyšehrad e gettò la sua corona nella Moldava stabilendo che chi l'avrebbe trovata, avrebbe potuto portarla per sempre.

Libuše mostra a Přemysl i tesori
Disegno di autore non identificato
 
VLASTA

Vlasta
Disegno di Mikoláš Aleš (1852-1913)

uando Libuše morì, le donne vestirono il suo corpo con meravigliosi abiti, mettendo un borsellino con cinque monete d'oro nella sua mano destra per pagare il guardiano degli inferi affinché la facesse passare e misero due monete d'argento nella sua mano sinistra in modo che pagasse il traghettatore del fiume dei morti.

Durante la vita di Libuše, le donne cèche avevano goduto di una posizione privilegiata, ma dopo la sua morte la loro potenza declinò. Rendendosi conto del pericolo, Vlasta, la più influente tra loro, chiamò le altre donne per discutere della cosa, e Stratka, la sua migliore amica, consigliò di mandare una delegazione presso il duca Přemysl, ormai vedovo, e il suo consigliere Hynchvoj, con una proposta un matrimonio: Vlasta avrebbe sposato Přemysl e Stratka avrebbe sposato Hynchvoj.

Ma quando Stratka fece la proposta, i due scoppiarono a ridere. Hynchvoj le rispose:

― Finché Libuše era viva, noi uomini dovevamo baciarvi i piedi. Ma ora che lei non c'è più, voi donne ritornerete ad essere le stupide pecore che siete.

Vlasta rimase offesa e umililata dalla battuta e rispose: ― A questa beffa seguirà la mia ira. La mia e quella di tutte le donne. ― Riunì tutte le donne del palazzo, riferì la risposta, e tutte insieme decisero di lasciare il Vyšehrad.

Seicento donne condussero i cavalli fuori dalle stalle. Seicento ragazze varcarono la Moldava, si stabilirono sulla sponda opposta, e lì, proprio davanti al Vyšehrad, eressero una fortezza che venne chiamata Dívčíhrad, «castello delle fanciulle». Esse cominciarono a darsi delle leggi da sole, e non ubbidivano a nessun'altra autorità tranne che a quella di Vlasta. Tutte quante cominciarono a usare le armi ed a procurarsi il cibo e cavalcavano fieramente attraverso le terre circostanti, tanto che i suoni dei loro corni erano udibili fin dal Vyšehrad. Donne e ragazze si unirono a loro da tutti i villaggi circostanti, e pian piano il loro numero si accrebbe.

Dal Vyšehrad gli uomini osservavano quel gran via vai di donne sulla sponda opposta del fiume, e ridevano di fronte a quelle figure di amazzoni a cavallo che cacciavano e si esercitavano nelle armi, e non mancavano di schernirle gridando loro parole offensive e irriverenti.

Přemysl li sentì parlare così, e profetizzò:

― Vedo una fanciulla dai lunghi capelli che le escono dall'elmo. Tiene in mano una spada e nell'altra una frusta. Uomini morti giacciono nella polvere ai suoi piedi. La ragazza calpesta i cadaveri e frusta coloro che erano ancora vivi, e il sangue scorre sulla terra. Sembra una belva feroce. Signori, ascoltate la voce degli dèi e ricordate: siete stati avvertiti!

La rivolta delle donne
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).
LA RIVOLTA DELLE DONNE

Fanciulla guerriera
Disegno di Mikoláš Aleš (1852-1913)

ll'inizio gli uomini non presero sul serio la rivolta delle donne, e si limitarono a catturare le ragazze che sorprendevano da sole nella foresta per violentarle. Così la fortezza di Dívčíhrad si riempì di donne incinte. Questa tattica fece infuriare Vlasta, che cominciò a prendere le necessarie contromisure. Divise le sue donne in tre parti. Tra le più sagge e le più forti scelse quelle che avrebbero fatto da consigliere e quelle che avrebbero difeso il castello, alle più belle si mise a insegnare come sedurre gli uomini e adescarli, alla stessa maniera in cui i cacciatori attirano la selvaggina con l'esca.

I luoghi circostanti smisero di essere sicuri per gli uomini: i boschi rigurgitavano di trappole e imboscate tese dalle donne: le più carine venivano usate come esca, e quando gli uomini si avvicinavano per violentarle, le altre piombavano dal folto dei boschi e gli davano addosso. Molti uomini cominciarono a cadere prigionieri o a finire uccisi.

Né gli riuscirono a sopraffare le donne con le arti dell'inganno, che nessuna donna né tradì mai un'altra, anzi, questa tattica si rivolse spesso contro gli stessi uomini. Capitava che qualche ragazza mandasse un messaggio al proprio fidanzato chiedendogli di aiutarla a scappare dal Dívčíhrad, ma quando lo sventurato andava all'appuntamento, decine di donne si gettavano su di lui e lo catturavano. Si udivano le grida degli uomini crudelmente battuti provenire dall'interno della fortezza delle donne: e molti accettarono di diventare schiavi in cambio della vita. Così, i giovani guerrieri cèchi venivano eliminati uno ad uno.

Feriti nell'amor proprio, gli uomini si riunirono e attraversarono la Moldava, ben decisi a ricondurre tutte quelle femmine ribelli all'ordine costituito. Erano armati, ma nessuno credeva di dover usare l'arma. ― Non appena quelle femmine ci vedranno arrivare in forze si metteranno paura e ci apriranno le porte ― dicevano tra loro. Stupidamente continuavano a non prendere sul serio la faccenda, e salivano verso il castello delle fanciulle baldanzosi e pieni di buon umore. Non un rumore veniva dalla fortezza di Dívčíhrad e gli uomini si diedero gomitate gli uni con gli altri, ridacchiando e dicendo: ― Si vede che non appena ci hanno visto sono tutte corse a nascondersi!

In quel momento, all'interno delle mura, Vlasta aveva raccolto a sé le sue donne e stava dicendo: ― Se gli uomini vincono, saremo di nuovo le loro schiave. Meglio morire in battaglia che avere la loro pietà. E quindi, battetevi come meglio sapete, e non abbiate misericordia, anche se vi trovaste di fronte vostro fratello e vostro padre!

E dette queste parole, balzò a cavallo e uscì al galoppo dalla fortezza. Dietro di lei, le sue scudiere: Mlada, Svatava, Hodka, Radka e Častava. Tutte le altre guerriere le seguivano al galoppo: ed erano centinaia.

Gli uomini rimasero sbigottiti nel vederle arrivare armate fino ai denti. Vlasta trafisse con la sua lancia sette tra i migliori guerrieri, i quali non fecero nemmeno in tempo ad alzare la spada. Le arciere rovesciarono una pioggia di frecce su di loro. In un attimo l'esercito maschile si disperse. Vlasta non diede loro tempo di ricomporsi: le donne assalirono gli uomini in groppa ai loro cavalli e cominciarono a mulinare le spade. La battaglia non fu lunga: trecento uomini caddero, duecento furono catturati e portati prigionieri al Dívčíhrad, gli altri dovettero darsi alla fuga nella foresta.

Quella notte, dal Dívčíhrad si udirono musica e canti di gioia di donne che celebravano la loro vittoria, uniti alle grida degli uomini che venivano battuti.

La notizia della sconfitta degli uomini fece il giro di tutta la regione e le donne cèche alzarono orgogliose la testa. Il pensiero di Vlasta dava loro forza e coraggio. Molte donne e ragazze lasciarono le loro case e raggiunsero il Dívčíhrad. Naturalmente vi furono anche quelle che rimasero accanto ai loro mariti. Ma in molti casi, furono proprio i mariti a fuggire da casa: temevano che le loro mogli, a cui l'orgoglio aveva infuso nuova luce negli occhi, finissero per togliere loro la vita nel sonno.

ŠÁRKA E CTIRAD

Ctirad scopre Šárka legata
Disegno di autore sconosciuto

'era il valente cavaliere Ctirad, che con i suoi uomini tendeva imboscate alle donne e ne aveva uccise un gran numero. Vlasta sapeva che le donne non sarebbero mai state davvero al sicuro finché Ctirad continuava a girare per la zona, e cercava un modo per eliminarlo.

Un giorno d'estate, Ctirad andava per la foresta con il suo seguito. Non vi udiva un solo rumore: tutto era silenzio. D'un tratto Ctirad udì delle invocazioni di aiuto. Ctirad corse nella direzione delle grida e si ritrovò davanti alla vista di una splendida fanciulla legata a una grossa quercia. Le corde erano così strette che le tagliavano la pelle. La ragazza era esausta per il troppo piangere e gridare. Aveva lunghi capelli che le scendevano sulla vita e un corno ancora allacciato alla cintura.

Davanti a lei si trovava un otre pieno di idromele profumato. Ctirad stesso tagliò le corde che legavano la fanciulla, e lei gli cadde ai piedi riconoscente. Ctirad commosso la alzò da terra e le chiese chi fosse e chi l'avesse legata.

― Signor mio, ― disse la fanciulla, ― il mio nome è Šárka, mio padre ed io siamo usciti da Okorín a caccia. Nell'inseguire una cerva mi sono staccata dagli altri e mi sono persa. Finalmente sono uscita dal bosco per questo sentiero, che ho preso con gioia perché ho sentito davanti a me il nitrire dei cavalli. Credevo fossero i cavalli di mio padre, invece, ahimé, ho incrociato una banda di fanciulle del castello di Dívčíhrad. Quelle donne senza cuore mi hanno legata, e ridevano di me perché sono rimasta accanto a mio padre invece di seguire Vlasta. Si sono messe a bere quell'idromele, e forse il caldo ha dato loro alla testa. Non appena hanno sentito un rumore di cavalli, hanno temuto che mio padre tornasse per liberarmi. Così mi hanno lasciata qui legata e sono corse via al galoppo. Guardate, nella fretta hanno persino dimenticato la brocca d'idromele.

― Vediamo un po' che sapore ha l'idromele delle donne ― rise Ctirad. E usando il suo corno, Šárka attinse l'idromele dall'otre e lo diede a lui e ai suoi uomini.

Gli uomini bevvero grati quel dolce idromele. Non era un idromele qualsiasi. Vlasta vi aveva fatto sopra un incantesimo: chi lo beveva una volta s'indeboliva, chi due volte, non ce la faceva più a tenere la spada, e chi ne beveva tre volte, cadeva sopraffatto dal sonno. Gli uomini bevvero e ben presto tutti cominciarono ad addormentarsi. Ctirad e Šárka si distesero sotto l'albero, e mentre lei gli giaceva tra le braccia, chiamandolo salvatore e promettendogli delizie senza fine, lui beveva l'idromele a grandi sorsi. E quando il cavaliere fu ubriaco, Šárka prese il corno e mormorò: ― Signore, sono troppo indebolita a causa della mia disavventura. Ma forse tu potresti suonare il corno e richiamare mio padre, che verrà subito da me.

Šárka e Ctirad
Scultura di Josef Václav Myslbek (1848-1922)

Ctirad non vide nulla di male ad accontentarla e con le sue ultime forze suonò nel corno. Richiamate dal segnale le donne nascoste nella foresta si gettarono sul gruppetto. Gli uomini di Ctirad passarono dal sonno alla morte e giacquero nella polvere, mentre Ctirad fu catturato. Il giovane protestò e minacciò, ma le ragazze risero di lui e gli ricordarono di quante loro compagne avesse ucciso. Lo bastonarono crudelmente. Poi Šárka prese una fune, ne fissò un'estremità al suo cavallo e l'altra estremità la legò alla virilità dell'uomo, che così fu rudemente trascinato al Dívčíhrad.

Dopo aver sottoposto Ctirad ad atroci torture, Vlasta ordinò a Šárka di castrarlo col suo stesso coltello. Non soddisfatta, Šárka lo accecò, gli strappò i denti e gli otturò le orecchie con la resina. Le grida del poveretto si udivano fin dal Vyšehrad. Più morto che vivo, lo sventurato giovane fu gettato in una fossa nel cortile della fortezza e per quattordici giorni venne usato come latrina da tutte le donne. Infine fu decapitato e la testa gettata dinanzi al Vyšehrad, come monito per gli uomini di non osare più attraversare il fiume per giungere nel territorio governato dalle donne.

Šárka e Ctirad
Dipinto di Josef Mathauser (1846-1917).
 
CONCLUSIONE DELLA RIVOLTA DELLE DONNE

Šárka e Ctirad
Disegno di Mikoláš Aleš (1852-1913)

'orribile sorte di Ctirad ebbe però l'effetto opposto, accedendo gli animi degli uomini. Furono approntate le armi, preparato un esercito.

Non appena la notizia arrivò alle orecchie di Vlasta, questa fu presa dalla furia di un'orsa che ha perso i propri piccoli. Mise insieme le sue donne e ordinò loro di marciare verso il Vyšehrad e di metterlo a ferro a fuoco. L'esercito delle donne uscì dal Dívčíhrad, e, attraversato il fiume, marciò sul palazzo di Přemysl. Gli uomini le videro arrivare dalle mura e corsero loro incontro. Questa volta nessuno tra loro compì più il madornale errore di sottovalutare le schiere femminili e la battaglia fu aspra e tremenda. Contro il padre combatteva la figlia, contro il fratello la sorella, contro il marito la moglie. La lotta non conosceva compassione e chi esitava per un attimo, pagava l'esitazione con la morte. La combattente più furiosa era Vlasta. Si precipitava in avanti sul suo cavallo, come se volesse conquistare da sola il Vyšehrad, e le sue fanciulle non riuscivano a starle dietro. Troppo tardi Vlasta si accorse di essersi allontanata dalle sue truppe. Venne tagliata fuori, sette giovani la circondarono e la gettarono dal cavallo, sette pugnali misero fine alla sua vita.

La morte di Vlasta rovesciò le sorti della battaglia. Duecento ragazze caddero sul campo. Quelle che fuggirono nella foresta furono inseguite, stanate e uccise. Quelle che si rifugiarono nella fortezza, vennero catturate e gettate giù dalle mura. La fortezza di Dívčíhrad venne data alle fiamme e bruciò per tutta la notte. Il suo incendio era ben visibile per tutta la regione.

Il corpo di Vlasta venne fatto a pezzi e i pezzi vennero gettati in pasto ai cani. In quanto a Šárka alcuni dicono che la uccise il figlio di Ctirad, ma secondo un'altra storia, un varco si aprì spontaneamente tra le rocce ai suoi piedi e lei vi scomparve per sempre.

Ma narrano le leggende che, un giorno, quando le donne saranno nuovamente maltrattate dagli uomini, la roccia si aprirà ancora, e Šárka verrà fuori armata di tutto punto, insieme al suo seguito di guerriere, e le donne avranno la loro vittoria finale.

 
SECOLI...

I semi di Libuše
Disegno di Mikoláš Aleš (1852-1913)

re preziosi semi Libuše e Přemysl avevano gettato, affinché un giorno germogliassero portando pace e speranza al popolo cèco.

Il primo seme, il più prezioso, era la generazione più giovane. Alla morte di Přemysl, il figlio Nezamysl gli succedette sul trono e fu il progenitore della stirpe dei Přemyslidi. I suoi discendenti regnarono sulla terra cèca per molti secoli.

Il secondo seme era l'oro e l'argento custodito nelle profondità del Vyšehrad, che un giorno avrebbe procurato il pane agli affamati nel momento in cui il paese ne avrebbe avuto il maggior bisogno.

Il terzo la culla d'oro che Libuše aveva gettato nel profondo della Moldava. E allorquando, secoli dopo, la regina Eliska, sposa di Giovanni di Lussemburgo, diede alla luce il figlio Václav, le acque della Moldava si schiusero come i petali di un fiore e restituirono la culla d'oro deponendola ai piedi della roccia del Vyšehrad. In quella culla, la regina depose il piccolo Václav. Quel bimbo sarebbe diventato il più grande sovrano del popolo cèco, che la storia avrebbe conosciuto col nome di Carlo IV.

Si narra ancora che, nel momento in cui Carlo IV trasse l'ultimo respiro, il letto d'oro che durante la vita dell'imperatore era sempre stato al castello di Karlštejn, scomparve. Si tramutò in una culla e la culla ritornò nelle profondità della Moldava. A volte dalla culla si sprigiona un raggio dorato che sale dalle profondità e sfiora la superficie irrequieta del fiume. Forse scruta se mai sia giunto il momento.

Si dice che un giorno o l'altro la culla dorata lascerà di nuovo la Moldava e una madre deporrà nella culla un bimbo appena nato, che porterà quiete, pace e felicità alla sua terra. Ma chissà? Forse la culla è già da qualche parte, in Boemia, e forse non è una soltanto.

Libuše la profetessa
Dipinto (1893) del pittore simbolista cèco Vitezlav Karel Mašek (1865-1927). Musée d'Orsay, Parigi.

NOTE

Praga, la città d'oro

Una delle città più ricche d'atmosfera, suggestioni, leggende e tradizioni del mondo. Non solo da visitare, ma da esplorare. Fotografia di David Everyman.

Passeggiare per Praga vuol dire trovarsi di fronte a numerose rappresentazioni della leggenda della fondazione della città. Il volto radioso di Libuše ci sorride dai manifesti, dai monumenti, dagli affreschi art-déco sulle pareti dei palazzi. Basta comprare una guida da quattro soldi perché si possa imparare qualcosa su Libuše e Přemysl, anche se non è affatto facile trovare racconti dettagliati. A tramandare le gesta e le profezie della grande duchessa e fondatrice del popolo cèco, sono soprattutto fonti medievali in latino. La Chronica Bohemorum, composta all'inizio del XII sec. dal monaco Cosma di Praga, decano del capitolo della capitale boema, abbraccia tutta la storia cèca dalle mitiche origini all'avvento sul trono di Sobeslav I. Anche la Cronaca di Dalimil, opera storica in versi del XIV secolo, chiamata così dal canonico della chiesa di Boleslav a cui fu per lungo tempo attribuita, sembra fosse molto apprezzata ai suoi tempi. Vi è poi il De Bohemorum origine ac gestis historia dell'erudito Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), che sarebbe asceso al soglio pontificio col nome di Pio II. E infine la cinquecentesca Storia Bohemica di Johannes Dubravius († 1553). Lo scrittore Johannes Musäus, tra le fiabe tedesche [sic] raccolte nel suo Volksmärchen der Deutschen (1782-1786), riferisce anche una versione simbolista della storia di Libuše.

C'è una forte presenza femminile nelle leggende slave, affini, in questo, a quelle celtiche. Si tratta di donne forti, decise e risolute, spesso in posizione di governo, non di rado guerriere feroci e determinate. C'è la figura (storica) della principessa Ol'ga di Kiev, di cui la Cronaca degli anni passati narra la terribile vendetta contro gli uccisori del marito, il gran principe Svjatoslav. Vi sono Libuše in Cechìa e Wanda in Polonia, che due tradizioni sorelle vogliono figlie dello stesso padre (Krok/Krak), entrambe guide politiche e spirituali dei rispettivi paesi. Tra le guerriere troviamo Vlasta e Šárka in Cechìa, Bojana e Todorka in Bulgaria, Salygorka in Russia. Non a caso, molti studiosi, primo tra tutti Evel Gasperini, ma in seguito anche Bruno Meriggi e Francis Conte, hanno ipotizzato un'antica forma di matriarcato presso i popoli slavi, che in seguito sarebbe stato assorbito da un successivo strato patriarcale, lasciando ampie testimonianze nei riti e nelle leggende. Non mi sembra il caso di riferire in dettaglio le teorie di questi studiosi e personalmente sono sempre un po' diffidente quando si pretende di trovare radici storiche nel mito. La leggenda greca delle Amazzoni può perfettamente essere integrata nell'ottica del «mondo capovolto», senza andare a cercare prove di un reale governo femminile tra gli Sciti o i Sarmati. È però indubbio che non tutte le civiltà antiche abbiano relegato le donne in stato di sottomissione (come hanno fatto invece Greci e Romani), ma vi sono anche stati popoli (Egizi, Cretesi, Etruschi, Celti) che non hanno mai esitato a concedere all'altra metà del cielo i suoi diritti.

Il gōlem di Praga
Fotogramma dal film Der Golem (1915) di Paul Wegener

Alle suggestive atmosfere di Praga contribuisce un vivido substrato leggendario. Salendo sulla rocca del Vyšehrad, è possibile vedere il promontorio da dove Libuše lanciò la sua corona nella Moldava. Di fronte vi sono le rovine della fortezza di Děvin, l'antica Dívčíhrad dove Vlasta creò la sua utopia femminista. Il sito dove i compagni di Ctirad vennero uccisi si trova nell'attuale cimitero della chiesa di San Matěj, e il luogo dove sarebbe stata gettata la testa di Ctirad si trova su una piccola collina presso il Vyšehrad, chiamata «Roccia bianca», anche se i vecchi continuano a riferirsi ad essa come «lì da Ctirad».

Ma questa è solo una piccola parte delle leggende di cui la splendida Praga si vanta. Questa è la città di San Venceslao e di Santa Ludmila. La città degli alchimisti, dove Faust firmò il suo patto di Mefistofele. La città dove Rabbi Löw creò il gōlem. E sul fondo della Moldava il vodník raccoglie tuttora le anime degli annegati, imprigionandole sotto delle tazzine capovolte.

Elencare i personaggi, gli esseri soprannaturali, gli spiriti stravaganti e bizzarri che affollano Praga, è impresa impossibile e disperata.


RICERCHE

Non è stato facile trovare fonti precise e coerenti su Libuše e la leggenda della fondazione di Praga. Le cronache in latino non sono facilmente rintracciabili, a parte sparse citazioni sulle pubblicazioni dei più insigni slavisti, a cui ho avidamente attinto. Nelle guide turistiche si trovano solo pochi dettagli, quel minimo che vasta a un turista distratto. A Praga incontravo dovunque lo sguardo intenso di Libuše, ma era impossibile trovare un buon libro che riferisse tutta la storia. Una gentile e bella libraia mi fornì l'indirizzo di un centro culturale, ma quando il taxi mi lasciò dinanzi a quella porta e suonai al campanello, una signora in vestaglia m'introdusse in una cucina, dove il marito e due bambini sedevano a tavola davanti a uno stufato di broccoli. La signora mi indirizzò a un museo di antichità boeme, dove però erano esposti soltanto reperti celtici (prima dell'arrivo degli Slavi quella terra era abitata dai galli Boi, da cui il nome Boemia). Per questo riassunto mi sono affidato a sparse citazioni rinvenute in libri di letteratura o filologia slava che non sto qui a riferire (Conte, Meriggi, Prampolini, Gasperini). Alcuni particolari li ho tratti dalla favola che Johann Musäus ha tratto dalla leggenda, in Libussa (Edizioni Studio Tesi 1987). La storia di Čech è raccontata da Aloiš Jirášek nall'antologia Racconti e leggende della Praga d'oro (Mondadori 1989). Ho attinto un po' da tutte le fonti possibili, con un odioso lavoro di collage. Al proposito, ringrazio l'impagabile Silvia Sangiorgio per aver trascorso un'intera mattinata a faxarmi un libro da lei acquistato a Praga. Una versione della leggenda tratta dalle fonti primarie sarà pubblicata prossimamente su Bifröst.

Kněžna Libuše
Constantin Werner (2009)

Internazionalmente conosciuto con il titolo The Pagan Queen, il film ceco-statunitense soffre di qualche concessione di troppo alle modo neopagane. Nonostante ciò, la ricostruzione del mondo antico-slavo riesce ad essere accurata e suggestiva.

La Moldava al sopraggiungere del popolo cèco
Krok e Libuše bambina
Funerale di Krok
Libuše, Kazi e Tetka
Libuše all'assemblea dei Cechi
Sacrificio del prigioniero
I Cèchi chiedono a Libuše di scegliere un marito

Kazi
Přemysl seduto sul suo aratro
Momento d'intimità tra Libuše e Přemysl
La costruzione del Vyšehrad
Ctirad e Šárka
Vlasta
Přemysl pronto alla battaglia

 

PROPOSTA D'ASCOLTO

Vyšehrad
La rocca di Vyšehrad, con le due guglie della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, a picco sulla Moldava. Secondo la tradizione, Krok ne fu il fondatore.

Il territorio boemo e le sue leggende sono state il soggetto della popolare opera sinfonica La mia Patria di Bedřích Smetana (1824-1884), di cui qui riporto i primi tre movimenti. Nel primo di essi, Vyšehrad, come scritto nel programma dello stesso Smetana, «l'arpa dell'antico bardo Lumír echeggia nelle sale della rocca, superba dimora dei principi e dei re di Boemia». Rispondono in orchestra due arpe marcando il tema principale. Fagotti e corni riprendono poi  il tema, a cui seguono delle variazioni in stile marziale di corni e timpani; si ritorna infine agli archi che, col rullo pianissimo del timpano, evocano «un eco delle canzoni dimenticate di Lumír che risuonano ancora sul Vyšehrad».

La dissolvenza introduce il celeberrimo secondo brano, dedicato al fiume Moldava. La musica descrive il gaio scintillare delle sorgenti sulle rocce, per poi seguire il fiume per tutto il suo corso attraverso la terra di Boemia. Si ode una caccia nella foresta, si indovina un quadretto di  nozze contadine, si avverte una delicata danza delle rusalki nelle acque cristalline, ci si infrange attraverso le rapide di San Giovanni. In coda al movimento, quando la Moldava giunge alle porte di Praga, risponde il leit-motiv del Vyšehrad, dalla cui rocca Libuše getta la sua corona nelle acque del fiume.

Il terzo movimento è dedicato alla leggenda di Šárka. Di nuovo il tema del Vyšehrad, variato ma riconoscibile, accennato nell'incipit. La musica concitata si perde in una melodia appassionata di violini, che mima l'amore simulato di Šárka per Ctirad, attirato nella trappola mortale. Alla fine del brano, quando si ode il corno, «le fanciulle, radunate dal richiamo di Šárka, si precipitano all'assalto, trucidando gli uomini che dormono». La mia Patria prosegue con altri tre movimenti (Dai prati e dai boschi di Boemia, Tábor e Blaník), che però qui non sono riportati in quanto ci limitiamo ai brani di interesse mitologico.

Musica: Bedřích Smetana: La mia Patria [I. Vyšehrad | II. La Moldava  | III. Šárka] ♫►

Sezione: Rielaborazioni - Chat de Carabas
Rubrica: Sintesi - Šāhrazād
Area: Slava - Koščej Vessmertij
Ricerche e riscrittura di Dario Giansanti.
Angolodidario: 01.05.2001
Creazione pagina: 15.04.2006
Ultima modifica: 29.11.2012
 
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