1 - SAMPSA PELLERVOINEN
er molto tempo,
Väinämöinen rimase su
quell'isola senza nome, la quale era spoglia e deserta. E intanto
si chiedeva chi avrebbe potuto seminarla e farla prosperare.
Giunse allora Sampsa Pellervoinen, il giovane figlio dei
campi.
Con la schiena curva,
Sampsa cominciò a
seminare. Gettò i suoi semi sulla terra, là sul terreno brullo
e spoglio, sulle paludi, sul suolo sabbioso e sulla dura
pietra. Rizzò i pini sulle colline, gli abeti sulle alture. Piantò nelle valli le eriche e gli arbusti. Piantò betulle
negli acquitrini, ontani nei terreni fangosi, visciole nei luoghi
umidi, ginepri nei luoghi rocciosi. Piantò salici in mezzo ai pantani,
sorbi nei terreni sacri, vimini tra le
melme, querce lungo le rive.
Ben presto spuntarono i germogli
e crebbero gli arboscelli. L'abete e il pino dispiegarono le
loro verdi chiome; le betulle si levarono dagli acquitrini, gli
ontani dai terreni fangosi, le visciole dai luoghi umidi e i
ginepri dai luoghi rocciosi. Ogni pianta era fiorita, gli
alberi si erano coperti di foglie, tra i cespugli lucevano le
bacche, dovunque pendevano frutti saporiti. Grazie a Sampsa Pellervoinen,
l'isola nuda e spoglia si era coperta di una meravigliosa
coltre di verde.
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2 - LA QUERCIA CHE NON
SPUNTA
l
vecchio vate
Väinämöinen andò a ispezionare i terreni seminati da
Sampsa Pellervoinen
e dovunque
vide giovani germogli e alberi già cresciuti. Solo la quercia,
l'albero divino, non era ancora spuntata dal suolo.
Väinämöinen se ne andò, attese una settimana e poi tornò a
vedere: ma della quercia non vi era alcun germoglio.
D'un tratto giunsero
dal mare quattro fanciulle, le cinque figlie dei flutti e
delle onde; e sull'estremità di quel promontorio
brumoso, di quella nebbiosa isola, esse falciarono il prato,
tagliarono l'erba umida di rugiada, rastrellarono il fieno e
lo ammucchiarono in alti cumuli. Subito dopo il vecchio
Tursas emerse dagli
abissi del mare e diede fuoco all'erba recisa, la lasciò
consumare dalle fiamme finché tutto venne arso e ridotto in
cenere impalpabile.
Tursas ammucchiò quelle ceneri in un ammasso di arida
fuliggine ed in mezzo vi nascose una ghianda ornata da una
tenera fogliolina.
Subito spuntò un germoglio e da quel
germoglio crebbe un arboscello. Si allungarono i
rami, si dispiegò la chioma e d'un tratto una quercia si levò
maestosa e imponente. Sotto lo sguardo rapito di
Väinämöinen, l'albero s'innalzò presto fino al cielo e distese i
suoi rami e protese le sue foglie fino a coprire il mondo
intero. Così imponente
crebbe quella quercia, da arrestare il volo delle nuvole,
fermare la corsa dei fiocchi di neve, velare lo splendore
della luna, offuscare il bagliore del sole. |
3 -
L'ABBATTIMENTO DELLA GRANDE QUERCIA
inanzi
a quell'immensa quercia, dinanzi a quell'albero alto come il
cielo, il vecchio vate
Väinämöinen rifletté: “Se il sole non risplenderà più, se
non brillerà più la luna, la vita dell'uomo sarà triste, duro
il nuotare dei pesci”.
Ma non esisteva un solo eroe tanto vigoroso da riuscire ad abbattere l'immensa
quercia, svellere l'albero dai cento rami. Il vecchio vate
Väinämöinen pronunciò allora queste parole: “Luonnotar, madre che mi portasti in grembo,
manda un eroe dai flutti, tra i tanti che vivono sul fondo del
mare, perché svella la quercia, abbatta quest'albero funesto
che vela lo splendore della luna e offusca il bagliore del
sole”.
Allora sorse un uomo dal mare, un
eroe emerse dei flutti. In realtà non era esattamente un
grande eroe: infatti non era più alto del pollice di un
uomo. Aveva
sulla testa un casco di rame, alle mani guanti di
rame ricamati di rame, in vita un cinturone di rame, appesa al fianco
una minuscola ascia di rame la cui lama non era più
grande di un'unghia.
Il vecchio vate
Väinämöinen osservò perplesso il nuovo venuto. L'omino
avrebbe anche avuto il piglio fiero di un eroe, se non fosse
stato alto quanto lo zoccolo d'un bue. — Qual misero
campione! — lo investì
Väinämöinen: — Mi sembra che tu non valga più d'un morto,
non sia miglior eroe di un cadavere!
Rispose l'omino uscito dal mare:
— Io non sono un uomo come gli altri: sono un piccolo eroe
giunto dagli abissi per abbattere la quercia e ridurla in
pezzettini.
— A me non sembra proprio che tu
sia stato creato per rovesciare quella grande quercia, quell'albero immenso!
— fece
Väinämöinen.
Non appena
Väinämöinen ebbe pronunciato queste parole, l'omino
batté a terra il piede e d'un tratto la sua
testa toccò le nuvole, la barba gli scese fino ai
ginocchi, la chioma fino ai calcagni. Tra i suoi occhi ora
c'era una buona tesa e il resto
del suo corpo era grande in proporzione. L'omino, divenuto un vero e proprio gigante, affilò la sua scure
immensa su sei
pietre e poi su sette enormi coti. Con soli tre passi si portò
dalla spiaggia al punto dove sorgeva la quercia. Brandì la
scure e colpì l'immenso tronco. Lo colpì una volte, due volte
e al terzo colpo il fuoco avvampò dalla lama della scure. La quercia
s'inclinò, si abbatté al suolo l'albero dalle cento chiome. Il tronco
divelto cadde a oriente, la cima si piegò a occidente, il
fogliame a mezzogiorno, i rami a settentrione.
Chi di quella quercia raccolse un
ramo acquistò felicità perpetua, chi staccò un pezzetto della
chioma ebbe scienza magica, che ne colse una sola foglia ebbe
eterno amore.
Frammenti e schegge volarono via
sulla chiara superficie del mare, dove le onde le
trasportarono via come
barche leggere. Sulla riva stava una giovinetta, l'agile serva
di Pohjola:
risciacquava le vesti su una pietra
all'estremità del promontorio. Vide i frammenti sparsi
sull'acqua, li raccolse nel paniere di betulla e li portò a
casa, perché lo stregone ne facesse frecce e il cacciatore
armi.
Non appena la quercia fu
abbattuta, il sole poté brillare e la luna tornò a splendere.
Le nubi ripresero la loro corsa e l'arcobaleno si distese
dall'estremità del promontorio alla punta dell'isola nebbiosa.
Così le foreste prosperarono, crebbero le selve, gli alberi si
vestirono di foglie e si coprì d'erba il suolo. Gli uccelli
cominciarono a cantare tra le fronde, i tordi a zufolare, i
cuculi a lanciare il loro richiamo. Sbocciarono i fiori
in mezzo ai prati e i cespugli si coprirono di bacche. Piante
d'ogni sorta presero a germogliare: soltanto la preziosa spiga
dell'orzo non cresceva.
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4 -
LA GRATITUDINE DELL'AQUILA
l
vecchio vate
Väinämöinen
diresse pensoso i propri passi lungo la riva del mare, presso
le onde agitate e ribollenti. E là sulla sponda, nella sabbia
più fine, trovò sette piccoli semi. Li ripose in un sacco di
martora, in uno scrigno di pelle di scoiattolo. Si avviò poi
per seminare, per spargere i semi presso la fonte di
Kaleva,
sui confini del campo di Osmo.
Cantò tra le
fronde la cinciallegra: — La spiga di
Osmo non crescerà, né
spunterà l'avena di Kaleva, se prima non verrà dissodata la
terra, se il bosco non sarà abbattuto e incenerito.
Il vecchio
vate
Väinämöinen forgiò allora un'ascia: abbatté i grandi tronchi e disboscò
un ampio tratto di terreno. Lasciò però in piedi una betulla,
affinché gli uccelli venissero a riposarvi e il cuculo a farvi
risuonare il suo canto. In quel momento un'aquila che
percorreva i cieli si calò accanto a
Väinämöinen e gli
domandò:
— Perché hai risparmiato questa grande betulla, perché
non l'hai abbattuta?
Rispose
Väinämöinen: — Lasciai quest'albero superbo perché vi riposassero gli uccelli
e l'aquila vi trovasse asilo.
L'aquila
annuì. — Hai fatto davvero bene a risparmiare la betulla, a
lasciare in piedi il bell'albero, asilo sicuro per me, riposo
per gli uccelli. — Il rapace suscitò allora un'ardente fiamma e
diede fuoco agli alberi abbattuti, che vennero consumati e ridotti in
cenere minuta.
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5 - L'INCANTESIMO DEL SEMINATORE
l
vecchio vate
Väinämöinen trasse
i sette grani dalla sua sacca di martora, dal suo scrigno di
pelle di scoiattolo, e mentre spargeva
quelle sementi sul campo, pronunciò le parole del seminatore:
— Ecco, io
semino, inchinato, fra le dita onnipotenti del Creatore, su
questa terra feconda, su questo campo dissodato. Vecchia che
risiedi sottoterra, madre del suolo, fa che l'erba germogli,
che il seme prenda forza e vigore. Ché non mancò mai forza
alla terra, mai, nel volgere dei tempi, allorché sono propizi gli
spiriti della natura. Terra, esci dal tuo torpore! Zolla,
emergi
dal tuo sonno! Fa' che spuntano gli steli, che dai fiori
sboccino i gambi, che le spighe sorgano a cento a cento, a
mille a mille, nel campo che con fatica ho seminato e
lavorato!
“E tu,
Ukko, dio supremo, padre
che regni nel cielo, che governi le nuvole, che reggi il
firmamento. Tieni consiglio, delibera negli spazi. Fai
scaturire una nuvola da oriente, una seconda da
settentrione, fanne giungere una da occidente, un'altra da
mezzogiorno. Versa pioggia dall'alto del cielo, spandi miele
dalle fitte nuvole sull'orzo verdeggiante, sulla spiga
sussurrante!
Ukko, dio
supremo, il potente padre del cielo, tenne consiglio, deliberò
negli spazi. Fece scaturire una nuvola da oriente, una seconda
da settentrione, ne fece giungere una da occidente, un'altra
da mezzogiorno. Ne congiunse i bordi, le batté l'una contro
l'altra. Versò dunque pioggia dall'alto del cielo, sparse
miele dalle fitte nuvole sull'orzo verdeggiante, sulla spiga
sussurrante.
E così l'orzo sorse rigoglioso, la spiga rossastra si
drizzò sulla terra scura, nel solco arato da
Väinämöinen.
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6 - CELEBRAZIONE DELLA
TERRA
rascorse un'intera settimana. Il vecchio vate
Väinämöinen andò
infine a vedere il risultato delle sue fatiche e vide l'orzo
prosperare secondo i suoi desideri. Ogni spiga aveva sei
facce, ogni stelo tre nodi.
Il cuculo dell'estate si avvicinò,
scorse la rigogliosa betulla e chiese: — Perché mai fu
lasciata? Perché fu risparmiata?
Rispose il
vecchio vate
Väinämöinen: — Il bell'albero
fu risparmiato, la betulla non fu abbattuta, perché tu vi
levassi il tuo richiamo. Canta dunque, petto d'oro; fa'
udire il tuo trillo, petto d'argento; fa' risuonare l'aria,
petto di rame. Sì, canta in ogni momento, fai cucù mattina e
sera, e una volta a mezzogiorno! Canta la bellezza di questo
cielo, la dolcezza dei boschi, la purezza delle rive, la
fertilità di questi campi!
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Fonti
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I - SAMPSA PELLERVOINEN: L'UOMO DEL CAMPO
Strani e curiosi motivi si intrecciano nel secondo runo del
Kalevala,
allorché entra in scena
Sampsa Pellervoinen. Dopo aver gettato i semi e
riempito il mondo di vegetazione, questo personaggio
scomparirà completamente dal poema, salvo riapparire nel
sedicesimo runo per presenziare al varo di una barca. Si
tratta dunque di un'apparizione minore, il
cui unico ruolo nell'economia del
Kalevala si riduce unicamente a questa scena. Ma nonostante
la brevissima apparizione, la figura di
Sampsa non ha
smesso di incuriosire gli studiosi, in quanto dietro
l'immagine di questo mitico seminatore si dipartono piste che ci
conducono addentro ai più profondi territori del mito.
Iniziamo dal nome.
Sampsa è l'equivalente
finnico del nome «Sansone», anche se gli studiosi lo
ricollegano al Sampo, il
magico strumento di ricchezza e fertilità di cui si tratterà a
partire dal settimo runo. Secondo Krohn,
Sampsa deriva da
Sampo
(Krohn 1927b), secondo Comparetti
è il contrario (Comparetti 1891).
Nessuno dei due autori sembra molto convinto dell'etimologia
ma entrambi sono persuasi che questo nome, Sansone,
sia una rarirà che occorre spiegare (De Santillana
~ Von Dechend 1969). La correlazione con il San Sansone dei cristiani
ortodossi, personaggio anch'esso legato all'agricoltura
(Moreau 1981), non basta a
giustificare la natura e la profondità del seminatore finnico.
Pellervoinen sta invece per
«[figlio] del campo» e questa sorta di aggettivazione è ciò
che definisce il nostro personaggio.
Sampsa sembra
dunque essere una divinità agreste e non v'è da stupirsi se
fin dall'inizio gli studiosi lo hanno messo in correlazione
col greco Triptólemos, il quale
percorrevo il mondo sul suo carro trainato da draghi seminando
dovunque chicchi di grano. Tuttavia il
personaggio che sembra potersi collegare di più a
Sampsa è slavo: si tratta di
Mikula
Seljaninovič, il mitico aratore delle byliny russe, anch'egli guardiano e patrono della
fertilità del suolo [VEDI].
L'epiteto
Seljaninovič, «figlio del
contadino», può essere agevolmente essere messo in
correlazione con
Pellervoinen «[figlio] del
campo», collocando di prepotenza entrambi i personaggi in una
medesima sfera, inerente alla sacralità e prosperità della madre
terra.
Ma
il collegamento tra
Sampsa Pellervoinen
e il mondo delle byliny russe è ancora più stretto se
pensiamo che tra queste troviamo un'altra figura di bogatyr',
certo Samson Kolyvanovič, che
di nuovo porta questo nome inusuale di Sansone. Anche
l'epiteto di questo cavaliere è trasparente:
Kolyvan altri non è che la
versione russa del finnico
Kaleva. È evidente che ci stiamo muovendo in un territorio dove miti
slavi e finnici sono strettamente intrecciati, ma questo fatto
può essere giustificato se teniamo conto di un profondo
passato di scambi culturali avvenuti, in tempi remoti, tra
slavi e ugrofinnici. Di tutto questo si è già parlato in un altro capitolo, allorché abbiamo
analizzato l'origine del mito slavo [VEDI].
Ma prima di seguire le tortuose strade a cui porterà il nostro
Sansone, vediamo di approfondire la presenza e il
significato della quercia gigante.
|
II
- LA QUERCIA GIGANTE
Il motivo dell'albero cosmico è troppo
vasto perché possa essere approfondito in questa sede. Basti qui sottolineare che in
molte mitiche cosmologie l'asse terrestre è raffigurato in
forma di un immenso albero, le cui radici traggono linfa dai
regni sotterranei ed i cui rami toccano la volta del cielo. Il
tronco dell'albero attraversa tutti i livelli e le
manifestazioni dell'essere, dal regno dei morti a quello
umano, dal mondo umano al cosmo divino. Senza scomodare i
poderosi studi di Uno Harva e Mircea Eliade, aggiungiamo che
questa figurazione, il cui più noto esempio è esemplificato dal frassino
Yggdrasill
del mito norreno, sembra essere collegata alle concezioni
tipiche dello sciamanesimo: è
infatti lungo il tronco dell'albero cosmico che gli
sciamani hanno la possibilità di accedere ai regni inferi e
uranici, interagendo con il mondo degli spiriti. L'origine
del mitologema sembra essere uraloaltaica: è probabilmente dal mondo finnico che
il motivo dell'albero cosmico è passato in quello
germanico e – in misura minore – in quello slavo.
Nel
Kalevala,
il motivo dell'albero cosmico compare due
volte: è la grande quercia del secondo runo,
che oscura la luce del sole e della luna, ma è
anche il
Sampo di cui si parlerà meglio in
seguito. In entrambi i casi, il mitologema
originario viene diluito fin quasi a diventare
irriconoscibile. Nel caso della quercia
gigante, è fin troppo ovvio, anche in assenza
di dirette connotazioni sciamaniche, che ci troviamo di fronte a un
albero di proporzioni cosmiche, che tocca il cielo con i suoi
rami, trattenendo le nuvole, riparando la neve,
schermando la luce del sole e della luna. Il
Sampo poi
non è nemmeno un albero ma, a quanto sembra di
capire dal testo, una
sorta di «mulino». Nell'uno e nell'altro caso,
albero e mulino sono destinati ad andare in
pezzi: l'albero per mano del piccolo omino di
rame che emerge dal mare appositamente per
compiere la sua opera di abbattimento, il mulino negli scontri
tra gli eroi di
Kalevala e l'agguerrita signora
Lohui.
Ora l'albero
cosmico e il mulino sono due esiti
della medesima figurazione dell'asse terrestre,
come hanno mostrato De Santillana e la von Dechend nel loro monumentale studio
(De Santillana ~ Von Dechend 1969). La rottura
dell'asse va probabilmente collegata con il
fenomeno della precessione degli equinozi,
allorché il mondo passa da un'era alla
successiva e un nuovo signore del tempo dovrà cedere il
posto al vecchio (motivo che chiude il
Kalevala
con la nascita del fanciullo meraviglioso e la
partenza di
Väinämöinen). |
III - IL RITORNO DI SANSONE
Nel mito norreno vi è una scena importantissima, che rivela la
natura dell'albero cosmico e la sua importanza nel motivo
del trapasso da un'èra cosmica alla successiva. Ne tratta la
Ljóða Edda
(Vafþrúðnismál [35]).
La stessa scena viene poi ripresa da Snorri Sturluson nella
Prose Edda
(Gylfaginning [5]).
Protagonista del
racconto
germanico è un gigante chiamato
Bergelmir,
il quale riuscì a salvarsi dal diluvio di sangue che mise fine
alla razza dei giganti primordiali, giacendo (o
arrampicandosi) su un mulino. Rimandiamo
al capitolo corrispondente per uno studio più dettagliato [VEDI].
La cosa che ci interessa qui è che il mulino che compare in
questa scena è assimilato all'albero cosmico. Abbiamo dunque
la presenza di un motivo antichissimo dove la volta celeste,
che ruota attorno all'asse terrestre, viene raffigurata come un
albero o un mulino. A intervalli scanditi dal tempo
cosmico, quest'asse viene spezzato, in un'immane catastrofe
che mette fine al vecchio mondo (il mito di
Bergelmir che si arrampica sul suo mulino per sfuggire al
diluvio va messo in correlazione con quello irlandese di
Fintan
mac Bóchra
che si arrampica in Tul Tuinne e si salva a sua
volta dal diluvio), per poi dar vita a una nuova èra. La terra di
Pohjola, dove si trova
il Sampo, è situata nel profondo
nord: è il luogo geografico in cui passa l'asse terrestre (la
parola finlandese pohjoinen «nord» è relata a pohja
«fondamento, base, cardine» ). E quando
gli eroi di Kalevala,
Väinämöinen,
Ilmarinen e
Lemminkäinen si
recano a
Pohjola per rubare il
Sampo, causano
la distruzione del vecchio asse e la
ricostituzione di un nuovo, quindi il trapasso del mondo dalla
vecchia età alla nuova.
Difficile dire chi sia l'omino di rame che distrugge la
quercia gigante. È evidente che siamo di fronte a un'altra
trasposizione del medesimo mito, incagliatosi anch'esso nel
Kalevala di Lönnrot, pur
provenendo da una direzione differente. Si potrebbe arguire
che la distruzione della quercia, all'inizio del
Kalevala, introduce la
fine di un'età ancora precedente e l'inizio dell'età eroica di cui tratta il poema, ma questa è solo
un'interpretazione fatta sulla base della struttura formale
del poema, che è una costruzione artificiosa. È improbabile che Lönnrot,
nel cucire insieme i canti da lui raccolti per
farne un unico poema, abbia avuto presenti tali
interpretazioni.
De
Santillana e la von Dechend hanno ribadito, anche se solo in via
analogica, l'importanza di un Sansone come «signore del
mulino» in questo strano gioco di valenze. L'eroe biblico
Šimšôn fu accecato dai Filistei e costretto a girare una macina,
ma in seguito si vendicò spezzando le colonne che
sorreggevano il tempio dei suoi nemici, che perirono tutti sotto le
macerie (De Santillana ~ Von Dechend 1969).
Nel mito di Šimšôn sono presenti
tutti gli elementi che stiamo analizzando. Dapprima troviamo Šimšôn
condurre
la rotazione del mulino cosmico, così come il sole ruota
annualmente attorno all'eclittica (il nome dell'eroe
Šimšôn la stessa radice
ŠMŠ che
ritroviamo in šẹmẹš «sole»). In seguito a lui è deputato il compito
di abbattere il grande asse cosmico, nel trapasso da un'èra
alla successiva.
Ci si
chiede tuttavia chi sia il signore del mulino cosmico. La
giusta obiezione è che
Sampsa Pellervoinen
compare in una
scena che è soltanto vicina a quella della quercia
gigante, ma non ha nulla a che vedere con la quercia e
con il suo abbattimento. Non si può tuttavia negare che vi è,
nei vari elementi di questo secondo runo del
Kalevala, per quanto
apparentemente scollegati, tutto un fitto gioco di valenze e
di rimandi. Il nome
Sampsa è forse corradicale
col termine
Sampo, il mulino cosmico
attorno a cui ruota il firmamento e dalla cui rottura e
ricostituzione dipende il trapasso delle ère cosmiche. Ma
Sampsa
è anche l'equivalente finnico del
nostro Sansone. E lo Šimšôn biblico è
insieme colui che fa ruotare il mulino cosmico e colui che ne
distrugge l'asse. Dunque, seguendo la nostra pista, in
Šimšôn
non è solo presente
Sampsa,
ma anche l'omino di rame che abbatte la grande quercia. A
questo punto ci si può chiedere: se Lönnrot non aveva
presenti questo gioco di valenze e confronti, perché porre
Sampsa e l'omino di rame nello
stesso runo?
Naturalmente queste che abbiamo presentato non sono
assolutamente delle prove, soltanto indicazioni cucite sul
filo di vaghe analogie. Il
Kalevala contiene miti
senza dubbio
antichissimi ma, ahimé, irrimediabilmente deteriorati. Che
dire però? Forse proprio in questa serie di suggestioni remote, prive di
chiavi, risiede l'assoluta bellezza del grande poema finnico.
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Bibliografia
- LÖNNROT Elias, Kalevala, 1849.
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BIBLIOGRAFIA ► |
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