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LJÓÐA EDDA

HYMISKVIÐA

IL CARME DI HYMIR
LJÓĐA EDDA
Ljóða Edda. Edda poetica o antica
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Hávamál. Il discorso di Hár
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Grímnismál. Il discorso di Grímnir
Skírnismál. Il discorso di Skírnir
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Baldrs draumar. I sogni di Baldr
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Hymiskviða, «Carme di Hymir»

Genere Poema mitologico, genere eroicomico
Voci Narratore esterno
Lingua Norreno
Epoca
Composizione:
Redazione:
  Fine XI secolo – inizio XII secolo
XIII secolo

Manoscritti

[R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Regius, ms. GKS 2365 4°
[A] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Arnamagnæanus, ms. AM 748 4°

LJÓÐA EDDA

HYMISKVIÐA

IL CARME DI HYMIR

Il poema

Þórr pesca Jǫrmungandr ( 1885)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione (Oehlenschläger 1885).

L'Hymiskviða, il «Carme di Hymir», è la settima composizione della Ljóða Edda, secondo l'ordine del Codex Regius (ms. R), e si distingue dai precedenti poemi della raccolta per diverse ragioni. Innanzitutto, con la possibile eccezione dello Skírnismál, l'Hymiskviða è il primo dei poemi eddici che non sia di carattere gnomico-sapienziale e non abbia lo scopo di far sfoggio di erudizione mitica (com'è il caso della Vǫluspá, dell'Hávamál, del Vafþrúðnismál, del Grímnismál e dell'Habarðsljóð), ma semplicemente quello di raccontare una divertente vicenda. Inoltre, mentre tutti i poemi precedenti sono costituiti essenzialmente da monologhi o fitti dialoghi messi in bocca a divinità o altri personaggi mitici, l'Hymiskviða è la prima composizione affidata a un narratore esterno; le battute dei protagonisti coprono meno di un terzo del testo e sono integrati nella vicenda. La composizione è infatti classificata come una kviða, termine per indicare un breve poema di argomento epico, un carme o una canzone, o, se non sembra un termine troppo recente, una «ballata».

Protagonista della vicenda è il dio Þórr, il quale si reca, in compagnia di Týr, nella dimora dello jǫtunn Hymir per impossessarsi di un imponente calderone, necessario agli Æsir per preparare la necessaria quantità di birra per i loro banchetti. Nel corso dell'avventura, Þórr viene coinvolto in una battuta di pesca da Hymir, nel corso della quale riesce a prendere all'amo nientemeno che Jǫrmungandr, il serpente che circonda il mondo, che però gli sfugge. Il poema sembra voler incastrare tra loro un certo numero di vicende slegate tra loro, ragion per cui i critici lo hanno generalmente ritenuto opera di uno scaldo esperto in poesie di occasione e non di un mitografo.

Anche il linguaggio, ricco di kenningar, mostra caratteristiche più vicine alla poesia scaldica che a quella eddica. Per tale ragione, l'Hymiskviða, insieme all'affine Þrymskviða, sono considerati poemi piuttosto tardi, composti in Islanda alla fine dell'XI secolo se non all'inizio del XII. Questa datazione bassa è stata anche sostenuta per via dello spirito burlesco con cui le divinità pagane sono rappresentate nel poema. Non mancano tuttavia voci dissezienti: il filologo Jónas Kristjánsson ha recentemente proposto una datazione più alta: «in realtà non vi sono ragioni per cui l'Hymiskviða non possa essere assegnata a un'epoca pre-cristiana, diciamo al tardo X secolo». (Jónas 1988)

La trama

Illustrazione per l'Hymiskviða ( 1885)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione (Oehlenschläger 1885).

La trama dell'Hymiskviða appare composita, con frequenti divagazioni e diversi episodi minori. Gli Æsir, dopo aver preso della selvaggina, si mettono a mangiare, ma a questo punto sentono bisogno di innaffiare il loro pasto con della ǫl. Una divinazione rivela loro che avrebbero trovato abbondanza di tutto presso Ægir, il gigante marino. Þórr si reca alla dimora di costui e gli impone di fornire birra a tutti gli dèi. Irritato, Ægir ribatte che per far ciò ha bisogno di un calderone abbastanza grande e chiede che glielo si procuri. [1-3]

Naturalmente gli dèi non riescono a trovare quanto richiesto, finché Týr spiega a Þórr che suo padre, lo jǫtunn Hymir, possiede un calderone davvero capiente. Servendosi di qualche astuzia, forse riusciranno a ottenerlo [4-6]. I due perciò partono e si recano a oriente degli Élivágar, dove abita Hymir. Dopo aver lasciato il carro di Þórr e i suoi caproni a casa di un gigante, certo Egill, Þórr e Týr arrivano a casa di Hymir [7]. Týr incontra così i suoi parenti: la terrificante nonna con novecento teste, e la madre, assai più aggraziata [8-9]. Hymir arriva poco dopo: è vecchio, cupo, malevolo, con la barba gelata, e non è affatto felice di trovarsi in casa i due ospiti, dai quali prevede soltanto guai [10-14¹²]. Fa cucinare tre buoi: ma Þórr se ne mangia due, costringendo il padrone di casa a organizzare una battuta di pesca per la cena del giorno successivo [14²-16¹]. Il giorno successivo, Hymir e Þórr si preparano per la pesca, e Þórr uccide il miglior toro della mandria di Hymir per approntarsi un'esca, soluzione che non diminuisce affatto il malumore dello jǫtunn [16²-19²].

Hymir e Þórr partono sulla barca, e l'áss rema più di quanto lo jǫtunn non abbia voglia [20]. Lanciano le lenze. Hymir tira su due balene, ma all'esca di Þórr abbocca il serpente Jǫrmungandr [21-22]. Þórr lotta con il serpente, cercando di trascinarlo a bordo, e lo colpisce con il martello, facendo tremare la terra; ma Jǫrmungandr gli sfugge e torna a sprofondare negli abissi [23-25].

L'impresa non ha certo migliorato l'umore di Hymir e, una volta tornati a riva, chiede a Þórr di ormeggiare la barca o di trascinare le due balene alla fattoria: Þórr compie entrambi i lavori [26-27]. Quella sera, Hymir provoca a più riprese il dio del tuono, sfidandolo a rompere un certo calice magico per provare la sua forza. Þórr scaglia il calice contro le colonne della hǫll, ma riesce soltanto a spezzare la roccia [28-29]. È la madre di Týr a suggerire a Þórr di colpire col calice la fronte di Hymir: Þórr esegue e finalmente il calice va in pezzi [30-32]. Hymir è furioso: sfida i due æsir a sollevare il suo calderone. Týr non riesce nemmeno a smuoverlo, ma Þórr lo afferra per i bordi, se lo mette sul capo e, pur sprofondando con i piedi nel terreno, si allontana, con gli anelli del calderone che gli tintinnano all'altezza delle caviglie [33-34].

Gli jǫtnar, guidati da Hymir, si gettano presto all'inseguimento dei due fuggitivi, ma Þórr li stermina [35-36]. Poco dopo, Þórr e Týr arrivano da Egill, ma non riescono a partire: uno dei caproni ha una zampa slogata. Sebbene il responsabile sia Loki, è Egill a risarcire Þórr offrendogli i suoi due figli [37-38]. Nonostante queste disavventure, il calderone viene infine portato al þing degli Æsir, i quali, da quel momento in poi, potranno bere ǫl a sazietà, presso Ægir, ogni inverno.

La critica

Secondo buona parte della critica, l'Hymiskviða risulterebbe essere una cucitura mal assortita di due miti distinti: quello della cerca del calderone presso Hymir e quello della pesca del serpente Jǫrmungandr. Tale idea è stata in parte influenzata da Snorri, il quale, nella sua Prose Edda, tratta l'episodio della pesca come mito indipendente (Gylfaginning [48]). A loro volta, i critici hanno puntualizzato il fatto che, in questa ridondante struttura narrativa, siano stati inseriti molti episodi minori incentrati sugli exploits di Þórr: il suo gagliardo appetito, l'uccisione del toro, il trasporto della barca con tutto il suo contenuto, il lancio del calice contro la testa di Hymir, l'uccisione degli jǫtnar, etc. Ciò ha portato molti studiosi a spacciare sbrigativamente l'Hymiskviða per un poema composito e mal strutturato.

Nonostante ciò, un'analisi più attenta l'Hymiskviða mostra che gli episodi, lungi dall'essere combinati in maniera casuale, formano una struttura perfettamente simmetrica:

  1. Ægir. Richiesta di un calderone per i banchetti degli dèi.
  2.      Egill. Þórr e Týr lasciano carro e caproni.
  3.           Hymir. Prima cena nella dimora dello jǫtunn: Þórr mangia due tori.
  4.                La pesca. Þórr uccide il miglior toro della mandria di Hymir.
                   La pesca. Þórr prende all'amo il serpente Jǫrmungandr.
  5.           Hymir. Seconda cena alla dimora dello jǫtunn: sfide lanciate a Þórr.
  6.      Egill. Þórr e Týr si riprendono carro e caproni.
  7. Ægir. Ritorno al þing degli Æsir: banchetto di Ægir.

La narrazione inizia e si conclude alla dimora di Ægir (punti 1 e 7), per cui si può parlare di andamento circolare: l'organizzazione del banchetto, problematica al punto 1, viene risolta al punto 7. La dimora di Egill (punti 2 e 6) costituisce una tappa necessaria nel percorso tra l'Ásgarðr e la terra degli jǫtnar. La dimora di Hymir (punti 3 e 5) è teatro di due cene: nella prima Þórr sfida inconsapevolmente lo jǫtunn divorando due tori; nella seconda è Hymir a lanciare delle sfide al dio del tuono. La pesca del serpente Jǫrmungandr è il climax dell'intera vicenda. ①

L'analisi comparatistica, tuttavia, mostra tracce di una struttura più antica, che connetteva tra loro un buon numero dei temi di questo racconto: dalla lotta con il serpente alla cerca del calderone. Per approfondimenti, rimandiamo ai nostri articoli. ②

Le redazioni

Illustrazione per l'Hymiskviða ( 1885)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione (Oehlenschläger 1885).

L'Hymiskviða ci è pervenuto in due redazioni: nel Codex Regius (ms. R, GKS 2365 4°) e nel Codex Arnamagnæanus (ms. A, AM 748 I 4°), entrambi custoditi allo Stofnun Árna Magnússonar di Reykjavík. Entrambe le redazioni comprendono 39 strofe e sono molto simili tra loro. Il testo diplomatico è quello del ms. R, ma alcune varianti di A presentano delle lezioni più accurate. Diversi errori sono comuni ai due manoscritti e questo dimostra che entrambe le versioni derivano da un antigrafo comune. Un paio di bruschi cambi di scena ha portato gli studiosi a ipotizzare delle lacunae nell'antigrafo (si vedano le note alle strofe [20 | 24]), ma non c'è alcuna prova che il poema, nella forma che ci è pervenuta, sia incompleto.

Il redattore del Codex Regius ha considerato l'Hymiskviða propedeutico al Lokasenna; nel manoscritto i due poemi vengono dispeti l'uno dopo l'altro, e il Lokasenna viene introdotto da un formáli che riassume l'Hymiskviða e connette tra loro le due narrazioni: il calderone ottenuto nel primo poema servirà infatti per preparare la birra nel banchetto che è argomento del secondo. Tale relazione tra i due poemi non ha alcuna autorità e deve essere considerata un'interpretazione del redattore del Codex Regius.

Nel Codex Arnamagnæanus, l'Hymiskviða è invece il secondo poema, disposto tra il Grímnismál e i Baldrs Draumar.

Snorri non cita alcun verso tratto dall'Hymiskviða nella sua Prose Edda, né mostra di essere a conoscenza del poema. Racconta la vicenda della pesca del serpente Jǫrmungandr da parte di Þórr, cambiando completamente il contesto e alcuni dettagli della vicenda (Gylfaginning [48]). Ignora del tutto l'episodio della ricerca del calderone e fornisce una versione piuttosto diversa di quello della visita a Egill, che però viene incastonato nel mito del viaggio di Þórr a Útgarðr ①. Un'analisi del testo snorriano evidenzia che le sue fonti furono, con ogni probabilità, alcuni poemi scaldici (in primis la Ragnarsdrápa di Bragi Boddason e l'Húsdrápa di Úlfr Uggason). ②

Un piccolo dettaglio della versione della vicenda narrata nel poema, sebbene non necessariamente tratto da esso, è citato nel Fyrsta Málfrǿðiritgerðirnar.

Genere e metrica

Illustrazione per l'Hymiskviða ( 1885)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione (Oehlenschläger 1885).

L'Hymiskviða è un poema mitologico, di carattere eroicomico, condotto nello stile di una ballata. Come genere è assai simile, tra i canti della Ljóða Edda, alla Þrymskviða, ed è possibile che sia stato composto dallo stesso autore. Altri studiosi lo collegano piuttosto allo Skírnismál, sebbene le differenze con quest'ultimo siano più marcate. Questi tre poemi sono gli unici, nella sezione mitologica della Ljóða Edda, che narrino estesamente dei miti, invece di limitarsi a citarli, e tutti e tre descrivono dei viaggi nello Jotunheimr.

Il linguaggio dell'Hymiskviða differisce da quello degli altri poemi eddici per via, soprattutto, dell'uso estensivo delle kenningar, generalmente associate con la poesia scaldica. Per fare un esempio, la Þrymskviða – che pure è il poema più simile all'Hymiskviða per genere e argomento – contiene solo tre kenningar, tutte legate a Þórr e di tipo parentale. Nell'Hymiskviða troviamo invece non meno di trenta kenningar, più di un terzo delle quali legate a Þórr o agli jǫtnar, mentre un paio si riferiscono al serpente Jǫrmungandr; ve ne sono poi numerose per indicare animali, oggetti e parti del corpo, tra cui un numero assai alto di kenningar rare. Delle quattro kenningar per «testa» presenti nel corpus eddico, tre sono attestate in Hymiskviða [19 | 23 | 31]; la kenning per «barba» in Hymiskviða [10] è unica in entrambi i corpora poetici, eddico e scaldico.

Questa inusuale abbondanza di kenningar, o di affini circonlocuzioni poetiche, ha permesso agli studiosi di datare l'Hymiskviða a un'epoca piuttosto tarda, rispetto alle altre composizioni eddiche: la fine dell'XI secolo o addirittura l'inizio del XII. È anche possibile che il poeta sia stata influenzato da qualche perduto dróttkvætt affine, sul tipo della Þórsdrápa o dell'Haustlǫng, due composizione scaldiche che narrano delle avventure di Þórr, anch'esse redatte con un linguaggio assai ricco di kenningar. C'è anche la possibilità che l'Hymiskviða sia una composizione burlesca, redatta in un linguaggio scaldico esageratamente pomposo, composta per divertire gli ascoltatori dell'XI secolo.

Il metro dell'Hymiskviða è il fornyrðislag o «metro epico», il più comune della poesia nordica. Ogni strofa è composta da quattro «versi pieni», ciascuno costituito a sua volta di due semiversi. Le strofe sono generalmente composte di quattro versi (cioè otto semiversi), sebbene alcune siano eccessive [11 | 27] e altre difettive [6 | 25 | 26 | 36], cosa che ha portato alcuni autori ha proporre distribuzioni alternative degli helmingar (semistrofe) che le compongono.

In questa pagina, per ragioni grafiche, i «versi lunghi» sono stati spezzati e i due semiversi posti su righe differenti; in altre parole, le singole strofe, originariamente formate di quattro versi, appaiono qui disposte su otto righe, ciascuna corrispondente a un semiverso. Ecco, per confronto, la versificazione rigorosa della strofa [1]:

Ár valtívar      veiðar námu
ok sumblsamir,      áðr saðir yrði,
hristu teina      ok á hlaut sáu;
hfundu þeir at Ægis      ǫrkost hvera
.

Edizioni italiane

Escludendo le strofe scorporate nelle antologie, la prima traduzione integrale dell'Hymiskviða è quella di Olga Gogala di Leesthal in Canti dell'Edda, nella «Collana di traduzioni» della UTET (Torino 1939). Intitolata Il Canto di Hymir, la traduzione, più solenne che rigorosa, è assai curata metricamente. Le quartine sono costituite da coppie di senari giustapposti, come a distinguere i due semiversi che in originale compongono ogni verso. Le annotazioni rispecchiano la letteratura disponibile all'epoca.

Un giorno mangiavan gli dèi selvaggina
ansiosi di bere ma ancora non sazi:
dai rami e dal sangue l'oracolo trasser:
gran copia di tutto trovaron da Aegir.

Segue la traduzione di Alberto Mastrelli, ne L'Edda. Carmi norreni, libro della collana «Classici della religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Il carme di Hymir è in versi liberi, con le coppie di semiversi «cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente annotata.

Una volta gli dèi mangiavano della selvaggina,
ma ancor non sazi, avevano gran voglia di bere;
scossero i rami ed il sangue considerarono:
appresero così che da Ägir c'era gran copia di tutto.

L'ultima traduzione, Anch'essa intitolata Carme di Hymir, è quella fornita da Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, nell'antologia Il canzoniere eddico, edito da Garzanti (Milano 1982). Di nuovo versi liberi, sebbene i semiversi siano finalmente evidenziati, presenta un corredo di note ridotto al minimo e non giustifica molte scelte, non sempre felici, nella traduzione.

Una volta, dèi di battaglia     presero selvaggina
e con la voglia di bere     già prima di mettersi a mangiare,
scossero le sorti     e scrutarono il destino:
trovarono da Aegir     abbondanza di ogni bene.

LJÓÐA EDDA

HYMISKVIÐA

LA BALLATA DI HYMIR
   

HYMISKVÍÐA

IL CARME DI HYMIR

 
         
La richiesta del calderone 1 Ár valtívar
veiðar námu
ok sumblsamir,
áðr saðir yrði,
hristu teina
ok á hlaut sáu;
fundu þeir at Ægis
ǫrkost hvera.
Una volta, gli dèi degli uccisi
presero selvaggina
ed ebbero voglia di bere
prima di mangiare a sazietà.
Scrollarono i hlaut-teinar
e scrutarono il sangue:
trovarono da Ægir
sufficienti calderoni.
Nota
  2

Sat bergbúi
barnteitr fyr
mjǫk glíkr megi
miskorblinda.
Leit í augu
Yggs barn í þrá:
Þú skalt ásum
opt sumbl gøra.

Sedeva l'abitatore dei monti,
lieto come un fanciullo, lì fuori.
Molto somigliava al figlio
di Miskorblindi.
Lo fissò negli occhi,
sfidandolo, il figlio di Yggr:
Tu dovrai agli Æsir
offrire spesso da bere”.

Nota
  3 Ǫnn fekk jǫtni
orðbæginn halr,
hugði at hefndum
hann næst við goð,
bað hann Sifjar ver
sér fǿra hver,
þanns ek ǫllum ǫl
yðr of heita.
Fu infastidito lo jǫtnar
da quell'insolente
e pensò di vendicarsi
subito contro gli dèi.
Chiese all'uomo di Sif
di procurargli un calderone:
affinché birra per tutti
io possa preparare!”.
Nota
  4 Né þat máttu
mærir tívar
ok ginnregin
of geta hvergi,
unz af tryggðum
Týr Hlórriða
ástráð mikit
einum sagði:

Ma non riuscirono
gli dèi gloriosi,
le eccelse potenze
a trovarlo da nessuna parte,
finché in confidenza
Týr a Hlórriði
un prezioso consiglio
a lui solo diede:

Nota
  5 “Býr fyr austan
Élivága
hundvíss Hymir
at himins enda;
á minn faðir
móðugr ketil,
rúmbrugðinn hver,
rastar djúpan”.

“Dimora a oriente
degli Élivágar
il sapiente Hymir,
al confine del cielo;
possiede mio padre,
quell'irascibile, un paiolo,
un calderone assai capiente,
profondo un rǫst”.

Nota
  6 Þórr kvað:

Chiese Þórr:

Nota
    “Veiztu ef þiggjum
þann lǫgvelli?”.
“Credi che otterremo
quel bollitore?”.
    Týr kvað: Rispose Týr:
    “Ef, vinr, vélar
vit gervum til”.
“Se, amico mio, astuzia
useremo”.
Nella dimora di Hymir 7 Fóru drjúgum
dag þann fram
Ásgarði frá,
unz til Egils kvámu;
hirði hann hafra
horngǫfgasta;
hurfu at hǫllu,
er Hymir átti.
Viaggiarono decisi
avanti tutto il giorno
dall'Ásgarðr,
finché giunsero da Egill.
Al sicuro [Þórr] mise i caproni
dalle splendide corna.
Poi entrarono nella hǫll
che apparteneva a Hymir.
Nota
  8 Mǫgr fann ǫmmu
mjǫk leiða sér,
hafði hǫfða
hundruð níu,
en ǫnnur gekk
algullin fram
brúnhvít bera
bjórveig syni:
Il rampollo incontrò la nonna,
da lui molto detestata:
di teste ne aveva
novecento.
Un'altra venne avanti
tutta d'oro adornata,
bianche le sopracciglia, recando
al figlio una coppa di bjórr:
Nota
  9 “Áttniðr jǫtna,
ek viljak ykkr
hugfulla tvá
und hvera setja;
er minn fríi
mǫrgu sinni
glǫggr við gesti,
gǫrr ills hugar”.

“Prole di jǫtnar,
voglio che vi mettiate entrambi
voi, ricolmi di hugr,
sotto quei paioli.
È il mio compagno
molto spesso
avaro con l'ospite,
di hugr malevolo”.

Nota
  10 En váskapaðr
varð síðbúinn
harðráðr Hymir
heim af veiðum,
gekk inn í sal,
glumðu jǫklar,
var karls, en kom,
kinnskógr frǫrinn.

Deforme nell'aspetto,
a sera fece ritorno
lo spietato Hymir
a casa, dalla caccia.
Irruppe nella sala,
tintinnarono i ghiaccioli:
era del karl, nell'entrare,
gelato il bosco delle gote.

Nota
  11 Frilla kvað: Disse la frilla [di Hymir]: Nota
    “Ver þú heill, Hymir,
í hugum góðum,
nú er sonr kominn
til sala þinna,
sá er vit vættum
af vegi lǫngum;
“Salve, Hymir,
rallegra il tuo hugr!
È giunto ora il figlio
nella tua sala,
che noi attendevamo
da lunghi cammini.
 



12
fylgir hánum
hróðrs andskoti,
vinr verliða;
Véurr heitir sá.
Sé þú, hvar sitja
und salar gafli,
svá forða sér,
stendr súl fyrir”.

Lo accompagna
il nemico di Hróðr,
l'amico degli uomini:
Véorr è il suo nome.
Guarda, siedono là,
in fondo alla sala:
stanno al riparo
dietro la colonna”.

Nota
 



13
Sundr stǫkk súla
fyr sjón jǫtuns,
en áðr í tvau
áss brotnaði.
Stukku átta,
en einn af þeim
hverr harðsleginn
heill af þolli;

S'infranse la colonna
sotto lo sguardo dello jǫtunn,
con fragore si spezzò
la trave maestra.
Saltarono via otto,
ma un solo [rimase],
paiolo ben foggiato,
intatto [cadendo] dal trave.

Nota
 



14
fram gengu þeir,
en forn jǫtunn
sjónum leiddi
sinn andskota.
Sagði-t hánum
hugr vel þá,
er hann sá gýgjar græti
á golf kominn,
[I due] si fecero avanti,
e l'antico jǫtunn
seguì con lo sguardo
il suo avversario.
Nulla di buono
gli suggerì l'hugr
quando chi muove al pianto le gýgjar
vide entrare nel golf.
Nota
 



15
þar váru þjórar
þrír of teknir,
bað senn jǫtunn
sjóða ganga.
Hvern létu þeir
hǫfði skemmra
ok á seyði
síðan báru;

Là furono tre tori
presto condotti:
ordinò subito lo jǫtunn
che andassero a cucinarli.
Ciascuno fu fatto
più corto della testa
e sul seyðir
venne disposto.

Nota
 



16
át Sifjar verr,
áðr sofa gengi,
einn með ǫllu
ǫxn tvá Hymis.
Þótti hárum
Hrungnis spjalla
verðr Hlórriða
vel fullmikill:

Divorò l'uomo di Sif,
prima di coricarsi,
da solo tutti interi
due buoi di Hymir.
Sembrò al grigio
confidente di Hrungnir
la cena di Hlórriði
assai abbondante:

Nota







Þórr si procura un'esca




17
“Munum at apni
ǫðrum verða
við veiðimat
vér þrír lifa”.
Véurr kvaðzk vilja
á vág róa,
ef ballr jǫtunn
beitr gæfi.
“Domani sera
noi tre dovremo
con la caccia
trovar da vivere”.
Véorr rispose che avrebbe
remato in mare
se il possente jǫtunn
gli avesse fornito delle esche.
 
    Hymir kvað: Disse Hymir:  
 



18
“Hverf þú til hjarðar,
ef þú hug trúir,
brjótr berg-Dana,
beitur sækja
Þess vænti ek,
at þér myni
ǫgn af oxa
auðfeng vera”.
“Dirigiti verso le mandrie,
se è saldo il tuo hugr,
distruttore dei Danir delle montagne,
a cercar esche!
Questo io credo:
che riuscirai
un'esca da un bue
facilmente a rimediare”.
Nota
 



19
Sveinn sýsliga
sveif til skógar,
þar er uxi stóð
alsvartr fyrir.
Braut af þjóri
þurs ráðbani
hátún ofan
horna tveggja.
Il ragazzo in fretta
si volse alla foresta:
un bue gli si parò
davanti, tutto nero.
Strappò al toro
l'uccisore dei þursar
l'alta fortezza
delle due corna.
Nota
  Hymir kvað: Disse Hymir:  
    “Verk þykkja þín
verri miklu
kjóla valdi
en þú kyrr sitir”.
“Il tuo lavoro sembra
assai peggiore,
al padrone delle chiglie,
del tuo quieto star seduto”.
Nota
Pesca al Miðgarðsomr 20 Bað hlunngota
hafra dróttinn
áttrunn apa
útar færa,
en sá jǫtunn
sína talði
lítla fýsi
at róa lengra.

Che il destriero dei rulli,
comandò il signore dei caproni,
il congiunto di scimmia
conducesse al largo.
Ma quello jǫtunn
spiegò che aveva
scarsa voglia
di continuare a remare.

Nota
  21 Dró mærr Hymir
móðugr hvali
einn á ǫngli
upp senn tváa,
en aftr í skut
Óðni sifjaðr
Véurr við vélar
vað gerði sér.

Pescò il potente Hymir,
selvaggio, delle balene:
con un amo solo
[ne tirò] su due insieme.
Ma in fondo alla poppa,
il congiunto di Óðinn,
Véorr, con abile pratica
approntò una lenza.

Nota
  22 Egndi á ǫngul,
sá er ǫldum bergr,
orms einbani
uxa hǫfði;
gein við agni,
sú er goð fía,
umgjǫrð neðan
allra landa.

Agganciò all'amo,
lui che protegge le genti
– il solo uccisore del serpente –,
la testa del bue.
Abboccò all'esca
l'odiato dagli dèi,
che da sotto circonda
tutte le terre.

Nota
  23 Dró djarfliga
dáðrakkr Þórr
orm eitrfáan
upp at borði;
hamri kníði
háfjall skarar
ofljótt ofan
ulfs hnitbróður.
Trasse su con audacia
il vigoroso Þórr
il serpente velenoso
contro la fiancata.
Col martello colpì
sul sommo della chioma
mostruosa, dall'alto,
il fratello-di-scontri del lupo.
Nota
  24 Hréingalkn hlumðu,
en hǫlkn þutu,
fór in forna
fold ǫll saman;
sǫkkðisk síðan
sá fiskr í mar.

Rimbombano mostri selvaggi,
gemono dirupi scoscesi,
l'antica terra
tutta quanta ne trema.
Sprofonda poi
quel pesce nel mare.

Nota
  25 Óteitr jǫtunn,
er aftr reru,
svá at ár Hymir
ekki mælti,
veifði hann ræði
veðrs annars til.

Infelice era lo jǫtunn
mentre remavano indietro.
Rimase tutto il tempo Hymir
senza parlare.
I remi aveva voltato
verso altri venti.

 
Le sfide di Hymir 26 Hymir kvað: Disse Hymir: Nota
  “Mundu of vinna
verk halft við mik,
at þú heim hvali
haf til bæjar
eða flotbrúsa
festir okkarn”.
“Dovrai dividere
metà del lavoro con me:
o le balene
trascini fino a casa
oppure ormeggi
il nostro caprone dei flutti”.
  27 Gekk Hlórriði,
greip á stafni
vatt með austri
upp lǫgfáki,
einn með árum
ok með austskotu
bar hann til bæjar
brimsvín jǫtuns
ok holtriða
hver í gegnum.
Andò Hlórriði:
agguantò la prua
con l'acqua di sentina.
Sollevò alto il ronzino del mare
tutt'uno con i remi
e la gottazza.
Portò fino alla fattoria
il porco delle onde dello jǫtunn,
attraverso la conca (?)
dell'aspro crinale.
Nota
  28 Ok enn jǫtunn
um afrendi,
þrágirni vanr,
við Þór sennti,
kvað-at mann ramman,
þótt róa kynni
krǫfturligan,
nema kálk bryti.
E tuttavia lo jǫtunn
sulla forza fisica
con fare polemico
opinò con Þórr.
Negava che un uomo fosse forte,
anche se remava
vigorosamente,
a meno che infrangesse il calice.
Nota
  29 En Hlórriði,
er at hǫndum kom,
brátt lét bresta
brattstein gleri;
sló hann sitjandi
súlur í gǫgnum;
báru þó heilan
fyr Hymi síðan.
E Hlórriði,
appena [il calice] gli arrivò in mano,
mandò in pezzi
[colpendo] col vetro la ripida pietra.
Da seduto
scagliò [il calice] contro le colonne
ma intatto lo riportarono
subito dopo a Hymir.
Nota
  30 Unz þat in fríða
frilla kenndi
ástráð mikit,
eitt er vissi:
“Drep við haus Hymis,
hann er harðari,
kostmóðs jǫtuns
kálki hverjum”.
Fin quando la leggiadra
frilla gli svelò
un prezioso segreto,
noto solo a lei:
“Colpisci il cranio di Hymir!
È più dura la testa
di uno jǫtunn satollo
di qualsiasi calice”.
 
  31 Harðr reis á kné
hafra dróttinn,
færðisk allra
í ásmegin;
heill var karli
hjalmstofn ofan,
en vínferill
valr rifnaði.
Saldo sorse sui ginocchi
il signore dei caproni:
intero chiamò a raccolta
il suo ásmeginn.
Intatto era al karl
il sostegno dell'elmo:
ma la coppa del vino,
rotonda, era in pezzi.
Nota
  32 "Mǫrg veit ek mæti
mér gengin frá,
er ek kálki sé
ór knéum hrundit.”
karl orð of kvað:
knákat ek segja
aftr ævagi,
þú ert, ǫlðr, of heitt.
“Un tesoro di grande
pregio ho perduto,
ora che vedo il calice
strappato dai miei ginocchi.”
E il karl aggiunse queste parole:
“Ora non potrò dire
mai più,
ǫl, eccoti pronta!
Nota
  33 Þat er til kostar,
ef koma mættið
út ór óru
ǫlkjól hofi."
Týr leitaði
tysvar hræra;
stóð at hváru
hverr kyrr fyrir.
Ma c'è ancora una prova!
Che riusciate a uscire
fuori dal nostro santuario
con la barca della birra”.
Týr tentò
due volte di smuoverlo:
immobile per due volte
il calderone gli restò davanti.
Nota
  34 Faðir Móða
fekk á þremi
ok í gegnum steig
gólf niðr í sal;
hóf sér á hǫfuð upp
hver Sifjar verr,
en á hælum
hringar skullu.
Il padre di Móði
l'afferrò per il bordo
e sprofondò coi piedi
nel pavimento della sala.
Si mise sul capo
il calderone, l'uomo di Sif:
ai calcagni
gli tintinnavano gli anelli.
Nota
La fuga 35 Fóru[-t] lengi,
áðr líta nam
aftr Óðins sonr
einu sinni;
sá hann ór hreysum
með Hymi austan
folkdrótt fara
fjǫlhǫfðaða.
Non avevano viaggiato a lungo
che si voltò indietro
il figlio di Óðinn
tutt'a un tratto.
Vide dalle dimore rocciose,
da oriente, con Hymir
una schiera avanzare
dalle molte teste.
Nota
  36 Hóf hann sér af herðum
hver standanda,
veifði hann Mjǫllni
morðgjǫrnum fram,
ok hraunhvala
hann alla drap.
Si tolse dalle spalle
il calderone, fermandosi.
Brandì Mjǫllnir,
assetato di sangue,
e le balene delle petraie
colpì tutte a morte.
Nota
  37 Fóru-t lengi,
áðr liggja nam
hafr Hlórriða
halfdauðr fyrir;
var skær skǫkuls
skakkr á beini,
en því inn lævísi
Loki of olli.
Non avevano viaggiato a lungo
che stramazzò
un caprone di Hlórriði,
mezzo morto;
il destriero della stanga si era
slogato un osso:
di ciò il maestro d'inganni,
Loki, era la causa.
Nota
  38 En ér heyrt hafið,
- hverr kann of þat
goðmálugra
gǫrr at skilja? -
hver af hraunbúa
hann laun of fekk,
er hann bæði galt
bǫrn sín fyrir.

Voi avete ben udito,
- e chi può questo
più di chi conosce le storie degli dèi
compiutamente narrare? -
quale, dall'abitatore delle pietraie,
indennizzo ricevette:
[Egill] gli dette in cambio entrambi
i suoi figli.

Nota
Ǫl per tutti gli dèi 39 Þróttǫflugr kom
á þing goða
ok hafði hver,
þanns Hymir átti;
en véar hverjan
vel skulu drekka
ǫlðr at Ægis
eitrhǫrmeitið.

Pieno di forza venne [Þórr]
al þing degli dèi
e aveva il calderone
appartenuto a Hymir.
Ora i santi dèi
potranno bere
ǫl presso Ægir,
nella stagione che uccide il serpente.

Nota
         

NOTE

1 — (a) Valtívar significa letteralmente «dèi dei caduti»; valar sono infatti i «caduti in battaglia» (cfr. Valkyrjur «[coloro che] scelgono i caduti»; Valhǫll «salone dei caduti»). Il termine ricorre soltanto qui e in Vǫluspá [52 | 63]; non ha tuttavia un significato particolare: intende semplicemente gli dèi di Ásgarðr. — (b) Il sostantivo femminile veiðr può significare «caccia» (come in Vǫlundskviða [4 | 8]) o «preda, cacciagione» (come in Reginsmál [pr.]). Di conseguenza la frase námu veiðar – attestata soltanto qui – può essere tradotta «andarono a caccia» o «presero selvaggina», ma anche nel senso di «banchettarono con delle selvaggina». I vari interpreti hanno presentato via via tutte le possibili interpretazioni su cosa stessero facendo gli dèi: «banchettarono insieme» [made feast together] (Bellows); «avevano preso abbondante selvaggina» [had game in abundance] (Auden & Taylor); o addirittura «avevano pescato del pesce» [had been taking fish] (Thorpe). Tra gli interpreti italiani, Olga Gogala di Leesthal traduce «mangiavan gli dèi selvaggina» (Di Leesthal 1939) e Carlo Alberto Mastrelli «mangiavano della selvaggina» (Mastrelli 1951); ma Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli preferiscono «presero selvaggina» (Scardigli ~ Meli 1982). Nella nostra traduzione, privilegiamo l'interpretazione del banchetto, che ci sembra più vicina alle intenzioni del testo, visto che subito dopo gli dèi vanno a cercare chi fornisca loro birra per dissetarsi. — (e-f) Hlaut è termine tecnico per indicare il sangue sacrificale. L'espressione è probabile contrazione di hlaut-blóð «divinazione [attraverso] il sangue», particolare pratica divinatoria nella quale dei ramoscelli [hlaut-teinar] venivano intinti nel sangue di un sacrificio e scossi [hrista-teina]: dalla forma delle macchie di sangue che così si formavano, si traevano auspici e previsioni per il futuro. (Cleasby ~ Vigfússon 1874). — (h) L'ultimo verso della prima strofa è un passo assai tormentato nell'interpretazione del poema, sul quale non sono state date due traduzioni uguali tra loro. Le prime traduzioni erano viziate dal malinteso suscitato da Sophus Bugge, il quale aveva emendato il verso (Bugge 1867), col risultato che gli interpreti successivi erano stati sviati sul suo significato. I traduttori inglesi avevano letto: «e trovarono ogni squisitezza nelle sale di Ægir» [and found all dainties in Ægir's halls] (Bray), o «trovarono vitto abbondante nella sala di Ægir» [rich fare in Ægir's hall they found] (Bellows 1923). Su questa linea anche gli interpreti italiani: «gran copia di tutto trovaron da Ægir» (Di Leesthal 1939); «appresero così che da Ägir c'era gran copia di tutto» (Mastrelli 1951); «trovarono da Ægir abbondanza di ogni bene» (Scardigli & Meli 1982). Ma in norreno hverr vuol dire «calderone», mentre ǫrkost è una parola piuttosto ambigua, potendo venir tradotta tanto come «risorsa, possibilità, modo di uscire da una situazione», ma anche «bisogno, necessità di qualcosa» e, per estensione, «insufficienza di qualcosa» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Quindi la frase ǫrkost hvera può venir letta nel senso sia che Ægir disponeva di calderoni e poteva quindi offrire agli dèi l'opportunità di dissetarsi, sia che, al perfetto contrario, Ægir non disponesse di calderoni per la birra. È quest'ultima l'interpretazione suggerita già da Cleasby e Vigfússon, i quali traducono: «non trovarono un calderone presso Ægir» [they found no cauldron by Ægir]. Ma se così fosse pare inoltre un po' incongruo che, nella strofa successiva, Þórr si rechi proprio da colui che il hlaut-blóð ha designato come sprovvisto di un calderone e a lui imponga di offrire da bere a tutti gli dèi. È più logico che la divinazione abbia designato Ægir come colui che possiede molti calderoni per la birra, presso il quale gli dèi potranno dissetarsi. Anche se, subito dopo, indignato dai modi poco urbani di Þórr, Ægir lo spedirà a cercare un calderone abbastanza capiente per fare birra per tutti gli dèi. Su questa linea traduce Eysteinn Björnsson: «e scoprirono abbondanza di calderoni presso Ægir» [and discovered an abundance of cauldrons at Ægir's] (Eysteinn 2003).Torna al testo

2 — (a) bergbúi, «abitatore dei monti», è una tipica kenning per «gigante», sebbene appaia piuttosto impropria riferita ad Ægir, personificazione dell'oceano. — (a-e) Sat... leit í augu, «la scena, dove Þórr trova Ægir seduto fuori della sua dimora e lo fissa negli occhi ricorda una scena analoga nella Vǫluspá, che ha per protagonisti Óðinn e la vǫlva:

Ein sat hon úti,
þás enn aldni kom
yggjungr ása
ok í augu leit.
Sola sedeva di fuori
quando il vecchio giunse
Yggjungr degli Æsir
e la fissò negli occhi.
Ljóða Edda > Vǫluspá [28]

— (b) barnteitr, letteralmente «felice come un bimbo», potrebbe forse riferirsi a una concezione dei giganti come semplici o stupidi (cfr. api «scimmia», in [20]) (Eysteinn 2003). Tale immagine, che contrasta con quella tradizionale degli jǫtnar quali esseri antichi e sapienti (esemplificata nel Vafþrúðnismál), è probabilmente tarda. La felicità di Ægir contrasta d'altra partecon il continuo malumore di Hymir (detto óteitr «infelice», in [25]). Si noti anche la ripetizione di barn «bimbo» al verso f. — (d) Miskorblindi, presentato qui come il padre di Ægir, non viene nominato in altre fonti. In genere Ægir viene detto figlio di Fornjótr e fratello di Logi e Kári (Supplementum Historiæ Norvegicæ [c1] | Orkneyinga saga [1] | Hversu Noregr byggðist). Il  nomen Miskorblindi, traducibile con «cieco nella nebbia», potrebbe essere un epiteto riferito tanto allo stesso Fornjótr che ad altri personaggi, ed Eysteinn Björnsson pensa piuttosto a Ymir. Nella sua traduzione Bellow scioglie il significato del nome  e rende l'intera frase come «sembrava simile a un cieco» [soon like a blinded man he seemed] (Bellows 1923). — (f) Yggs barn, «figlio di Yggr» (dove Yggr è un heiti di Óðinn) è una kenning per Þórr. — (g-h) Il ruolo di Ægir come birraio degli dèi è testimoniato in altri testi, soprattutto nel Lokasenna, dove gli Æsir si riuniscono a bere ǫl nella magione di Ægir (che Snorri afferma trovarsi nell'isola di Hlésey (Skáldskaparmál [1])). Il compilatore del Codex Regius ha collocato l'Hymiskviða prima del Lokasenna, considerando un testo propedeutico all'altro (v. introduzione [supra]▲). Anche Egill Skallagrímsson definisce Ægir «fabbro di birra» [ǫlsmiðr] (Sonatorrek [8]). Torna al testo

3 — (b) orðbæginn, espressione che compare solo qui e che significa più o meno «[colui che] provoca con le parole». Cleasby e Vigfússon traducono con tauting, «[colui che] insulta» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). — (e) Sifjar verr «uomo di Sif» è un'altra kenning per Þórr. Ritornerà nelle strofe [15] e [34]. È anche presente in Þrymskviða [24]. Torna al testo

4 — (e) Tryggð, «in fede, in verità, amichevolmente, in confidenza» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). — (f) Hlórriði, «[colui che] cavalca con fragore», un heiti di Þórr riferito al frastuono prodotto dalle ruote del suo carro, che è immagine metaforica del tuono tra le nuvole.Torna al testo

5 — Che la dimora di Hymir si trovasse «a oriente degli Élivágar» [fyr austan Élivága], «al limite del cielo» [at himins enda], è un'interessante precisazione cosmologica. I fiumi cosmici Élivágar, in questo caso, sembrano indicare l'úthaf, l'oceano esterno nel quale Jǫrmungandr circonda il mondo. In quanto alla formula «alla fine del cielo» [at himins enda], viene utilizzata in Vafþrúðnismál [37] per indicare il luogo da dove l'aquila Hræsvelgr produce i venti che soffiano sulla terra (luogo collocato da Snorri nell'estremo settentrione (Gylfaginning [18])). Entrambe le nozioni sembrano indicare l'orizzonte, il punto dove la terra finisce e dove l'oceano esterno diviene una nozione astronomica, forse affine all'equatore celeste o all'eclittica. Snorri utilizza la medesima formula anche per indicare il luogo dove sorge Himinbjǫrg, la dimora dove Heimdallr sta di sentinella, all'estremità celeste del ponte Bifrǫst (Gylfaginning [17 | 27]). ① — (e) Týr dichiara che Hymir sia suo padre; nel seguito del racconto compariranno anche sua madre e sua nonna. Questa notizia contrasta con un'affermazione di Snorri che, nell'elencare le kenningar di Týr, definisce quest'ultimo son Óðins «figlio di Óðinn» (Skáldskaparmál [16]), notizia piuttosto frettolosa e non altrimenti giustificata. Che Týr sia figlio di uno jǫtnar, sulla base degli elementi forniti dall'Hymiskviða, sembra difficile da negare. Nondimeno alcuni interpreti hanno cercato di «ammorbidire» tale scomoda discendenza: è il caso di Lee Milton Hollander che ha emendato il testo del poema sostituendo, in traduzione, father con kinsman, segnalando peraltro in nota che la sposa di Hymir potesse essere una dea unita al gigante contro la sua volontà (Hollander 1928). ② — (g) rúmbrugðinn è «esageratamente vasto». — (h) Il rǫst, o «miglio» vichingo, sembra misurasse poco più di 11 km. Torna al testo

6 — (c) Vél è «artificio, artigianato», ma anche «trucco, astuzia, inganno». Il verbo véla (o væla) ha, come significato principale, «frodare, imbrogliare» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). — Sia nel Codex Regius (ms. R), sia nel Codex Arnamagnæanus (ms. A), questa strofa e alcune delle successive vengono ripartite in maniera piuttosto irrazionale: [6-7¹ | 7²-8¹ | 8²-9¹ | 9²-10¹ | 10²-11] (i numeri in esponente indicano gli helmingar). Torna al testo

7 — (a-b) Il Codex Arnamagnæanus (ms. A) riporta una piccola variazione nel secondo semiverso che cambia, sebbene di poco, il senso del verso: «Viaggiarono decisi / velocemente tutto il giorno» [fóru drjúgan / dag fráliga]. — (c) Questa è una delle due sole occorrenze del toponimo Ásgarðr nella Ljóða Edda; l'altra è in Þrymskviða [18]. Un'altra indicazione che, nel corpus eddico, l'Hymiskviða e la Þrymskviða sono da considerarsi le due composizioni più tarde, risalenti forse all'XI secolo, un'epoca in cui la letteratura gnomico-sapienziale dei þulir aveva lasciato il posto alle ballate mitologiche. — (d) Il nome di Egill è attestato come <Egils> nel Codex Regius (ms. R), ma appare nella lezione <Ægis> nel Codex Arnamagnæanus (ms. A). Il lapsus scribale è probabilmente dovuto al fatto che la scena si è spostata dalla dimora di Ægir a quella di Egill; l'errore potrebbe anche essere indicativo di una possibile natura soprannaturale, jǫtunica, dello stesso Egill. (Eysteinn 2006) — (d-f) Il testo non specifica la ragione per cui Þórr e Týr lascino carro e caproni a casa di Egill. Per Þórr è evidentemente impossibile proseguire con il carro attraverso l'úthaf, che qui sembra identificarsi con i fiumi cosmici Élivágar. Non dimentichiamo che Þórr è quotidianamente costretto a guadare una serie di fiumi celesti (l'Ǫrmt, il Kǫrmt e i due Karlaugar) per recarsi al þing degli Æsir, perché il suo carro non può accedere al ponte Bifrǫst, né, evidentemente, può oltrepassare quei corsi d'acqua (Grímnismál [29]). La sosta presso Egill è forse legata a qualche ragione analoga: carro e caproni non possono guadare gli Élivágar e arrivare at himins enda, «al limite del cielo». (Eysteinn 2003). Si noti che una situazione analoga si verifica durante il viaggio di Þórr verso Útgarðr, narrato da Snorri (Gylfaginning [44]): anche qui il dio del tuono parcheggia carro e caproni alla dimora di un anonimo fattore – in un episodio che è chiaramente un doppione di questo presente nell'Hymiskviða – prima di attraversare l'úthaf. ① Torna al testo

8 — Il contrasto tra la bellezza della madre di Týr e la bruttezza della nonna non potrebbero essere più contrastanti. Da qui, le ipotesi di vari studiosi: ad esempio, che la nonna fosse paterna e non materna; oppure che la madre di Týr fosse una dea andata in sposa ad Hymir contro la sua volontà (Hollander 1928) (v. nota 5 [infra]). Tali ipotesi non sono d'altra parte necessarie: gli dèi discendono dai giganti, com'è il caso dello stesso Óðinn, e le figlie degli jǫtnar possono essere, a volte, di abbagliante bellezza, quali Gerðr e Skaði. — (f-g) L'espressione allgullin «tutta d'oro» è pure usata per le mele di Iðunn in Skírnismál [19], mentre brúnhvít «bianche sopracciglia» è un hápax, ma può essere confrontato con il pressoché identico bráhvít «bianche ciglia» in Vǫlundarkviða [39]. Un analogo schema cromatico è attesto in Hárbarðsljóð [30], dove una signora è detta essere línhvít «bianca come il lino» e gullbjört «lucente come l'oro». Torna al testo

9 — (c e h) Hugr, un termine dall'ampio arco semantico: «intelligenza, animo, coraggio»; indica in un certo senso le qualità raziocinanti e spirituali dell'individuo. Il gigante Hugi, che nel racconto di Snorri sfida Þjálfi in una gara di corsa, si rivela essere l'emanazione dell'hugr di Útgarðaloki (Gylfaginning [46-47]). In questo caso, ai due æsir, detti hugfulla, «pieni di hugr», quindi di senno, coraggio, intelligenza, si contrappone Hymir, ills hugar, «di cattivo, malevolo hugr». — (e) fríi è «amante, marito, compagno»; curiosamente la lezione <mí frí> è presente solo nel Codex Regius (ms. R); il Codex Arnamagnæanus (ms. A) ha invece <min fað> (abbreviazione di minn faðir, «mio padre»). Tra gli studiosi, Finnur Jónsson accoglie la seconda lettura, sebbene lo costringa a emendare faðir («padre») in afi («nonno») nella strofa [5] (Jónsson 1926). Eysteinn Björnsson si chiede ironicamente perché sia tanto difficile accettare che Týr sia áttniðr jǫtna, «prole di giganti», così come lo saluta la madre nel primo semiverso di questa strofa (Eysteinn 2003). Torna al testo

10 — (a) váskapaðr è un termine abbastanza problematico: è, letteralmente, «pericolo, sfortuna», da cui l'interpretazione di Guðni Jónsson «colui che causa pericolo, sfortuna» (Eysteinn 2003). Gustav Neckel e Hans Kuhn, nel glossario alla loro edizione dell'Edda, rendono la parola con «deforme» (Neckel ~ Kuhn 1962). Torna al testo

11-19 — Nelle seguenti strofe l'argomento del secondo helming si conclude ogni volta nel primo helming della strofa successiva. Per tale ragione seguiamo qui la suddivisione delle strofe secondo il suggerimento di Gustav Neckel: [11¹ | 11²-12¹ | 12²-13¹ | 13²-14¹ | 14²-15¹ | 15²-16¹ | 16²-17¹ | 17²-18¹ | 18²-19¹ | 19²] (Neckel 1962). Torna al testo

11¹frilla è contrazione di friðla, «amica, compagna, concubina». — (b) í hugum góðum, «in buon hugr», contrasta con l'ills hugar, «di cattivo hugr», della strofa [8]. — (c-f) sonr [...] sá er vit vættum, «il figlio [...] che abbiamo atteso»: in questo duale vit (che include Hymir e la sua frilla), così come nella giustapposizione di sonrsala þinna (che implica «tuo figlio»), Eysteinn Björnsson vede citato un mito perduto. L'impressione è che Týr abbia abbandonato la sua casa molto tempo prima e sia andato a vivere in Ásgarðr, forse in qualità di ostaggio (Eysteinn 2003). Non dimentichiamo tuttavia che è stato Týr stesso a consigliare Þórr di agire con l'inganno e l'astuzia nei confronti di Hymir : un dettaglio che fa pensare a un rapporto non certo idilliaco tra padre e figlio. Torna al testo

11²-12¹ — (h) Hróðrs andskoti, “l'avversario di Hróðr”: una kenning di Þórr, dove Hróðr è probabilmente il nome di un gigante abbattuto dal dio-tuono, sul quale non abbiamo altre notizie. Questo nome è affine all'altrettanto problematico Hróðvitnir, epiteto di Fenrir in Grímnismál [39]. Una relazione tra le lezioni Fenrisulfr e Hróðvitnir (letteralmente «lupo di Fenrir» e «lupo di Hróðr») potrebbe far pensare che Fenrir sia identico a Hróðr. Ma se anche questo fosse vero, rimane il fatto che Þórr è avversario escatologico del serpente, non del lupo. Il nomen Hróðr potrebbe però essere stato usato solo come sinonimo di «gigante». — (j) Véurr, «protettore del santuario», è un heiti di Þórr presente solo in questo poema (cfr. le strofe [17 | 21]). L'espressione Miðgarðs véurr, «protettore di Miðgarðr», compare in Vǫluspá [57], ma qui véurr non sembra essere un nome proprio. Le lezioni Véuðr e Harðvéurr sono attestate nella þula dei Þórs heiti. — (a-d) Seguendo gli ordini della padrona di casa, Þórr e Týr si sono disposti sul fondo della hǫll [salar gafli], dietro una colonna [súla], sotto una trave [áss], da cui pendono alcuni paioli. Era dunque questo il senso del consiglio della madre di Týr, quando aveva suggerito ai due æsir di andare a mettersi «sotto i paioli» (non, dunque, di nascondersi all'interno dei paioli rovesciati). Torna al testo

12²-13¹ — (e-h) I paioli sono otto o nove? Dipende dal senso che diamo al verbo stǫkkva che vuol dire «saltar via, far volare, lanciare, rimbalzare, spruzzare». Se leggiamo stukku átta come «saltarono via otto [paioli]», il testo indica che solo uno rimane intatto; se intendiamo stǫkkva come «rompere, spezzare», allora quello che rimane intatto è ovviamente un nono paiolo. Se rimaniamo fedeli al significato principale di stǫkkva, sono otto i paioli che saltano via dal trave e «uno solo di questi» [en einn af þeim] non si rompe nell'urto. Torna al testo

13²-14¹ — (c) gýgjar græti, «[colui che] fa piangere le donne dei giganti» (gýgr è termine specifico per gigantessa, strega, femmina troll): kenning per Þórr. Torna al testo

14²-15¹ — (g) senn, «subito; il Codex Arnamagnæanus (ms. A) presenta invece la lezione <svn>, che potrebbe essere tanto un lapsus del copista, quanto un accusativo di sunr (variante di sonr, «figlio»); in questo caso il senso della frase verrebbe ad essere: «lo jǫtunn ordinò al figlio [Týr] che andasse a cucinarli». — (c) seyðir, una sorta di forno di terra, dove la carne veniva messa a cuocere tra le pietre infuocate; la fossa veniva poi ricoperta fino alla completa cottura. Torna al testo

15²-16¹ — (f) Át [...] øxn tvá, «divorò due buoi»: lo smodato appetito di Þórr è un tratto tipico del dio-tuono, ben presente anche nei personaggi omologhi in altre mitologie. In Þrymskviða [24], Þórr mangia un bue intero. L'aver raddoppiato la porzione, in questo testo, è forse un indizio che il poeta dell'Hymiskviða aveva ben presente l'altro carme e procede esagerando, con voluta ironia, il motivo ben noto della voracità di Þórr. Inoltre, non solo l'áss divora due buoi, ma li ingoia með ǫllu, «con tutto quanto», cioè carne, ossa, grasso (analogamente a come si comporta Logi in Gylfaginning [46]). Contribuisce alla vis comica della scena l'indispettita contrarietà di Hymir. — (b) Hrungins spjalla, «confidente di Hrungnir», una ovvia kenning per indicare Hymir, dove Hrungnir è in gigante ucciso da Þórr in Skáldskaparmál [25-26]; spjalli è colui che parla, bisbiglia si confida a un amico. Torna al testo

17²-18¹ — (g) berg-Danir, «Danesi delle montagne»: curiosa kenning per «gigante», che il compositore cita probabilmente da Þjóðólfr ór Hvíni, il quale la usa con intento polemico (Haustlǫng [18]); il «distruttore dei Danesi delle montagne» è Þórr. — (b) þurs ráðbani, «uccisore dei þursar [giganti]», altra kenning per indicare Þórr. Nel diritto scandinavo, il ráðbani è però colui che complotta, pianifica, suggerisce l'omicidio, opposto all'handbani, che ne è l'esecutore materiale. L'uso di questa parola sembra implicare che, nel caso di Þórr, uccidere i giganti non sia soltanto una questione di hýbris, ma un'azione perseguita e compiuta deliberatamente. La responsabilità del dio del tuono è dunque ideologica. Torna al testo

18²-19¹ — (e) sveinn, «ragazzo, giovane»: questo sostantivo, attribuito a Þórr, così come il mǫgr, «figlio», attribuito a Týr nella strofa [8], sottolineano la giovane età degli æsir rispetto alla solenne antichità degli jǫtnar, nati all'inizio del mondo. — (c-d) hátún ofan / horna tveggja, “l'alta fortezza delle due corna”: kenning per indicare la testa del toro. — Snorri, nella sua versione dell'episodio, fornisce il nome del bue, Himinhrjótr, e aggiunge che era il più grande della mandria di Hymir:

Hann spurði Ymi hvat þeir skyldu hafa at beitum, en Ymir bað hann fá sér sjálfan beitur. Þá snerisk Þórr á braut þangat er hann sá øxnaflokk nǫkkvorn er Ymir átti. Hann tók hinn mesta uxann, er Himinhrjótr hét, ok sleit af hǫfuðit ok fór með til sjávar. Chiese dunque a Hymir che cosa avrebbero usato come esca, e Hymir gli disse di procurarsi da solo la sua. Þórr si allontanò e si recò dove aveva visto la mandria di buoi che apparteneva a Hymir. Prese il bue più grande, chiamato Himinhrjótr, gli mozzò la testa e la portò con sé verso il mare.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [48]

Nel nostro testo non viene detto che il toro ucciso da Þórr fosse il più grande o il preferito di Hymir, sebbene il rancore e il malanimo dello jǫtunn, nella battuta successiva, siano più che manifesti. Torna al testo

19²Hymir rimprovera a Þórr di combinare guai sia quando siede tranquillo a cena (mangiando spropositatamente), sia quando si accinge a compiere qualche lavoro (uccidendo in questo caso il toro, azione che giudica assai peggiore). — (g) kjóla valdi, «padrone delle navi». Quasi tutti i traduttori considerano questa espressione una kenning per Þórr, sebbene non si conosca alcuna ragione che giustifichi tale epiteto (Thorpe 1866 | Bellows 1923 | Hollander 1962 | Larrington 1996); anche Patricia Terry, che traduce impropriamente lord of sea, attribuisce tale espressione a Þórr (Terry 1969). Questa è anche la soluzione dei traduttori italiani: «nocchier del naviglio» (Di Leesthal 1939); «signore delle chiglie» (Mastrelli 1951); «signore delle navi» (Scardigli ~ Meli 1982). Il sostantivo valdi è variante di valdr, espressione del Lexicum Poëticum che Cleasby e Vigfússon traducono con wielder, keeper (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Ma come nota Eysteinn Björnsson, valdi potrebbe anche essere un dativo: dunque non «o padrone delle navi» (vocativo), ma «al padrone delle navi». In tal caso Hymir si riferisce a sé stesso, non a Þórr. Il parlare di sé stessi in terza persona non è inconsueto nella letteratura nordica. (Eysteinn 2003) — Se il proposto riassemblamento degli helmingar delle strofe [11-19] rispecchia l'originale distribuzione dei versi, allora la strofa [19] è difettiva. La supposta lacuna, che in tal caso interessa un intero helming, riguarderebbe la partenza della barca. L'episodio è presente in Snorri con un breve passaggio:

Hafði þá Ymir út skotit nǫkkvanum. Þórr gekk á skipit ok settisk í austrrúm, tók tvær árar ok røri, ok þótti Ymi skriðr verða af róðri hans. Hymir aveva già spinto in acqua il nǫkkvi. Þórr salì in barca e si sedette a poppa, prese due remi e cominciò a remare. A Hymir parve che le sue vogate producessero una buona velocità.
Hymir reri í hálsinum fram ok sóttisk skjótt róðrinn. Sagði þá Hymir at þeir váru komnir á þær vaztir er hann var vanr at sitja ok draga flata fiska. En Þórr kvezk vilja róa miklu lengra, ok tóku þeir enn snertiróðr. Sagði Ymir þá at þeir váru komnir svá langt út at hætt var at sitja útar fyrir Miðgarðsormi. En Þórr kvezk mundu róa eina hríð, ok svá gerði, en Hymir var þá allókátr. Hymir remava a prua e la navigazione procedeva spedita. A un certo punto Hymir disse che erano giunti nelle acque dove intendeva fermarsi a pescare sogliole, ma Þórr disse che voleva spingersi ancora più al largo e fecero un altro breve sforzo. Osservò allora Hymir che erano giunti così lontano che sarebbe stato pericoloso spingersi oltre per via del Miðgarðsormr, ma Þórr rispose che intendeva andare avanti ancora un poco, e procedette. Hymir era molto turbato.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [48]

In realtà nulla prova che vi sia realmente una lacuna in questo punto, tanto più che il passaggio di Snorri non comprende alcun episodio significativo. Questi «salti» narrativi sono piuttosto comuni nelle composizioni eddiche.Torna al testo

20 — Questa strofa presenta tre kenningar animali nei primi tre versi. — (a) hlunngoti, «destriero dei rulli», kenning per «nave». I hlunnar erano i rulli su cui si facevano scivolare le imbarcazioni quando venivano varate; avevano questo nome anche i supporti su cui venivano deposte le chiglie delle navi quando venivano tirate in secca; goti indica in questo caso un «cavallo gotico», un destriero particolarmente apprezzato dai popoli germanici. Goti era anche un nome proprio comunemente dato ai cavalli (cfr. il destriero di Gunnarr nella Vǫlsunga saga). In letteratura sono attestate molte analoghe kenningar per «nave»: hlunndýr, hlunnfákr, hlunnjór, hlunnvigg, hlunnvitnir, hlunnvísundr (rispettivamente «cervo, ronzino, stallone, destriero, lupo, bisonte dei rulli»). — (b) hafra dróttinn, «signore dei caproni», kenning per Þórr. — (c) áttrunnr apa, «congiunto di scimmia», kenning per «jǫtunn». — (e-h) L'Hymiskviða non spiega la scarsa voglia di continuare a remare manifestata da Hymir. Snorri spiega invece che lo jǫtunn temeva di spingersi troppo al largo per paura di incontrare Jǫrmungandr:

Sagði Ymir þá at þeir váru komnir svá langt út at hætt var at sitja útar fyrir Miðgarðsormi. En Þórr kvezk mundu róa eina hríð, ok svá gerði, en Hymir var þá allókátr. Osservò allora Hymir che erano giunti così lontano che sarebbe stato pericoloso spingersi oltre per via del Miðgarðsormr, ma Þórr rispose che intendeva andare avanti ancora un poco, e procedette. Hymir era molto turbato.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [48]

Snorri anticipa che lo scopo della spedizione di Þórr era proprio chiudere i conti con il Miðgarðsormr. Nel poema, invece, l'incontro del dio del tuono con il serpente non viene mai premesso e il momento in cui Jǫrmungandr abbocca all'amo appare come un improvviso coup de théâtre al centro di una trama di argomento apparentemente differente. Non si può tuttavia negare che, nel procurarsi un'esca tanto particolare, Þórr accarezzasse un suo progetto particolare, di cui non aveva fatto parola con nessuno.Torna al testo

21 — Il prendere all'amo due balene è qui come una divertente esagerazione. Un risultato ben diverso da quanto scriveva Snorri nel Gylfaginning dove Hymir intendeva piuttosto pescar sogliole. D'altre parte, l'Hymiskviða descrive Hymir come un essere minaccioso, di statura possente e di carattere malevolo e violento, cosa che rende piuttosto comica la sua continua insofferenza di fronte ai continui guai che gli combina Þórr. Snorri, invece, tratteggia Hymir come un personaggio piuttosto pavido e remissivo: quasi una vittima di Þórr, piuttosto che un suo antagonista. Torna al testo

22 — Questa scena è, nella Prose Edda, perfettamente analoga:

Miðgarðsormr gein yfir oxahǫfuðit en ǫngullinn vá í góminn orminum. En er ormrinn kendi þess, brá hann við svá hart at báðir hnefar Þórs skullu út á borðinu. Þá varð Þórr reiðr ok fǿrðisk í ásmegin, spyrndi við svá fast at hann hljóp báðum fótum gǫgnum skipit ok spyrndi við grunni, dró þá orminn upp at borði. En þat má segja at engi hefir sá sét ógurligar sjónir, er eigi mátti þat sjá er Þórr hvesti augun á orminn en ormrinn starði neðan í mót ok blés eitrinu. Il Miðgarðsormr ingoiò la testa del bue, ma l'amo si conficcò nelle fauci del serpente. Quando il serpente se ne accorse, tirò con tanta forza che entrambi i pugni di Þórr urtarono contro il bordo della barca. Þórr era furioso, crebbe nel suo ásmegin e si piantò con tanta forza che sfondò la barca con entrambi i piedi e colpì il fondale del mare e tirò quindi il serpente su a bordo. Si può ben dire che non abbia mai assistito a scene terribili chi non vide con quali occhi Þórr guardava il serpente, che lo fissava dal basso, stillando veleno.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [48]

Unica differenza, in Snorri Þórr sfonda la chiglia del nǫkkvi e arriva a urtare con i piedi il fondale dell'oceano. Nella lotta con il serpente, il dio del tuono sembra assumere una statura cosmica, quasi una premessa al combattimento escatologico tra i due avversari, destinato a concludersi nell'atmosfera apocalittica del ragnarǫk. Torna al testo

23 — (b) dáðrakkr Þórr («il vigoroso Þórr»): questo verso difettivo, di tre sillabe, fa pensare alla presenza di una forma arcaica Þóarr (< *Þonarr); cfr. gammleið Þóarr skǫmmum (Þórsdrápa [2]) (Eysteinn 2003). — (f) háfjall skarar, «sommo della chioma»: una kenning per indicare la testa. In particolare, skǫr è una chioma tagliata a scodella intorno al capo, secondo un'acconciatura tipicamente medievale: termine usato unicamente per la capigliatura maschile, mai femminile (Eysteinn 2003). L'espressione è quanto mai incongrua per indicare la testa di un rettile. — (g) hnít-broðir, «fratello di scontri»; espressione non facile da decifrare: il verbo hníta vuol dire «scontrarsi, battersi, ferirsi a morte»; la radice hnít- viene usata in diverse kenningar per indicare la battaglia (es. hnit-hjǫrva, «scontro di spade», hnit-fleina, «scontro di aste»). Tuttavia il serpente Jǫrmungandr e il lupo Fenrir non sono solo fratelli carnali, figli di Loki ingravidato dal cuore di Angrboða, ma si schiereranno fianco a fianco nel ragnarǫk per combattere rispettivamente contro Þórr e Óðinn. — Anche in Snorri Jǫrmungandr torna a sprofondare nell'oceano, ma a causa dell'intervento di Hymir:

Þá er sagt at jǫtunninn Hymir gerðisk litverpr, fǫlnaði ok hræddisk er hann sá orminn ok þat er særinn fell út ok inn of nǫkkvann. Ok í því bili er Þórr greip hamarinn ok fǿrði á lopt, þá fálmaði jǫtunninn til agnsaxinu ok hjó vað Þórs af borði, en ormrinn søktisk í sæinn. En Þórr kastaði hamrinum eptir honum, ok segja menn at hann lysti af honum hǫfuðit við grunninum, en ek hygg hitt vera þér satt at segja at Miðgarðsormr lifir enn ok liggr í umsjá. En Þórr reiddi til hnefann ok setr við eyra Ymi, svá at hann steyptisk fyrir borð ok sér í iljar honum. En Þórr óð til lands. Si dice che lo jǫtunn Hymir divenne pallido, livido, e fu preso dal terrore quando vide il serpente, mentre l'acqua di mare si scaraventava dentro e fuori il nǫkkvi. Proprio quando Þórr afferrò il martello e lo sollevò in aria, il gigante prese il suo coltello da pesca e tagliò la lenza di Þórr dal capo di banda, così il serpente sprofondò di nuovo nel mare. Þórr gli scagliò dietro il martello e alcuni dicono che gli abbia staccato la testa sotto le onde, ma io penso invece che il Miðgarðsormr sia ancora vivo e giaccia sul fondo del mare che circonda la terra. Þórr roteò quindi il pugno e lo affibbiò all'orecchio di Hymir, tanto da farlo volare fuori dalla barca e vedere le piante dei suoi piedi. Poi Þórr guadò fino a terra.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [48]

Snorri trae le sue fonti da alcune composizioni scaldiche, da lui stesso citate nello Skáldskaparmál: in particolare la Ragnarsdrápa di Bragi Boddason (IX sec.), tramandata integralmente, l'Húsdrápa di Úlfr Uggason (~ 985), di cui conosciamo alcune strofe, più altri poemi degli scaldi Ölvir hnúfa (IX sec.), Gamli gnævaðarskáld (X sec.) ed Eysteinn Valdason (~ 1000), di cui sono pervenuti solo pochi frammenti. Per i dettagli si veda il relativo articolo. ①Torna al testo

24 — (a) Hréingálkn è un hápax apparentemente costituito da hréinn «renna» e gálkn «bestia, mostro» (parola forse derivata a sua volte da una radice lappone (Cleasby ~ Vigfússon 1874)); da qui alcune interpretazioni che hanno reso il termine come una kenning per «lupo» (Scardigli ~ Meli 1982). Una ragionevole alternativa è considerare il termine una deformazione da hraungalkn (Mastrelli 1951), dove hraun, di solito tradotto con «asperità, pietraia», indica gli sterili campi di lava del paesaggio islandese. Altri hanno emendano il termine in hranngálkn, da hrǫnn «onda», dunque «mostri marini» (Di Leesthal 1939). Su questa linea, Larrington ha interpretato la parola come sea-wolf, «lupo di mare», sebbene il ragionamento non sia molto chiaro (Larrington 1996). In precedenza, Benjamin Thorpe aveva addirittura letto «icebergs» (Thorpe 1866). Per concludere, i traduttori si sono alternati tra tre possibilità: «bestie delle renne» (cioè «lupi»), «mostri dei luoghi selvaggi» (kenning per «giganti»?) e «mostri marini». Si noti tuttavia che il verbo hlumdu, «rimbombare, risuonare», è raramente applicato a esseri viventi, siano essi animali o mostri. Torna al testo

26 — (e) flotbrúsa, «caprone dei flutti»; kenning per «barca». Torna al testo

27 — (c) austr è l'acqua di sentina depositata sul fondo dell'imbarcazione; così, l'austker o austrsker citato pochi versi più in basso è la gottazza, ovvero la paletta di legno utilizzata per liberare la barca dall'acqua (aggottaggio). — (d) lǫgfákr, «ronzino del mare»: kenning per «barca»; fákr è un cavallo monorchide (Cleasby ~ Vigfússon 1874). — (i-j) holtriða hver, il significato di questa espressione è poco chiaro ed è possibile che il testo sia corrotto (il ms. R riporta la lezione holtriba, che è senza senso). Si ritiene che *holtrið significhi «crinale boscoso» (Cleasby ~ Vigfússon 1874), ma non è facile capire il senso dell'associazione di questa parola con il successivo termine hver(r), «calderone». S'intende che Þórr sta portando le balene al calderone di Hymir, dove dovranno essere bollite? Improbabile: nell'Hymiskviða il hverr sembra deputato unicamente alla fabbricazione della birra e i tre buoi della sera precedente erano stati cotti nel seyðir. Altra possibilità – ed è perlopiù questa la scelta dei traduttori – è che hverr indichi una concavità del terreno sotto il crinale, sulla strada per la fattoria di Hymir. La corruttela del testo non permette di sciogliere il significato preciso dei due versi. Torna al testo

28 — (h) kálk, «calice». Forestierismo dal latino calix, attraverso l'antico inglese calic. Il termine ricorre anche in Atlakviða [35], in Sigurðarkviða in skamma [29] e in Rígsþula [32]. Da sottolineare il hrímkálkr fullr forns mjaðar, «calice di brina colmo dell'antico mjǫðr», offerto da Gerðr a Skírnir in Skírnismál [37], come anche, con identica formula, da Sif a Loki in Lokasenna [53]. Il kálk di Hymir è ovviamente un oggetto magico, composto in vetro e cristallo, ma reputato infrangibile. Torna al testo

29 — (d) brattstein, «ripida pietra»: l'espressione può indicare tanto la parete rocciosa di una caverna, quando una colonna o un pilastro. Nel primo caso, Þórr lancia il calice dapprima contro la parete, danneggiando quest'ultima, poi contro le colonne della hǫll (le quali erano solitamente di legno). È tuttavia probabile che i due helmingar di questa strofa riportino un medesimo evento: Þórr ha dunque lanciato il calice di vetro una sola volta, spaccando una colonna, o forse un pilastro di pietra, mentre il calice torna intatto nelle mani di Hymir. Torna al testo

31 — Curiosa la costruzione di questa strofa, nella quale Þórr colpisce con il calice il cranio di Hymir. Il colpo, vibrato tra una semistrofa e l'altra, non viene infatti narrato, come se gli spettatori non fossero riusciti a vederlo, né il poeta a narrarlo, tanto è stato fulmineo. Nel primo helming il dio del tuono sta chiamando a raccolta tutta la sua potenza per scagliare il calice e nel secondo helming già ne stiamo vedendo i risultati: il proiettile è arrivato a segno, il cranio dello jǫtunn ha incassato il colpo e il calice è in frantumi. — (d) ásmeginn, la «potenza divina» caratteristica degli Æsir. — (f) hjalmstofn, «sostegno dell'elmo»: kenning per «testa». Torna al testo

32 — (h) þú ert, ǫlðr, of heitt, letteralmente «sei tu, birra, già fermentata»; il verbo heita è infatti «fabbricare [birra]». Questa frase potrebbe essere letta in diversi sensi. Forse il calice che è appena andato in frantumi aveva la magica virtù di riempirsi di birra al comando di Hymir: un motivo fiabesco ben noto. Tuttavia nel nostro racconto l'inesauribile recipiente di ǫl non è il calice, ma il calderone. Dunque Hymir ha perduto il suo magico calderone in una sorta di scommessa? La sfida formulata nella strofa successiva va in questa direzione. Torna al testo

33 — (a) kostr «condizione, prova, termini», ma anche «opportunità, possibilità, chance». — (d) ǫlkjól, «barca della birra», dove kjóll indica un'imbarcazione da trasporto, una sorta di chiatta larga e piatta: l'espressione è una kenning per «calderone». Inoltre, la dimora di Hymir, precedentemente definita hǫll («sala») [7]salr («sala») [10 | 12]bær («fattoria») [26 | 27], è qui chiamata hof, «santuario», probabilmente in senso ironico. Torna al testo

34 — (a) Faðir Móða, «il padre di Móði», è una kenning per Þórr. — (c-d) ok í gegnum steig / gólf niðr í sal: quasi tutte le traduzioni di questa coppia di semiversi descrivono una fuga di Þórr attraverso la hǫll di Hymir. Così nelle traduzioni inglesi: «and before it stood on the floor below» (Bellows 1923); «strode down the hall and out the door» (Terry 1969); «and rolled it along down onto the hall floor» (Larrington 1996); ma anche in quelle italiane: «e scese dal podio fin giù nella sala» (Di Leesthal 1939); «ed attraversato l'atrio scese nella sala» (Mastrelli 1951); «e s'avviò verso l'atrio, giù nella sala» (Scardigli ~ Meli 1982). I nostri traduttori hanno dunque diviso la hǫll di Hymir in due parti: la salr, «sala», dove Þórr si impossessa del calderone, e il golf, tradotto con «atrio», dove Þórr si dirige subito per guadagnare la porta. In realtà, come nota Eysteinn Björnsson, i traduttori si sono scontrati con l'ambiguità della parola gólf, che vuol dire «stanza, appartamento, sala», ma anche, come significato principale, «pavimento». Dunque gólf i sal non è altro che il pavimento del salone. Invece il verbo stíga vuol dire, sì, «compiere dei passi» (cfr. inglese to step), ma anche in senso orizzontale e verticale, quindi «salire» [upp-stíga] e «scendere» [niðr-stíga]. Il movimento di Þórr, in questi due versi, non è dal fondo della sala verso la porta, ma dall'alto verso il basso, con i piedi che profondano nel pavimento. Commenta Eysteinn: «Sebbene il significato di queste parole sia ovvio, almeno ai parlanti islandese, esse sono state travisate e mal tradotte da un numero sorprendentemente alto di curatori e traduttori, nessuno dei quali era islandese [...]. L'espressione stíga niðr í gegnum gólf esprime un movimento strettamente verticale e non può essere inteso come «si mosse attraverso la sala», frase che esprime invece un movimento orizzontale. Eppure il significato di questo verso sarebbe stato immediatamente compreso, senza ombra di dubbio, da tutti gli islandesi» (Eysteinn 2003). A difesa dei traduttori va però notato che il correre subito verso le porte della hǫll di Hymir, trasportando il calderone, è un'azione perfettamente coerente con il contesto della narrazione, quasi ovvia nella meccanica del testo. Questo elemento di passaggio ora viene a mancare: nella strofa successiva, infatti, Þórr è già lontano dalla dimora di Hymir. Al contrario, lo sprofondare dei piedi di Þórr nel pavimento è solo una nota di colore, dal quale risultano tanto il peso del paiolo quanto la forza del dio del tuono, e non ha conseguenze sul resto della narrazione. — (g-h) Il calderone è talmente capiente che ricopre completamente Þórr e gli anelli fissati sul bordo – che venivano utilizzati come manici – gli tintinnano all'altezza dei piedi. Questa scena è ricordata nel Fyrsta Málfrǿðiritgerðirnar, il «Primo trattato grammaticale», dove, tra i molti esempi linguistici dove si evidenziano le coppie di consonanti contrastive della lingua norrena, ne leggiamo una che suona così:

H dó, þá er Hǫlgatrǫll dó, en heyrði til hǫddo, þá es Þórr bar hverinn. Una [donna] alta morì [h dó] quando morì Hǫlgatrǫll, ma si udiva il manico [hǫddo] quando Þórr portava il calderone
Fyrsta Málfrǿðiritgerðirnar [90: ]

Ed è l'unico riferimento a questo episodio al di fuori dell'Hymiskviða (Leoni 1975). Torna al testo

35 — C'è qui uno «stacco» con la strofa precedente: Þórr e Týr sono in fuga, a una certa distanza dalla dimora di Hymir. Non sono ancora arrivati alla casa di Egill e non hanno ancora recuperato il carro trainato dai caproni. — (a) Fóru lengi, «avevano viaggiato a lungo», è qui usualmente emendato in fórut lengi, «non avevano viaggiato a lungo», similmente a quanto leggiamo in [37a]. — (e) Il termine hreysi significa letteralmente «mucchi di pietre»; Cleasby e Vigfússon lo considerano sinonimo dell'islandese urð «macerie, pietraia, mucchio di detriti», ma traducono skríða í reysi come «sgattaiolare in una tana»; d'altra parte, il termine ha anche il significato secondario di «catapecchia, tugurio» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Curioso notare che, nel tradurre questa parola, gli studiosi inglesi hanno proposto rese assai discordanti: «caverns» (Thorpe 1866), «cairns» (Bray 1908), «caves» (Bellows 1923), «lair» (Terry 1969), «hills» (Hollander 1962), «cliffs» (Larrington 1996), le ultime due considerate scorrette da Eysteinn Björnsson (Eysteinn 2003). I traduttori italiani hanno reso hreysi rispettivamente con «caverne» (Di Leesthal 1939 | Mastrelli 1951) e «massi» (Scardigli ~ Meli 1982). Stante la convergenza di significati, è fuor di dubbio che il testo si riferisca alle tradizionali dimore degli jǫtnar, generalmente situate all'interno di rocce e montagne. — (h) folkdrótt [...] fjǫlhǫfðaða, «una schiera dalle molte teste»: possiamo dare a questa espressione due possibili letture: la schiera che sta sopraggiungendo è formata da una moltitudine di jǫtnar, oppure è composta da esseri dotati di molte teste. Torna al testo

36 — (e) hraunhvalr, «balena della pietraia», curiosa kenning per «jǫtunn». Come le balene sono i giganti del mare, così gli jǫtnar sono le balene degli aspri campi di lava. Si veda l'espressione hraunbúi, «abitatore della pietraia», analoga kenning presente alla strofa [38]. La lezione del ms. R, <hrꜹ́n vala> non ha molto senso. Torna al testo

37 — Altro «stacco»: Þórr e Týr, dopo aver sgominato gli jǫtnar, sono evidentemente passati dalla casa di Egill dove hanno recuperato il carro e i caproni: gli animali sono stati aggiogati al carro ma, percorso un breve tratto, uno è caduto al suolo, impossibilitato a proseguire il viaggio. — (e-f) Entrambi i manoscritti riportano una lezione comune, che non sembra però avere molto senso: <var scı scꜹkvls scacr abaı> (ms. R), e <var skır skꜹkvls skar a baı> (ms. A). La lezione skirr, «compagno», sebbene accettata da alcuni interpreti (Detter 1903) è stata tuttavia rifiutata dalla maggior parte dei moderni curatori e viene solitamente accolto il suggerimento del linguista Rasmus Christian Rask (1787-1832), che ha emendato la parola in skær «destriero». In verità quest'ultima parola, utilizzata come radice in kenningar per «lupo» o «nave», non sembra adattarsi molto bene a un ovino: ma poiché il carro di Þórr è trainato da due caproni, l'espressione skær skǫkull, «destriero della stanga», potrebbe significare, generalizzando, «animale da tiro». Analogamente, la parola banni, «proibizione», è stata emendata da Rask in beini «osso», così da ottenere skakkr á beini, «distorsione, slogatura dell'osso» (Rask 1818). Tale correzione, sebbene non convinca appieno tutti gli studiosi, è stata comunemente accettata anche sulla base dell'omologo racconto riferito da Snorri nella Prose Edda, dove uno dei caproni di Þórr rimane azzoppato perché Þjálfi, incautamente, ne ha inciso un osso col coltello per estrarne il midollo (Gylfaginning [44]). — (g-h) lævíss, «sapiente negli inganni», epiteto di Loki, al quale viene assegnata qui la colpa dell'azzoppamento del caprone, sebbene il personaggio non compaia mai nel testo. Non si capisce neppure perché sia Egill a farsi carico della responsabilità. L'esito è tuttavia il medesimo nelle due fonti: i suoi due figli (Þjálfi e Rǫskva in Gylfaginning [44]) verranno ceduti a Þórr quali suoi servitori, come ricompensa per il danno subìto dal caprone  (v. strofa successiva). Torna al testo

38 — (a) ér, «voi»: questo passo, dove il poeta si riferisce direttamente al suo uditorio, è praticamente unico nella poesia eddica e stilisticamente più in linea con quella scaldica (Eysteinn 2003). — (b-c) hverr [...] goðmálugra, «chi conosce le storie degli dèi», «mitologo», a meno che hverr non vada letto come pronome interrogativo. — (e) hraunbúi, «abitatore della pietraia». Questa kenning, riferita a Egill, lo qualifica come un þursar, un ruvido gigante delle rocce, dettaglio che spiegherebbe la sua presenza ai confini del mondo. Torna al testo

39 — (e) véar, i «santi», cioè gli dèi. Il significato originale di è «casa, dimora» (la parola è corradicale col greco oîkos e col latino vicus), termine è utilizzato per lo più in poesia, in espressioni quali alda vé, «casa dell'uomo» (kenning per indicare la terra), o vé mana, «dimora della luna» (a indicare il cielo). La parola è però spesso usata nell'accezione di «luogo sacro» (cfr. sassone wih «tempio»), come nell'espressione giuridica vega víg í véum, «uccidere un uomo in un luogo sacro» (tempio, santuario, assemblea, etc.). Il derivato véi significa invece «consacrato, sacerdote» (Wulfila rende col gotico weiha il greco hiereús, «sacerdote»; egli utilizza anche diverse parole derivate, tra cui weis, «santo», e weihiþa, «santità»). Come nome proprio, , «santo», è uno dei due fratelli di Óðinn (l'altro è Vili, «volontà»). Si noti che questo è l'unico passo di tutta la letteratura antico-nordica dove il termine è attestato al plurale. — (f) eitrhǫrmeitiðr, l'espressione che chiude il poema, è una kenning particolarmente ardua, formata da tre termini: (α) eitr, «veleno»; (β) hǫrr, «lino»; (γ) meitiðr, «[colui che] taglia». Se la «velenosa [fune] di lino» è una kenning per il serpente, «colui che taglia il serpente» potrebbe essere l'inverno: secondo un'antica credenza, infatti, i serpenti morivano in inverno per rinascere in estate. Aiutano a decifrare questa lambiccatissima kenning alcuni esempi tratti dalla letteratura scaldica: il termine hǫrr («lino») è utilizzato un paio di volte per indicare le corde dell'arco; il serpente è chiamato eitr-þvengr «fune velenosa» in due tarde composizioni; e infine abbiamo alcuni versi di Arnórr Þórðarson jarlaskáld (XI sec.), conservati nel XX capitolo della Orkneyinga saga, che qui riportiamo nella traduzione di Marcello Meli (Meli 1997):

Orms felli drakk allan,
alkostigr, fen hrosta,
rausn drýgði þá ræsir,
Rǫgnvalds niðr í gǫgnum.
Nel tempo che i serpenti annienta,
mesceva a chiunque il liquore del malto;
da generoso agiva quindi allora,
lui, progenie di Rǫgnvaldr.
Arnórr Þórðarson jarlaskáld: Þórfinnsdrápa [2], in: Orkneyinga saga [XX]

Questa kenning sembra innescare una relazione significativa tra l'inverno, stagione fatale ai serpenti, e la lotta di Þórr contro Jǫrmungandr, necessaria per avere il calderone di Hymir. Ciò che gli Æsir stanno celebrando è la conservazione dell'ordine cosmico, da essi garantito, e la temporanea vittoria contro le forze eversive manifestate dal Miðgarðsormr.Torna al testo

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È qui possibile scaricare la traduzione inedita dell'Himyskviða effettuata nel 1955 dal poeta lucchese Gilberto Fulgenzi, prematuramente scomparso nel 1986. Si ringrazia la casa editrice Vocifuoriscena, che ci ha concesso i diritti di pubblicazione online per il solo uso privato. Formato PDF, 271 kByte.

Bibliografia

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BIBLIOGRAFIA
Archivio: Biblioteca - Guglielmo da Baskerville
Sezione: Fonti - Nabū-kudurri-uṣur
Area: Germanica - Brynhilldr
Traduzione e note della Redazione Bifröst.
Si ringrazia Luca Taglianetti.
======= 03.12.2014 >>>>>>> c73ebbbfa76f779239ad757e58ff2dc6135c3a4c
Creazione pagina: 30.11.2014
Ultima modifica: 03.12.2014
 
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