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MITI GERMANICI
VǪLUSPÁ
ALLE ORIGINI DELLA CONOSCENZA
Apriamo la nostra rassegna dei miti norreni con la bellissima profezia della vǫlva, che in poche strofe evoca l'intera sapienza nordica, dalla creazione del mondo alla sua distruzione.

1 - ÓÐINN E LA VǪLVA

edeva fuori della sua dimora, la vǫlva, quando il vecchio Yggjungr le giunse dinanzi e in lei fissò lo sguardo, senza parlare.

— Che cosa vuoi sapere? Perché mi metti alla prova? —  sbottò la vǫlva. —  Io so tutto, Óðinn! So dove Heimdallr ha nascosto il suo corno, sotto il sacro albero che si leva nell'aria tersa nel cielo. E so di quello scrosciare d'acque argillose alle sua radici, là dove hai pagato il tuo pegno. Io so dove hai nascosto l'occhio, Óðinn! Nella famosa sorgente di Mímisbrunnr, là dove Mímir beve mjǫðr ogni mattino! E tu, ne sai forse di più?”

Óðinn riconobbe il dono profetico della vǫlva e le donò anelli e collane; le diede saggi consigli e le conferì la verga della profezia. Gli occhi di lei vedevano oltre i confini del mondo, nel passato più profondo e nel futuro più remoto. Non esisteva nei Nove Mondi [nío heimar] creatura che più di lei sapesse spingere il suo sguardo lontano.

Ella si levò e chiese silenzio. Poi cominciò a profetare. E questo è il suo canto.

Óðinn e la vǫlva  ( 1895)

Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione. (Gjellerup 1895)

2 - LA GRANDE PROFEZIA

scolto io chiedo a tutte le sacre stirpi umane, figli maggiori e minori di Heimdallr!

I figli di Borr innalzano le terre ( 1895)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione. (Gjellerup 1895)

“Tu vuoi, Valfǫðr, che io narri compiutamente le antiche storie del mondo, quelle che ricordo innanzi alle altre. Ebbene, io ricordo i giganti, nati in principio, che mi generarono e mi allevarono. Ricordo nove mondi, e un immenso albero le cui nove radici li penetrano e li sostengono. Quando tempo volgeva agli inizi, solo Ymir viveva. Non c'era la sabbia e non c'era il mare, non c'erano le fredde onde, non si distingueva la terra né vi era un cielo che la sovrastasse. Dovunque si spalancavano gli abissi e in nessun luogo cresceva erba. Finché, un giorno, i figli di Borr innalzarono le terre, loro che crearono il vasto Miðgarðr. Il sole splendette da sud sui fondali rocciosi e allora il suolo si riempì di verdi germogli.

“Il sole, compagno alla luna, stese la mano destra verso l'orlo del cielo. Il sole non sapeva dov'era la sua corte, le stelle non conoscevano la loro dimora, la luna era ignara del suo potere. Allora gli dèi andarono ai troni del giudizio, le sante divinità, e in assemblea deliberarono. Diedero un nome alla notte e alle fasi lunare, al mattino e al mezzogiorno, al pomeriggio e alla sera, e iniziarono così a contare gli anni.

“Si riunirono gli Æsir nel campo di Iðavǫllr, e qui innalzarono altari e templi, accesero i fuochi e forgiarono tenaglie e altri utensili, e crearono così tante ricchezze che non tra loro non vi mai penuria d'oro. Ricchi e felici, essi giocavano a scacchi in quella corte, fino a quando giunsero da Jǫtunheimr tre fanciulle, figlie di giganti possenti oltre ogni immaginazione.

“Allora gli dèi andarono ai troni del giudizio, le sante divinità, e in assemblea deliberarono. Bisognava decidere chi dovesse creare le schiere dei dvergar dal sangue di Brimir e dagli ossi di Bláinn. Móðsognir era il più eccellente fra tutti i nani e il secondo era Durinn. Molti dvergar furono tratti dalla terra e fu loro data figura umana: Nýi e Níði, Norðri, Suðri, Austri, Vestri, Alþjófr, Dvalinn, Nár, Náinn, Nípingr, Dáinn, Bívǫrr, Bávǫrr, Bǫmburr, Nóri, Ánn e Ánarr, Ái, Mjǫðvitnir. Veigr e Gandálfr, Vindálfr, Þráinn, Þekkr e Þorinn, Þrór, Vitr e Litr, Nár e Nýráðr; i nani – Reginn e Ráðsviðr – come dovevo ho enumerato. Fili, Kili, Fundinn, Náli, Heptivili, Hannarr, Svíurr, Frár, Hornbori, Frægr e Lóni, Aurvangr, Jari ed Eikinskjaldi. Ma bisogna che riveli agli uomini anche quelli della stirpe di Dvalinn, su su fino a a Lofarr, loro che arrancarono dal suolo roccioso di Aurvangar fino a Jǫruvellir. Dunque c'erano allora Draupnir, Dólgþrasir, Hár, Haugspori, Hlévangr, Glói, Skirvir, Virvir, Skáfiðr, Ái. Álfr e Yngvi, Eikinskjaldi, Fjalarr e Frosti, Finnr e Ginnarr. Questa lista degli antenati dei nani sarà ricordata a lungo, finché vivranno gli uomini.

Le stirpi dei dvergar  ( 1895)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione. (Gjellerup 1895)

“E poi finalmente tre æsir tornavano a casa, quando trovarono in terra Askr ed Embla, il frassino e l'olmo, senza forze e senza destino. Non possedevano respiro, né anima, non avevano calore vitale, non facevano gesti né il loro aspetto era gentile. Óðinn dette loro il destino, l'anima la fornì Hǿnir, e dette Lóðurr l'aspetto gentile e il colorito.

“Io so che si innalza un frassino, chiamato Yggdrasill. Si erge sempre verde, dalle fonti di Urðarbrunnr, alto tronco lambito da acque argillose. Dai suoi rami le rugiade piovono sulle valli. Da quelle acque che si stendono sotto l'albero vengono tre fanciulle di grande saggezza. Ha nome Urðr la prima, Verðandi l'altra, Skuld la terza. Incidono rune sulle tavole, decidono la vita e stabiliscono le sorti degli uomini.

“Io ricordo il primo scontro che vi fu nel mondo, quando gli dèi urtarono Gullveig con le lance e le dettero fuoco nelle sale di Hár. L'arsero tre volte, tre volte ella rinacque ed è ancora viva! L'avevano chiamata «splendente», ed era un'indovina esperta in profezie. Veniva nelle case e con le sue magiche verghe, cariche di sinistro potere, incantava i sensi e abbindolava le spose malvagie. Allora gli dèi andarono ai troni del giudizio, le sante divinità, e in assemblea deliberarono. Discussero se gli Æsir avessero dovuto pagare un tributo o se invece avessero diritto a un risarcimento. Óðinn scagliò la sua lancia e iniziò la prima guerra che mai si vide nel mondo. I Vanir infransero le palizzate di legno e invasero la città degli Æsir. Allora gli dèi andarono ai troni del giudizio, le sante divinità, e in assemblea deliberarono. Si chiesero chi avesse immesso il male sulla terra e chi avesse dato Freyja, la sposa di Óðr, ai giganti. Si alzò allora Þórr, colmo di rabbia. Non attese un istante quando venne a conoscenza di tali misfatti. Furono rotti solenni giuramenti e infranti i più sacri patti che avevano tra loro suggellato.

“Io vedo le Valkyrjur venire da lontano, cavalcando verso il popolo dei Goti. Skuld tiene lo scudo, la seconda è Skǫgul, vi sono poi Gunnr, Hildr, Gǫndul e Geirskǫgul. Queste sono le fanciulle di Herjan, che cavalcano attraverso la terra, le Valkyrjur.

Le Valkyrjur  ( 1895)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione. (Gjellerup 1895)

“Io vedo per Baldr approntarsi un sanguinoso sacrificio, vedo l'occulto destino preparato per il figlio di Óðinn. Cresceva ritto sui campi, esile e bello, un ramoscello di vischio. Da quel fragile legno venne fabbricata una lancia dolorosa e fatale. Hǫðr la scagliò. Váli, nato prima del tempo, era vecchio di una notte quando si accinse al combattimento. Non si lavò le mani né si pettinò il capo finché non riuscì a trascinare sul rogo l'assassino del fratello. Ma Frigg pianse in Fensalir il dolore di tutta la Valhǫll. E tu, ne sai forse di più? Vedo giacere legato, sotto il bosco di Hveralund, un'infausta figura che rassomiglia a Loki. Sigyn siede là, accanto al suo sposo, per nulla entusiasta di lui. E tu, ne sai forse di più?

“Scroscia da oriente un fiume di daghe e di spade, attraverso valli gelide come il veleno: lo chiamano Slíðr. Si trova a nord, nelle Niðavellir, la corte d'oro della stirpe di Sindri; ma un'altra corte si trova in Ókólnir, è la sala da birra del gigante Brimir. Ma io vedo una terza sala, nascosta dal sole, in Nástrandir. Ha le porte rivolte a nord. Attraverso il buco del tetto piovono gocce di veleno: il tetto è formato da dorsi intrecciati di serpenti. Io vedo giungere in quel luogo, dopo aver guadato insidiosi torrenti, uomini spergiuri, assassini e seduttori. Là Níðhǫggr succhia i cadaveri e il lupo ne sbrana le carni. E tu, ne sai forse di più?

La via per Nástrandir ( 1895)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione. (Gjellerup 1895)

“Una vecchia siede in oriente, nella foresta di Járnviðr, e là alleva i lupi, stirpe di Fenrir. Da quelle belve una verrà in forma di gigante a distruggere il sole. Si nutre della vita degli uomini votati alla morte, insanguina le case degli dèi. Nelle estati che verranno la luce del sole si farà oscura, ci attendono tempi di tradimento. E tu, ne sai forse di più?

“Siede laggiù sul colle e suona l'arpa, il lieto Eggþér, che custodisce le mandrie delle gigantesse. Canta vicino a lui nel bosco degli uccelli un gallo dalle penne rosse, il suo nome è Fjalarr. Ma canta presso gli Æsir un altro gallo, Gullinkambi, il quale ridesta gli eroi nella dimora di Herjafǫðr. E un terzo gallo, rosso come la fuliggine, canta sotto terra, nelle sale di Hel. Feroce latra Garmr dinanzi a Gnipahellir: i lacci si spezzeranno e il lupo correrà. Io ho molta sapienza: scorgo da lontano il terribile destino che incombe sugli dèi.

La vecchia di Járnviðr ed Eggþér ( 1895)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione. (Gjellerup 1895)

“Si colpiranno i fratelli e si uccideranno l'un l'altro, saranno dimenticati i legami di parentela. Violenza e perversione riempiranno il mondo. Tempo di asce e di spade, si frantumeranno gli scudi: tempo di vento e di lupi, e il mondo crollerà. Non vi sarà un uomo che vorrà risparmiarne un altro.

“Si agitano i giganti, figli di Mímir; mentre il possente suono del Gjallarhorn annuncia il compiersi del destino. È Heimdallr a soffiare nel corno, intanto che Óðinn parla con la testa di Mímir. L'antico frassino Yggdrasill trema e scricchiola quando i giganti si liberano. Tutti son presi da terrore, sulla strada degli inferi, ché il fuoco di Surtr sta per inghiottirli. Che cosa incombe sugli Æsir? Che cosa incombe sugli elfi? Rintrona tutto Jǫtunheimr, gli dèi sono riuniti in assemblea. I nani, signore delle rocce, si ergono dinanzi alle porte di pietra e gemono di terrore. E tu, ne sai forse di più? Feroce latra Garmr dinanzi a Gnipahellir: i lacci si spezzeranno e il lupo correrà. Io ho molta sapienza: scorgo da lontano il terribile destino che incombe sugli dèi.

“Viene da oriente Hrymr, il re dei giganti, reggendo lo scudo innanzi a sé. Furioso si attorce Jǫrmungandr, immane serpente che scuote le onde. L'aquila stride e strazia i cadaveri. Salpa Naglfar, la nave dei morti. Ma un'altra nave salpa da est, è quella che conduce sul mare le schiere di Múspell. Loki ne regge il timone. L'armata dei mostri avanza e il lupo è in testa. Da sud viene Surtr ammantato di fiamme. Gli dèi si ergono a difesa con le spade accese dal sole. Si spaccano le rocce, si accasciano le gigantesse, gli uomini intraprendono l'ultimo viaggio, il cielo si schianta. Ed ecco, viene a Frigg un altro dolore, quando Óðinn va a combattere col lupo (e Freyr, uccisore di Beli, si muove contro Surtr). Cade così lo sposo di Frigg. Ma ecco, viene Víðarr, figlio di Óðinn, ad affrontare la belva che divora carogne. Con tutt'e due le mani le conficca la spada fino al cuore, e così vendica il padre. Ed ecco arriva Þórr, il famoso figlio di Fjǫrgyn, a contrastare Jǫrmungandr. Furibondo colpisce il difensore di Miðgarðr, poi indietreggia di nove passi e crolla. Il sole si oscura, sprofonda la terra nelle acque, le stelle scompaiono dal firmamento. Il vapore sibila con il fuoco e le fiamme si innalzano a sfiorare il cielo. Feroce latra Garmr dinanzi a Gnipahellir: i lacci si spezzeranno e poi il lupo correrà. Io ho molta sapienza: scorgo da lontano il terribile destino che incombe sugli dèi.

Le potenze celesti ( 1895)
Lorenz Frølich (1820-1908), illustrazione (Gjellerup 1895)

“E vedo ancora una volta affiorare la terra dal mare, novellamente verde. Scrosciano le cascate, vola in alto l'aquila, lei che dai monti va a caccia di pesci. Si ritrovano gli Æsir in Iðavǫllr e discorrono di quel possente serpente che stava stretto intorno al mondo; si ricordano delle grandi imprese dei tempi passati e di Óðinn che tutte conosceva le rune. E là ritroveranno nell'erba quelle meravigliose scacchiere d'oro che anticamente avevano posseduto. Seppure non seminati, i campi produrranno messi. Scomparirà ogni male e farà ritorno Baldr. Baldr e suo fratello Hǫðr, felici dèi guerrieri, abiteranno le vittoriose rovine dell'antica casa di Óðinn. Tu ne sai forse di più? Vedo ergersi una corte ricoperta d'oro, ancora più bella del sole, alta nel cielo, a Gimlé. Lì abiteranno schiere di valorosi e saranno felici in eterno.

“Ma alla fine di ogni cosa verrà al suo regno Colui che dall'alto governa ogni cosa. E il drago di tenebra, Níðhǫggr, quel serpe scintillante, viene dai monti Niðafjǫll e vola sulla pianura portando sotto le sue ali i corpi dei morti.

Abbiamo qui riportato, in forma di racconto, la Vǫluspá o «Profezia della veggente» adattata alle esigenze della prosa. È un brano troppo importante perché si potesse affrontare la materia nordica senza averlo ben presente. La si consideri per ora una sorta di presentazione generale: le singole strofe verranno riprese e analizzate man mano che procederemo nel nostro racconto, attraverso gli affascinanti meandri della mitologia scandinava.
3 - CONGEDO

La vǫlva ( 1893)

Carl Larsson (1853-1919), illustrazione. (Sanders 1893)

uesta fu la profezia che la vǫlva lanciò agli uomini e agli dèi. Un canto aspro, difficile, veloce e irto di enigmi. Profonda conoscenza richiederà l'interpretarlo.

Ma in poche coppie di semiversi, quanta sapienza! L'intero universo vi è racchiuso, dal baratro abissale alla creazione del mondo, dalla distruzione alla sua rinascita. Spazio e tempo fittamente intrecciati l'uno all'altro... fino al giudizio finale.

E in questi versi fragorosi e possenti, la vǫlva aveva ricordato dell'antica età aurea e di come la guerra tra Æsir e Vanir le avesse messo fine portando il male nel mondo. Aveva ben avvertito che i destini tutti sono in mano alle Nornir, riunite intorno alla sorgente di Urðarbrunnr. Aveva districato i fili del dramma del mondo, che s'ingarbugliavano intorno al fatale episodio dell'uccisione di Baldr, e seguendoli attraverso il tempo, aveva mostrato come questi fatti avrebbero portato il mondo a cadere nelle tenebre degli ultimi giorni. La vǫlva aveva ancora additato giganti e lupi, anime dannate e serpenti, i nemici che avrebbero annientato l'universo in quello che sarebbe stato il giorno di ragnarǫk. Ma aveva insieme dischiuso una speranza, mostrando come la ciclicità del tempo avrebbe un giorno riportato il mondo, oltre il fuoco purificatore, in una restaurata età felice...

E non appena ebbe narrato tutte queste cose, la vǫlva si inabissò nella terra.

Fonti
1-3 Ljóða Edda > Vǫluspá
I - CHI ERA LA VEGGENTE?

Hljóðs biðk, esordisce la veggente. «Ascolto io chiedo», con formula solenne e imperiosa, ché tra poco la grande profezia svolgerà i fili del tempo e scioglierà i nodi del destino. È probabilmente la stessa formula che veniva utilizzata nel þing, nelle assemblee vichinghe, per imporre il silenzio e richiamare l'attenzione dei presenti, e che riecheggia con forza l'antica formula omerica kéklute óphr' éipō «ascoltate affinché io dica» (Polia 1983).

A chiedere silenzio in questa assemblea universale è una donna. Una veggente.

La parola norrena per «veggente» è vǫlva, talora tradotta con «sibilla» o «indovina». Il nome deriva da vǫlr, termine tecnico che indicava la verga della profezia, il bastone a sezione rotonda usato per la divinazione, a sua volte proveniente dalla radice indoeuropea *WEL- (cfr. gotico welta «bastone»). Letteralmente vǫlva significa «colei che porta il bastone». Sorge spontaneo il parallelo con la figura etrusco-latina del divinatore munito del lituus (Polia 1983).

È dunque vǫlva un sostantivo, non un nome proprio. Difficile capire chi sia realmente questa veggente e in quale contesto vada collocata nel mito nordico. La stessa Vǫluspá è, in molti passi, talmente oscura ed enigmatica, che tradurla significa necessariamente interpretarla.

Questo è tanto più vero quando si cerca di inserire la Vǫluspá nell'economia del mito nordico. Ci si può infatti chiedere: chi è la vǫlva? In che rapporti è con Óðinn e gli altri dèi? E a che punto del racconto del mito ella lancia la sua profezia? Ad esempio, il racconto dell'uccisione di Baldr [31-35], va interpretato come fosse una visione profetica o, com'è forse più probabile, la memoria di un tempo passato? Non è facile rispondere a queste domande. Il testo originale alterna continuamente dalla prima alla terza persona e sapere che si tratta di un procedimento comune alla tradizione epica germanica non ci aiuta molto. Rimane il dubbio se questo continuo passaggio tra «io» e «lei» faccia parte delle parole effettivamente attribuite alla vǫlva o se sia un'altra persona a riferirci il racconto della profezia alternando il discorso diretto e quello indiretto.

Anche quando parla di sé stessa la vǫlva è straordinariamente laconica e gli interrogativi che solleva sono più di quelli che risolve.

Ein sat hon úti,
þás enn aldni kom
yggiungr ása
ok í augu leit.
“Hvers fregnið mik?
hví freistið mín?
Alt veitk, Óðinn,
hvar auga falt
í enum mæra
Mímis brunni;
drekkr miǫð Mímir
morgin hverian
af veði Valfǫðrs.
Vituð ég enn eða hvat?”
Sola sedeva di fuori
quando il vecchio giunse
Yggjungr degli Æsir
e la fissò negli occhi.
“Che cosa mi chiedete?
Perché mi mettete alla prova?
Tutto io so, Óðinn,
dove tu nascondesti l'occhio
nella famosa
Mímisbrunnr!
Mímir beve idromele
ogni mattino
dal pegno pagato da Valfǫðr.
Che altro tu sai?”
Ljóða Edda > Vǫluspá [28]

Questa breve descrizione della vǫlva, che sedeva sola «di fuori» [úti], va forse messo in relazione con certe descrizioni presenti negli antichi testi, dove i veggenti erano presentati desti nella solitudine notturna intenti a scrutare i fati. Yggjungr «molto spaventoso» è epiteto di Óðinn, il cui irresistibile potere magico [kraptr] ispirava il terrore. Egli guarda la vǫlva «negli occhi» [í augu], senza parlare, forse per provarne il potere. Guardare negli occhi una persona significava subirne il fascino o esserne a propria volta affascinati. La vǫlva riconosce Óðinn e comprende subito lo scopo della visita: «Che cosa vuoi sapere? Perché mi metti alla prova» Sa che la visita di Óðinn può essere fatale, come lo fu al gigante Vafþrúðnir con cui il dio ingaggiò una gara di sapienza. Ma la vǫlva sostiene lo sguardo del dio e gli rivela di conoscere il suo più geloso segreto: egli ha dato in pegno un occhio al saggio Mímir, custode della fonte della sapienza di Mímisbrunnr.

Ma vediamo la strofa successiva:

Valði henni Herfǫðr
hringa ok men;
fé spiǫll spaklig
ok spáganda;
sá vítt ok of vítt
of verǫld hveria.
Per lei Herfǫðr scelse
anelli e collane,
sagge parole di ricchezza
e la verga della profezia:
vede lontano lei, e al di là
in ogni mondo.
Ljóða Edda > Vǫluspá [29]

Anche qui la traduzione non è facile e quella che abbiamo mostrato è, per certi versi, ipotetica. Secondo la nostra traduzione, Óðinn (qui Herfǫðr «Padre degli eserciti»), avrebbe dato alla vǫlva (1) anelli e collane, (2) sagge parole di ricchezza, (3) la verga della profezia [spágandr]. Ma emendando spágandr in spá ganda e adottando l'interpretazione del Neckel, che sembra chiarire lo scopo della visita di Óðinn alla vǫlva, la strofa diventerebbe così: «Herfǫðr le diede anelli e collane, ottenne [in cambio] sagge parole di ricchezza e profezie [ottenute tramite] la verga» (Neckel 1908 | Polia 1983).

Ma è in questo episodio che Óðinn è venuto a chiedere alla vǫlva di lanciare il suo canto profetico? È l'interpretazione che abbiamo seguito per la narrativa di questo capitolo, ma altri interpreti ritengono che Óðinn avesse invece richiamato in vita la vǫlva dal regno dei morti per permetterle di profetare. Questa interpretazione si regge sull'ultimissimo semiverso del testo, che si chiude con le laconiche parole:

Nú mun hon sǫkkvask E ora lei si inabissa.
Ljóða Edda > Vǫluspá [66]

Si ritiene che a inabissarsi sia appunto la veggente, anche se in molte traduzioni hon «ella» viene emendato con hann «egli» e l'inabissamento finale viene riferito al serpente Níðhǫggr di cui parla l'ultima strofa della Vǫluspá. Ma che possa essere la veggente (e non il drago) a inabissarsi, è forse giustificato dal poema Baldrs Draumar, dove si narra di come Óðinn fosse sceso nel regno dei morti e con un canto magico avesse tratto fuori una morta vǫlva dal suo tumulo affinché interpretasse i funesti sogni che affliggevano Baldr. Non c'è naturalmente alcuna indicazione che la vǫlva dei Baldrs Draumar sia la stessa della Vǫluspá, ma non c'è nemmeno motivo di escluderlo.

I problemi legati all'interpretazione della Vǫluspá sono legioni, ma fanno indubbiamente parte del grande fascino di questo antico e meraviglioso poema sapienziale della paganità scandinava.

Bibliografia

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  • SIJMONS 1906. Barend Sijmons, Lieder der Edda. Halle 1906.
BIBLIOGRAFIA
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Germanica - Brynhilldr
Ricerche e testi di Dario Giansanti e Oliviero Canetti.
Creazione pagina: 04.04.2004
Ultima modifica: 15.08.2022
 
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