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Destino degli uomini di legno
(✍ 1983) |
John Sibbick, illustrazione (Gifford
1983) |
1 - L'INONDAZIONE, I MOSTRIMa le
loro creature non pensavano, non conversavano con lo Tz’aqol
e il B’itol. Per questo, gli uomini di
legno vennero annientati, distrutti, uccisi.
L'Uk’u’x Kaj,
il «cuore del cielo», provvide a inviare una grande inondazione sulla faccia
della terra; in questo modo il diluvio si abbatté sulle teste delle creature di
legno. Dal cielo cadde una pioggia abbondante, simile a resina.
Lo scavafacce, K’otk’owach, cavò gli occhi ai
burattini.
Il salassatore, Kamalotz, staccò loro la testa.
Il giaguaro triturante, Kotz’b’alam, divorò loro le
carni.
Il giaguaro squarciante, Tukumb’alam, spezzò le
loro ossa e i loro nervi, frantumandoli.
Gli uomini di legno furono sminuzzati, frantumati e polverizzati fino alle
ossa. I loro volti furono fatti a pezzi perché essi non avevano rivolto i loro
pensieri alla loro madre e al loro padre, l'Uk’u’x Kaj,
Juraqan. La faccia della terra si oscurò e iniziò a
cadere una pioggia nera, sia di giorno, che di notte. |
2 - LA RIVOLTA DEI CANI E DELLE PENTOLE
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Popol Wuj |
Miguel Carmona, illustrazione |
Vennero animali piccoli e grandi, e vennero bastoni e pietre e colpirono le
facce degli uomini di legno. Tutti cominciarono a parlare, anche le giare, i
piatti, le pentole, i cani, le macine. Ogni cosa si sollevò e colpì i visi dei
burattini.
— Ci avete fatto molto male. Ci avete divorato e ora noi vi morderemo —
dissero i cani e gli uccelli da cortile.
Così parlarono le macine: — Ci avete tormentato mattino, giorno e sera. In
ogni momento, le nostre facce facevano joli, joli, juki, juki, per causa
vostra. Questo era il tributo che dovevamo pagarvi. Ma ora che non siete più
uomini, assaggerete la nostra forza. Macineremo, ridurremo in polvere le vostre
carni.
Poi venne il turno dei cani: — Per quale motivo non ci davate da mangiare? Ci
guardavate a malapena, ci scacciavate e ci spingevate via. Avevate sempre un
bastone per picchiarci mentre pranzavate. Noi non potevamo parlare, per questo
ci trattavate così. Come non potevate non sapere? Voi sapevate che ci stavamo
consumando, proprio dietro di voi. Ora vi distruggeremo, ora sentirete i nostri
denti sulla vostra carne. Vi divoreremo. — Così dissero i cani, e si avventarono
contro i visi degli uomini di legno.
Anche le piastre per le tortillas e le pentole parlarono: — Voi
eravate per noi causa di dolore e sofferenza. Le nostre bocche e le nostre facce
erano annerite, eravamo sempre sul fuoco e ci bruciavate come se non sentissimo
dolore. Ora lo proverete sulla vostra pelle: vi bruceremo! — e si scagliarono
sulle facce dei loro padroni.
E anche le pietre del focolare, che prima stavano ammucchiate sul fuoco, si
scagliarono fuori contro le teste degli uomini di legno, per farli soffrire. |
3 - DISPERAZIONE E FATO DEGLI UOMINI DI LEGNO
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Los monos descendientes de los hombres de palo |
Diego Rivera (1886-1957), dipinto |
Gli uomini di legno fuggivano, correvano disperati quanto più veloce potevano.
Cercavano di salire sui tetti delle case, ma queste crollavano, precipitandoli
al suolo. Salivano sugli alberi, ma questi li gettavano a terra; tentavano di
ripararsi nelle caverne, ma venivano rifiutati.
Questa fu la rovina degli uomini che erano stati modellati con il legno: i
loro volti e le loro bocche furono sfigurati.
Si dice che da questi esseri derivino le scimmie che vivono oggi nei boschi. I
primati sono tutto ciò che resta dei burattini, perché la loro carne era stata
creata dal legno dal Creatore e dal Formatore.
È questa la ragione per cui la scimmia somiglia all’uomo; è la prova
dell’esistenza di una generazione di uomini burattini, fatti solo con il legno. |
Fonti
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I - LA GENESI MESOAMERICANA: UNA PROGRESSIONE DI CREAZIONI
Come ogni altro mito di creazione, anche le tradizioni cosmo- e
antropogoniche mesoamericane sono state congegnate a ritroso, secondo modalità teleologiche: essi tracciano le fasi che, a partire dal caos
primordiale, hanno condotto all'organizzazione del mondo che noi conosciamo e
alla condizione umana che sperimentiamo quotidianamente, fornendo una spiegazione e
insieme una giustificazione della realtà a noi nota. In
questo contesto, i miti mesoamericani sviluppano la storia mitica attraverso un susseguirsi di
successive creazioni e distruzioni, numero e caratteristiche delle quali variano
a seconda dei popoli e delle fonti.
Secondo il mito maya, il nostro mondo è l'esito della terza creazione: ben due creazioni precedenti
sono state infatti
cancellate dagli dèi, insoddisfatti per lo scarso stato etico raggiunto dalle umanità
di quei mondi. Presso i messicani il nostro «sole» è addirittura il quinto della serie.
Confrontiamo la cosmogonia degli Aztechi, come definita dall'astronomo Antonio de León y Gama (1735-1802), con quella dei
Maya K’iche’ del Guatemala,
esemplificata dal Popol Wuj:
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Aztechi
(António de León y Gama) |
I |
Cē-Tōnatiuh: Nāhui-Ōcēlōtl
«Primo sole: 4-giaguaro».
Durata 676 anni. Universo divorato dagli ocelot. |
II |
Ōme-Tōnatiuh: Nāhui-Ehēcatl
«Secondo sole: 4-vento».
Durata 364 anni. Universo distrutto da una tempesta:
superstiti trasformati in scimmie. |
III |
Yēi-Tōnatiuh: Nāhui-Quihahuitl
«Terzo sole: 4-pioggia».
Durata 347 anni. Universo
distrutto da una pioggia di fuoco: superstiti
trasformati in tacchini. |
IV |
Nāhui-Tōnatiuh: Nāhui-Ātl
«Quarto sole: 4-acqua».
Durata: 676 anni.
Universo sommerso dal diluvio: superstiti mutati in
pesci. |
V |
Mācuīlli-Tōnatiuh: Nāhui-Ōllīn
«Quinto sole: 4-movimento».
L'universo verrà
distrutto da un terremoto |
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Maya K’iche’
(Popol Wuj) |
I |
Prima creazione.
Uomini di fango. Razza priva di intelligenza.
Distruzione da parte degli dèi, insoddisfatti della
loro opera. |
II |
Seconda creazione.
Uomini di legno. Razza dotata
di parola e della capacità di moltiplicarsi, ma dimentica degli dèi. Ribellione degli animali e degli oggetti
domestici. Diluvio e metamorfosi dei superstiti in
scimmie. |
III |
Terza creazione.
Uomo di mais. Umanità intelligente e dedita
alle pratiche cultuali. Dopo la distruzione degli
invasori spagnoli, nascerà un nuovo mondo. |
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I modelli cosmogonici mesoamericani sono accomunati dal tema
dell'instabilità. Nella tradizione azteca, è un fragile equilibrio di elementi
contrastanti (vento, acqua, terra...) a determinare ogni volta il rovesciamento
dell'universo: ogni singola creazione è caratterizzata innanzitutto dalle proprie modalità di
distruzione. Nel mito k’iche’ questa struttura appare meno
condizionata in senso fisico, nondimeno l'elemento
antropologico è particolarmente sottolineato: nel Popol Wuj
lo scopo delle successive creazioni e distruzioni è voluto dagli dèi al preciso
scopo di migliorare la razza umana.
Tutti i racconti mesoamericani relativi alla creazione pongono, in un modo o
nell'altro, il problema dei rapporti dell'uomo con gli dèi, della creatura con i
creatori. Nel mito azteco, Quetzalcōātl scende
a cercare nel Mictlān ossa triturate e intrise nel
sangue degli dèi, dalle quali nasce la razza umana: da cui – secondo León
Portilla – il termine nāhuatl macehualtin, indicante la classe degli uomini
semiliberi, letteralmente «coloro che sono stati meritati». L'uomo deve agli dèi
il dono degli elementi che gli permettono di sopravvivere, ottenuti al prezzo di
un sacrificio collettivo del
pántheon; deve la creazione del sole e della luna, il dono della pioggia, e
quello dei vegetali, con il mais al primo posto. Gli inizi dell'umanità sono
contrassegnati da un passivo nei confronti degli dèi: è stato contratto un
debito iniziale e gli dèi pretendono che venga pagato: essi hanno bisogno delle
attenzioni degli uomini, delle loro preghiere e delle loro offerte (Stresser-Péan 1981). Ciò spiega perché l'assenza
di intelligenza nell'uomo –
che è soprattutto intelligenza cultuale – non venga tollerata. Un universo
abitato da esseri che non adorano gli dèi, vuoi
perché privi di ragione, vuoi perché privi di pietas
(rispettivamente gli uomini di fango e quelli di legno nel mito k’iche’), è un
universo inutile, inservibile agli dèi. Va distrutto e ricostruito daccapo.
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Sacrificio umano presso gli Aztechi |
Anche le religioni del Vecchio Mondo, come quelle mesoamericane, non
trascuravano di sottolineare il rapporto cultuale tra gli uomini e i loro dèi.
Si poteva andare dalla visione radicale dei popoli della Mesopotamia, secondo i
quali gli dèi avevano appositamente creato gli uomini affinché li mantenessero
adempiendo al lavoro necessario per far arrivare le vittime agli altari, all'atteggiamento pragmatico dei Greci, dove il rapporto tra
mortali e immortali diveniva una sorta di do ut des: gli uomini
nutrivano gli dèi con i loro sacrifici e in cambio gli dèi mantenevano in essere
le sorgenti della vita e della fecondità.
In Mesoamerica, lo sforzo religioso dell'uomo va visto alla luce del motivo
dell'instabilità cosmica. Il mondo indigeno del XVI secolo
è quanto mai vacillante, stretto com'è tra un cataclisma passato e un cataclisma
futuro. A dispetto dei cicli cosmici tracciati nei miti indoeuropei, che seguono
percorsi astronomici, matematicamente inevitabili, quelli dei miti mesoamericani
dipendono, in maniera molto stretta, dal rispetto e dalla continuazione delle
regole cultuali. La maggior parte dei riti e dei sacrifici praticati in America
Centrale avevano infatti lo scopo di ridurre il rischio di una catastrofe
cosmica, quello di conservare l'equilibrio degli elementi e la stabilità
dell'universo. Questo principio avrebbe portato, storicamente, agli eccessi
praticati dai popoli del Messico; presso gli Aztechi, proprio il chalchihuatl,
l'«acqua preziosa», cioè il sangue delle vittime, avrebbe costituito il continuo
alimento degli dèi, senza il quale l'universo sarebbe stato condannato alla
distruzione:
di qui l'instaurazione di una teocrazia che, nella sua fase finale, ruotava
intorno a un continuo fabbisogno di vittime umane per i sacrifici.
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II - IL MOTIVO DEI CICLI COSMICI, TRA VECCHIO E NUOVO
MONDO
Anche i popoli dell'Eurasia, come sappiamo, avevano sviluppato interessanti
concezioni sulla natura del tempo e della storia, e non manca, presso molte
tradizioni, una visione del passato mitico come sequenza di successive creazioni
e distruzioni. Il tema del diluvio, ben attestato presso tutti i popoli del
Medio Oriente, e anche presso gli Elleni, consisteva anch'esso – e in maniera
piuttosto esplicita – in una «decreazione» del mondo, che veniva riportato
temporaneamente allo stato di caos primordiale per poi venire ricostituito
(processo che nell'Enûma ilû
awîlum paleo-babilonese viene ripetuto più di una volta). Anche nel
Medio Oriente e in Grecia, come nel mito mesoamericano, la distruzione del mondo ha
una ragione antropologica: l'insoddisfazione degli dèi (Enlil, Yǝhwāh,
Zeús) nei confronti dell'uomo. È significativo il
fatto che la prima azione dell'eroe diluviale (Ziusudra,
Atraḫasîs, Nōḥ,
Deukalíōn), una volta
sopravvissuto alla catastrofe, è ristabilire con sacrifici il corretto
rapporto cultuale con la/le divinità.
Nelle
Érga kaì Hēmérai, e cioè proprio agli
esordi della letteratura occidentale, Hēsíodos ci presenta una storia mitica che
vede la successione di cinque distinte razze umane, ciascuna delle
quali viene annientata dagli dèi per posto alla successiva:
abbiamo quindi una stirpe dell'oro, dell'argento, del bronzo, una razza di eroici
semidèi, fino alla nostra attuale e triste stirpe del ferro ①. A questo disegno
corrisponde, all'altra estremità del dominio indoeuropeo, la concezione indiana
dei quattro yuga, vaste epoche cosmiche caratterizzate da un'umanità declinante.
②
Mentre in Mesoamerica la successione delle creazioni procede, attraverso una
serie di prove ed errori, verso la formazione di un mondo considerato soddisfacente dagli dèi, nei miti indoeuropei la progressione avanza al
contrario: in Grecia e in India (ma anche in Īrān, in Scandinavia, in Irlanda) vi è piuttosto
l'idea di una
perdita di perfezione del genere umano che, con il procedere della
storia cosmica, diviene sempre più carente dal punto di vista dei propri doveri etici,
sociali e
cultuali. Così, mentre Maya e Aztechi collocavano il presente nella fase
culminante dell'evoluzione umana, i popoli indoeuropei respingevano l'età
aurea all'inizio del tempo cosmico e ritenevano di vivere nell'epoca più
disordinata e dissoluta della storia. Per usare una
terminologia tratta dal linguaggio scientifico, potremmo dire che l'universo azteco e maya
realizzava un elaborato e faticoso punto di minima entropia, laddove quello
indoeuropeo avanzava liberamente verso il disordine e la dissoluzione.
Com'è evidente, questo nostro raffronto tra i miti del Nuovo e del Vecchio
Mondo si muove sul piano della semplice
analogia e procede per distinzioni piuttosto grossolane. Ma per quanto
nelle due tradizioni l'evoluzione cosmologica sembri procedere in direzioni
opposte (verso l'efficienza cultuale in Mesoamerica, verso la
dissoluzione etica presso gli Indoeuropei), è interessante notare che, in
entrambe le tradizioni, il genere
umano si evolve verso l'intelligenza e il libero
arbitrio.
Nelle
Érga kaì Hēmérai, ad esempio, sebbene gli
uomini della stirpe aurea vivano un'esistenza perfetta e priva di affanni, appaiono
del tutto privi di quella hýbris che caratterizza il genere umano; essi sono
onesti e leali per naturale inclinazione, non per loro precisa scelta etica.
Non sembrano essere dotati di libero arbitrio e, sebbene Hēsíodos non entri in
dettaglio sul perché della loro distruzione, è
forse propria questa la ragione per cui gli dèi alla fine li sterminano: un'esistenza
priva di sforzi eroici non può dare alcuna
soddisfazione alle passionali divinità greche. Nel Popol Wuj
la situazione è ancora più decisa: gli uomini di fango mancano completamente di
ragione e di linguaggio. In entrambi i casi, abbiamo un'umanità in difetto di
definizione: gli uomini della stirpe aurea non sono autentici uomini, gli
uomini di fango mesoamericani non sono nemmeno uomini.
Anche la stirpe esiodea dell'età argentea vive un'esistenza
semplice e priva di affanni, ma è priva
di pietas, dimentica degli dèi, incapace di istituire un culto. In
questo caso il parallelismo con gli uomini di legno nel Popol Wuj
è piuttosto puntuale, e
sia in Grecia che in Guatemala gli dèi non possono fare a meno di sterminare
questa umanità irriconoscente.
Alla stirpe aurea e a quella argentea, Hēsíodos preferisce gli uomini
della penultima età, quella eroica, in grado di prendere le loro decisioni e, se
necessario, di opporsi e sfidare gli dèi.
Nel mondo indoeuropeo, come in quello mesoamericano, anche
l'attuale epoca cosmica è destinata a finire. India, Īrān, Grecia e Scandinavia,
ciascuna cultura nel suo modo peculiare, percepivano un futuro in cui il nostro
universo, arrivato al culmine della sua dissoluzione etica, sarebbe stato
distrutto, per poi eventualmente rinascere in una sorta di restaurazione escatologica
dell'età aurea. Ciò che nel mondo indoeuropeo era visto come legge inevitabile –
e che in India diveniva quasi una necessità matematica, con precisi calcoli
nelle durate dei vari cicli e sottocicli cosmici –, nel mondo mesoamericano era
invece un naturale esito della fragilità cosmica, un incidente che, sebbene
alla lunga risultasse anch'esso inevitabile, poteva e doveva essere rimandato,
forse anche indefinitivamente, tramite la corretta e costante applicazione del
rapporto cultuale tra gli uomini e gli dèi.
③
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Bibliografia
- CRAVERI Michela, Voci e canti della civiltà maya.
Jaca Book, Bologna 2006.
- COE Michael D., Reading the Maya Glyphs.
Thames and Hudson, London. → ID. Gli ideogrammi maya. I
principi fondamentali della scrittura dell'antica civiltà precolombiana.
Vallardi, Milano 2003.
- GIFFORD Douglas, Warrior, Gods & Spirits from
Central and South American Mythology. Eurobook, London 1983. → ID.
Dèi e eroi della mitologia dell'America Centrale e
Meridionale. Mondadori, Milano 1983.
- GONZÁLEZ Federico, Los símbolos precolombinos,
Obelisco, Barcelona 1989. → ID. I simboli precolombiani.
Mediterranee, Roma 1993.
- LONGHENA Maria. Scrittura maya. Ritratto di una
civiltà attraverso i suoi segni. Mondadori, Milano 1998.
- PETTAZZONI Raffaele, Miti e leggende, IV. America
centrale e meridionale. UTET, Torino 1959.
- PORTILLA Léon M., Ritos, sacerdotes y atavios de
los dioses, textos de los informantes de Sahagún. Universitad
Nacional Autónoma, Ciudad de Mexico 1958.
- RECINOS, Adrián (a cura), Popol Vuh. Las antiguas
historias del Quiché. Fondo de Cultura Económica, Ciudad de Mexico
1947.
- STRESSER-PÉAN Guy (a cura), Creazione. America
centrale.
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Yves (a cura), Dictionnaire des Mythologies. Parigi 1981. → I., Dizionario delle mitologie e delle religioni,
1. Milano 1989.
- TEDLOCK Dennis (a cura), Popol Vuh. The Mayan Book
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Popol Vuh. Rizzoli, Milano 1998.
- TENTORI Tullio (a cura), Popol Vuh. Il libro sacro
dei Quiché. Tea, Milano 1988.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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