NOTE
1 <ygofeıſſvys byt.>
| y gofeisỽys byd | «...egli attraversò il
mondo,»
- La metrica di questo primo verso è difettiva:
ragion per cui sia William Forbes Skene che David
William Nash hanno considerato il verso come titolo
della composizione (Skene 1868
| Nash 1868). È anche possibile che la y
iniziale sia in realtà l'ultima lettera di una
parola mutila (Haycock 2007).
- La forma verbale gofeisỽys è un hápax:
preterito, terza persona singolare, del verbo
gofeisiaf, «viaggiare, attraversare, passare a
guado» (cfr. beisiaf, «guadare»)
(Haycock 2007). Skene e
Nash interpretano il verbo come participio di
dyfeisiaf, «progettare, disegnare, creare», da
cui il titolo che i due autori assegnano alla
composizione, rispettivamente The contrived world
e A sketch of the world
(Skene 1868 | Nash 1868).
2 <bu ꝺeu tec
ꞹrwlꞹt
gỽleꝺyc yſſıt.> | bu deuddeg arỽlad gỽledychyssit
| «era su dodici paesi che regnava;»
- <deu tec>, spezzato nel manoscritto, può venire
interpretato come peculiare ortografia di deuddeg
(«dodici», «dozzina»); è possibile che la
composizione sia stata copiata da un manoscritto che
utilizzava <t> per indicare la fricativa
interdentale sonora [ð] (indicata come <ꝺ> in medio
gallese, da normalizzarsi in dd).
- <ꞹrwlꞹt> viene inteso come due parole separate:
ar («sopra») + ỽlad, forma lenita di
gỽlad («terra», «paese», «regno»), nel senso che
il protagonista della composizione «regnava» (gỽledychyssit)
«su dodici paesi». Notando tuttavia che la
costruzione della frase presenta un'inusuale
inversione (normalmente la preposizione avrebbe
dovuto precedere il numerale: ar deuddeg gỽlad),
Marged Haycock propone di emendare <ꞹrwlꞹt> in
gorỽlat, «paese straniero», traducendo «he
reigned over twelve foreign realms»
(Haycock 2007).
3 <bu
ꞹelꞹf
bertꞹf oꝛryꞹnet.> | bu haelgaf, berthaf o'r ry anet;
| «era il più generoso, il più splendido [uomo] mai
nato,»
- Il verso è caratterizzato dalla giustapposizione
di due superlativi: haelhaf, «il più
generoso» (< hael, «generoso»), e berthaf,
«il più bello» (< pert, «bello»),
apparentemente attribuibili al soggetto del verso
precedente.
- La parola finale <oꝛryꞹnet> è stata interpretata
sulla base del sostantivo rhianned, plurale
di rhiain («donna», «ragazza», «fanciulla»,
ma anche «regina», «nobildonna»). Algernon Herbert,
nella traduzione citata (e criticata) da Nash,
traduce il verso
[2] come «There was
the most generous and fairest of ladies»,
attribuendo entrambi i superlativi a una non
precisata lady, più generosa e incantevole di
ogni altra donna (Herbert
1836-1841). Assai più circostanziato Skene,
che riprende nel secondo verso il medesimo soggetto
maschile del primo, attribuendo però il secondo
superlativo alle «regine»: «He was most generous,
with most beautiful queens»
(Skene 1868). Nash ritiene che entrambi i
superlativi siano attribuiti al soggetto del verso
precedente, ma è difficile capire da dove abbia
tratto i suoi «prìncipi»: «he was the most
bountiful and most beautiful of princes»
(Nash 1868). Più
coerente Marged Haycock interpreta <oꝛryꞹnet> in
o'r ry anet, «tra quelli nati» (cfr. ganaf,
«nascere»), nel senso di «He was the most
generous, the most splendid man [ever] born»
(Haycock 2007).
4 <bu terỽyn gỽenỽyn
gỽꞹe y gywlꞹt.> | bu terỽyn gỽenỽyn, gỽae y gyỽlad.
| «era un feroce uccisore, sventura sul vicino.»
- Il significato principale della parola
gỽenỽyn
è «veleno» (cfr. latino uenēnum), da cui per
estensione il significato di «uccisore». Skene
traduce letteralmente: «he was a violent poison
of woe to his fellow-countrymen»
(Skene 1868). Se <gỽenỽyn gỽꞹe>
è letteralmente «veleno di dolore», Skene ignora
però la possibilità che il verso sia diviso in due
semiversi, coerentemente con il resto della
composizione. È Nash a proporre una suddivisione: «strong
was the poison, woe to his countrymen»
(Nash 1868). La lezione
è seguita dalla Haycock, che scioglie la metafora: «he
was a fierce slayer, woe upon his neighbour»
(Haycock 2007). gyỽlad vuol dire tanto
«vicino», «confinante», quanto «nemico».
5 <ef toꝛreſ
ꞹr ꝺꞹr
teır gỽeıth ygꞹt> | Ef torres ar Dar teir gỽeith yg
cad | «Per tre volte vinse Dar in battaglia,»
- Come sostantivo, dâr vuol dire
«condottiero», «capo sul campo di battaglia»; viene
qui giocata un'interessante omofonia con il nome
personale Dar (< Darius, ovvero
Dareîos/Darius,
Dario
iii di
Persia).
- Le tre battaglie in cui
Alexander Maỽr trionfò su
Dar sono
rispettivamente quelle di Hissós. (333 a.C.),
Granikós (334 a.C.) e Gaugámēla (331 a.C.)
6 <ac ef nyvyd
coꝛgỽyꝺ ywlꞹt> | ac ef ny fyd corgỽŷdd y ỽlad. |
«ed egli non sarà un piccolo arbusto sulla terra.»
- Tutta la sezione [6-9],
che la Haycock ha ripartito in quattro versi, veniva
suddivisa in maniera differente dai traduttori
ottocenteschi. In particolare, sia Skene che Nash ne
facevano tre soli versi (nella loro versificazione,
[sn
5-7]. Da qui, particolari interpretazioni
sintattiche che ne influenzano pesantemente la
traduzione.
- <vyd> va normalizzato in bydd, presente
abituale, terza persona, verbo bod, «essere».
Si noti che il presente abituale ha in gallese anche
valore di futuro.
- corgỽŷdd viene solitamente inteso come
«arbusto» (cor, «piccolo», + gỽŷdd,
«albero»). Skene unisce questo verso al primo
semiverso del verso successivo (ac ef ny vyd
corgỽŷdd y ỽlad | Dar plufaỽr pebyr
[6-7¹]) e traduce,
intendendo come soggetto lo stesso
Alexander: «and he will not be a dwarf
shrub in the country of the plumed Darius»
[s5]
(Skene 1868). Nash
sembra leggere nella prima parte della parola
<coꝛgỽyꝺ> un infisso gor-, goruch-
(«super») e traduce la medesima sezione:
«But he will not remain supreme in the land of
the plume-bearing Darius»
[n5]
(Nash 1868). La Haycock, che lavora sulla
metrica, assegna a questo verso un senso compiuto e
lo traduce in senso impersonale: «and there are
not [even] shrub [left] in his land»
(Haycock 2007).
7 <ꝺ
ꞹr plufꞹỽꝛ
pebyr pell ꞹtecỽys coet> | Dar plufaỽr pebyr pell
athechỽys coed | «Dar dalle splendide piume
ripiegò lontano, nella foresta,»
- L'espressione Dar plufaỽr pebyr,
letteralmente «Dar dalle forti piume» (dove
plufaỽr è plurale di
plu, «piuma»), sembra non avere molto senso,
a meno che non si legga pefyr, «radioso»,
invece di pebyr (< pybyr, «forte»); in
tal caso, l'espressione «Dar dalle radiose piume»
potrebbe essere un riferimento al cimiero dell'elmo
del sovrano persiano. È come intendono tanto Skene
quanto Nash
(Skene 1868 | Nash 1868),
che come abbiamo visto considerano il semiverso
Dar plufaỽr pebyr come parte del verso
precedente
[sn5].
Ma se plufaỽr viene inteso non come «piume»
ma, figurativamente, come le ali dell'esercito, si
può eliminare la correzione e intendere Dar
plufaỽr pebyr come «Dar dalle forti ali», ed è
questa la scelta della Haycock: «Darius with
stong wings» (Haycock
2007).
- Nella sua traduzione, Marged Haycock sostituisce
la parola finale, coed, «foresta», con ef,
«egli», intendendolo come soggetto del verso
successivo (Haycock 2007).
8 <gyrt
ygoꝺıwꞹỽꝺ ꞹlexꞹnꝺer.> | gyrth y godiỽaỽd Alexander.
| «lo catturò il potente Alexander.»
- Sia Skene che Nash considerano la prima parte di
questo verso come prosecuzione del secondo semiverso
del precedente (pell athechỽys coed | gyrth y
godiỽaỽd Alexander [7²-8]),
facendone un unico verso [sn
6]
e dando interessanti interpretazioni alla struttura
sintattica da loro proposta. In particolare, Skene
legge in questa sezione un accenno alla hýbris
che spinge Alexander ad
avanzare verso nuove conquiste, finché il
condottiero soccombe a causa di quello che sembra un
colpo di lancia: «Strenuous, far he conquered,
the wood-pushing overtook Alexander»
[s6]
(Skene 1868). Nash
sembra invece interpretare il verso così costruito,
dal quale ha però espunto il nome di
Alexander
[7²-8¹], come il
racconto della morte del condottiero macedone,
colpito da una febbre, «assai più fatale di un colpo
di lancia»: «fever, a farther reaching vanquisher
than the thrust of the spear, overtook him»
[n6];
difficile dire da dove Nash abbia tratto questa
«febbre», forse da pell
[7²]
(Nash 1868). Si noti
che in entrambi gli autori, coed («foresta»,
«legno», «asta») diviene un'arma o una lancia.
- Seguiamo qui la proposta di traduzione della
Haycock.
9 < ynuꞹl eurın
gỽꞹe ꞹ garcꞹrer> | Yn hual eurin gỽae a garcharer
| «In dorate catene di dolore sia imprigionato;»
- hual eurin, «catene d'oro», è un evidente
riferimento a un passo di Orosius, dove si dice che
a Darius, preso
prigioniero dai suoi stessi uomini dopo le battaglie
contro Alexander,
vennero imposte catene d'oro:
Darium vero, cum a propinquis suis vinctum
compedibus aureis teneri comperisset,
persequi statuit. Itaque jusso ut
subsequeretur exercitu, ipse cum sex
millibus equitum profectus invenit in
itinere solum relictum, multis confossum
vulneribus, et extrema vitae per vulnera
efflantem. |
E scoprendo che
Darius
era stato imprigionato dai suoi amici con
catene d'oro, [Alexander]
comandò che si muovesse contro di loro. E
comandato che l'esercito li seguisse,
muovendo con sei migliaia di cavalieri, lui
stesso lo trovò abbandonato lungo la strada,
coperto di molte piaghe, sul punto di morte. |
Paulus Orosius:
Historiae adversus paganos [III, 17]) |
- Nell'espressione hual eurin gỽae vi è
un'ambiguità: gỽae, «dolore», va inteso come
complemento di specificazione del precedente hual
eurin, oppure va interpretato nell'ambito del
semiverso successivo? Nel primo caso la frase
potrebbe venir tradotta come «in dorate catene di
dolore sia imprigionato» (intendendo garcharer
come imperativo passivo del verbo carcharaf,
«imprigionare»), ed è la scelta di Skene «in the
golden fetters of woe he is imprisoned»
[s7]
(Skene 1868). Nel
secondo caso, il verso andrebbe suddiviso in due
semiversi, ciascuno di senso compiuto: «in dorate
catene, dolore al prigioniero» (correggendo
garcharer con garcharor, forma lenita di
carcharor, «prigioniero»). Nella sua
traduzione, anche la Haycock separa
gỽae
da hual eurin, pur eliminando la ripartizione
in semiversi: «Woe on the one imprisoned in a
golden fetter»
(Haycock 2007)
- Al contrario di Skene, che concludeva il verso
[s6]
mettendo il punto (così come nel manoscritto)
dopo il nome di Alexander,
che dunque diveniva complemento oggetto del periodo,
Nash dispone il nome del condottiero macedone nel
verso successivo
[n7],
facendone il soggetto. Egli ritiene, senza molto
senso storico, che fu il condottiero macedone, e non
Dar, a venire messo ai
ceppi: «Alexander in golden fetters — alas! for
the prisoner»
[n7];
in tal caso la particella a viene letta come
interiezione: «alas!». L'autore
persevererà con questa erronea interpretazione anche
nei versi successivi, attribuendo al condottiero
macedone la morte e la sepoltura, in realtà di
Dar (Nash 1868).
In quanto a Skene, egli mantiene l'ambiguità del
testo originale, ma sembra anch'egli considerare
prigioniero lo stesso
Alexander
(Skene 1868).
10 <ny pell
gꞹrcꞹrỽyt. gheu ꝺybu> |
ny phell garcharỽyt: agheu dybu | «non a lungo
rimase imprigionato: venne la morte»
11 <ꞹclle ef
ꞹfꞹs
ergyr olu> |
ac lle ef cafas ergyr o lu. | «e triste egli subì
l’assalto dell’esercito.»
- L'espressione iniziale di questo verso, <ꞹclle
ef>, non è affatto chiara. I traduttori
ottocenteschi vi leggono ac effle («e dove»):
Skene traduce
«and where he had moving of armies»
(Skene 1868), e Nash «and
took away the impulse of the army»
(Nash 1868). Si è
tentato in vari modi di emendare <ꞹclle ef>, ad
esempio in aele lef («pianto doloroso»), con
possibile riferimento a Dar
prigioniero, oppure in
a lle («egli, tristemente»). Su questa linea,
ai primi del Novecento, Sir John Morris-Jones, che
in un suo articolo traduce «and he where he was
wounded by [his own] host»
(Morris-Jones 1918). La Haycock ritiene che
il soggetto sia Dar
prigioniero e traduce: «the [captive] with the
sad cry was attacked by a battalion»
(Haycock 2007).
12 <neb
yn noc
ef ny ꝺꞹrꞹỽꝺ> | Neb cyn nog ef ny darhaỽd. |
«Nessuno prima di lui attaccò (?)»
- Questo verso, più breve e privo di rima, sembra
formare un insieme sintattico con il verso seguente,
ma l'uno e l'altro pongono interessanti problemi
interpretativi. Anche se esistono diverse opinioni,
è probabile che vadano collegati ai versi
precedenti, incentrati sulla morte di
Dar, e che trattino
quindi dell'episodio in cui Alexander
onorò il sovrano persiano di una sepoltura regale (Arrianós,
Alexándrou anabasis [III,
22, 1]). Spingono in questa direzione sia
la presenza della parola bedd («tomba») al
verso successivo sia, naturalmente, il fatto che il
nostro compositore segue probabilmente Orosius:
Hunc
mortuum inani misericordia referri in sepulcra
maiorum sepelirique praecepit. |
E morto costui, abbiendo
vana misericordia di lui, nel sepolcro dei suoi
antichi il fece sotterrare. |
Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17]) |
- Se sulla prima parte del verso (<neb yn noc
ef>) gli interpreti sono concordi
(«nessuno prima di lui...»), difficile è
interpretare l'ultima parola, <ꝺꞹrhꞹỽꝺ>. Skene la
legge secondo il verbo
dyrcharf («elevare», «esaltare») e traduce «no
one before him was exalted»
(Skene 1868); Nash
traduce «no one can be a debtor to him»
(Nash 1868). Marged
Haycock, che preferisce lasciare dei puntini di sospensione,
propone due possibili restituzioni del verso: Neb
cyn nog ef ny darhei ar raỽt («Nessuno prima di
lui avrebbe attaccato il nemico»), o Neb cyn nog
ef yny adaỽt
(«Nessuno prima di lui era stato nella sua
cittadella»), riferendosi all'ingresso di
Alexander a
Persépolis. Quest'ultima lettura ha parimenti, una
giustificazione in Orosius:
Alexander triginta quatuor continuis diebus
castrorum praedam percensuit; Persepolim, caput
Persici regni, urbem famosissimam
confertissimamque opibus totius orbis, invasit. |
E Alessandro per
trentaquattro continui dì la preda dell'oste di
quelli di Persia fece radunare; e assalio Persépolis,
capo del regno di Persia, cittade famosissima e abbondevole delle ricchezze di tutto il mondo
quivi radunate. |
Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17]) |
- Un'altra possibilità potrebbe essere quella di
emendare <ꝺꞹrꞹỽꝺ> in d(a)raỽdd, forma lenita di
t(a)raỽdd, terza persona singolare, perfetto, del
verbo t(a)raỽaf
(«colpire», «attaccare», ma anche «porre»,
«collocare»): «nessuno prima di lui
attaccò...», ma risulta difficile collegare al verso
successivo.
- Da parte nostra notiamo che il manoscritto
riporta la
parola finale spezzata in due righe, <ꝺꞹr> | <ꞹỽꝺ>;
che possa trattarsi di due parole
distinte (<ꝺꞹr ꞹỽꝺ>) è suggerito dal fatto che
un'ipotetica parola *<ꝺꞹrꞹỽꝺ> presenterebbe un
gruppo <r>, gruppo che in gallese moderno
rappresenta una vibrante alveolare sorda [].
Tuttavia, nell'ortografia medievale il grafema <r>
rappresentava sia la sorda che la sonora, e così
accade nel nostro manoscritto, dove l'unica
ricorrenza di un gruppo <r> (al verso
[32]) non va intesa
come digramma, ma come due lettere distinte
appartenenti a due parole separate. È quindi assai
improbabile che *<ꝺꞹrꞹỽꝺ> sia una parola unica,
ma va probabilmente distinta in due parole: dar
haỽdd («Dar il
prospero»?). Un'interpretazione di questo tipo non
rende però più facile la traduzione, perché
eliminerebbe un verbo dai versi
[12-13].
13 <myueꝺ beꝺ
bertꝛỽyꝺ oꝛ ꞹꝺỽynꝺꞹỽt> |
meufed bedd berthrỽydd oraddỽyndaỽd. | «la
ricchezza della tomba, splendore magnifico.»
- Verso altrettanto arduo del precedente. La prima
parola, <myueꝺ>, potrebbe essere un errore scribale
per <ryued>, da normalizzarsi in r(h)efedd
(«abbondanza», «ricchezza»); oppure una cacografia
per <meuued> (con sostituzione di <y> in <e>), da
normalizzarsi in
meufed, di analogo significato. Skene ritiene
sia un
errore scribale per <mynet>, myned, nome
verbale del verbo af («andare»). Poiché il termine seguente
è <beꝺ>, bedd («tomba»), Skene ignora la
mancanza di una proposizione e traduce: «To go to the grave...»
(Skene 1868). Nash, che
già ha messo Alexander
in catene d'oro e l'ha fatto morire in carcere,
continua la sua improbabile riscrittura della
storia del condottiero macedone che ora «coperto va
alla sua tomba arricchita con scintillanti
ornamenti» (covered up he goes to his grave...)
(Nash 1868).
- Marged
Haycock, pur con qualche dubbio, emenda <beꝺ> in byd
(«mondo»), e traduce «the wealth of the world...»
(Haycock 2007), naturalmente guardando ai
versi successivi, dove si elencano le conquiste di Alexander.
- Nessun problema sulla seconda parte del verso,
berthrỽyd oraddỽyndaỽd («splendore magnifico»),
con forma intensiva di addỽyndaỽd
(«nobiltà», «perfezione»).
- I versi [12-13],
presi nel loro complesso, come vanno quindi letti?
«Nessuno prima di lui...» implica che qualcuno abbia
compiuto una certa impresa per la prima volta, ma chi è questo
«lui», Alexander o
Dar? Se assumiamo che
sia il macedone, si
potrebbe tradurre il verso
[12] con «nessuno prima di lui attaccò...»
(con <ꝺꞹrꞹỽꝺ> = d(a)raỽdd),
ma perdiamo ogni collegamento con il verso
successivo, a meno di non eliminare la «tomba» come
fa la Haycock (ma bedd è una delle poche
parole chiare e concrete in questi due versi). Se
assumiamo che il verso
[12] sia riferito a Dar,
allora stiamo parlando di una sepoltura, ma allora
qual è il verbo?
14 <ꞹel
ꞹlexꞹnꝺer
ꞹe ymert ynꞹ> | Hael Alexander a'e cymerth yna: |
«Il generoso Alexander
poi le possedette:»
- I versi [14-20]
elencano le terre conquistate da
Alexander, ed è una
lista in cui dei toponimi perfettamente trasparenti
si alternano ad altri affatto enigmatici: Syr, Siryoel, Syria, Dinifdra, Dinitra,
Pers, Mers, Canna, Pleth, Phletheppa, Babilon, Agascia
maỽr e Galldarus. Potrebbe trattarsi di
effettivi nomi geografici alterati fino a divenire
irriconoscibili. Ma quali? Aiuta forse il fatto che
tali versi evidentemente dipendono da un passo di
Orosio, dove si elencano i territori conquistati e
devastati da Alexander:
quamquam
extra has clades per eosdem tres annos et Asiae
civitates plurimae oppressae sint, et Syria toda
vastata, Tyrus excisa, Cilicia exinanita,
Cappadocia subacta, Aegyptus addicta sit: Rhodus
quoque insula ultro ad servitutem tremefacta
successerit, plurmaeque subiectae Tauro
Provinciae, atque ipse mons Taurus, diu
detrectatum iugum domitus et victus acceperit. |
Ne' tre detti anni molte
cittadi d'Asia fuoro disfatte, e Siria tutta
guastata, e Tiro tagliata, Cilicia ridotta al
neente, Cappadocia ed Egitto sia vinta; e
l'isola di Rodo, per paura e per la loro voluntà
s'arrendessero, e diventassero fedeli molte
province che sono allato al monte Tauro, e il
detto medesimo monte essendosi molto difeso,
vinti e domati sotto giogo della fedeltà
vennero. |
Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17]) |
Bisogna in ogni cosa notare che l'elencazione di
luoghi immaginari, in luogo di reali toponimi dai
nomi esotici, è un tópos della letteratura gallese. In un racconto
mabinogico leggiamo ad esempio: «Caer Se ac Asse,
Sach a Salach, Lotor a Ffotor, Caer Brythỽch a
Brathach a Nerthach, ac Caer Oeth ac Anoeth»
(Culhỽch ac Olỽen)
15 <gỽlꞹt syr
ꞹsıryoel ꞹgỽlꞹt ſyrıꞹ> | gỽlad Syr a Syrioel, a gỽlad
Syria, | «la terra di Syr e Siryoel, e la terra di
Syria,»
- Introdotte in [14],
«Il generoso Alexander poi le possedette», vengono
ora elencati i paesi (gỽlad) conquistati dal
condottiero macedone. I toponimi Syr,
Syrioel e
Syria sembrano indicare tutti la Siria. Si noti
che syr vuol dire anche «stella», forse con
riferimento alla leggenda del viaggio celeste di
Alexander (Haycock 2007).
Abbiamo normalizzato <sıryoel> in Syrioel in
conformità con gli altri nomi.
16 <ꞹgỽlꞹt
ꝺınıfꝺꝛꞹ. gỽlꞹt ꝺınıtrꞹ> | gỽlad Dinifdra, a gỽlad
Dinitra, | «e la terra di Dinifdra, e la terra di
Dinitra,»
- Sia Dinifdra che Dinitra sono
toponimi non analizzabili, come altri che seguono.
La Haycock suggerisce che la <f> del primo nome
sia un errore scribale per <ſ>, e propone di
identificare Dinisdra con i
Donestre, una razza di
cannibali stanziati su un isola del Mar Rosso,
descritti nel
De rebus in Oriente
mirabilibus, un bestiario la cui
redazione è stata fatta risalire al periodo tra il
vii e
l'viii
secolo (Tardiola 1991).
Itaque
insula est in Rubro mari, in qua hominum genus
est quod apud nos appellatur Donestre, quasi
divine, a capite usque ad umbilicum quasi
hominem, reliquo corpore similitudine humana,
nationum linguis loquentes. Cum alieni generis
hominem viderint, ipsius lingua appelabunt cum
et parentum ejus et cognatorum nomina
blandientes sermone ut decipiant eos et perdant.
Cumque comprehenderint eos, perdunt eos et
comedunt, et postea comprehendunt caput ipsius
hominis quem commederunt et super ipsum plorant. |
È la volta di un'isola
nel Mar Rosso ove vive una razza di uomini che
chiamiamo Donestre:
dalla testa all'ombelico hanno forma un po'
diversa dall'umana, ma nel resto del corpo son
proprio come noi. Essi si esprimono in ogni
favella e così, se vedono uno straniero, gli si
rivolgeranno nel pertinente idioma e lo
blandiranno insinuandogli alla mente i nomi dei
suoi genitori e parenti fino a che lo
struggimento non diventi per lui fatale e lo
guidi alla rovina. Una volta catturato, infatti,
immediatamente lo uccidono e ne divorano le
carni. |
De rebus in Oriente mirabilibus [XIV] |
17 < gỽlꞹt pers
ꞹmers ꞹgỽlꞹt yꞹnnꞹ.> | gỽlad Pers a Mers, a gỽlad y
Canna, | «la terra di Persia e Mers, e la terra di
Canna,»
- Pers è l'usuale forma medio-gallese per
indicare la Persia; Mers potrebbe essere la
Media o la Mesopotamia. <ꞹnnꞹ>, qui normalizzato in
Canna, è probabilmente la terra di Kǝnaʿan.
18 <cynyſſeꝺ
plet ꞹpletheppꞹ.> | ac ynysedd Pleth, a Phletheppa,
| «e le isole di Pleth e Phletheppa,»
- La Haycock afferma di non essere riuscita a
identificare un arcipelago o isole il cui nome può
essere avvicinato a Pleth (parola che in
gallese significa «treccia»); suggerisce che si
possa trattare forse di un arcipelago come quello greco, mentre
Phletheppa potrebbe essere un tentativo di
descrivere il Peloponneso; oppure potrebbe trattarsi
di Persépolis
(Haycock 2007).
19 < cıỽꝺ
ꞹỽt bꞹbılon c ꞹgꞹſcıꞹ mꞹỽꝛ> |
a chiỽdaỽd Babilon ac Agascia maỽr, | «e i
cittadini di Babilonia, e l’Asia grande,»
- Il fatto che questo verso sia ipersillabico
suggerisce la possibilità di una corruttela, ma vi è
perplessità, tra gli studiosi, sul modo di
intervenire. Da un lato, la lezione <ꞹgꞹſcıꞹ> sembra
essere un errore dello scriba per Asia,
parola che in medio gallese compare anche nelle
lezioni Ascia e Asicia. Ristabilendo
la forma corretta, si può eliminare una sillaba. Il
toponimo Ascia maỽr, «grande Asia», è stato
probabilmente introdotto in relazione con
Asia minor: è però vero che eliminando la parola
maỽr si ristabilisce la rima, ed è questa la
soluzione adottata dalla Haycock
(Haycock 2007).
20 <ꞹgỽlꞹt
gꞹllꝺꞹruſ bycꞹn yꝺꞹ.> | a gỽlat Galldarus,
bychan y da, |
«e la terra di Galldarus, trascurabili le
ricchezze,»
- Difficile identificare questa enigmatica «la
terra di Galldarus». La Haycock propone di leggere
il termine come composto tra
gall («straniero», «ostile») e Taurus,
ovvero le montagne del Tauro (Toros Dağları)
nella Turchia meridionale. La studiosa ricorda che
sulle montagne del Tauro si trovavano le cosiddette
Porte della Cilicia (Gülek Boğazı, «passo Gülek»),
una gola che conduceva dall'altopiano centrale
dell'Anatolia alla Cilicia
(Haycock 2007). Nel
caso la Haycock abbia ragione, si potrebbe
ipotizzare una confusione con le Porte Caspie,
legate invece alla leggenda alessandrina. La
studiosa ritiene tuttavia che il termine Taurus
potesse indicare in realtà l'intero Īrān fino alla
catena del Hindū Kūš. Alternativamente, la Haycock
propone che il termine possa indicare il regno di
Gandhāra (oggi nel Pākistān), conquistato da
Alessandro Magno nel 327 a.C. e successivamente
centro di una singolare cultura elleno-buddhista
(Haycock 2007). Da
parte nostra ci chiediamo se il toponimo
Galldarus (in tal caso forma lenita di *Calldarus)
non possa indicare in realtà la Caldea.
21 <ytyꝺymꝺuc
ytır tywꞹrch ynꞹ.> |
gyt yd ymduc y tir tyỽarch yna | «finché
poi raggiunse la regione, quel territorio»
- Ymduc è preterito, terza persona
singolare, di ymddâf («viaggiare»,
«muoversi»).
- Tyỽarch è letteralmente «zolla», da cui
la traduzione di Skene: «until the earth
produced, sod was there»
(Skene 1868); Nash
interpreta più liberamente: «until much toil is
employed on the sod of the earth there»
(Nash 1868). Secondo la
Haycock, tyỽarch sarebbe qui usato nel senso
di «terra», «regione»: «until he proceeded then
to a region, a land». La terra in questione,
come sarà chiarito successivamente, è il territorio
delle amazzoni, che il mito ellenico collocava tra
l'Anatolia settentrionale e il Caucaso
(Haycock 2007).
22 <cytwnꞹont
eu bryt ỽꝛt eu elyꞹ> | ac yt ỽnagont eu
bryt ỽrth eu helya: | «e si soddisfacevano
in cacce sconvenienti»
- In questo verso vi è un cambio di soggetto:
dalla terza persona singolare dei versi precedenti
si passa alla terza persona plurale. Non è
esplicitato a chi si riferisca il verso, e sia Skene
che Nash non chiariscono chi sia il they
delle loro traduzioni
(Skene 1868 | Nash 1868).
La Haycock presume che il soggetto siano le
amazzoni, deducendolo a partire dai versi
successivi, in cui si parla di «donne orgogliose»
con «il petto bruciato»
(Haycock 2007).
- La Haycock
suggerisce che eu bryt («loro piacere») possa
essere un errore scribale per
enbryt («oppressione, violenza»)
(Haycock 2007).
- In <eu elyꞹ>, eu («loro») è aggettivo
possessivo di terza persona plurale, mentre helia
è nome verbale da heliaf («spingere»,
«perseguire», «inviare», ma anche «cacciare»). Nash
traduce, letteralmente: «And they performed their
purpose according to their intention»
(Nash 1868). Skene
interpreta eu come pronome personale
complemento e traduce il verso: «And they do
their wills by hunting them»
(Skene 1868). La
Haycock, secondo la quale vi è qui un riferimento
alle amazzoni, ritiene che, in eu helia («il
loro cacciare»), eu sia in realtà forma
lenita di geu («falso», «ingannevole»,
«sbagliato»), nel senso che la caccia era
considerata un'attività non appropriata per delle
donne, e trasforma il verso
[22] in una relativa
del precedente emendando ac
(«e») con yn (in cui»): «in which they
[the Amazons] take pleasure in perverted hunting»
(Haycock 2007).
- Il motivo dell'incontro/scontro tra
Aléxandros e le
amazzoni fa parte della biografia leggendaria del
condottiero macedone (un tema che il ciclo di
Aléxandros ha
probabilmente desunto dal mito di
Hērakls). Secondo la
versione più nota di quest'episodio,
Aléxandros
incontra Thálēstris,
regina delle amazzoni, che prega il macedone di
concederle un figlio. Essa è attestata già in Diódōros Sikeliṓtēs (Bibliothḗkē Historikḗ
[xvii, 77]) ed è ripresa da Paulus Orosius:
Igitur Alexander Magnus post Darii mortem
Hyrcanos et Mardos subegit: ubi etiam illum
adhuc bello intentum, Thalestris sive
Minothaea regina, excitata suscipiendae ab
eo subolis gratia, cum trecentis mulieribus
procax Amazon invenit. |
E però il grande
Alexander, dopo
la morte di
Darius, gli
Ircani e i Mardi si sottopose: nel quale
luogo, essendo egli ancora alla battaglia
inteso, il trovò Thalestris, ovvero
Minothaea,
regina delle amazzoni, cioè del regno
femminile, la quale veniva a lui con
trecento donzelle per cagione d'avere
figlioli di lui. |
Paulus Orosius:
Historiae adversum paganos [III,
18] |
Questa versione sembra essere stata la più
popolare nell'ambito del ciclo alessandrino
medievale: la ritroviamo nell'Alexandreis
di Gautier de Châtillon (fine
xi
sec.), e anche nella sua traduzione in norreno, la
Alexanders saga
del vescovo Brandr Jónnson (ca. 1280), dove le
amazzoni sono esplicitamente equiparate alle skjaldmær dei miti nordici. Una differente
versione è attestata dallo pseudo Kallisthénēs, il
quale ignora il motivo della relazione tra
Aléxandros e la regina
delle amazzoni e risolve l'episodio con una resa
delle donne al semplice arrivo dei macedoni, senza
colpo ferire (Bíos
Alexándrou toû Makedónos). Il compositore
gallese, che di solito segue Oriosus, stranamente ne
ignora qui la tradizione, così come ignora quella
che fa capo allo pseudo Kallisthénēs, e tratta le
amazzoni come un popolo selvaggio da sconfiggere con
la forza delle armi e, soprattutto, da ricondurre
all'ordine patriarcale costituito. La scena del
Y gofeisỽys byd
sembra in realtà reminiscente di un passo del
De rebus in Oriente mirabilibus in cui si
descrivono due
specie di donne selvagge, le une esperte nella
caccia, le altre di aspetto ferino, ma sfrontate e
procaci: queste ultime sarebbero state combattute da
Alexander, disgustato
dai loro costumi lascivi:
Circa hunc locum nascuntur mulieres barbas
habentes usque ad mamillas, pelliculas
equorum ad vestimentum habentes, et hae
venatrices maxime; pro canibus tigres et
leopardos nutriunt et omnia genera bestiarum
quae in eodem monte nascuntur: cum illis
venantur. |
Vicino a questa
terra abitano donne alle quali cresce una
lunga barba che arriva fino alle mammelle e
che usano vestirsi con pelli di cavallo;
sono impareggiabili cacciatrici e al posto
dei cani allevano tigri, leopardi e ogni
altra stirpe di fiere che genera quel monte:
e con queste vanno a caccia. |
Et aliae sun
mulieres ibi, dentes aprorum habentes,
capillos usque ad talos, in lumbis caudas
boum, quae sunt altae pedum XIII, specioso
corpore quasi marmore candido, pedes
habentes cameli, apinos; quarum multae ex
ispsis eciderunt pro sua obscenitate a magno
nostro Macedone Alexandro: qua illas vivas
adprehendere non potuit, occidit, ideo quia
sunt publicato corpore et inhonesto. |
Sempre in quei
pressi, troviamo altre donne con denti di
cinghiale, i capelli fino al calcagno e una
coda bovina piantata in fondo alla schiena;
alte tredici piedi, possiedono un corpo
stupendo e così bianco da sembrare marmo,
mentre nelle zampe ricordano il cammello. Ne
uccise molte, non avendo potuto catturarle
vive, Alexander Magnus,
il macedone, disgustato dalla sfrontata
lascivia che ostentano quelle forme procaci. |
De rebus in Oriente mirabilibus
[XVII-XVIII] |
23 <yweꝺ
ꞹnt
gỽylon yeuropꞹ.> | yd ỽeddand
gỽystlon yn Europa
| «in Europa pongono gli ostaggi sotto il giogo»
- I traduttori ottocenteschi continuano,
naturalmente, con il medesimo soggetto del verso
precedente, lasciandoci in dubbio se intendano le
amazzoni o gli uomini di
Alexander Maỽr: «They render hostages to
Europa»
(Skene 1868), «and
subjected hostages in Europe»
(Nash 1868).
- Marged Haycock propone di emendare y ỽeddand
(«il giogo») in yd ỽeddand («sotto il
giogo»), e naturalmente il secondo y («il»)
in yn («in»); la studiosa ritiene che il
testo si riferisca alle devastazioni causate dalle
amazzoni in Europa: «they put hostages under the
yoke in Europe»
(Haycock 2007).
Seguiamo volentieri la sua lezione.
24 <c
ꞹnreıtꞹỽ gỽlꞹꝺoeꝺ gỽyſſyoeꝺ t́rꞹ.> | ac
anreithaỽ gỽladoedd gỽyllioedd terra.
| «e devastano paesi delle remote terre del
mondo.»
- Il termine <gỽyſſyoeꝺ> è probabilmente un errore
scribale per <cỽyllyoeꝺ>, con la doppia s longa
<ſſ> erroneamente scritta al posto del digramma
<ll>), da normalizzarsi in gỽyllioedd
(plurale di
gỽyllt, «selvaggio»).
- Si noti l'uso del latinismo terra (cfr.
gallese tir), contratto in <t́rꞹ>, per
indicare il mondo nel suo complesso.
- I traduttori sono concordi: «and plunder the
countries of the peoples of the earth»
(Skene 1868), «and
took the spoils of all the known countries of the
earth»
(Nash 1868), «and
devastate lands in the remote regions of the Earth»
(Haycock 2007).
25 <Gỽytyr
gỽenynt wrꞹgeꝺ goꝛꝺynt ymꞹ.> |
Gỽythyr gỽenynt ỽragedd gordynt yma, |
«Brutali, trafissero queste donne orgogliose»
- Il testo continua qui con il soggetto in terza
persona plurale: dal contesto si comprende senza
dubbio che si tratta dei guerrieri al seguito di
Alexander.
- Il termine <Gỽythyr> può essere letto o come
gyth («rabbia», «furia») + yr; nel
caso sia emendato in gỽychyr, può essere
tanto aggettivo sostantivato («i rabbiosi», «i
brutali»), sia avverbio («rabbiosamente»,
«brutalmente»). Skene opta per l'avverbio: «furiously
they pierce women, they impel here»
(Skene 1868). Nash
traduce riportando una serie di aggettivi, «wrathful,
lustful, lecherous, they pour over here», che
attribuisce indifferentemente al soggetto
(Nash 1868)
- <gỽenynt>, gỽenynt, è imperfetto,
terza persona plurale, del verbo gỽanaf, che
ha il significato principale di «trafiggere»,
«colpire», «penetrare», anche in senso sessuale. È
probabile che il testo gallese voglia conservare
l'ambiguità tra la sconfitta delle amazzoni sul
piano della forza fisica, al ristabilimento dei
ruoli sessuali stabiliti dalla società patriarcale.
- <wrꞹgeꝺ>, ỽragedd, è forma lenita di
gỽragedd, plurale di
gỽraig («donna», più esattamente «donna matura»)
(Nash 1868).
26 <bron
loſceꝺıgyon gỽyleꝺ gỽꞹrꞹ. > |
bronloscedigion gỽyledd gỽastra. | «quelle dal seno
bruciato, inutile modestia.»
- La parola <bron loſceꝺıcyon>, da normalizzarsi
in
bronlosgedigion, vuol dire: «[coloro che] hanno
il petto bruciato», da bron («petto», «seno»)
+ losgedigion, participio plurale di
llosgaf («bruciare»). La notizia ha un immediato
riferimento a una notizia che Ippocrate riferisce
riguardo alle donne dei sauromati, le quali «non
hanno il seno destro perché, quando sono ancora in
tenera età, le madri bruciano il capezzolo con uno
strumento di rame arroventato, cosicché il seno
perde la capacità di crescere e tutta la forza e
l’abbondanza dei fluidi passa alla spalla e alla
mano destra» (De aëre,
aquis et locis, [xvii]).
Questa pratica crudele è con tutta probabilità
un’invenzione degli storici greci, creata sulla base
di un’etimologia popolare, dove il sostantivo
amazṓn veniva interpretato a partire dalla
parola mazós, “mammella”, preceduta da α-
privativo, nel senso di “colei che è senza un seno”.
Il termine
bronlosgedigion viene dunque a essere quasi un
calco semantico del greco amazónes.
- Skene traduce «before the burned ones there
was a devastation of modesty», collegando
peraltro al verso successivo
(Skene 1868).
27 <Ogꞹꝺeu
ꞹfoꝛ
pꞹnꞹtroꝺet> | O gadeu a For pan adrodded
| «Delle battaglie contro Por,
si narrava,»
- <foꝛ>, For, forma lenita per
Por, si riferisce a Pros/Porus,
nome greco di Purūśottama, un rājā dei
Paurava (nella regione del Paṃjāba), che venne
sconfitto da
Aléxandros nella
battaglia di Hydáspēs (odierno fiume Jhelama) nel
326 a.C., per poi divenire suo alleato. Si noti che
Skene interpreta <foꝛ>
come lenita di bôr («noia») e traduce,
riprendendo dal verso precedente, «of battles
when the sorrow was mentioned»
(Skene 1868). Nash
riconosce il nome del re indiano: «of the battles
of Porus when it shall be told»
(Nash 1868). Anche la
Haycock si muove su questa linea: «it was
recounted, with regard to the battles with Porus»
(Haycock 2007).
- <ꞹtroꝺet>,
adrodded, è nome verbale tratto dal verbo
adroddaf («narrare»).
28 <ꝺıgonynt
bꝛeın gỽneınt pen bꝛıtret> |
digonynt brein, gỽnëint pen brithret. | «che
saziavano i corvi, causando gran mischia.»
- brein, plurale di brân, è
letteralmente «corvo». Il termine può indicare tanto
gli uccelli appartenenti al genere Corvus,
quanto, figurativamente, il guerriero. È anche nome
di alcuni personaggi della tradizione celtica, quali
il condottiero gallico Brennos,
capo dei Senones, che saccheggiò di Roma nel 390
a.C., o il leggendario eroe
Brân Fendigeit, «Brân il benedetto»,
personaggio centrale del cainc mabinogico
Branỽen ferch Llŷr. Pende verso
l'interpretazione di brein come «corvi» la
considerazione del fatto che «saziare i corvi» è,
soprattutto nella poesia scaldica, una popolare
kenning per indicare la «battaglia».
L'espressione digonynt brein («saziavano i
corvi») viene tradotta dagli autori ottocenteschi
come «they satisfy the ravens»
(Skene 1868) o «satiated
were ravens»
(Nash 1868). La Haycock
preferisce invece interpretare in senso metaforico e
scioglie la prima metà del verso in «that the
warriors took action»
(Nash 1868).
- <bꝛıtret>,
brithred, indica la «battaglia» nel suo senso
caotico: «confusione», «mischia».
29 <ymılwyr
mꞹgeıꝺꞹỽn pꞹn ꞹttroꝺet.> |
Y milỽyr Mageidaỽn pan adrodded | «Dei soldati di
Mageidaỽn, si narrava,»
- Poiché questo verso ha la medesima struttura
sintattica del [27],
La Haycock propone di emendare l'articolo iniziale
y («il») con o, in modo da ristabilire
la formula o... pan («del tempo di»)
(Haycock 2007).
- Il termine <mꞹgeıꝺꞹỽn> è stato variamente inteso
dai traduttori. Skene traduce come «possessore di
moltitudini», (forse intendendo la prima parte del
termine da un verbo bagiaf, «prendere
possesso»?): «the soldiers of the possessor of
multitudes, when they are mentioned»
(Skene 1868); Nash lo
legge come calco gallese di «magician»,
seguendo l'idea di una concezione medievale di
Alexander mago: «of
the soldiers of the Magician when it shall be told».
Nash giustifica questa sua traduzione asserendo che
gli autori medievali avrebbero attribuito ad
Alexander delle imprese
che i trouvères britannici avevano invece
assegnato a Myrddin,
quali l'avventura nella nave di vetro, a cui accenna
il
Anrhyfeddodeu Allyxander
(Nash 1868). Marged
Haycock scioglie l'enigma interpretando il termine
come una lezione per «Macedonia»
(Haycock 2007).
30 <Neu wlꞹt yt
weıſſontı pꞹn ꝺıffyꝺet.> | neu ỽlad y'th ỽeisson ti
pan diffydded. | «una terra per i Tuoi servi in un
tempo senza fede.»
- <ꝺıffyꝺet>, diffydded, è nome verbale dal
verbo diffyddiaỽ («perdere la fede»,
«divenire scettici»). Questa frase, di non chiaro
significato nel contesto, è stata resa in modi più o
meno artificiosi dai traduttori ottocenteschi.
31 <ny byꝺ yt
eſcor eſcoꝛ lluꝺet.> | Ny byd y'th esgor esgor
lludded, | «non c’è per te liberazione, liberazione
dalla fatica,»
32 <Rꞹc gofꞹl
yruꞹl ꞹe ꞹgꞹlet> |
rag gofal yr hual a'e agaled. | «dalla pena della
catena e dalla sua sofferenza.»
33 <mılcꞹnt
rıꞹllu ꞹuu vꞹrỽ rꞹc sycet.> | Mil cant riallu a bu
farỽ rag sychet, | «centomila soldati scelti
morirono di sete,»
- Il compositore si riferisce qui alla sete
sofferta dai soldati al seguito di Alessandro di
ritorno dalla campagna in India, descritto nella
Epistola Alexandri Magni ad Aristotelem magistrum
suum de situ et mirabilibus indiae, testo
medievale appartenente al ciclo alessandrino.
- Il termine rhiallu indica un campione, un
guerriero facente parte del seguito del sovrano.
34 <eu geu
gogỽılleu ꞹr eu mılet.> | eu geu gogỽılleu ꞹr eu
miled. | «i loro falsi copricapi e le loro bestie.»
- <gogỽılleu>, da normalizzarsi in gogỽilleu,
forma lenita di cogỽilleu, è probabilmente da
intendere come forma arcaica o ipercorrettismo di
coỽilleu, plurale di
coỽyll («velo», «copricapo»); il termine è
d'incerta derivazione, sebbene sia stata ipotizzata
una possibile influenza dal termine latino
cucullus, col quale si indicava l'alto cappuccio
a punta dei celti continentali. L'influenza o la
derivazione dal termine latino è forse individuabile
dalla seconda consonante velare presente nella
lezione <cocỽılleu>, attestata nel nostro testo.
Detto ciò, è difficile individuare l'esatto
significato dell'espressione ceu gogỽılleu,
dove il primo termine significa «vuoto», «cavo», ma
anche «falso», «improprio».
- La parola finale <mılet> può essere interpretata
in diversi modi: la normalizzazione più diretta è in
miled («armata», «schiera»). Si noti che
Skene la normalizza in milioedd, plurale di
mil («migliaio»), e traduce il verso con «false
their plans with their thousands»
(Skene 1868). La Haycock la normalizza invece
in milod, plurale di mil («bestia»,
«animale»), e traduce «[with] their insuitable
head-dresses and their pack-animals»
(Haycock 2007).
35 <ſ
gỽenỽynỽys y wꞹſ yn nœ trefret.> | As gỽenỽynỽys y
ỽas cyn no'e trefred; | «Il servo lo avvelenò prima
del [suo ritorno] a casa;»
- L'autore si riferisce alla tradizione
dell'avvelenamento di
Aléxandros, in realtà
ricostruita a posteriori anni dopo la morte del
condottiero macedone. Secondo una notizia riportata
da Ploútarkhos,
Aléxandros sarebbe
caduto in una congiura orchestrata dal generale
Antípatros su consiglio, addirittura, di
Aristotélēs.
«Asseriscono
alcuni che sia stato Aristotélēs a consigliare ad
Antípatros un tale
delitto, e anzi di avergli fornito egli stesso il
veleno [...], e il veleno consisteva in una certa
acqua fredda e ghiaccio scaturita da una certa
roccia nei terreni di Nonacro. Quest’acqua viene
raccolta come una minuta rugiada e versata in
un’unghia di asino, perché nessun altro recipiente è
capace di contenerla, per essere troppo gelata ed
acida e quindi tale da spezzare tutti i vasi. I più
credono che il racconto di questo veleno sia una
favola e adducono una prova non lieve: i capitani
essendo stati discordi tra loro per molti giorni,
lasciarono la salma del re in luoghi caldi e non
arieggiati per altrettanto tempo senza prendersene
troppo cura; ma il corpo non presentò alcun sintomo
di corruzione da veleno e si conserva immune, come
se fosse morto appena allora»
(Bíoi parállēloi >
Aléxandros [lxxvii]).
La fonte diretta dell'autore della nostra
composizione è però, sicuramente, Orosius che, col
suo tono polemico nei confronti di un Aléxandros,
«assetato di sangue» e affetto da una «mal castigata
cupidigia», afferma che ad avvelenarlo sia stato un
servo (minister):
Alexander vero apud Babylonam, cum adhuc
sanguinem sitiens male castigata aviditate
ministri insidiis venenum potasset,
interiit. |
Invero
Akexander morì,
ancora assetato di sangue, presso Babilonia,
avendo bevuto con mal castigata cupidigia il
veleno servitogli con l'inganno da un servo. |
Paulus Orosius:
Historiae adversus paganos [III, 20]) |
- trefred è in gallese «dimora»,
«abitazione»; ma poiché la formula cyn no'e
(«prima di») viene spesso usata in contesti di morte
e sepoltura, Marged Haycock ritiene che trefred
indichi qui il luogo di sepoltura dell'eroe, e
traduce: «his servant poisoned him before [he
went to] his resting-place»
(Haycock 2007).
- <wꞹſ>, ỽas, è forma lenita di gỽas
(«ragazzo», «giovane», ma anche «servo»). Sia Skene
che Nash considerano gỽas complemento oggetto
della frase, l'uno riferendolo a un non precisato
«giovane» (a meno che non si intenda la vera e
propria «gioventù» di Alexander): «was poisoned
his youth before he came home»
(Skene 1868), il secondo ritenendo che si
riferisca allo stesso Alexander avvelenato: «poisoned
was the hero before he could reach his habitation»
(Nash 1868). È la Haycock a tradurre con
«servo», seguendo Orosius.
36 <yn noyn
beı gỽell ꝺıgonet.> | cyn no gyn bei gỽell
digoned. | «sarebbe stato meglio se fosse stato già
soddisfatto.»
- Chiusa moralistica di difficile resa.
Letteralmente: «prima di ciò sarebbe stato meglio se
fosse stato fatto». Che cosa? L'assoluta vaghezza
dell'espressione non aiuta a definirne l'esatta
sfumatura di significato, e viene in mente l'amara
osservazione di al-Ḫiḍr
a Ḏū ʾl-Qarnayn, ormai
giunto nel luogo dov'è destinato a morire, in uno
dei racconti alessandrini del ciclo arabo: «Ora non
rimane che quello che hai fatto»
(Aṣ-Ṣaʿb Ḏu ʾl-Qarnayn).
La Haycock traduce: «it would have been better
had this been done sooner», intendendo
probabilmente l'avvelenamento dell'eroe (Haycock
2007).
- Si noti che la forma verbale digoned è
congiuntivo passato passivo di digonaf, che
vuol dire «fare», «compiere», ma anche «soddisfare».
In tal caso, la «soddisfazione» di cui qui si parla
è da mettere in relazione con la «mal castigata
cupidigia» di cui parla Orosius (vedi nota
[35]): Aléxandros/Alexander
non ha mai arrestato la sua marcia a causa della sua
insaziabile voglia di allargare i propri domini e la
propria conoscenza; l'insoddisfazione lo ha portato
alla morte. Il verso va forse meglio tradotto nella
forma «sarebbe stato meglio se si fosse prima
soddisfatto». In questo senso interpretano i
traduttori ottocenteschi: «before this, it would
have been better to have been satisfied»
(Skene 1868), e «rather than this, it were
better he had been contented»
(Nash 1868).
37 <ym
ꞹrglỽyꝺ
gỽlꞹtlỽyꝺ gỽlꞹt gogonet.> | Y'm harglỽydd gỽladlỽydd
gỽlad gogoned,
| «al mio Signore della terra benedetta, che rende
prospero il paese,»
- Gli interpreti sono abbastanza concordi sulla
costruzione di questo verso, la cui traduzione non è
tuttavia immediata. Esso si configura come un
omaggio del poeta al Signore, harglỽydd
(letteralmente «nobile», «lord», «signore
feudale»), qui definito con l'attributo
gỽladlỽydd, aggettivo composto da gỽlad
(«territorio») +
lỽydd («prosperità»). L'espressione è dunque
da da intendersi come «il Signore che rende prospero
il paese». La formula garglỽyd gỽladlỽydd
è tuttavia seguita nuovamente dalla parola gỽlad,
questa volta nella formula gỽlad gogoned
(«paese glorioso»), che è forse da intendere come
complemento di specificazione relativo a
harglỽydd. Una traduzione letterale del verso
potrebbe dunque essere «Al mio signore del glorioso
paese, colui che rende prospero il paese». La
Haycock rende quest'ultima espressione, gỽlad
gogoned, in senso teologico, come «regno di
gloria». Gli interpreti sono concordi
nell'identificare con Dio il «signore»: «to us
there is a beneficent Lord of a glorious land»,
traduce Nash
(Nash 1868), seguito
dalla Haycock: «to my prosperously reigning Lord
of the realm of glory»
(Haycock 2007). Skene
giustappone i due semiversi eliminando il genitivo:
«to my lord land-prospering, a country glorious»
(Skene 1868).
38 <Vn wlat ioꝛ
oꝛoꝛ goꝛeu ylyneꝺ.> | un ỽlat iôr oror goreu
ystlyned.
| «l'unico reame del Signore, terra della stirpe
migliore.»
- <Vn wlat>, un gỽlad, significa
letteralmente «unico paese», ma sono state proposte
anche altre diverse sfumature di significato. Se
Skene traduce infatti «one country», in Nash
diviene «the land of Eternity», e nella
Haycock «the pleasant realm»
(Skene 1868 | Nash 1868 |
Haycock 2007).
- <oꝛoꝛ>, oror, è forma lenita di goror
(«confine», «territorio», «frontiera»).
- L'ultima parola, <ylyneꝺ>, viene emendata in
<ylynet> dalla Haycock per mantenere la rima; non
cambia tuttavia il significato: ystlyned(d)
vuol dire comunque «stirpe», «famiglia», «casato».
39 <ꝺıwyccỽyf
ꝺıgonỽyf poet genyt ty gyffret.> | diỽyccỽyf
digonỽyf; poet genhyd ty gyffred.
| «che io mi ravveda, possa essere in Te il mio
rifugio.»
- La prima parola di questo verso, <ꝺıwyccỽyf>,
diỽygỽyf, è congiuntivo, prima persona
singolare, del verbo dyỽygiaf («correggersi»,
«ravvedersi», «emendarsi»); la seconda parola,
<ꝺıgonỽyf>, sebbene sia apparentemente
caratterizzata dalla stessa desinenza della prima
parola, non è altrettanto ben analizzabile: potrebbe
essere sorta per cacografia a partire dall'aggettivo
o avverbio digon
(«abbastanza», «sufficiente»). Quest'associazione
delle due parole è stata resa da Skene in maniera
molto diretta: «May I reform, may I be satisfied»
(Skene 1868). Marged
Haycock propone invece di espungere la seconda
parola, che propone sia stata erroneamente inserita
per interferenza con <Dıconỽynt> in
[41] (ma potrebbe anche
essere con <ꝺıgonet> in
[36]), e traduce semplicemente: «May I
make amends»
(Haycock 2007).
- <genyt>, genhyd, è una forma gallese
medievale dal significato di «con te» (cfr.
can, gan, «con»).
- <gyffret>, gyffred, è forma lenita di
cyffred, parola che offre al traduttore
l'imbarazzo della scelta tra due omofoni. L'uno
significa «comprensione», «pienezza», da cui la
traduzione di Skene: «Be with thee the fulness»
(Skene 1868). L'altro
significa invece «casa», «dimora»; Marged Haycock
traduce: «may [my] refuge be at Thy side»,
individuandovi la metafora di Dio come rifugio,
frequente nei Salmi
(ad es. «Io dico al Signore: “Tu sei il mio rifugio
e la mia fortezza”» (Tǝhillîm
[91, 2]))
(Haycock 2007).
40 <r Sꞹỽl
ꞹm
clyỽ poet meu euunet.> | Ar saỽl a'm clyỽ, poet meu
eu huned:
| «Coloro che mi ascoltano, il mio sia il loro
desiderio,»
- <hunet>, (h)uned, vuol dire sia
«desiderio» che «unità», da cui le diverse
interpretazioni dei traduttori: «and as many as
hear me, be mine their unity»
(Skene 1868); «and
those who hear me – may my wish be their [too]»
(Haycock 2007).
41 <Dıconỽynt ỽy
voꝺ ꝺuỽ yngỽ c tywet.> | digonỽynd ỽy bodd Duỽ cyn
gỽisg tydỽed. | «possano fare la volontà di Dio
prima che li gravi la terra.»
- Alla fine della quarta riga del folium
24 (p. 52) un'abrasione della pergamena lascia
leggere <gỽ c>, lezione che può essere restituita in
<gỽisc>,
gỽisg («vestito», «copertura», «viluppo»),
oppure in <gỽasc>, gỽasg («peso»,
«oppressione»). I traduttori ottocenteschi hanno
scelto la prima opzione: «may they satisfy the
will of God before the clothing of the sod»
(Skene 1868); «they
do enough who please God before they are clothed
with earth»
(Nash 1868). Marged Haycock preferisce la
seconda: «may they do God's will before the
oppression of the sod».
(Haycock 2007).
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