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MITI CELTICI
YFR TALIESIN
XXVI
«...Y gofeisỽys byd»
«...Egli attraversò il mondo»
ỺYFR TALIESIN
Ỻyfr Taliesin. Libro di Taliesin
x. Daronỽy
xxiii. Traỽsganu Cynan Garỽyn
xxvi. «...Y gofeisỽys byd»
xxvii. Ỻurig Alexander
xl. Marỽnad Ercỽlff
xliii. Marỽnadd Dylan Eil Ton
xlvi. Marỽnadd Cunedda
lv. Canu y byd maỽr
lvi. Canu y byd bychan
Avviso
Saggio introduttivo
Lezione dal ms. del Ỻyfr Taliesin
Testo medio-gallese normalizzato
Traduzione italiana
Traduzione inglese
Note
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Bibliografia
YFR TALIESIN
XXVI
«...Y gofeisỽys byd»
«...Egli attraversò il mondo»
La composizione
Il contenuto
Le traduzioni
 
LA COMPOSIZIONE

...Y gofeisỽys byd, «egli attraversò mondo», è il primo verso restante della composizione xxvi del Corpus Talgesinianum, tradita nei ff. 24 e 24 (pp. 51-52) del Ỻyfr Taliesin (nlw Peniarth, ms. 2). Il poema è acefalo, evidentemente mancando un folium tra i ff. 23 e 24, che si ritiene sia andato perduto all'epoca della compilazione del manoscritto. Manca d'altra parte l'esordio di carattere religiose-morale adottato in simili produzioni. I versi rimanenti sono 41.

Il poema è una delle tre composizioni che il Ỻyfr Taliesin dedica al condottiero macedone Mégas Aléxandros; le altre due, il Lluryg Alexander («La lorica di Alexander»), e il Anrhyfeddodeu Allyxander («Le meraviglie di Alexander»), sono disposti di seguito nel manoscritto (ai numeri xxvii e xxviii). Il contenuto del Lluryg Alexander è in realtà esclusivamente biblico-religioso, tanto da far pensare che il titolo sia stato inserito per errore in testa al componimento. Ma i due testi rimanenti, il ...Y gofeisỽys byd e il Anrhyfeddodeu Allyxander formano un piccolo ciclo all'interno del Ỻyfr Taliesin e testimoniano l'interesse dei poeti e degli eruditi gallesi del xii o xiii secolo per i romances alessandrini, assai popolari nell'Europa medievale.

IL CONTENUTO

Le leggende legate ai viaggi e alle guerre di Aléxandros hanno il loro nucleo nel romanzo greco Bíos Alexándrou toû Makedónos, falsamente attribuito allo storico Kallisthénēs (iv sec. a.C.) ma redatto probabilmente ad Alexándreia alla fine del III secolo d.C. Il romanzo ebbe una grande fortuna e fu ampliato nei secoli seguenti, man mano che vi venivano incorporate altre tradizioni, e fu tradotto direttamente o indirettamente in un gran numero di lingue: in armeno, siriaco, arabo, latino. A partire dal xii secolo, Aléxandros/Alexander, ormai proiettato nel medesimo spazio mitico dei poemi omerici e delle chansons de geste carolinge e arturiane, divenne il protagonista di un ciclo di romances di cui fiorirono adattamenti, poemi e romanzi in tutte le principali lingue europee: in italiano, antico francese, medio inglese, scoto, medio alto tedesco, slavo, ungherese, irlandese e norreno. ①

Il ciclo leggendario alessandrino è perlopiù incentrato sulle spedizioni a oriente di Aléxandros/Alexander, di cui le battaglie contro i persiani guidati da Dareîos/Darius e contro gli indiani guidati da Pros/Porus costituiscono le inevitabili tappe del viaggio di conquista del grande macedone. Conquista che è però più conoscitiva che politica: l'inarrestabile progressione di Aléxandros/Alexander viene rappresentata soprattutto come risultato di un inesauribile desiderio di conoscenza. I confini del mondo sono anche i confini della conoscenza, ed è la curiositas che spinge il condottiero macedone verso oriente, e il suo itinerario recupera e si sovrappone a quello di altri eroi mitologici, primo dei quali Hērakls (ma inconsciamente anche Gilgameš). Il contesto «orientale» serve inoltre ai compositori medievali come cornice ideale per introdurvi tutto l'armamentario letterario dei mirabilia, con la sua geoantropologia e la sua criptozoologia fantastica: i viaggi di Aléxandros/Alexander sono scanditi da inverosimili cataloghi concernenti popoli esotici, animali prodigiosi, usi e costumi stravaganti e grotteschi.

Il ...Y gofeisỽys byd, in particolare, sembra tuttavia più vicino alle fonti storiche piuttosto che a quelle strettamente leggendarie. Vi si riconosce l'influenza delle Historiae adversum paganos di Paulus Orosius (V secolo), assai critiche nei confronti del macedone. Ma vi sono anche reminiscenze della Epistola Alexandri Magni ad Aristotelem magistrum suum de situ et mirabilibus Indiae, bestiario presentato come rapporto scientifico di Aléxandros al suo maestro Aristotélēs, testo assai noto in tutta l'Europa medievale, a giudicare dal gran numero di manoscritti (più di cento) in cui ci è pervenuto.

 ...Y gofeisỽys byd inizia in media res, proiettando Alexander Maỽr già nel mezzo dei suoi viaggi a oriente. Tratta poi della sua vittoria su Dar (Dareîos/Darius), tre volte sconfitto (riferimenti alle battaglie di Hissós, Granikós e Gaugámēla, rispettivamente 333, 334 e 331 a.C.). Dar viene imprigionato e muore in breve tempo [5-13]. Segue un elenco dei territori conquistati da Alexander, di cui però solo pochi toponimi sono identificabili (Siria, Persia, Babilonia, Asia...) [14-20]. Vi è poi l'episodio – se la delicata traduzione è corretta – della lotta di Alexander contro le amazzoni, che è tuttavia un motivo leggendario presente sia fonti greche, sia in quelle medievali [21-26]. Giunti in India, si parla rapidamente dello scontro contro Por (Pros/Porus) (battaglia di Hydáspēs, 326 a.C.) e si accenna alle fatiche e alle privazioni subìte dall'esercito macedone nel corso della sua marcia verso oriente, in particolare dell'arsura che abbatte gli uomini nel corso del loro viaggio [27-34]. Il poema accenna infine in due soli versi alla morte di Alexander, accettando la tradizione del suo avvelenamento [35-36]. Segue una chiusa di carattere morale [37-41].

LE TRADUZIONI

Una delle prime traduzioni proposte per ...Y gofeisỽys byd, eseguita dall'antiquario Algernon Herbert (1792-1855) e intitolata The divised or contrived world, è una fantasiosa riscrittura in cui l'autore cerca nel poema, ovviamente trovandole, tracce di perdute dottrine druidiche: la composizione viene interpretata come percorso mistico dei dodici cavalieri del San Grail e il tema della prigionia – qui attribuita ad Alexander Maỽr – diviene metafora del luogo di attesa del Crist Celi dopo la sua morte mistica (Herbert 1836-1841).

Tra le traduzioni eseguite con idonei strumenti filologici, citiamo quelle di William Forbes Skene (1809-1992) e quella di David William Nash († 1876), che pure divergono tra loro in maniera interessante. A causa della difficoltà di introdurre nel testo una punteggiatura sintattica, i vari interpreti sciolgono, ciascuno a suo modo, l'ambiguità dei collegamenti tra i vari versi: il significato naturalmente cambia, così come cambia il soggetto a cui attribuire questo o quel verso.

Solo in tempi più recenti, Marged Haycock, ponendo maggiore attenzione alla metrica, riesce a stabilire in maniera più razionale la ripartizione del testo, proponendo una traduzione più verosimile (Haycock 2007).

Citiamo per curiosità la traduzione eseguita da John Gwenogvryn Evans nel 1915. Pur essendo un filologo di notevole levatura, e peraltro autore di una curatissima edizione fac-simile del Ỻyfr Taliesin (Evans 1910), Evans segue un suo impianto interpretativo particolarissimo e, emendando e rimaneggiando il testo, finisce per produrre una traduzione intitolata The elegy of King Richard, con riferimento a re Richard I Cœur de Lion che torna dalle crociate. Evans, ad esempio, legge la parola <ꝺeu tec> (deuddeg, «dodici») al verso [2] come deu deg, «i due giusti», e stabilisce che sia un riferimento a Richard e a suo fratello John Lackland; così versi [10-11] farebbero riferimento all’assedio di Chalus-Chabrol (1199) in cui re Richard fu mortalmente ferito da una freccia. Naturalmente, secondo Evans, i versi dove si parla di Alexander Maỽr sarebbero da considerarsi delle interpolazioni. (Evans 1915)

YFR TALIESIN
XXVI
«...Y gofeisỽys byd»
«...Egli attraversò il mondo»
ygofeıſſvys byt, lezione dal ms. del Ỻyfr Taliesin
...y gofeisỽys byd, testo medio-gallese normalizzato
Egli attraversò il mondo, versione italiana
The contrived world, traduzione inglese di William Forbes Skene
Sketch the world, traduzione inglese di David William Nash
 
Lezione dal ms. del Ỻyfr Taliesin
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ygofeıſſvys byt. bu ꝺeu tec ꞹrwlꞹt gỽleꝺycꟌ
yſſıt. bu ꟌꞹelꟌꞹf bertꟌꞹf oꝛryꞹnet. bu terỽ
yn gỽenỽyn gỽꞹe y gywlꞹt. ef toꝛreſ ꞹr ꝺꞹr
teır gỽeıtꟌ yg꟏ꞹt. ac ef nyvyꝺ coꝛgỽyꝺ ywlꞹt
ꝺꞹr plufꞹỽꝛ pebyr pell ꞹtꟌecꟌỽys coet gyrtꟌ
ygoꝺıwꞹỽꝺ ꞹlexꞹnꝺer. ynꟌuꞹl eurın gỽꞹe ꞹ
gꞹrcꟌꞹrer ny pꟌell gꞹrcꟌꞹrỽyt. gꟌeu ꝺybu
ꞹclle ef ꟏ꞹfꞹs ergyr olu neb ꟏yn noc ef ny ꝺꞹr
Ꟍꞹỽꝺ myueꝺ beꝺ bertꟌꝛỽyꝺ oꝛ ꞹꝺỽynꝺꞹỽt Ꟍꞹel
ꞹlexꞹnꝺer ꞹe ꟏ymertꟌ ynꞹ. gỽlꞹt syr ꞹsıry
oel ꞹgỽlꞹt ſyrıꞹ ꞹgỽlꞹt ꝺınıfꝺꝛꞹ.  gỽlꞹt ꝺını
trꞹ. gỽlꞹt pers ꞹmers ꞹgỽlꞹt y꟏ꞹnnꞹ. cy
nyſſeꝺ pletꟌ ꞹpꟌletꟌeppꞹ.  cꟌıỽꝺꞹỽt bꞹbılon
c ꞹgꞹſcıꞹ mꞹỽꝛ ꞹgỽlꞹt gꞹllꝺꞹruſ bycꟌꞹn yꝺꞹ.
Ꟍytyꝺymꝺuc ytır tywꞹrcꟌ ynꞹ. cytwnꞹꟌont
eu bryt ỽꝛtꟌ eu Ꟍelyꞹ yweꝺꞹnt gỽy﫯lon yeuro
pꞹ. c ꞹnreıtꟌꞹỽ gỽlꞹꝺoeꝺ gỽyſſyoeꝺ t́rꞹ. GỽytꟌ
yr gỽenynt wrꞹgeꝺ goꝛꝺynt ymꞹ. bron loſce
ꝺıgyon gỽyleꝺ gỽꞹ﫯rꞹ. Ogꞹꝺeu ꞹfoꝛ pꞹnꞹtroꝺ
et ꝺıgonynt bꝛeın gỽneınt pen bꝛıtꟌret ymıl
wyr mꞹgeıꝺꞹỽn pꞹn ꞹttroꝺet. Neu wlꞹt ytꟌ
weıſſontı pꞹn ꝺıffyꝺet. ny byꝺ ytꟌ eſcor eſcoꝛ
lluꝺet. Rꞹc gofꞹl yrꟌuꞹl ꞹe ꞹgꞹlet mılcꞹnt
rıꞹllu ꞹuu vꞹrỽ rꞹc sycꟌet. eu geu gogỽılleu
ꞹr eu mılet. ſ gỽenỽynỽys y wꞹſ ꟏yn nœ tref
ret. ꟏yn noꟌyn beı gỽell ꝺıgonet. ymꟌꞹrglỽyꝺ
Llyfr Taliesin, nlw Peniarth, ms. 2,
folium
24 (p. 51)

52:1
52:2
52:3
52:4
52:5

gỽlꞹtlỽyꝺ gỽlꞹt gogonet. Vn wlat ioꝛ oꝛoꝛ go
ꝛeu y﫯lyneꝺ. ꝺıwyccỽyf ꝺıgonỽyf poet gen
Ꟍyt ty gyffret. r Sꞹỽl ꞹm clyỽ poet meu
euꟌunet. Dıconỽynt ỽy voꝺ ꝺuỽ ꟏yngỽ c
tywet.
Y gofeisỽys byd
Llyfr Taliesin, nlw Peniarth, ms. 2,
folium
24 (p. 52)
  «...Y gofeisỽys byd» «...Egli attraversò il mondo»
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  ...] y gofeisỽys byd,
bu deuddeg arỽlad gỽledychysid,
bu haelhaf, berthaf o'r ry aned;
bu terỽyn gỽenỽyn, gỽae y gyỽlad.
Ef torres ar Dar teir gỽeith yg cat,
ac ef ny bydd corgỽydd y ỽlad.
Dar plufaỽr pebyr pell athechỽys coed;
gyrth y godiỽaỽd Alexander.
Yn hual eurin gỽae a garcharer;
ny phell garcharỽyt: agheu dybu
ac lle ef cafas ergyr o lu.
Neb cyn noc ef ny darhaỽdd
meufed bedd berthrỽydd oraddỽyndaỽd.
Hael Alexander a'e cymerth yna:
gỽlad Syr a Siryoel, a gỽlad Syria,
a gỽlad Dinifdra, a gỽlad Dinitra,
gỽlad Pers a Mers, a gỽlad y Canna,
ac ynysedd Pleth a Phletheppa,
a chiỽdaỽt Babilon ac Agascia maỽr,
a gỽlat Galldarus, bychan y da,
gyt yd ymduc y tir tyỽarch yna
ac yt ỽnagont eu bryt ỽrth eu helya:
yd ỽeddand gỽystlon yn Europa
ac anreithaỽ gỽladoedd gỽyllioedd terra.
Gỽythyr gỽenynt ỽraged gordynt yma,
bronloscedigion gỽyledd gỽastra.
O gadeu a For pan adrodded
digonynt brein, gỽnëint pen brithret.
O milỽyr Mageidaỽn pan adrodded,
neu ỽlad y'th ỽeisson ti pan diffydded.
Ny byd y'th esgor esgor lludded,
rag gofal yr hual a'e agaled.
Mil cant riallu a bu farỽ rag syched,
eu geu gogỽılleu ꞹr eu miled.
As gỽenỽynỽys y ỽas cyn no'e trefred;
cyn no gyn bei gỽell digoned.
Y'm harglỽydd gỽladlỽydd gỽlad gogoned,

un ỽlat iôr oror goreu ystlyned.
diỽyccỽyf digonỽyf; poet genhyd ty gyffred.
Ar saỽl a'm clyỽ, poet meu eu huned
digonỽynd ỽy bodd Duỽ cyn gỽisg tydỽed.
...] egli attraversò il mondo,
era su dodici paesi che regnava;
era il più generoso, il più splendido [uomo] mai nato,
era un feroce uccisore, sventura sul vicino.
Per tre volte vinse Dar in battaglia,
ed egli non sarà un piccolo arbusto nella terra.
Dar dalle splendide piume ripiegò lontano, nella foresta,
lo catturò il potente Alexander.
In dorate catene di dolore sia imprigionato;
non a lungo rimase imprigionato: venne la morte
e triste egli subì l’assalto dell’esercito.
Nessuno prima di lui attaccò (?)
la ricchezza della tomba, splendore magnifico.
Il generoso Alexander poi le possedette:
la terra di Syr e Siryoel, e la terra di Syria,
e la terra di Dinifdra, e la terra di Dinitra,
la terra di Persia e Mers, e la terra di Canna,
e le isole di Pleth e Phletheppa,
e i cittadini di Babilonia, e l’Asia grande,
e la terra di Galldarus, trascurabili le ricchezze,
finché poi raggiunse la regione, quel territorio,
e [lì le amazzoni] si soddisfacevano in cacce sconvenienti;
in Europa pongono sotto il giogo gli ostaggi
e devastano paesi delle terre selvagge del mondo.
Brutali, trafissero queste donne orgogliose,
che avevano il seno bruciato, inutile modestia.
Delle battaglie contro Por, si narrava,
che saziavano i corvi, causando gran mischia.
Dei soldati di Mageidaỽn, si narrava,
una terra per i Tuoi servi in un tempo senza fede.
Non c’è per te liberazione, liberazione dalla fatica,
dalla pena della catena e dalla sua sofferenza.
Centomila soldati scelti morirono di sete,
i loro vuoti copricapi (?) e le loro bestie.
Il servo lo avvelenò prima del [suo ritorno] a casa;
sarebbe stato meglio se fosse stato già soddisfatto.
Al mio Signore della terra benedetta,
che rende prospero il paese,
la sola terra del Signore, regione della stirpe migliore.
Che io mi ravveda, sia in Te il mio rifugio.
Coloro che mi ascoltano, il mio sia il loro desiderio,
possano fare la volontà di Dio prima che li gravi la terra.
YFR TALIESIN
XXVI
The Contrived World / Sketch the World
English Translations
 
The contrived world
Translation of William Forbes Skene

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  The contrived world.
He was dexterous that fairly ruled over a country,
he was most generous, with most beautiful queens,
he was a violent poison of woe to his fellow-countrymen.
He broke upon Darius three times in battle.
And he will not be a dwarf shrub in the country of the plumed Darius.
Strenuous, far he conquered, the wood-pushing overtook
Alexander; in the golden fetters of woe he is imprisoned.
He was not long imprisoned; death came
and where he had moving of armies.
No one before him was exalted,
to go to the grave, rich and prosperous, from the pleasure,
the generous Alexander took him there.
The land of Syr and Siryol, and the land of Syria,
and the land of Dinifdra, and land of Dinitra;
the land of Persia and Mersia, and the land of Canna;
and the isles of Pleth and Pletheppa;
and the state of Babilon and Agascia
great, and the land of Galldarus, little its good.
Until the earth produced, sod was there.
And they do their wills by hunting them.
They render hostages to Europa.
And plunder the countries of the peoples of the earth.
Furiously they pierce women, they impel here,
before the burned ones there was a devastation of modesty,
of battles when the sorrow was mentioned.
They satisfy the ravens, they make a head of confused running,
the soldiers of the possessor of multitudes, when they are mentioned.
Nor a country to thy young men, when it is destroyed,
there will not be for thy riddance, a riddance of burthen.
From the care of the fetter and its hardship.
A hundred thousand of the army died from thirst:
false their plans with their thousands.
Was poisoned his youth before he came home.
before this, it would have been better to have been satisfied.
To my lord land-prospering, a country glorious,
one country may the Lord, the best region connect.
May I reform, may I be satisfied. Be with thee the fulness,
and as many as hear me, be mine their unity.
May they satisfy the will of God before the clothing of the sod.
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Sketch the world
Translation of David William Nash

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  Sketch the world
He was strong and handsome by whom the country was ruled;
he was the most bountiful and most beautiful of princes;
strong was the poison, woe to his countrymen;
he vanquished Darius three times in battle.
But he will not remain supreme in the land of the plume-bearing Darius;
fever, a farther reaching vanquisher than the thrust of the spear, overtook him.
Alexander in golden fetters — alas! for the prisoner,
not remote his imprisonment; death came to the place,
and took away the impulse of the army; no one can be a debtor to him.
Covered up he goes to his grave enriched with glittering ornaments.
Generous Alexander obtained there,
the land of Syr and Siriol, and the land of Syria;
and the land of Dinifdra, and the land of Dinitra;
the land of Persia and Mersia, and the land of Cana;
and the islands of Pleth and Phletheppa;
and the city of Babylon, and Agascia the Great;
and the land of Halldarus, of little worth,
until much toil is employed on the sod of the earth there.
And they performed their purpose according to their intention,
and subjected hostages in Europe,
and took the spoils of all the known countries of the earth.
Wrathful, lustful, lecherous, they pour over here;
breasts are burning at beholding their devastation.
Of the battles of Porus when it shall be told,
satiated were ravens, their heeds were spotted (with blood).
Of the soldiers of the Magician when it shall be told,
will not thy country be inquiring of thee how it was devastated?
Will there not be to thee a deliverance from the extreme fatigue?
Through anxiety and toil and hardships
a hundred thousand millions perished with thirst.
Vainly were they searching after their soldiers.
Poisoned was the hero before he could reach his habitation.
Rather than this, it were better he had been contented.
To us there is a beneficent Lord of a glorious land,
the land of Eternity, the region of a great community,
I am content if thou be included in it;
and whoever shall hear me may his sleep be the better,
they do enough who please God before they are clothed with earth.
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NOTE
 

1   <ygofeıſſvys byt.> | y gofeisỽys byd | «...egli attraversò il mondo,»

  • La metrica di questo primo verso è difettiva: ragion per cui sia William Forbes Skene che David William Nash hanno considerato il verso come titolo della composizione (Skene 1868 | Nash 1868). È anche possibile che la y iniziale sia in realtà l'ultima lettera di una parola mutila (Haycock 2007).
  • La forma verbale gofeisỽys è un hápax: preterito, terza persona singolare, del verbo gofeisiaf, «viaggiare, attraversare, passare a guado» (cfr. beisiaf, «guadare») (Haycock 2007). Skene e Nash interpretano il verbo come participio di dyfeisiaf, «progettare, disegnare, creare», da cui il titolo che i due autori assegnano alla composizione, rispettivamente The contrived world e A sketch of the world (Skene 1868 | Nash 1868).

2   <bu ꝺeu tec ꞹrwlꞹt gỽleꝺycꟌ yſſıt.> | bu deuddeg arỽlad gỽledychyssit | «era su dodici paesi che regnava;»

  • <deu tec>, spezzato nel manoscritto, può venire interpretato come peculiare ortografia di deuddeg («dodici», «dozzina»); è possibile che la composizione sia stata copiata da un manoscritto che utilizzava <t> per indicare la fricativa interdentale sonora [ð] (indicata come <ꝺ> in medio gallese, da normalizzarsi in dd).
  • <ꞹrwlꞹt> viene inteso come due parole separate: ar («sopra») + ỽlad, forma lenita di gỽlad («terra», «paese», «regno»), nel senso che il protagonista della composizione «regnava» (gỽledychyssit) «su dodici paesi». Notando tuttavia che la costruzione della frase presenta un'inusuale inversione (normalmente la preposizione avrebbe dovuto precedere il numerale: ar deuddeg gỽlad), Marged Haycock propone di emendare <ꞹrwlꞹt> in gorỽlat, «paese straniero», traducendo «he reigned over twelve foreign realms» (Haycock 2007).

3   <bu Ꟍ ꞹelꟌꞹf bertꟌꞹf oꝛryꞹnet.> | bu haelgaf, berthaf o'r ry anet; | «era il più generoso, il più splendido [uomo] mai nato,»

  • Il verso è caratterizzato dalla giustapposizione di due superlativi: haelhaf, «il più generoso» (< hael, «generoso»), e berthaf, «il più bello» (< pert, «bello»), apparentemente attribuibili al soggetto del verso precedente.
  • La parola finale <oꝛryꞹnet> è stata interpretata sulla base del sostantivo rhianned, plurale di rhiain («donna», «ragazza», «fanciulla», ma anche «regina», «nobildonna»). Algernon Herbert, nella traduzione citata (e criticata) da Nash, traduce il verso [2] come «There was the most generous and fairest of ladies», attribuendo entrambi i superlativi a una non precisata lady, più generosa e incantevole di ogni altra donna (Herbert 1836-1841). Assai più circostanziato Skene, che riprende nel secondo verso il medesimo soggetto maschile del primo, attribuendo però il secondo superlativo alle «regine»: «He was most generous, with most beautiful queens» (Skene 1868). Nash ritiene che entrambi i superlativi siano attribuiti al soggetto del verso precedente, ma è difficile capire da dove abbia tratto i suoi «prìncipi»: «he was the most bountiful and most beautiful of princes» (Nash 1868). Più coerente Marged Haycock interpreta <oꝛryꞹnet> in o'r ry anet, «tra quelli nati» (cfr. ganaf, «nascere»), nel senso di «He was the most generous, the most splendid man [ever] born» (Haycock 2007).

4   <bu terỽyn gỽenỽyn gỽꞹe y gywlꞹt.> | bu terỽyn gỽenỽyn, gỽae y gyỽlad. | «era un feroce uccisore, sventura sul vicino.»

  • Il significato principale della parola gỽenỽyn è «veleno» (cfr. latino uenēnum), da cui per estensione il significato di «uccisore». Skene traduce letteralmente: «he was a violent poison of woe to his fellow-countrymen» (Skene 1868). Se <gỽenỽyn gỽꞹe> è letteralmente «veleno di dolore», Skene ignora però la possibilità che il verso sia diviso in due semiversi, coerentemente con il resto della composizione. È Nash a proporre una suddivisione: «strong was the poison, woe to his countrymen» (Nash 1868). La lezione è seguita dalla Haycock, che scioglie la metafora: «he was a fierce slayer, woe upon his neighbour» (Haycock 2007). gyỽlad vuol dire tanto «vicino», «confinante», quanto «nemico».

5   <ef toꝛreſ ꞹr ꝺꞹr teır gỽeıth yg꟏ꞹt> | Ef torres ar Dar teir gỽeith yg cad | «Per tre volte vinse Dar in battaglia,»

  • Come sostantivo, dâr vuol dire «condottiero», «capo sul campo di battaglia»; viene qui giocata un'interessante omofonia con il nome personale Dar (< Darius, ovvero Dareîos/Darius, Dario iii di Persia).
  • Le tre battaglie in cui Alexander Maỽr trionfò su Dar sono rispettivamente quelle di Hissós. (333 a.C.), Granikós (334 a.C.) e Gaugámēla (331 a.C.)

6   <ac ef nyvyd coꝛgỽyꝺ ywlꞹt> | ac ef ny fyd corgỽŷdd y ỽlad. | «ed egli non sarà un piccolo arbusto sulla terra.»

  • Tutta la sezione [6-9], che la Haycock ha ripartito in quattro versi, veniva suddivisa in maniera differente dai traduttori ottocenteschi. In particolare, sia Skene che Nash ne facevano tre soli versi (nella loro versificazione, [sn 5-7]. Da qui, particolari interpretazioni sintattiche che ne influenzano pesantemente la traduzione.
  • <vyd> va normalizzato in bydd, presente abituale, terza persona, verbo bod, «essere». Si noti che il presente abituale ha in gallese anche valore di futuro.
  • corgỽŷdd viene solitamente inteso come «arbusto» (cor, «piccolo», + gỽŷdd, «albero»). Skene unisce questo verso al primo semiverso del verso successivo (ac ef ny vyd corgỽŷdd y ỽlad | Dar plufaỽr pebyr [6-7¹]) e traduce, intendendo come soggetto lo stesso Alexander: «and he will not be a dwarf shrub in the country of the plumed Darius» [s5] (Skene 1868). Nash sembra leggere nella prima parte della parola <coꝛgỽyꝺ> un infisso gor-, goruch- super») e traduce la medesima sezione: «But he will not remain supreme in the land of the plume-bearing Darius» [n5] (Nash 1868). La Haycock, che lavora sulla metrica, assegna a questo verso un senso compiuto e lo traduce in senso impersonale: «and there are not [even] shrub [left] in his land» (Haycock 2007).

7   <ꝺ ꞹr plufꞹỽꝛ pebyr pell ꞹtꟌecꟌỽys coet> | Dar plufaỽr pebyr pell athechỽys coed  | «Dar dalle splendide piume ripiegò lontano, nella foresta,»

  • L'espressione Dar plufaỽr pebyr, letteralmente «Dar dalle forti piume» (dove plufaỽr è plurale di plu, «piuma»), sembra non avere molto senso, a meno che non si legga pefyr, «radioso», invece di pebyr (< pybyr, «forte»); in tal caso, l'espressione «Dar dalle radiose piume» potrebbe essere un riferimento al cimiero dell'elmo del sovrano persiano. È come intendono tanto Skene quanto Nash (Skene 1868 | Nash 1868), che come abbiamo visto considerano il semiverso Dar plufaỽr pebyr come parte del verso precedente [sn5]. Ma se plufaỽr viene inteso non come «piume» ma, figurativamente, come le ali dell'esercito, si può eliminare la correzione e intendere Dar plufaỽr pebyr come «Dar dalle forti ali», ed è questa la scelta della Haycock: «Darius with stong wings» (Haycock 2007).
  • Nella sua traduzione, Marged Haycock sostituisce la parola finale, coed, «foresta», con ef, «egli», intendendolo come soggetto del verso successivo (Haycock 2007).

8   <gyrtꟌ ygoꝺıwꞹỽꝺ ꞹlexꞹnꝺer.> | gyrth y godiỽaỽd Alexander. | «lo catturò il potente Alexander.»

  • Sia Skene che Nash considerano la prima parte di questo verso come prosecuzione del secondo semiverso del precedente (pell athechỽys coed | gyrth y godiỽaỽd Alexander [7²-8]), facendone un unico verso [sn 6] e dando interessanti interpretazioni alla struttura sintattica da loro proposta. In particolare, Skene legge in questa sezione un accenno alla hýbris che spinge Alexander ad avanzare verso nuove conquiste, finché il condottiero soccombe a causa di quello che sembra un colpo di lancia: «Strenuous, far he conquered, the wood-pushing overtook Alexander» [s6] (Skene 1868). Nash sembra invece interpretare il verso così costruito, dal quale ha però espunto il nome di Alexander [7²-8¹], come il racconto della morte del condottiero macedone, colpito da una febbre, «assai più fatale di un colpo di lancia»: «fever, a farther reaching vanquisher than the thrust of the spear, overtook him» [n6]; difficile dire da dove Nash abbia tratto questa «febbre», forse da pell [7²] (Nash 1868). Si noti che in entrambi gli autori, coed («foresta», «legno», «asta») diviene un'arma o una lancia.
  • Seguiamo qui la proposta di traduzione della Haycock.

9   < ynꟌuꞹl eurın gỽꞹe ꞹ garcꟌꞹrer> | Yn hual eurin gỽae a garcharer | «In dorate catene di dolore sia imprigionato;»

  • hual eurin, «catene d'oro», è un evidente riferimento a un passo di Orosius, dove si dice che a Darius, preso prigioniero dai suoi stessi uomini dopo le battaglie contro Alexander, vennero imposte catene d'oro:

    Darium vero, cum a propinquis suis vinctum compedibus aureis teneri comperisset, persequi statuit. Itaque jusso ut subsequeretur exercitu, ipse cum sex millibus equitum profectus invenit in itinere solum relictum, multis confossum vulneribus, et extrema vitae per vulnera efflantem.

    E scoprendo che Darius era stato imprigionato dai suoi amici con catene d'oro, [Alexander] comandò che si muovesse contro di loro. E comandato che l'esercito li seguisse, muovendo con sei migliaia di cavalieri, lui stesso lo trovò abbandonato lungo la strada, coperto di molte piaghe, sul punto di morte.
    Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17])
  • Nell'espressione hual eurin gỽae vi è un'ambiguità: gỽae, «dolore», va inteso come complemento di specificazione del precedente hual eurin, oppure va interpretato nell'ambito del semiverso successivo? Nel primo caso la frase potrebbe venir tradotta come «in dorate catene di dolore sia imprigionato» (intendendo garcharer come imperativo passivo del verbo carcharaf, «imprigionare»), ed è la scelta di Skene «in the golden fetters of woe he is imprisoned» [s7] (Skene 1868). Nel secondo caso, il verso andrebbe suddiviso in due semiversi, ciascuno di senso compiuto: «in dorate catene, dolore al prigioniero» (correggendo garcharer con garcharor, forma lenita di carcharor, «prigioniero»). Nella sua traduzione, anche la Haycock separa gỽae da hual eurin, pur eliminando la ripartizione in semiversi: «Woe on the one imprisoned in a golden fetter» (Haycock 2007)
  • Al contrario di Skene, che concludeva il verso [s6] mettendo il punto (così come nel manoscritto) dopo il nome di Alexander, che dunque diveniva complemento oggetto del periodo, Nash dispone il nome del condottiero macedone nel verso successivo [n7], facendone il soggetto. Egli ritiene, senza molto senso storico, che fu il condottiero macedone, e non Dar, a venire messo ai ceppi: «Alexander in golden fetters — alas! for the prisoner» [n7]; in tal caso la particella a viene letta come interiezione: «alas!». L'autore persevererà con questa erronea interpretazione anche nei versi successivi, attribuendo al condottiero macedone la morte e la sepoltura, in realtà di Dar (Nash 1868). In quanto a Skene, egli mantiene l'ambiguità del testo originale, ma sembra anch'egli considerare prigioniero lo stesso Alexander (Skene 1868).

10   <ny pꟌell gꞹrcꟌꞹrỽyt. gheu ꝺybu> | ny phell garcharỽyt: agheu dybu | «non a lungo rimase imprigionato: venne la morte»

11   <ꞹclle ef ꟏ꞹfꞹs ergyr olu> | ac lle ef cafas ergyr o lu. | «e triste egli subì l’assalto dell’esercito.»

  • L'espressione iniziale di questo verso, <ꞹclle ef>, non è affatto chiara. I traduttori ottocenteschi vi leggono ac effle («e dove»): Skene traduce «and where he had moving of armies» (Skene 1868), e Nash «and took away the impulse of the army» (Nash 1868). Si è tentato in vari modi di emendare <ꞹclle ef>, ad esempio in aele lef («pianto doloroso»), con possibile riferimento a Dar prigioniero, oppure in a lle («egli, tristemente»). Su questa linea, ai primi del Novecento, Sir John Morris-Jones, che in un suo articolo traduce «and he where he was wounded by [his own] host» (Morris-Jones 1918). La Haycock ritiene che il soggetto sia Dar prigioniero e traduce: «the [captive] with the sad cry was attacked by a battalion» (Haycock 2007).

12   <neb ꟏yn noc ef ny ꝺꞹrꟌꞹỽꝺ> | Neb cyn nog ef ny darhaỽd. | «Nessuno prima di lui attaccò (?)»

  • Questo verso, più breve e privo di rima, sembra formare un insieme sintattico con il verso seguente, ma l'uno e l'altro pongono interessanti problemi interpretativi. Anche se esistono diverse opinioni, è probabile che vadano collegati ai versi precedenti, incentrati sulla morte di Dar, e che trattino quindi dell'episodio in cui Alexander onorò il sovrano persiano di una sepoltura regale (Arrianós, Alexándrou anabasis [III, 22, 1]). Spingono in questa direzione sia la presenza della parola bedd («tomba») al verso successivo sia, naturalmente, il fatto che il nostro compositore segue probabilmente Orosius:

Hunc mortuum inani misericordia referri in sepulcra maiorum sepelirique praecepit.

E morto costui, abbiendo vana misericordia di lui, nel sepolcro dei suoi antichi il fece sotterrare.
Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17])
  • Se sulla prima parte del verso (<neb ꟏yn noc ef>) gli interpreti sono concordi («nessuno prima di lui...»), difficile è interpretare l'ultima parola, <ꝺꞹrhꞹỽꝺ>. Skene la legge secondo il verbo dyrcharf («elevare», «esaltare») e traduce «no one before him was exalted» (Skene 1868); Nash traduce «no one can be a debtor to him» (Nash 1868). Marged Haycock, che preferisce lasciare dei puntini di sospensione, propone due possibili restituzioni del verso: Neb cyn nog ef ny darhei ar raỽt («Nessuno prima di lui avrebbe attaccato il nemico»), o Neb cyn nog ef yny adaỽt («Nessuno prima di lui era stato nella sua cittadella»), riferendosi all'ingresso di Alexander a Persépolis. Quest'ultima lettura ha parimenti, una giustificazione in Orosius:

Alexander triginta quatuor continuis diebus castrorum praedam percensuit; Persepolim, caput Persici regni, urbem famosissimam confertissimamque opibus totius orbis, invasit.

E Alessandro per trentaquattro continui dì la preda dell'oste di quelli di Persia fece radunare; e assalio Persépolis, capo del regno di Persia, cittade famosissima e abbondevole delle ricchezze di tutto il mondo quivi radunate.
Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17])
  • Un'altra possibilità potrebbe essere quella di emendare <ꝺꞹrꟌꞹỽꝺ> in d(a)raỽdd, forma lenita di t(a)raỽdd, terza persona singolare, perfetto, del verbo t(a)raỽaf («colpire», «attaccare», ma anche «porre», «collocare»): «nessuno prima di lui attaccò...», ma risulta difficile collegare al verso successivo.
  • Da parte nostra notiamo che il manoscritto riporta la parola finale spezzata in due righe, <ꝺꞹr> | <Ꟍꞹỽꝺ>; che possa trattarsi di due parole distinte (<ꝺꞹr Ꟍꞹỽꝺ>) è suggerito dal fatto che un'ipotetica parola *<ꝺꞹrꟌꞹỽꝺ> presenterebbe un gruppo <rꟌ>, gruppo che in gallese moderno rappresenta una vibrante alveolare sorda []. Tuttavia, nell'ortografia medievale il grafema <r> rappresentava sia la sorda che la sonora, e così accade nel nostro manoscritto, dove l'unica ricorrenza di un gruppo <rꟌ> (al verso [32]) non va intesa come digramma, ma come due lettere distinte appartenenti a due parole separate. È quindi assai improbabile che *<ꝺꞹrꟌꞹỽꝺ> sia una parola unica, ma va probabilmente distinta in due parole: dar haỽddDar il prospero»?). Un'interpretazione di questo tipo non rende però più facile la traduzione, perché eliminerebbe un verbo dai versi [12-13].

13  <myueꝺ beꝺ bertꟌꝛỽyꝺ oꝛ ꞹꝺỽynꝺꞹỽt> | meufed bedd berthrỽydd oraddỽyndaỽd. | «la ricchezza della tomba, splendore magnifico.»

  • Verso altrettanto arduo del precedente. La prima parola, <myueꝺ>, potrebbe essere un errore scribale per <ryued>, da normalizzarsi in r(h)efedd («abbondanza», «ricchezza»); oppure una cacografia per <meuued> (con sostituzione di <y> in <e>), da normalizzarsi in meufed, di analogo significato. Skene ritiene sia un errore scribale per <mynet>, myned, nome verbale del verbo af («andare»). Poiché il termine seguente è <beꝺ>, bedd («tomba»), Skene ignora la mancanza di una proposizione e traduce: «To go to the grave...» (Skene 1868). Nash, che già ha messo Alexander in catene d'oro e l'ha fatto morire in carcere, continua la sua improbabile riscrittura della storia del condottiero macedone che ora «coperto va alla sua tomba arricchita con scintillanti ornamenti» (covered up he goes to his grave...) (Nash 1868).
  • Marged Haycock, pur con qualche dubbio, emenda <beꝺ> in byd («mondo»), e traduce «the wealth of the world...» (Haycock 2007), naturalmente guardando ai versi successivi, dove si elencano le conquiste di Alexander.
  • Nessun problema sulla seconda parte del verso, berthrỽyd oraddỽyndaỽd («splendore magnifico»), con forma intensiva di addỽyndaỽd («nobiltà», «perfezione»).
  • I versi [12-13], presi nel loro complesso, come vanno quindi letti? «Nessuno prima di lui...» implica che qualcuno abbia compiuto una certa impresa per la prima volta, ma chi è questo «lui», Alexander o Dar? Se assumiamo che sia il macedone, si potrebbe tradurre il verso [12] con «nessuno prima di lui attaccò...» (con <ꝺꞹrꟌꞹỽꝺ> = d(a)raỽdd), ma perdiamo ogni collegamento con il verso successivo, a meno di non eliminare la «tomba» come fa la Haycock (ma bedd è una delle poche parole chiare e concrete in questi due versi). Se assumiamo che il verso [12] sia riferito a Dar, allora stiamo parlando di una sepoltura, ma allora qual è il verbo?

14  <Ꟍꞹel ꞹlexꞹnꝺer ꞹe ꟏ymertꟌ ynꞹ> | Hael Alexander a'e cymerth yna: | «Il generoso Alexander poi le possedette:»

  • I versi [14-20] elencano le terre conquistate da Alexander, ed è una lista in cui dei toponimi perfettamente trasparenti si alternano ad altri affatto enigmatici: Syr, Siryoel, Syria, Dinifdra, Dinitra, Pers, Mers, Canna, Pleth, Phletheppa, Babilon, Agascia maỽr e Galldarus. Potrebbe trattarsi di effettivi nomi geografici alterati fino a divenire irriconoscibili. Ma quali? Aiuta forse il fatto che tali versi evidentemente dipendono da un passo di Orosio, dove si elencano i territori conquistati e devastati da Alexander:

    quamquam extra has clades per eosdem tres annos et Asiae civitates plurimae oppressae sint, et Syria toda vastata, Tyrus excisa, Cilicia exinanita, Cappadocia subacta, Aegyptus addicta sit: Rhodus quoque insula ultro ad servitutem tremefacta successerit, plurmaeque subiectae Tauro Provinciae, atque ipse mons Taurus, diu detrectatum iugum domitus et victus acceperit.

    Ne' tre detti anni molte cittadi d'Asia fuoro disfatte, e Siria tutta guastata, e Tiro tagliata, Cilicia ridotta al neente, Cappadocia ed Egitto sia vinta; e l'isola di Rodo, per paura e per la loro voluntà s'arrendessero, e diventassero fedeli molte province che sono allato al monte Tauro, e il detto medesimo monte essendosi molto difeso, vinti e domati sotto giogo della fedeltà vennero.
    Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 17])

    Bisogna in ogni cosa notare che l'elencazione di luoghi immaginari, in luogo di reali toponimi dai nomi esotici, è un tópos della letteratura gallese. In un racconto mabinogico leggiamo ad esempio: «Caer Se ac Asse, Sach a Salach, Lotor a Ffotor, Caer Brythỽch a Brathach a Nerthach, ac Caer Oeth ac Anoeth» (Culhỽch ac Olỽen)

15  <gỽlꞹt syr ꞹsıryoel ꞹgỽlꞹt ſyrıꞹ> | gỽlad Syr a Syrioel, a gỽlad Syria, | «la terra di Syr e Siryoel, e la terra di Syria,»

  • Introdotte in [14], «Il generoso Alexander poi le possedette», vengono ora elencati i paesi (gỽlad) conquistati dal condottiero macedone. I toponimi Syr, Syrioel e Syria sembrano indicare tutti la Siria. Si noti che syr vuol dire anche «stella», forse con riferimento alla leggenda del viaggio celeste di Alexander (Haycock 2007). Abbiamo normalizzato <sıryoel> in Syrioel in conformità con gli altri nomi.

16  <ꞹgỽlꞹt ꝺınıfꝺꝛꞹ.  gỽlꞹt ꝺınıtrꞹ> | gỽlad Dinifdra, a gỽlad Dinitra, | «e la terra di Dinifdra, e la terra di Dinitra,»

  • Sia Dinifdra che Dinitra sono toponimi non analizzabili, come altri che seguono. La Haycock suggerisce che la <f> del primo nome sia un errore scribale per <ſ>, e propone di identificare Dinisdra con i Donestre, una razza di cannibali stanziati su un isola del Mar Rosso, descritti nel De rebus in Oriente mirabilibus, un bestiario la cui redazione è stata fatta risalire al periodo tra il vii e l'viii secolo (Tardiola 1991).

Itaque insula est in Rubro mari, in qua hominum genus est quod apud nos appellatur Donestre, quasi divine, a capite usque ad umbilicum quasi hominem, reliquo corpore similitudine humana, nationum linguis loquentes. Cum alieni generis hominem viderint, ipsius lingua appelabunt cum et parentum ejus et cognatorum nomina blandientes sermone ut decipiant eos et perdant. Cumque comprehenderint eos, perdunt eos et comedunt, et postea comprehendunt caput ipsius hominis quem commederunt et super ipsum plorant.

È la volta di un'isola nel Mar Rosso ove vive una razza di uomini che chiamiamo Donestre: dalla testa all'ombelico hanno forma un po' diversa dall'umana, ma nel resto del corpo son proprio come noi. Essi si esprimono in ogni favella e così, se vedono uno straniero, gli si rivolgeranno nel pertinente idioma e lo blandiranno insinuandogli alla mente i nomi dei suoi genitori e parenti fino a che lo struggimento non diventi per lui fatale e lo guidi alla rovina. Una volta catturato, infatti, immediatamente lo uccidono e ne divorano le carni.
De rebus in Oriente mirabilibus [XIV]

17  < gỽlꞹt pers ꞹmers ꞹgỽlꞹt y꟏ꞹnnꞹ.> | gỽlad Pers a Mers, a gỽlad y Canna, | «la terra di Persia e Mers, e la terra di Canna,»

  • Pers è l'usuale forma medio-gallese per indicare la Persia; Mers potrebbe essere la Media o la Mesopotamia. <꟏ꞹnnꞹ>, qui normalizzato in Canna, è probabilmente la terra di Kǝnaʿan.

18  <cynyſſeꝺ pletꟌ ꞹpꟌletheppꞹ.> | ac ynysedd Pleth, a Phletheppa, | «e le isole di Pleth e Phletheppa,»

  • La Haycock afferma di non essere riuscita a identificare un arcipelago o isole il cui nome può essere avvicinato a Pleth (parola che in gallese significa «treccia»); suggerisce che si possa trattare forse di un arcipelago come quello greco, mentre Phletheppa potrebbe essere un tentativo di descrivere il Peloponneso; oppure potrebbe trattarsi di Persépolis (Haycock 2007).

19  < cꟌıỽꝺ ꞹỽt bꞹbılon c ꞹgꞹſcıꞹ mꞹỽꝛ> | a chiỽdaỽd Babilon ac Agascia maỽr, | «e i cittadini di Babilonia, e l’Asia grande,»

  • Il fatto che questo verso sia ipersillabico suggerisce la possibilità di una corruttela, ma vi è perplessità, tra gli studiosi, sul modo di intervenire. Da un lato, la lezione <ꞹgꞹſcıꞹ> sembra essere un errore dello scriba per Asia, parola che in medio gallese compare anche nelle lezioni Ascia e Asicia. Ristabilendo la forma corretta, si può eliminare una sillaba. Il toponimo Ascia maỽr, «grande Asia», è stato probabilmente introdotto in relazione con Asia minor: è però vero che eliminando la parola maỽr si ristabilisce la rima, ed è questa la soluzione adottata dalla Haycock (Haycock 2007).

20  <ꞹgỽlꞹt gꞹllꝺꞹruſ bycꟌꞹn yꝺꞹ.> | a gỽlat Galldarus, bychan y da, | «e la terra di Galldarus, trascurabili le ricchezze,»

  • Difficile identificare questa enigmatica «la terra di Galldarus». La Haycock propone di leggere il termine come composto tra gall («straniero», «ostile») e Taurus, ovvero le montagne del Tauro (Toros Dağları) nella Turchia meridionale. La studiosa ricorda che sulle montagne del Tauro si trovavano le cosiddette Porte della Cilicia (Gülek Boğazı, «passo Gülek»), una gola che conduceva dall'altopiano centrale dell'Anatolia alla Cilicia (Haycock 2007). Nel caso la Haycock abbia ragione, si potrebbe ipotizzare una confusione con le Porte Caspie, legate invece alla leggenda alessandrina. La studiosa ritiene tuttavia che il termine Taurus potesse indicare in realtà l'intero Īrān fino alla catena del Hindū Kūš. Alternativamente, la Haycock propone che il termine possa indicare il regno di Gandhāra (oggi nel Pākistān), conquistato da Alessandro Magno nel 327 a.C. e successivamente centro di una singolare cultura elleno-buddhista (Haycock 2007). Da parte nostra ci chiediamo se il toponimo Galldarus (in tal caso forma lenita di *Calldarus) non possa indicare in realtà la Caldea.

21  <Ꟍytyꝺymꝺuc ytır tywꞹrch ynꞹ.> | gyt yd ymduc y tir tyỽarch yna | «finché poi raggiunse la regione, quel territorio»

  • Ymduc è preterito, terza persona singolare, di ymddâf («viaggiare», «muoversi»).
  • Tyỽarch è letteralmente «zolla», da cui la traduzione di Skene: «until the earth produced, sod was there» (Skene 1868); Nash interpreta più liberamente: «until much toil is employed on the sod of the earth there» (Nash 1868). Secondo la Haycock, tyỽarch sarebbe qui usato nel senso di «terra», «regione»: «until he proceeded then to a region, a land». La terra in questione, come sarà chiarito successivamente, è il territorio delle amazzoni, che il mito ellenico collocava tra l'Anatolia settentrionale e il Caucaso (Haycock 2007).

22  <cytwnꞹꟌont eu bryt ỽꝛtꟌ eu Ꟍelyꞹ> | ac yt ỽnagont eu bryt ỽrth eu helya: | «e si soddisfacevano in cacce sconvenienti»

  • In questo verso vi è un cambio di soggetto: dalla terza persona singolare dei versi precedenti si passa alla terza persona plurale. Non è esplicitato a chi si riferisca il verso, e sia Skene che Nash non chiariscono chi sia il they delle loro traduzioni (Skene 1868 | Nash 1868). La Haycock presume che il soggetto siano le amazzoni, deducendolo a partire dai versi successivi, in cui si parla di «donne orgogliose» con «il petto bruciato» (Haycock 2007).
  • La Haycock suggerisce che eu bryt («loro piacere») possa essere un errore scribale per enbryt («oppressione, violenza») (Haycock 2007).
  • In <eu Ꟍelyꞹ>, eu («loro») è aggettivo possessivo di terza persona plurale, mentre helia è nome verbale da heliaf («spingere», «perseguire», «inviare», ma anche «cacciare»). Nash traduce, letteralmente: «And they performed their purpose according to their intention» (Nash 1868). Skene interpreta eu come pronome personale complemento e traduce il verso: «And they do their wills by hunting them» (Skene 1868). La Haycock, secondo la quale vi è qui un riferimento alle amazzoni, ritiene che, in eu helia («il loro cacciare»), eu sia in realtà forma lenita di geu («falso», «ingannevole», «sbagliato»), nel senso che la caccia era considerata un'attività non appropriata per delle donne, e trasforma il verso [22] in una relativa del precedente emendando ac («e») con yn (in cui»): «in which they [the Amazons] take pleasure in perverted hunting» (Haycock 2007).
  • Il motivo dell'incontro/scontro tra Aléxandros e le amazzoni fa parte della biografia leggendaria del condottiero macedone (un tema che il ciclo di Aléxandros ha probabilmente desunto dal mito di Hērakls). Secondo la versione più nota di quest'episodio, Aléxandros incontra Thálēstris, regina delle amazzoni, che prega il macedone di concederle un figlio. Essa è attestata già in Diódōros Sikeliṓtēs (Bibliothḗkē Historikḗ [xvii, 77]) ed è ripresa da Paulus Orosius:

    Igitur Alexander Magnus post Darii mortem Hyrcanos et Mardos subegit: ubi etiam illum adhuc bello  intentum, Thalestris sive Minothaea regina, excitata suscipiendae ab eo subolis gratia, cum trecentis mulieribus procax Amazon invenit.

    E però il grande Alexander, dopo la morte di Darius, gli Ircani e i Mardi si sottopose: nel quale luogo, essendo egli ancora alla battaglia inteso, il trovò Thalestris, ovvero Minothaea, regina delle amazzoni, cioè del regno femminile, la quale veniva a lui con trecento donzelle per cagione d'avere figlioli di lui.
    Paulus Orosius: Historiae adversum paganos [III, 18]

    Questa versione sembra essere stata la più popolare nell'ambito del ciclo alessandrino medievale: la ritroviamo nell'Alexandreis di Gautier de Châtillon (fine xi sec.), e anche nella sua traduzione in norreno, la Alexanders saga del vescovo Brandr Jónnson (ca. 1280), dove le amazzoni sono esplicitamente equiparate alle skjaldmær dei miti nordici. Una differente versione è attestata dallo pseudo Kallisthénēs, il quale ignora il motivo della relazione tra Aléxandros e la regina delle amazzoni e risolve l'episodio con una resa delle donne al semplice arrivo dei macedoni, senza colpo ferire (Bíos Alexándrou toû Makedónos). Il compositore gallese, che di solito segue Oriosus, stranamente ne ignora qui la tradizione, così come ignora quella che fa capo allo pseudo Kallisthénēs, e tratta le amazzoni come un popolo selvaggio da sconfiggere con la forza delle armi e, soprattutto, da ricondurre all'ordine patriarcale costituito. La scena del Y gofeisỽys byd sembra in realtà reminiscente di un passo del De rebus in Oriente mirabilibus in cui si descrivono due specie di donne selvagge, le une esperte nella caccia, le altre di aspetto ferino, ma sfrontate e procaci: queste ultime sarebbero state combattute da Alexander, disgustato dai loro costumi lascivi:

    Circa hunc locum nascuntur mulieres barbas habentes usque ad mamillas, pelliculas equorum ad vestimentum habentes, et hae venatrices maxime; pro canibus tigres et leopardos nutriunt et omnia genera bestiarum quae in eodem monte nascuntur: cum illis venantur.

    Vicino a questa terra abitano donne alle quali cresce una lunga barba che arriva fino alle mammelle e che usano vestirsi con pelli di cavallo; sono impareggiabili cacciatrici e al posto dei cani allevano tigri, leopardi e ogni altra stirpe di fiere che genera quel monte: e con queste vanno a caccia.
    Et aliae sun mulieres ibi, dentes aprorum habentes, capillos usque ad talos, in lumbis caudas boum, quae sunt altae pedum XIII, specioso corpore quasi marmore candido, pedes habentes cameli, apinos; quarum multae ex ispsis eciderunt pro sua obscenitate a magno nostro Macedone Alexandro: qua illas vivas adprehendere non potuit, occidit, ideo quia sunt publicato corpore et inhonesto. Sempre in quei pressi, troviamo altre donne con denti di cinghiale, i capelli fino al calcagno e una coda bovina piantata in fondo alla schiena; alte tredici piedi, possiedono un corpo stupendo e così bianco da sembrare marmo, mentre nelle zampe ricordano il cammello. Ne uccise molte, non avendo potuto catturarle vive, Alexander Magnus, il macedone, disgustato dalla sfrontata lascivia che ostentano quelle forme procaci.
    De rebus in Oriente mirabilibus [XVII-XVIII]

23  <yweꝺ ꞹnt gỽy﫯lon yeuropꞹ.> | yd ỽeddand gỽystlon yn Europa | «in Europa pongono gli ostaggi sotto il giogo»

  • I traduttori ottocenteschi continuano, naturalmente, con il medesimo soggetto del verso precedente, lasciandoci in dubbio se intendano le amazzoni o gli uomini di Alexander Maỽr: «They render hostages to Europa» (Skene 1868), «and subjected hostages in Europe» (Nash 1868).
  • Marged Haycock propone di emendare y ỽeddand («il giogo») in yd ỽeddand («sotto il giogo»), e naturalmente il secondo y («il») in yn («in»); la studiosa ritiene che il testo si riferisca alle devastazioni causate dalle amazzoni in Europa: «they put hostages under the yoke in Europe» (Haycock 2007). Seguiamo volentieri la sua lezione.

24  <c ꞹnreıtꟌꞹỽ gỽlꞹꝺoeꝺ gỽyſſyoeꝺ t́rꞹ.> | ac anreithaỽ gỽladoedd gỽyllioedd terra. | «e devastano paesi delle remote terre del mondo.»

  • Il termine <gỽyſſyoeꝺ> è probabilmente un errore scribale per <cỽyllyoeꝺ>, con la doppia s longa <ſſ> erroneamente scritta al posto del digramma <ll>), da normalizzarsi in gỽyllioedd (plurale di gỽyllt, «selvaggio»).
  • Si noti l'uso del latinismo terra (cfr. gallese tir), contratto in <t́rꞹ>, per indicare il mondo nel suo complesso.
  • I traduttori sono concordi: «and plunder the countries of the peoples of the earth» (Skene 1868), «and took the spoils of all the known countries of the earth» (Nash 1868), «and devastate lands in the remote regions of the Earth» (Haycock 2007).

25  <GỽytꟌyr gỽenynt wrꞹgeꝺ goꝛꝺynt ymꞹ.> | Gỽythyr gỽenynt ỽragedd gordynt yma, | «Brutali, trafissero queste donne orgogliose»

  • Il testo continua qui con il soggetto in terza persona plurale: dal contesto si comprende senza dubbio che si tratta dei guerrieri al seguito di Alexander.
  • Il termine <Gỽythyr> può essere letto o come gyth («rabbia», «furia») + yr; nel caso sia emendato in gỽychyr, può essere tanto aggettivo sostantivato («i rabbiosi», «i brutali»), sia avverbio («rabbiosamente», «brutalmente»). Skene opta per l'avverbio: «furiously they pierce women, they impel here» (Skene 1868). Nash traduce riportando una serie di aggettivi, «wrathful, lustful, lecherous, they pour over here», che attribuisce indifferentemente al soggetto (Nash 1868)
  • <gỽenynt>, gỽenynt, è imperfetto, terza persona plurale, del verbo gỽanaf, che ha il significato principale di «trafiggere», «colpire», «penetrare», anche in senso sessuale. È probabile che il testo gallese voglia conservare l'ambiguità tra la sconfitta delle amazzoni sul piano della forza fisica, al ristabilimento dei ruoli sessuali stabiliti dalla società patriarcale.
  • <wrꞹgeꝺ>, ỽragedd, è forma lenita di gỽragedd, plurale di gỽraig («donna», più esattamente «donna matura») (Nash 1868).

26  <bron loſceꝺıgyon gỽyleꝺ gỽꞹ﫯rꞹ. > | bronloscedigion gỽyledd gỽastra. | «quelle dal seno bruciato, inutile modestia.»

  • La parola <bron loſceꝺıcyon>, da normalizzarsi in bronlosgedigion, vuol dire: «[coloro che] hanno il petto bruciato», da bron («petto», «seno») + losgedigion, participio plurale di llosgaf («bruciare»). La notizia ha un immediato riferimento a una notizia che Ippocrate riferisce riguardo alle donne dei sauromati, le quali «non hanno il seno destro perché, quando sono ancora in tenera età, le madri bruciano il capezzolo con uno strumento di rame arroventato, cosicché il seno perde la capacità di crescere e tutta la forza e l’abbondanza dei fluidi passa alla spalla e alla mano destra» (De aëre, aquis et locis, [xvii]). Questa pratica crudele è con tutta probabilità un’invenzione degli storici greci, creata sulla base di un’etimologia popolare, dove il sostantivo amazṓn veniva interpretato a partire dalla parola mazós, “mammella”, preceduta da α- privativo, nel senso di “colei che è senza un seno”. Il termine bronlosgedigion viene dunque a essere quasi un calco semantico del greco amazónes.
  • Skene traduce «before the burned ones there was a devastation of modesty», collegando peraltro al verso successivo (Skene 1868).

27  <Ogꞹꝺeu ꞹfoꝛ pꞹnꞹtroꝺet> | O gadeu a For pan adrodded | «Delle battaglie contro Por, si narrava,»

  • <foꝛ>, For, forma lenita per Por, si riferisce a Pros/Porus, nome greco di Purūśottama, un rājā dei Paurava (nella regione del Paṃjāba), che venne sconfitto da Aléxandros nella battaglia di Hydáspēs (odierno fiume Jhelama) nel 326 a.C., per poi divenire suo alleato. Si noti che Skene interpreta <foꝛ> come lenita di bôr («noia») e traduce, riprendendo dal verso precedente, «of battles when the sorrow was mentioned» (Skene 1868). Nash riconosce il nome del re indiano: «of the battles of Porus when it shall be told» (Nash 1868). Anche la Haycock si muove su questa linea: «it was recounted, with regard to the battles with Porus» (Haycock 2007).
  • <ꞹtroꝺet>, adrodded, è nome verbale tratto dal verbo adroddaf («narrare»).

28  <ꝺıgonynt bꝛeın gỽneınt pen bꝛıtꟌret> | digonynt brein, gỽnëint pen brithret. | «che saziavano i corvi, causando gran mischia.»

  • brein, plurale di brân, è letteralmente «corvo». Il termine può indicare tanto gli uccelli appartenenti al genere Corvus, quanto, figurativamente, il guerriero. È anche nome di alcuni personaggi della tradizione celtica, quali il condottiero gallico Brennos, capo dei Senones, che saccheggiò di Roma nel 390 a.C., o il leggendario eroe Brân Fendigeit, «Brân il benedetto», personaggio centrale del cainc mabinogico Branỽen ferch Llŷr. Pende verso l'interpretazione di brein come «corvi» la considerazione del fatto che «saziare i corvi» è, soprattutto nella poesia scaldica, una popolare kenning per indicare la «battaglia». L'espressione digonynt brein («saziavano i corvi») viene tradotta dagli autori ottocenteschi come «they satisfy the ravens» (Skene 1868) o «satiated were ravens» (Nash 1868). La Haycock preferisce invece interpretare in senso metaforico e scioglie la prima metà del verso in «that the warriors took action» (Nash 1868).
  • <bꝛıtꟌret>, brithred, indica la «battaglia» nel suo senso caotico: «confusione», «mischia».

29  <ymılwyr mꞹgeıꝺꞹỽn pꞹn ꞹttroꝺet.> | Y milỽyr Mageidaỽn pan adrodded | «Dei soldati di Mageidaỽn, si narrava,»

  • Poiché questo verso ha la medesima struttura sintattica del [27], La Haycock propone di emendare l'articolo iniziale y («il») con o, in modo da ristabilire la formula o... pan («del tempo di») (Haycock 2007).
  • Il termine <mꞹgeıꝺꞹỽn> è stato variamente inteso dai traduttori. Skene traduce come «possessore di moltitudini», (forse intendendo la prima parte del termine da un verbo bagiaf, «prendere possesso»?): «the soldiers of the possessor of multitudes, when they are mentioned» (Skene 1868); Nash lo legge come calco gallese di «magician», seguendo l'idea di una concezione medievale di Alexander mago: «of the soldiers of the Magician when it shall be told». Nash giustifica questa sua traduzione asserendo che gli autori medievali avrebbero attribuito ad Alexander delle imprese che i trouvères britannici avevano invece assegnato a Myrddin, quali l'avventura nella nave di vetro, a cui accenna il Anrhyfeddodeu Allyxander (Nash 1868). Marged Haycock scioglie l'enigma interpretando il termine come una lezione per «Macedonia» (Haycock 2007).

30  <Neu wlꞹt ytꟌ weıſſontı pꞹn ꝺıffyꝺet.> | neu ỽlad y'th ỽeisson ti pan diffydded. | «una terra per i Tuoi servi in un tempo senza fede.»

  • <ꝺıffyꝺet>, diffydded, è nome verbale dal verbo diffyddiaỽ («perdere la fede», «divenire scettici»). Questa frase, di non chiaro significato nel contesto, è stata resa in modi più o meno artificiosi dai traduttori ottocenteschi.

31  <ny byꝺ ytꟌ eſcor eſcoꝛ lluꝺet.> | Ny byd y'th esgor esgor lludded, | «non c’è per te liberazione, liberazione dalla fatica,»

32  <Rꞹc gofꞹl yrꟌuꞹl ꞹe ꞹgꞹlet> | rag gofal yr hual a'e agaled. | «dalla pena della catena e dalla sua sofferenza.»

33  <mılcꞹnt rıꞹllu ꞹuu vꞹrỽ rꞹc sycꟌet.> | Mil cant riallu a bu farỽ rag sychet, | «centomila soldati scelti morirono di sete,»

  • Il compositore si riferisce qui alla sete sofferta dai soldati al seguito di Alessandro di ritorno dalla campagna in India, descritto nella Epistola Alexandri Magni ad Aristotelem magistrum suum de situ et mirabilibus indiae, testo medievale appartenente al ciclo alessandrino.
  • Il termine rhiallu indica un campione, un guerriero facente parte del seguito del sovrano.

34  <eu geu gogỽılleu ꞹr eu mılet.> | eu geu gogỽılleu ꞹr eu miled. | «i loro falsi copricapi e le loro bestie.»

  • <gogỽılleu>, da normalizzarsi in gogỽilleu, forma lenita di cogỽilleu, è probabilmente da intendere come forma arcaica o ipercorrettismo di coỽilleu, plurale di coỽyll («velo», «copricapo»); il termine è d'incerta derivazione, sebbene sia stata ipotizzata una possibile influenza dal termine latino cucullus, col quale si indicava l'alto cappuccio a punta dei celti continentali. L'influenza o la derivazione dal termine latino è forse individuabile dalla seconda consonante velare presente nella lezione <cocỽılleu>, attestata nel nostro testo. Detto ciò, è difficile individuare l'esatto significato dell'espressione ceu gogỽılleu, dove il primo termine significa «vuoto», «cavo», ma anche «falso», «improprio».
  • La parola finale <mılet> può essere interpretata in diversi modi: la normalizzazione più diretta è in miled («armata», «schiera»). Si noti che Skene la normalizza in milioedd, plurale di mil («migliaio»), e traduce il verso con «false their plans with their thousands» (Skene 1868). La Haycock la normalizza invece in milod, plurale di mil («bestia», «animale»), e traduce «[with] their insuitable head-dresses and their pack-animals» (Haycock 2007).

35  <ſ gỽenỽynỽys y wꞹſ ꟏yn nœ trefret.> | As gỽenỽynỽys y ỽas cyn no'e trefred; | «Il servo lo avvelenò prima del [suo ritorno] a casa;»

  • L'autore si riferisce alla tradizione dell'avvelenamento di Aléxandros, in realtà ricostruita a posteriori anni dopo la morte del condottiero macedone. Secondo una notizia riportata da Ploútarkhos, Aléxandros sarebbe caduto in una congiura orchestrata dal generale Antípatros su consiglio, addirittura, di Aristotélēs. «Asseriscono alcuni che sia stato Aristotélēs a consigliare ad Antípatros un tale delitto, e anzi di avergli fornito egli stesso il veleno [...], e il veleno consisteva in una certa acqua fredda e ghiaccio scaturita da una certa roccia nei terreni di Nonacro. Quest’acqua viene raccolta come una minuta rugiada e versata in un’unghia di asino, perché nessun altro recipiente è capace di contenerla, per essere troppo gelata ed acida e quindi tale da spezzare tutti i vasi. I più credono che il racconto di questo veleno sia una favola e adducono una prova non lieve: i capitani essendo stati discordi tra loro per molti giorni, lasciarono la salma del re in luoghi caldi e non arieggiati per altrettanto tempo senza prendersene troppo cura; ma il corpo non presentò alcun sintomo di corruzione da veleno e si conserva immune, come se fosse morto appena allora» (Bíoi parállēloi > Aléxandros [lxxvii]). La fonte diretta dell'autore della nostra composizione è però, sicuramente, Orosius che, col suo tono polemico nei confronti di un Aléxandros, «assetato di sangue» e affetto da una «mal castigata cupidigia», afferma che ad avvelenarlo sia stato un servo (minister):

    Alexander vero apud Babylonam, cum adhuc sanguinem sitiens male castigata aviditate ministri insidiis venenum potasset, interiit.

    Invero Akexander morì, ancora assetato di sangue, presso Babilonia, avendo bevuto con mal castigata cupidigia il veleno servitogli con l'inganno da un servo.
    Paulus Orosius: Historiae adversus paganos [III, 20])
  • trefred è in gallese «dimora», «abitazione»; ma poiché la formula cyn no'e («prima di») viene spesso usata in contesti di morte e sepoltura, Marged Haycock ritiene che trefred indichi qui il luogo di sepoltura dell'eroe, e traduce: «his servant poisoned him before [he went to] his resting-place» (Haycock 2007).
  • <wꞹſ>, ỽas, è forma lenita di gỽas («ragazzo», «giovane», ma anche «servo»). Sia Skene che Nash considerano gỽas complemento oggetto della frase, l'uno riferendolo a un non precisato «giovane» (a meno che non si intenda la vera e propria «gioventù» di Alexander): «was poisoned his youth before he came home» (Skene 1868), il secondo ritenendo che si riferisca allo stesso Alexander avvelenato: «poisoned was the hero before he could reach his habitation» (Nash 1868). È la Haycock a tradurre con «servo», seguendo Orosius.

36  <꟏yn noꟌyn beı gỽell ꝺıgonet.> | cyn no gyn bei gỽell digoned. | «sarebbe stato meglio se fosse stato già soddisfatto.»

  • Chiusa moralistica di difficile resa. Letteralmente: «prima di ciò sarebbe stato meglio se fosse stato fatto». Che cosa? L'assoluta vaghezza dell'espressione non aiuta a definirne l'esatta sfumatura di significato, e viene in mente l'amara osservazione di al-Ḫiḍr a Ḏū ʾl-Qarnayn, ormai giunto nel luogo dov'è destinato a morire, in uno dei racconti alessandrini del ciclo arabo: «Ora non rimane che quello che hai fatto» (Aṣ-Ṣaʿb Ḏu ʾl-Qarnayn). La Haycock traduce: «it would have been better had this been done sooner», intendendo probabilmente l'avvelenamento dell'eroe (Haycock 2007).
  • Si noti che la forma verbale digoned è congiuntivo passato passivo di digonaf, che vuol dire «fare», «compiere», ma anche «soddisfare». In tal caso, la «soddisfazione» di cui qui si parla è da mettere in relazione con la «mal castigata cupidigia» di cui parla Orosius (vedi nota [35]): Aléxandros/Alexander non ha mai arrestato la sua marcia a causa della sua insaziabile voglia di allargare i propri domini e la propria conoscenza; l'insoddisfazione lo ha portato alla morte. Il verso va forse meglio tradotto nella forma «sarebbe stato meglio se si fosse prima soddisfatto». In questo senso interpretano i traduttori ottocenteschi: «before this, it would have been better to have been satisfied» (Skene 1868), e «rather than this, it were better he had been contented» (Nash 1868).

37  <ymꟌ ꞹrglỽyꝺ gỽlꞹtlỽyꝺ gỽlꞹt gogonet.> | Y'm harglỽydd gỽladlỽydd gỽlad gogoned, | «al mio Signore della terra benedetta, che rende prospero il paese,»

  • Gli interpreti sono abbastanza concordi sulla costruzione di questo verso, la cui traduzione non è tuttavia immediata. Esso si configura come un omaggio del poeta al Signore, harglỽydd (letteralmente «nobile», «lord», «signore feudale»), qui definito con l'attributo gỽladlỽydd, aggettivo composto da gỽlad («territorio») + lỽydd («prosperità»). L'espressione è dunque da da intendersi come «il Signore che rende prospero il paese». La formula garglỽyd gỽladlỽydd è tuttavia seguita nuovamente dalla parola gỽlad, questa volta nella formula gỽlad gogoned («paese glorioso»), che è forse da intendere come complemento di specificazione relativo a harglỽydd. Una traduzione letterale del verso potrebbe dunque essere «Al mio signore del glorioso paese,  colui che rende prospero il paese». La Haycock rende quest'ultima espressione, gỽlad gogoned, in senso teologico, come «regno di gloria». Gli interpreti sono concordi nell'identificare con Dio il «signore»: «to us there is a beneficent Lord of a glorious land», traduce Nash (Nash 1868), seguito dalla Haycock: «to my prosperously reigning Lord of the realm of glory» (Haycock 2007). Skene giustappone i due semiversi eliminando il genitivo: «to my lord land-prospering, a country glorious» (Skene 1868).

38  <Vn wlat ioꝛ oꝛoꝛ goꝛeu y﫯lyneꝺ.> | un ỽlat iôr oror goreu ystlyned. | «l'unico reame del Signore, terra della stirpe migliore.»

  • <Vn wlat>, un gỽlad, significa letteralmente «unico paese», ma sono state proposte anche altre diverse sfumature di significato. Se Skene traduce infatti «one country», in Nash diviene «the land of Eternity», e nella Haycock «the pleasant realm»  (Skene 1868 | Nash 1868 | Haycock 2007).
  • <oꝛoꝛ>, oror, è forma lenita di goror («confine», «territorio», «frontiera»).
  • L'ultima parola, <y﫯lyneꝺ>, viene emendata in <y﫯lynet> dalla Haycock per mantenere la rima; non cambia tuttavia il significato: ystlyned(d) vuol dire comunque «stirpe», «famiglia», «casato».

39  <ꝺıwyccỽyf ꝺıgonỽyf poet genꟌyt ty gyffret.> | diỽyccỽyf digonỽyf; poet genhyd ty gyffred. | «che io mi ravveda, possa essere in Te il mio rifugio.»

  • La prima parola di questo verso, <ꝺıwyccỽyf>, diỽygỽyf, è congiuntivo, prima persona singolare, del verbo dyỽygiaf («correggersi», «ravvedersi», «emendarsi»); la seconda parola, <ꝺıgonỽyf>, sebbene sia apparentemente caratterizzata dalla stessa desinenza della prima parola, non è altrettanto ben analizzabile: potrebbe essere sorta per cacografia a partire dall'aggettivo o avverbio digon («abbastanza», «sufficiente»). Quest'associazione delle due parole è stata resa da Skene in maniera molto diretta: «May I reform, may I be satisfied» (Skene 1868). Marged Haycock propone invece di espungere la seconda parola, che propone sia stata erroneamente inserita per interferenza con <Dıconỽynt> in [41] (ma potrebbe anche essere con <ꝺıgonet> in [36]), e traduce semplicemente: «May I make amends» (Haycock 2007).
  • <genꟌyt>, genhyd, è una forma gallese medievale dal significato di «con te» (cfr. can, gan, «con»).
  • <gyffret>, gyffred, è forma lenita di cyffred, parola che offre al traduttore l'imbarazzo della scelta tra due omofoni. L'uno significa «comprensione», «pienezza», da cui la traduzione di Skene: «Be with thee the fulness»  (Skene 1868). L'altro significa invece «casa», «dimora»; Marged Haycock traduce: «may [my] refuge be at Thy side», individuandovi la metafora di Dio come rifugio, frequente nei Salmi (ad es. «Io dico al Signore: “Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza”» (Tǝhillîm [91, 2])(Haycock 2007).

40  <r Sꞹỽl ꞹm clyỽ poet meu euꟌunet.> | Ar saỽl a'm clyỽ, poet meu eu huned: | «Coloro che mi ascoltano, il mio sia il loro desiderio,»

  • <hunet>, (h)uned, vuol dire sia «desiderio» che «unità», da cui le diverse interpretazioni dei traduttori: «and as many as hear me, be mine their unity» (Skene 1868); «and those who hear me – may my wish be their [too]» (Haycock 2007).

41  <Dıconỽynt ỽy voꝺ ꝺuỽ ꟏yngỽ c tywet.> | digonỽynd ỽy bodd Duỽ cyn gỽisg tydỽed. | «possano fare la volontà di Dio prima che li gravi la terra.»

  • Alla fine della quarta riga del folium 24 (p. 52) un'abrasione della pergamena lascia leggere <gỽ c>, lezione che può essere restituita in <gỽisc>, gỽisg («vestito», «copertura», «viluppo»), oppure in <gỽasc>, gỽasg («peso», «oppressione»). I traduttori ottocenteschi hanno scelto la prima opzione: «may they satisfy the will of God before the clothing of the sod» (Skene 1868); «they do enough who please God before they are clothed with earth» (Nash 1868). Marged Haycock preferisce la seconda: «may they do God's will before the oppression of the sod». (Haycock 2007).
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Llyfr Taliesin
by W.F. Skene.
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Llyfr Taliesin
by D.W. Nash.
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Il Ỻyfr Taliesin, tradotto in italiano da Valeria Muscarà sulle versioni inglesi di William Forbes Skene (1868) e David William Nash (1868). I due files verranno aggiornati man mano che verranno aggiunte altre composizioni del Corpus Talgesinianum.

Per il disclaimer, fare riferimento alla pagina Avviso.

Bibliografia
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    Ỻyfr Taliesin
LXVII - ỺURYG ALEXANDER
 
Biblioteca - Huglielmo da Baskerville.
Area Celtica - Óengus Óc.
Traduzioni dall'inglese di Valeria Muscarà.
Confronto sul testo gallese di Valeria Muscarà, in collaborazione con Dario Hiansanti.
Si ringrazia Colin Parmar per i preziosi suggerimenti.
Creazione pagina: 28.12.2018
Ultima modifica: 20.01.2019
 
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