MITI

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MITI GERMANICI
ÁSGARÐR
LE DIMORE DEL CIELO
Il mondo divino è formato da dodici regni celesti, retti dai maggiori tra gli Æsir e i Vanir.
Al centro, si erge la rocca di Ásgarðr, sacra a tutti gli dèi. Qui sorge la Valhǫll, l'imponente sala dal tetto di scudi dorati, asilo dei guerrieri caduti in tutte le battaglie, dall'inizio del tempo...

1 - IL MONDO DEGLI DÈI

Ásgarðr

Autore non identificato

acra è la terra che si stende in cielo, dimora degli Æsir e degli Álfar. È solcata dai fiumi cosmici, i quali rendono arduo il transito dalla terra alle fortezze divine, a meno di non conoscere le rune appropriate per salire lungo il ponte Bifrǫst. Il frassino Yggdrasill spinge fin lassù una delle sue radici, e sotto di essa si stende la sorgente di Urðarbrunnr.

Non conosciamo un nome specifico per la terra celeste. Gli uomini la definiscono Goðheimr, «mondo degli dèi», ma forse il suo antico nome era Ásaheimr, «mondo degli Æsir».

Al centro del cielo sorge la rocca di Ásgarðr. Là si trovano i principali santuari divini e il salone di Valhǫll. Da essa, dipendono i dodici regni celesti, nei quali sorgono le dimore degli dèi.

2 - ÁSGARÐR

opo aver completato l'opera di creazione e stabilito il Miðgarðr, come sappiamo, i figli di BorrÓðinn, Vili e – costruirono la Valhǫll.

La rocca era un tempo protetta da un recinto di legno. Questo si era però infranto nella guerra contro i Vanir e, per tale ragione, gli dèi avevano fatto in seguito erigere delle mura di pietra, inespugnabili. In tal modo era sorta la fortezza di Ásgarðr. Là gli dèi erano andati ad abitare con le loro famiglie e ne era discesa la stirpe degli Æsir, destinata ad abitare quella rocca e tutti i regni celesti.

Nel mezzo di Ásgarðr si trova Iðavǫllr, il campo del vortice. È il luogo dove gli dèi si riunirono per la prima volta, all'inizio del mondo, per intraprendere la costruzione della rocca. In quel luogo, afferma la Vǫluspá, si riuniranno di nuovo, dopo il ragnarǫk.

Ásgrind si chiamano i cancelli di Ásgarðr e Glaðsheimr è il suo primo e principale edificio. In esso, si trovano i dodici seggi degli dèi, più l'alto trono di Óðinn. Fatto d'oro purissimo, all'interno come all'esterno, Glaðsheimr ha fama di essere il più grande e il migliore dei palazzi mai costruiti.

In Ásgarðr si trova anche il salone di Valhǫll, dove gli Einherjar vengono accolti da Óðinn.

Vi anche è un altro edificio, Vingólf, il santuario delle dee. Anch'esso è destinato agli Einherjar. Alcuni però, lo identificano con Gimlé, palazzo destinato a resistere alle fiamme del ragnarǫk e che sarà la felice dimora di tutti gli uomini giusti vissuti nel corso della storia.

3 - LE DODICI DIMORE

ome in Glaðsheimr, il trono di Óðinn sovrasta i dodici seggi degli Æsir, così Ásgarðr è circondata da dodici regni celesti, in cui gli dèi hanno innalzato le loro meravigliose dimore.

Himinbjǫrg, la «montagna del cielo», è la rocca che si erge ai confini del firmamento, nel luogo dove s'infrange il balzo del ponte Bifrǫst. Vi risiede il solerte Heimdallr, il quale fa la guardia ai templi di Ásgarðr, in modo che non abbiano a violarli i giganti delle montagne. Nella sua accogliente dimora, Heimdallr beve lieto il buon mjǫðr. È pur vero che il livoroso Loki ebbe a insinuare che quella di Heimdallr non fosse una vita attraente, sempre di sentinella, in un clima pessimo, e con la schiena eternamente bagnata di rugiada.

Valaskjálf, la «rocca dei caduti», è il palazzo che all'inizio dei giorni Óðinn eresse per sé stesso e che gli dèi ricoprirono d'argento. In quella dimora si trova il trono Hliðskjálf. Quando Óðinn vi si asside, può osservare tutto quello che avviene nei nove mondi, come se ogni cosa accadesse a pochi passi da lui. Da quello scranno, egli assiste al comportamento di ogni uomo, e comprende tutto ciò che vede.

Il mondo degli elfi chiari, Álfheimr, si trova anch'esso in cielo, non lontano dalla terra degli Æsir. Esso fu donato a Freyr dagli dèi, al principio dei tempi, in dono per il suo primo dente.

Fólkvangr, il «campo del popolo», è il regno di Freyja. In quel luogo si trova anche Sessrúmnir, la sala dalle «panche spaziose». Qui Freyja decide la scelta dei posti a tavola per i caduti che ella stessa sceglie sui campi di battaglia del mondo. Metà degli Einherjar spettano infatti a lei, mentre l'altra metà appartiene a Óðinn.

Þórr abita, con la sua famiglia, in un luogo chiamato Þrúðvangar, «campi della forza», o Þrúðheimr, «casa della forza». Lì ha innalzato un'imponente dimora, Bilskírnir, «lampo di luce». Ricca di arcate, con le sue cinquecentoquaranta [seicentoquaranta] stanze, è – insieme alla Valhǫll – il più grande edificio che sia mai stato costruito, tra quanti sono coperti da un tetto. È qui che Þórr ritorna, stanco e con gli abiti laceri, a volte addirittura malconcio, dalle sue imprese.

Ýdalir, la «vallata degli alberi di tasso», è dove Ullr ha innalzato per sé una corte. In quel luogo, il figliastro di Þórr trascorre il tempo sciando lungo i pendii innevati e cacciando con l'arco gli animali selvaggi.

Un'altra splendida dimora celeste è Søkkvabekkr, il palazzo dalle «panche sommerse». Appartiene a Sága e vi scrosciano sopra gelide onde. In quel luogo, Óðinn e Sága vi si incontrano per bere, giorno dopo giorno, lieti, in coppe d'oro.

Breiðablik, «ampio splendore», è il luogo dove Baldr ha costruito una dimora per sé e per la sua sposa Nanna. È un posto dove non può esistere nulla di impuro e vi sono ben poche rune malvagie.

Glitnir, la «scintillante», è la dimora dove Forseti ha stabilito il suo tribunale. Le mura e gli stipiti sono d'oro; il tetto è parimenti sorretto da auree colonne ed è ricoperto d'argento. Chiunque accede a quel luogo per risolvere i propri contrasti, viene pacificato.

Nóatún, la «fortezza delle navi», è dove Njǫrðr ha costruito una sua dimora e regna lieto su santuari imponenti. Si trova sulla riva del mare e vi si sente il garrire dei gabbiani al mattino e l'aroma onnipresente delle alghe. In quel luogo, a Njǫrðr infinitamente caro, erano venuti alla luce i suoi figli, Freyr e Freyja.

Tra i regni divini è compresa anche Þrymheimr, la fortezza del gigante Þjazi, posta tra le vette di Jǫtunheimr. Dopo la morte del suo infido signore, essa è stata infatti ereditata dalla figlia Skaði, la luminosa sposa di Njǫrðr. Ella vive tuttora in quel luogo per lei irrinunciabile, dove scia per lunghi tratti e va con l'arco a caccia di animali selvatici.

E poi c'è ancora Fensalir, la «sala delle paludi», dove abita Frigg con le sue ancelle.

E vi è infine una terra senza nome. È boscosa, costellata di cespugli ed erba alta. Non sembra che là vi siano costruzioni o altre dimore. Là abita Víðarr, fin da quando era fanciullo, e passa il tempo cavalcando fieri puledri.

4 - LA VALHǪLL

ella rocca di Ásgarð sorge il grande salone di Valhǫll, che Óðinn ha edificato perché accolga i guerrieri caduti in combattimento fin dall'inizio del tempo.

Coloro che cadono uccisi negli scontri, infatti, Óðinn li considera suoi figli adottivi, ed è per tale ragione che egli è anche chiamato Valfǫðr, il «padre dei caduti». Le Valkyrjur li raccolgono sui campi di battaglia e li conducono nella Valhǫll dove essi hanno il privilegio di dividere il mjǫðr alla mensa di Óðinn. Costoro sono gli Einherjar, i «guerrieri dell'unica schiera».

La folla che gremisce la Valhǫll, come si può immaginare, è davvero enorme, e si accresce ancor più a ogni nuova battaglia.

Coloro che accedono alla Valhǫll mantengono il proprio rango e le proprie ricchezze, specialmente se vengono bruciati insieme ai loro tesori ed armi. I re sono accolti con fasto maggiore di quanto non capiti ai comuni combattenti. Gli eroi più nobili e valorosi, Óðinn li associa alla propria autorità, invitandoli a prendere tutte le decisioni insieme a lui. Viceversa, guerrieri che in vita si siano rivelati infidi, crudeli o poco generosi, possono finire, nella Valhǫll, a fare da servi agli altri Einherjar, a lavar loro i piedi e occuparsi dei cani, dei cavalli e dei maiali.

Coloro che abbiano compiuto crudeli delitti, o si siano macchiati di empietà, possono addirittura venire esclusi dalla Valhǫll.

Ogni mattina, dopo che si sono vestiti, gli Einherjar indossano le loro armature ed escono nel cortile, dove combattono e si uccidono gli uni con gli altri: questo è il loro modo di passare il tempo. Quando è l'ora del pranzo, si rialzano, guariti dalle loro ferite, fanno ritorno nella Valhǫll e, riconciliati, siedono assieme a bere. Così essi trascorrono la loro esistenza in Ásgarðr, giorno dopo giorno, finché sorgerà l'alba di ragnarǫk. Allora essi avranno l'onore di combattere al fianco di Óðinn e di tutti gli dèi.

È facile da riconoscere da lontano la Valhǫll, anche per chi non l'abbia mai vista prima. Il tetto è sorretto da colonne fatte di assi di lancia, e le tegole che lo ricoprono sono scudi. Le sue panche sono cosparse di corazze e, quando si fa buio, basta il chiarore delle spade per illuminare a giorno tutto il salone. Un lupo sta appeso dinanzi alla porta occidentale della Valhǫll e al di sopra del tetto vola un'aquila.

Walhalla (✍ 1906)
Hermann Hendrich (1854-1931)

Goðvegr ha forse nome la strada che conduce alla Valhǫll, ma non è così facile giungere al grande salone. Il fiume Þund vi scroscia intorno, vorticando con grande fragore: arduo si presenta a chi voglia guadarlo. Vi è poi il boschetto di Glasir, dinanzi all'ingresso di Valhǫll, e le sue fronde sono d'oro fulvo: dicono sia la foresta più bella di quante ne esitano tra uomini e dèi. L'antico cancello di Valhǫll si chiama Valgrindr, e ben pochi sono in grado di far scattare il suo chiavistello: si dice infatti che non sia difficile tanto trovare un posto a sedere, nella Valhǫll, quanto accedervi.

La Valhǫll ha ben cinquecentoquaranta [seicentoquaranta] porte e per ciascuna di esse, nel giorno di ragnarǫk, usciranno ottocento Einherjar. Il numero di coloro che nel ragnarǫk si batteranno al fianco degli Æsir è davvero spropositato, tuttavia sembrerà insufficiente quando i giganti si schiereranno nella pianura di Vígríðr, per l'ultima battaglia.

Ma come viene foraggiata questa gran folla di guerrieri? Ebbene: in Valhǫll c'è un maiale chiamato Sæhrímnir. Ogni giorno viene bollito e la sua carne divisa tra tutti gli Einherjar. La sera, tuttavia, esso è di nuovo intero. Come sia possibile una cosa del genere, pochi sono così saggi da poter dire la verità al riguardo. Andhrímnir si chiama il cuoco che compie il lavoro ed Eldhímnir il pentolone in cui il porco viene cucinato.

Non è possibile che Óðinn inviti alla sua mensa re, uomini potenti e valorosi guerrieri, e dia loro da bere della semplice acqua, anche se molti di coloro che giungono in Valhǫll, avendo già sofferto le pene e le arsure del trapasso, giudicherebbero preziosa l'offerta di un solo sorso d'acqua. In verità si dice che in Valhǫll si trovi una capra chiamata Heiðrún, la quale bruca le foglie dai rami dell'albero Læraðr. Dalle mammelle di questa capra scorre quel mjǫðr di cui ogni giorno si riempie un recipiente così grande da dissetare tutti gli Einherjar.

Óðinn si nutre dello stesso cibo degli Einherjar? No, certamente. Il cibo che sta sul suo tavolo egli lo dà ai due lupi che possiede, Freki e Geri. Come si è detto, egli non ha bisogno di nutrimento: il vino è per lui tanto cibo che bevanda. Pur bevendo solo vino, Óðinn vive per sempre.

Oltre al maiale e alla capra, vi è in Valhǫll un altro animale, il cervo Eikþyrnir. Si nutre anch'esso delle foglie del Læraðr, mentre dalle sue corna scendono gocce così grandi che vanno formare il pozzo di Hvergelmir.
 

Valhǫll (✍ 1905)
Emil Doepler der Jüngere (1855-1922)
MUSEO: [Doepler. Walhall]►
FONTI
 
1

Ljóða Edda > Grímnismál [4]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Formáli [3]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9]
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [9]

2 Ljóða Edda > Vǫluspá [7 | 24-25]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [2-3 | 9 | 14 | 20 | 49 | 53]
3

Ljóða Edda > Grímnismál [5-8 | 11-17 | 24]
Ljóða Edda
> Vǫluspá [33]
Ljóða Edda
> Lokasenna [48]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9 | 14-15 | 17 | 21-24 | 27 | 32 | 49]

4

Ljóða Edda > Vǫluspá [33]
Ljóða Edda > Grímnismál [8-10 | 18 | 21-23 | 25-26 | 36]
Ljóða Edda [minora] > Hyndluljóð [1]
Ljóða Edda [fragmenta] > VII = Skáldskaparmál {108}
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [2 | 20 | 36 | 38-41 | 49]
Snorri Sturluson: Prose Edda > Skáldskaparmál [1 | 42 {108}]
Eíriksmál [1]
Eyvindr Finnsson skáldaspillir: Hákonsmál [1 | 9]

Þorbjǫrn Hornklofi: Hrafnsmál [11] = Gylfaginning {2}

I - IL SISTEMA DELLE DIMORE DIVINE

Che gli Æsir dispongano di una loro fortezza, o di un certo numero di regni e/o dimore, è più volte affermato nella Ljóða Edda, anche se i poemi eddici ignorano per lo più il toponimo Ásgarðr.

Il Grímnismál ci offre una particolareggiata trattazione della cosmologia celeste. Tratta delle dimore divine, svela i dettagli della Valhǫll, enumera i fiumi cosmici, presenta le creature che dimorano sul frassino Yggdrasill, elenca i destrieri degli dèi e i nomi di Óðinn. Non è un testo facilmente accessibile, come buona parte della poesia eddica, e molte strofe presentano difficoltà testuali sui quali critica e filologia si sono accaniti fin dai tempi di Sophus Bugge e Jacob Grimm. Non è nemmeno chiaro quale sia il limite, nel poema, tra sapienza mitologica e rielaborazione poetica: non conosciamo le intenzioni del suo compositore, che sembra voler fare poesia ed erudizione insieme. Abbiamo come guida la Prose Edda di Snorri, che ci permette di farci largo tra le asperità del poema ma ci impone allo stesso tempo i preconcetti del suo autore. Tenuto conto di queste difficoltà, il Grímnismál rimane tuttavia un testo particolarmente prezioso, perché ci permette di abbozzare un'uranografia norrena.

Ci interessano qui, in particolare, le strofe [4-8] e [11-17], le quali enumerano le dodici – che poi a conti fatti sono tredici – dimore celesti in cui abitano i principali tra Æsir e Vanir. È un passo piuttosto lungo ma importante, e lo riportiamo per intero escludendo le strofe [9-10] che trattano della Valhǫll:

Land er heilagt
er ek liggja sé
ásom ok álfom nær;
en í Þrúðheimi
skal Þórr vera,
unz um rjúfaz regin.
Sacra è la terra
ch'io stendersi vedo
agli Æsir e agli Álfar vicina.
In Þrúðheimr
vi sarà Þórr
finché non crolleranno gli dèi.
Ýdalir heita,
þar er Ullr hefir
sér um gǫrva sali.
Álfheim Frey
gáfo i árdaga
tívar at tannfé.
Ýdalir si chiama
il luogo dove Ullr ha
costruito per sé una corte.
Álfheimr a Freyr
donarono in principio
gli dèi per il suo primo dente.
Bær er sá inn þriði,
er blið regin
silfri þǫkðo sali;
Valaskjálfr heitir,
er vélti ser
áss i árdaga.
Altra dimora è la terza
che gli dèi soavi
con argento ricoprirono a farne una corte.
Valaskjálf si chiama
quel [palazzo] che costruì per sé
l'áss al principio dei tempi.
Søkkvabekr heitir enn fjórði,
en þar svalar knego
unnir yfir glymja;
þar þau Óðinn ok Sága
drekka um alla daga
glǫð or gullnom kerom.
Søkkvabekkr si chiama la quarta,
là dove possono gelide
onde sopra scrosciare.
Óðinn e Sága
bevono tutti i giorni,
lieti, in coppe d'oro.
Glaðsheimr heitir enn fimti,
þars en gullbjarta
Valhǫll við of þrumir;
en þar Hroptr
kýss hverjan dag
vápndauða vera.
Glaðsheimr si chiama la quinta
in cui splendente d'oro
la vasta Valhǫll si trova;
e là Hroptr
sceglie ogni giorno
gli uomini caduti nella mischia.
[...] [...]
Þrymheimr heitir enn sétti,
er Þjazi bjó,
sá inn ámátki jǫtunn;
en nú Skaði byggvir,
skír brúðr goða,
fornar tóptir fǫður.
Þrymheimr si chiama la sesta
dove Þjazi viveva,
quel detestabile gigante.
Ora Skaði risiede,
pura sposa degli dèi,
nell'antica dimora del padre.
Breiðablik ero in sjundo,
en þar Baldr hefir
sér um gerva sali,
á því landi
er ek liggja veit
fæsta feiknstafi.
Breiðablik è la settima
là dove Baldr ha
per sé innalzato una corte.
In quella terra
dove io so che si trovano
pochissime rune malvagie.
Himinbjǫrg ero en átto,
en þar Heimdall
kveða valda véom;
þar vǫrðr goða
drekkr í væro ranni
glaðr inn góða mjǫð.
Himinbjǫrg è l'ottava
là dove Heimdallr
– dicono – governi i templi.
Là la sentinella degli dèi
beve nella comoda dimora,
lieto, il divino mjǫðr.
Fólkvangr er inn níundi,
en þar Freyja ræðr
sessa kostom i sal;
halfan val
hon kýss hverjan dag
en hálfan Óðinn á.
Fólkvangr è la nona,
là dove Freyja stabilisce
i posti al banchetto.
La metà dei caduti
ella sceglie ogni giorno;
l'altra metà spetta a Óðinn.
Glitnir er inn tíundi,
hann er gulli studdr
ok silfri þakðr it sama;
en þar Forseti
byggir flestan dag
ok svæfer allar sakir.
Glitnir è la decima,
sorretta da pilastri d'oro
e d'argento ancora ricoperta.
Forseti
abita la maggior parte del giorno
e appiana tutte le contese.
Nóatún ero en ellipto,
en þar Njǫrðr hefir
sér um gǫrva sali,
manna þengill
enn meins vani
hátimbroðonm hǫrgi ræðr.
Nóatún è l'undicesima
là dove Njǫrðr ha
per sé innalzato una corte.
Degli uomini sovrano
il vanr immacolato
su imponenti templi regna.
Hrísi vex ok há grasi
Víðars land viði;
en þar mǫgr of læzk
af mars baki
frækn at hefna fǫður.
Cespugli crescono ed erba alta
nella boscosa terra di Víðarr.
Là si farà il ragazzo
in groppa ai destrieri
abile a vendicare il padre.
Ljóða Edda > Grímnismál [4-8, 11-17]

Questa lista delle dimore divine espone realtà tra loro molto diverse, come si evince dai termini che definiscono i vari toponimi: heimr, «mondo», vangr, «campo», dalir, «vallata», bjǫrg, «montagna», skjálf, «rocca», tún, «fortezza». Più precisamente, Þrúðheimr, Ýdalir, Álfheimr, Breiðablik, Fólkvangr e la terra senza nome di Víðarr sono dei vasti territori. Valaskjálf, Søkkvabekkr e Glitnir sono degli edifici. Glaðsheimr sembra essere un territorio (ma Snorri afferma sia un edificio). Nóatún è una fortezza sul mare e Þrymheimr un territorio o una fortezza tra i monti. Himinbjǫrg è, infine, una montagna con una rocca sulla vetta.

L'enumerazione del Grímnismál prende l'avvio con Søkkvabekkr, che viene detta essere la quarta dimora. Contando a ritroso, Valaskjálf è la terza, Álfheimr la seconda e Ýdalir la prima. Rimane fuori dal conto Þrúðheimr, che apre l'elenco. Difficile capire la ragione di questo disservizio. Se però ci atteniamo all'ermeneutica della strofa [4], Þrúðheimr potrebbe essere interpretato come il nome complessivo del regno celeste, comune ad Æsir ed Álfar, con Þórr preposto a sua difesa:

Land er heilagt
er ek liggja sé
ásom ok álfom nær;
en í Þrúðheimi
skal Þórr vera,
unz um rjúfaz regin.

Sacra è la terra
ch'io stendersi vedo
agli Æsir e agli Álfar vicina.
In Þrúðheimr
vi sarà Þórr
finché non crolleranno gli dèi.

Ljóða Edda > Grímnismál [4]

Sembra infatti curioso che il Grímnismál conceda un'intera strofa a quasi ogni singola dimora divina, mentre Þrúðheimr ha per sé una sola semistrofa [helming]. A meno che, appunto, la strofa [4] non riguardi nel suo complesso la «sacra terra» [land heilagt] degli Æsir e degli Álfar, e che questa non sia appunto Þrúðheimr. Ipotesi purtroppo problematica. Nella Prose Edda, Snorri afferma a più riprese che Þrúðheimr o Þrúðvangar sia il regno appartenente a Þórr, quindi non identificabile con il mondo divino nel suo complesso. Rimane il dubbio che Snorri abbia travisato la strofa [4] e, d'altra parte, in Grímnismál [24] è detto sia Bilskírnir il palazzo di Þórr. Non sappiamo di quali altre fonti disponesse Snorri, oltre ai poemi eddici a noi pervenuti, ed è arduo valutare quale grado di conoscenza ne avesse.

II - ÁSGARÐR NELLA LJÓÐA EDDA

Il toponimo «Ásgarðr» è pressoché ignoto ai poemi eddici. Nella Vǫluspá, ad esempio, quando si parla della guerra tra le due stirpi divine, si cita una borg ása, una «rocca degli Æsir», il cui recinto di legno sarebbe stato infranto dai Vanir.

Brotinn vas borðveggr
borgar ása,
knáttu vanir vísgpá
vǫllu sporna.
Infranto il riparo di legno
della rocca degli Æsir
minacciosi poterono i Vanir
porre il piede in campo.
Ljóða Edda > Vǫluspá [4]

La parola borg trova la sua radice in byrgja «rinchiudere», e non è lontana da berg «colina» e bjarga «difendere». Diffusa in tutte le lingue germaniche e tuttora presente in molti toponimi europei (cfr. anglosassone burg, burh, inglese borough, burgh; antico alto tedesco puruc, purc; da cui tardolatino burgus, italiano borgo, francese bourg), questa parola indica un castello, una cittadella fortificata, solitamente posta in cima a un'altura e ben difesa. Può essere tradotta come «città», ma ancor meglio, «rocca». Il suo contenuto semantico può dare un'immagine della rocca degli Æsir, così come veniva concepita nella Scandinavia alto-medievale.

Il Grímnismál è il poema che più di ogni altro descrive il mondo e le dimore divine. Esso, però, come abbiamo detto, esordisce trattando non di una città, ma di una terra abitata dagli Æsir, pur senza fornirne un nome:

Land er heilagt
er ek liggja sé
ásom ok álfom nær...
Sacra è la terra
ch'io stendersi vedo
agli Æsir e agli Álfar vicina..
Ljóða Edda > Grímnismál [4]

In seguito, il poema descrive il mondo degli Æsir, ma invece di una cittadella, come abbiamo visto, abbiamo tredici tra regni e fortezze, citati uno per uno dal testo (Grímnismál [4-17]):

Il testo descrive poi, con dovizia di dettagli, la Valhǫll e le meraviglie che vi si trovano; aggiunge il nome del palazzo posseduto da Þórr, Bilskírnir; enumera i fiumi cosmici, descrive la fauna del frassino Yggdrasill, elenca le valkyrjur e gli heiti di Óðinn. Il testo cita anche il ponte arcobaleno Bilrǫst, che Þórr non può attraversare perché brucerebbe sotto i suoi passi. L'impressione generale è che i regni divini si trovino in cielo, in un mondo lontano e inaccessibile agli esseri umani.

Nonostante le generose descrizioni offerte dal Grímnismál, esso non nomina mai il toponimo Ásgarðr. Il problema è forse risolto ipotizzando che l'Ásgarðr di Snorri sia qui sostituito dal suo edificio principale, Glaðsheimr, il quale era – c'informa Snorri – il tempio dedicato a tutti gli dèi. Abbiamo dunque un complesso di dodici regni celesti, dedicati ciascuno presieduto da una divinità, più un tredicesimo che, secondo logica, dovrebbe essere Glaðsheimr. Peccato che, nell'enumerare le dodici case divine, il Grímnismál conti Glaðsheimr per quinta e lasci invece fuori Þrúðheimr.

Il toponimo «Ásgarðr» viene citato espressamente soltanto nell'Hymiskviða e nel Þrymskviða che, tra i poemi mitologici compresi nel Codex Regius [R], sono probabilmente i due più tardi, risalenti all'xi secolo, un'epoca in cui la letteratura gnomico-sapienziale dei þulir aveva lasciato il posto alle ballate mitologiche. Nella prima citazione, Þórr e Týr si stanno recando alla dimora di Hymir:

Fóru drjúgum
dag þann fram
Ásgarði frá...
Viaggiarono decisi
avanti tutto il giorno
da Ásgarðr...
Ljóða Edda > Hymiskviða [7]

Nella seconda, Loki mette Þórr in guardia dai rischi che corrono gli Æsir se il suo martello non verrà recuperato:

Þegar munu jǫtnar
Ásgarð búa...
Presto gli jǫtnar
abiteranno Ásgarðr...
Ljóða Edda > Þrymskviða [18]

Se il toponimo Ásgarðr non compare mai nei poemi eddici, la rocca degli Æsir viene però nominata per la prima volta da Þorbjǫrn dísarskáld, scaldo islandese vissuto tra il x e l'xi secolo, in un helming conservato nello Skáldskaparmál:

Þórr hefir Yggs með árum
Ásgarð af þrek varðan.
Þórr difese con la forza
Ásgarðr e il popolo di Yggr.
Þorbjǫrn dísarskáld: Skáldskaparmál {50}
III - LO SVILUPPO DI ÁSGARÐR IN SNORRI

Nella dizione «Ásgarðr» la letteratura popolare tende a identificare l'intero mondo divino. Capita, sfogliando testi frettolosi o materiale fantasy, trovare le dimore gli Æsir trattate come fossero edifici di una «città» chiamata Ásgarðr. In realtà, le dimore divine sono citate nel Grímnismál come regni a sé stanti e, nello stesso testo, non si fa alcun riferimento ad Ásgarðr. Questo toponimo viene sviluppato solo nella Prose Edda, anche se il lettore della Ljóða Edda è portato a proiettarvi le nozioni apprese da Snorri.

Solo la Vǫluspá, come abbiamo visto, cita frettolosamente una borg ása, «rocca degli Æsir»:

Brotinn vas borðveggr
borgar ása,
knáttu vanir vísgpá
vǫllu sporna.
Infranto il riparo di legno
della rocca degli Æsir
minacciosi poterono i Vanir
porre il piede in campo.
Ljóða Edda > Vǫluspá [24]

Di cosa sta parlando la Vǫluspá? E perché il Grímnismál non cita a sua volta questa «rocca degli Æsir»? Abbiamo a che fare con tradizioni e contesti differenti o forse, semplicemente, non riconosciamo i riferimenti comuni ai due testi?

Al contrario di quanto rileviamo nei poemi eddici, il toponimo «Ásgarðr» è invece ben attestato in tutta la Prose Edda e nelle opere pseudo-storiche di Snorri, dov'è più volte definito la «rocca» [borg] degli dèi. Forse non sarà inutile precisare che Ásgarðr, «recinto degli Æsir», non è un nome proprio ma, come buona parte della terminologia del mito nordico, una circonlocuzione descrittiva, non troppo diversa dal borg ása di Vǫluspá [24].

Snorri principia il racconto della Prose Edda proprio con il viaggio di re Gylfi nella rocca degli Æsir.

Hann byrjaði ferð sína til Ásgarðs ok fór með laun ok brá á sik gamals manns líki ok dulðisk svá. [...]. En er hann kom inn í borgina, þá sá hann þar háva hǫll, svá at varla mátti hann sjá yfir hana. Þak hennar var lagt gyltum skjǫldum svá sem spánþak. [Gylfi] mise in cammino verso Ásgarðr e viaggiò in incognito, camuffato da vecchio così da non farsi riconoscere. [...]. Quando Gylfi entrò nella rocca, vide una hǫll talmente alta che a stento ne scorgeva la sommità. Il tetto era ricoperto di scudi dorati disposti come tegole.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [2]

Come scopriremo in seguito, Gylfi si trova di fronte all'aula di Valhǫll. Snorri non descrive il percorso compiuto dal sovrano svedese, e ci si può chiedere come abbia fatto a raggiungere Ásgarðr a piedi, se questa si trovava effettivamente in cielo. In realtà, Snorri intende in questo conteto la fortezza degli Æsir secondo la concezione pseudostorica, che la situa sul suolo terrestre, a volte addirittura identificandola (come vedremo) con la Troíē omerica.

Ma torniamo a re Gylfi. Entrato nella Valhǫll egli viene condotto al cospetto di tre sovrani, Hár, Jafnhár e Þriði, che si dicono ben disposti a rispondere a tutte le sue domande. Egli chiede chi sia il sommo e più antico degli dèi, e la risposta collega questo personaggio alla rocca di Ásgarðr:

Sá heitir Allfǫðr at váru máli, en í Ásgarði inum forna átti hann tólf nǫfn. Eitt er Allfǫðr, annat er Herran eða Herjan, þriðja er Nikarr eða Hnikarr, fjórða er Nikuz eða Hnikuðr, fimta Fjǫlnir, sétta Óski, sjaunda Ómi, átta Bifliði eða Biflindi, níunda Sviðarr, tíunda Sviðrir, ellipta Viðrir, tólfta Jálg eða Jálkr. Egli è chiamato Allfǫðr nella nostra lingua, ma anticamente in Ásgarðr aveva dodici nomi. Il primo è Allfǫðr, il secondo Herran o Herjan, il terzo Nikarr o Hnikarr, il quarto Nikuðr o Hnikuðr, il quinto Fjǫlnir, il sesto Óski, il settimo Ómi, l'ottavo Bifliði o Biflindi, il nono Sviðurr, il decimo Sviðrir, l'undicesimo Viðrir, il dodicesimo Jálg o Jálkr.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [3]

Si tratta ovviamente di Óðinn. Quell'«anticamente» [inum forna] lo colloca, insieme alla rocca di Ásgarðr, in un'epoca anteriore: come vedremo Snorri sta pensando, nella sua interpretazione evemeristica, al tempo dei miti omerici.

A questo punto della narrazione, Snorri passa dalla cornice pseudostorica all'esposizione mitologica, che è l'argomento del Gylfaginning, e descrive la creazione del mondo. Dopo aver ucciso Ymir, i figli di Borr (Óðinn, Vili e ) creano, a partire dal suo corpo smembrato, il cielo, la terra e il mare; al centro dell'universo stabiliscono il Miðgarðr, destinato ai figli degli uomini. Dopo di ché, innalzano la loro fortezza:

Þar næst gerðu þeir sér borg í miðjum heimi er kallaðr er Ásgarðr. Þat kǫllum vér Troja. Þar bygðu guðin ok ættir þeira ok gerðusk þaðan af mǫrg tíðindi ok greinir bæði á jǫrðu ok í lopti. Þar er einn staðr er Hliðskjálf heitir, ok þá er Óðinn settisk þar í hásæti, þá sá hann of alla heima ok hvers manns athǿfi ok vissi alla hluti þá er hann sá. Poi [i figli di Borr] costruirono per loro, nel centro del mondo, una rocca [borg] che fu chiamata Ásgarðr, che noi chiamiamo Troia. Là abitano gli dèi e le loro stirpi e da allora molti avvenimenti e vicissitudini sono accaduti sia in cielo che in terra. Là c'è un posto chiamato Hliðskjálf e, quando Óðinn s'insediò là nell'alto seggio, vide tutto il mondo, gli atti di ogni uomo, e comprese tutto ciò che vide.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9]

Subito dopo, trattando dei figli di Óðinn e Frigg, Snorri allarga l'inquadratura, aumentando la complessità dell'insieme:

Ok af þeira ætt er sú kynslóð komin er vér kǫllum Ása ættir, er bygt hafa Ásgarð hinn forna ok þau ríki er þar liggja til, ok er þat allt goðkunnig ætt. E dalla loro discendenza venne la stirpe degli Æsir, che ha popolato l'antica Ásgarðr e quei regni che le appartengono, ed è una stirpe che possiede sapienza divina.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9]

Dunque, Ásgarðr è una fortezza, una rocca [borg], la principale del paese degli Æsir. Da essa dipendono dei territori e dei regni da essa distinti, probabilmente da identificare con le dodici dimore divine citate in Grímnismál [4-17].

“Cosa fece Allfǫðr quando Ásgarðr fu costruita?” chiede in seguito re Gylfi. La risposta che Snorri mette in bocca ad Hár è una lunga descrizione di Ásgarðr ai tempi dell'età aurea.

Í upphafi setti hann stjórnarmenn í sæti ok beiddi þá at dǿma með sér ørlǫg manna ok ráða um skipun borgarinnar. Þat var þar sem heitir Iðavǫllr í miðri borginni. Var þat hit fyrsta þeira verk at gǫra hof þat er sæti þeira standa í, tólf ǫnnur en hásætit þat Allfǫðr á. Þat hús er bezt gǫrt á jǫrðu ok mest, allt er þat innan ok útan svá sem gull eitt. Í þeim stað kalla menn Glaðsheim. Annan sal gǫrðu þeir, þat var hǫrgr er gyðjurnar áttu, ok var hann allfagrt hús. Hann kalla menn Vingólf. Þar næst gǫrðu þeir þat at þeir gǫrðu hamar ok tǫng ok steðja ok þaðan af ǫll tól ǫnnur, ok því næst smíðuðu þeir málmstein ok tré ok svá gnógliga þann málm er gull heitir, at ǫll búsgǫgn ok ǫll reiðigǫgn hǫfðu þeir af gulli, ok er sú ǫld kǫlluð gullaldr... All'inizio [Óðinn] stabilì i seggi dei governatori e ordinò loro di decretare il destino degli uomini e di deliberare sulle disposizioni della rocca. Questo accadde nel campo chiamato Iðavǫllr, nel mezzo della città. La loro prima opera fu la costruzione di quella corte ove stanno i loro dodici seggi insieme all'altro, l'alto seggio che appartiene ad Allfǫðr. Questo edificio è il migliore costruito sulla terra e il più grande. Qui tutto, dentro e fuori, appare come oro puro. Questo posto gli uomini lo chiamano Glaðsheimr. Essi costruirono un'altra sala: il santuario che andò alle dee, meraviglioso. Questo edificio gli uomini lo chiamano Vingólf. In seguito costruirono un edificio ove posero delle fucine, poi fecero martelli, tenaglie, incudini e tutti gli altri utensili. Quindi lavorarono il metallo, la pietra e il legno e v'era in tale abbondanza quel metallo che si chiama oro che ebbero tutti i loro arnesi e le loro suppellettili d'oro. Quel tempo fu chiamato età dell'oro...
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [14]

Questa scena, Snorri la trae – insieme a molti elementi della sua descrizione – da un laconico passo della Vǫluspá:

Hittusk æsir
á Iðavelli,
þeirs hǫrg ok hof
há timbruðu;
afla lǫgðu,
auð smíðuðu,
tangir skópu
ok tól gerðu.
Convennero gli Æsir
in Iðavǫllr,
loro che altari e templi
alti innalzarono;
focolari accesero,
crearono ricchezze,
tenaglie fabbricarono,
ingegnarono utensili.
Ljóða Edda > Vǫluspá [7-8]

Il verbo impiegato per la costruzione degli edifici è timbra, che indica propriamente l'erezione di edifici in legno. I primi palazzi costruiti sono definiti, dalla Vǫluspá, hǫrg e hof. Il fatto che i due termini allitterino fa pensare a un'espressione formulare. Si tratta di luoghi di culto, tradizionalmente tradotti con «altari» e «templi». In particolare, il termine hǫrgr sembra legato, in letteratura, a culti femminili (Vingólf è definita hǫrgr in Gylfaginning [14]). In quanto alla parola hof, inizialmente indicante un tempio o un santuario, è venuta in seguito a indicare la corte di un signore. (Meli 2008). Dunque, Ásgarðr viene concepita dagli dèi come fosse il loro stesso tempio celeste, archetipo nello spazio mitico di tutti i luoghi di culto che gli uomini attribuiranno loro nel corso della storia. Basti pensare che quando gli Æsir si trovano nella necessità di neutralizzare il lupo Fenrir, sul quale si accentravano rovinose profezie, scelgono di non ucciderlo per non oltraggiare col suo sangue la santità delle loro dimore (Gylfaginning [34]). Ora, può sembrare strano che siano gli dèi stessi a edificare i loro propri luoghi di culto. Si ricorda in proposito che, nella vicenda pseudostorica tratteggiata da Snorri nell'Ynglinga saga, sono gli stessi Æsir, una volta giunti nel nord Europa, a proporsi agli uomini come dèi ed a istituire il loro stesso culto (Ynglinga saga [5 | 8-9]).

È a questo punto, probabilmente, che scoppia la guerra tra Æsir e Vanir. I Vanir, secondo i frettolosi accenni della Vǫluspá, infrangono la palizzata di legno che circonda la città degli Æsir e la invadono, violandola con la loro presenza. La versione storicizzata presente nella Ynglinga saga è più realistica:

Óðinn fór með her á hendr Vǫnum, en þeir urðu vel við ok vǫrðu land sitt, ok hǫfðu ymsir sigr; herjuðu hvárir á land annarra ok gerðu skaða... Óðinn partì con l'esercito per combattere i Vanir, ma essi resistettero bene e difesero la loro terra. La vittoria toccò un po' agli uni e un po' agli altri; gli uni e gli altri saccheggiarono il paese avversario arrecando danni...
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [4]

Difficile quantificare questi «danni». Certamente, il recinto di legno che circondava Ásgarðr si era rivelato drammaticamente insufficiente. Perciò, terminata la guerra, gli Æsir decidono di erigere una roccaforte di pietra, in modo da rendere la loro cittadella inespugnabile. Il racconto della costruzione della mura di Ásgarðr, probabilmente già implicato in Vǫluspá [25-26], è narrato da Snorri in Gylfaginning [42]:

Þat var snimma í ǫndverða bygð goðanna, þá er goðin hǫfðu sett Miðgarð ok gert Valhǫll, þá kom þar smiðr nǫkkvorr ok bauð at gera þeim borg á þrim misserum svá góða at trú ok ørugg væri fyrir bergrisum ok hrímþursum þótt þeir komi inn um Miðgarð... Si era agli inizi, nei primi tempi in cui gli dèi si erano insediati nella loro dimora, quando avevano appena stabilito Miðgarðr e costruito Valhǫll. Un giorno giunse un artigiano che offrì loro di costruire in tre misseri una cittadella così ben fatta da essere solida e protetta contro i giganti di montagna e i giganti di brina, anche qualora fossero arrivati fino in Miðgarðr...
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [42]

Si comincia così a profilare una topografia di Ásgarðr. È una fortezza protetta da robuste mura di pietra. È situata al centro del mondo o addirittura in cielo, senza che le due cose siano necessariamente in contraddizione, visto che gli dèi sono in grado di spostarsi da un mondo all'altro sia a piedi che sui loro carri, sia galoppando nell'aria in groppa ai loro cavalli o volando nei loro travestimenti da falchi o da cigni. In un apposito capitolo, viene anche spiegato che Bifrǫst, il ponte arcobaleno, è la via che conduce dalla terra al cielo (Gylfaginning [13]). Il ponte termina sulla rocca di Himinbjǫrg, residenza di Heimdallr (Grímnismál [13]); questo luogo, situato á himins enda, «alla fine del cielo», sembra essere l'ingresso per il mondo celeste.

Þar er enn sá staðr er Himinbjǫrg heita. Sá stendr á himins enda við brúarsporð, þar er Bifrǫst kemr til himins. C'è anche quel luogo chiamato Himinbjǫrg, che si trova alla fine del cielo, sulla soglia del ponte, là dove Bifrǫst giunge nel firmamento.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [17]
Hann býr þar er heita Himinbjǫrg við Bifrǫst. Hann er vǫrðr guða ok settr þar við himins enda at gæta brúarinnar fyrir bergrisum. [Heimdallr] abita in quel posto chiamato Himinbjǫrg, presso Bifrǫst. Egli è il guardiano degli dèi: risiede lassù, alla fine del cielo, per vegliare sul ponte l'arrivo dei giganti di montagna.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [27]

Una volta superato Himinbjǫrg, giunti sotto le mura di Ásgarðr, si ergono di fronte i cancelli di Ásgrindr, i quali sono di solito aperti, tanto che il gigante Hrungnir li supera al galoppo senza nemmeno accorgersene (Skáldskaparmál [24]). In caso di emergenza, i cancelli vengono serrati. Il gigante Þjazi li oltrepassò precipitando dall'alto e si schiantò nel cortile all'interno della fortezza, dove venne ucciso dagli Æsir (Skáldskaparmál [3]).

Al centro di Ásgarðr vi è il campo di Iðavǫllr, che è il luogo più antico della cittadella, dove gli Æsir si erano riuniti all'inizio del tempo per dare inizio alla costruzione della fortezza. Vi sono poi i due santuari di Glaðsheimr e Vingólf, dedicati rispettivamente agli æsir e alle ásynjur. Curiosamente, solo Glaðsheimr compare nel novero delle dimore divine fornito in Grímnismál [4-17], dove se ne parla come fosse il territorio in cui sorge la Valhǫll, confondendosi in parte con il concetto snorriano di Ásgarðr.

È in Glaðsheimr dove, secondo Snorri, si trovano i dodici troni degli dèi, più l'alto seggio di Óðinn. In quanto a Vingólf, pare avere uno statuto speciale, perché in un altro passo della sua Edda, Snorri la identificata con Gimlé, residenza escatologica di tutti gli uomini giusti, posta in un cielo superiore (Gylfaginning [3]).

Al proposito, quando Gylfi chiede quali altri luoghi importanti si trovino in cielo, Hár gli elenca alcune delle dimore divine già citate nel Grímnismál. Sono i regni che dipendono da Ásgarðr, a cui Snorri aveva accennato in Gylfaginning [9]:

Margir staðir eru þar gǫfugligir. Sá er einn staðr þar er kallaðr er Álfheimr. Þar byggir fólk þat er Ljósálfar [...]. Þar er enn sá staðr er Breiðablik er kallaðr, ok er engi þar fegri staðr. Þar er ok sá staðr er Glitnir heitir ok eru veggir hans ok stoðir allar ok stólpar af rauðu gulli, en þak hans af silfri. [...]. Þar er enn mikill staðr er Valaskjálf heitir. Þann stað á Óðinn, þann gǫrðu guðin ok þǫkðu skíru silfri, ok þar er Hliðskjálfin í þessum sal, þat hásæti er svá heitir. Ok þá Allfǫðr sitr í því sæti, þá sér hann um alla heima. Molti gloriosi posti esistono. Vi è un luogo chiamato Álfheimr, dove abita quel popolo detto dei Ljósálfar [...]. C'è inoltre un posto chiamato Breiðablik e non ve ne sono di più belli. Ancora c'è quel luogo chiamato Glitnir, i cui muri, stipiti e colonne sono di oro rosso, mentre il suo tetto è d'argento. [...]. C'è poi un grande posto che si chiama Valaskjálf, che appartiene a Óðinn. Lo fecero gli dèi e lo ricoprirono di argento puro; in quella sala si trova Hliðskjálf, l'alto seggio, così come è chiamato, e quando Allfǫðr siede su quel trono egli vede tutto il mondo.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [17]

Nei capitoli successivi, Snorri tratta in dettaglio tutti gli dèi e le dee, citando anche molti particolari delle loro singole dimore (Gylfaginning [20-36]). Snorri tratta poi della Valhǫll, uno dei luoghi principali di Ásgarðr, alla cui voce rimandiamo per i dettagli (Gylfaginning [38-41]).

Per quanto non venga detto espressamente, sembra ovvio che Ásgarðr arderà insieme al resto dei nove mondi, nelle fiamme del ragnarǫk. Esaurito l'incendio universale, coloro che tra gli dèi sono sopravvissuti, si riuniscono di nuovo in Iðavǫllr. Il luogo dove, al principio del tempo, gli Æsir si erano riuniti per principiare la costruzione di Ásgarðr, sembra essere l'unico ad esistere ancora, nel nuovo ciclo cosmico. Non sembra esservi più traccia dei palazzi e delle dimore degli dèi. È citata soltanto Gimlé, altra dimora escatologica, che però sembra essere estranea ad Ásgarðr:

Á sunnanverðum himins enda er sá salr er allra er fegrstr ok bjartari en sólin, er Gimli heitir. Hann skal standa þá er bæði himinn ok jǫrð hefir farisk, ok byggja þann stað góðir menn ok réttlátir of allar aldir. Nella parte meridionale del cielo c'è quella sala, più bella e più splendente del sole, che si chiama Gimlé. Essa resisterà quando cielo e terra saranno entrambi caduti e ivi abiteranno gli uomini buoni e giusti di tutte le epoche.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [17]

In quanto alle altre dimore divine precedentemente citate, esse non si trovano in Ásgarðr, ma in altri luoghi del mondo celeste. Un'esplicita indicazione ci viene fornita dalla letteratura pseudostorica, come ora vedremo.

IV - ÁSGARÐR NELLA LETTERATURA EVEMERISTICA

L'interpretazione pseudo-storica di Ásgarðr trova il suo paradigma in un brevissimo accenno della Prose Edda di Snorri, dove ha però quasi l'aria di un intruso, o forse di un refuso.

Þar næst gerðu þeir sér borg í miðjum heimi er kallaðr er Ásgarðr. Þat kǫllum vér Troja... Poi [i figli di Borr] costruirono per loro, nel centro del mondo, una rocca [borg] che fu chiamata Ásgarðr, che noi chiamiamo Troja...
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9]

In tutto il resto dell'Edda, che ha carattere mitologico, Ásgarðr si trova stabilmente in cielo. Ma in questa frase, che sembra redatta sulla base di un'ideologia storiografica, è invece posta al centro del mondo e addirittura identificata con la Troíē omerica. Che la frase non sia un'interpolazione è sia suggerito dal fatto che la troviamo in tre manoscritti su quattro (il passo manca soltanto nel Codex Uppsaliensis [U]), sia anche e soprattutto dal fatto che riflette un'opinione che Snorri manifesta in altre opere. Solo, stupisce di trovarla appuntata in un testo mitologico, in contraddizione con quanto detto nel contesto.

L'idea ha la base nella concezione evemeristica, cara agli storiografi medievali, per la quale le divinità pagane erano in realtà sovrani ed eroi del lontano passato, poi divinizzati e venerati dal popolo ignorante. È questa l'interpretazione che Snorri dà nei suoi testi pseudostorici, l'Ynglinga saga e il Formáli dell'Edda, a cui possiamo aggiungere la cornice del Gylfaginning.

Nell'Ynglinga saga, Snorri esordisce con un resoconto geografico, proiettando il lettore nelle desolate distese della Svíþjóð inn mikla, o «grande Svezia», che altri non è che la Russia. A sud di essa si trova lo Svartahaf (il Mar Nero). Questo, e il suo tributario, il fiume Tanais o Tanakvísl (il Don), dividono l'Európá dall'Ásíá. Ed è appunto giocando sulla paraetimologia Æsir/Ásíá, che Snorri localizza la sede originaria degli dèi, sulle sponde orientali del Don, ed è lì, nell'antica Scizia, al confine tra l'attuale Ucraina e il Caucaso russo, che egli colloca il loro regno, Ásaheimr, e la loro capitale, Ásgarðr.

Fyrir austan Tanakvísl í Asía var kallat Ásaland eða Ásaheimr, en hǫfuðborgin, er var í landinu, kǫlluðu þeir Ásgarð. En í borginni var hǫfðingi sá, er Óðinn var kallaðr; þar var blótstaðr mikill. Þat var þar siðr, at tólf hofgoðar váru œztir; skyldu þeir ráða fyrir blótum ok dómum manna í milli. Þat eru díar kallaðir eða dróttnar; þeim skyldi þjónostu veita ok lotning alt fólk. La terra ad oriente del fiume Don, in Asia, era detta Ásaland o Ásaheimr, e la capitale del paese fu detta Ásgarðr. Nella fortezza c'era un capo che si chiamava Óðinn. Era quello luogo di solenni sacrifici. Era la regola che dodici sacerdoti del tempio fossero i capi preminenti che prendevano le decisioni circa i sacrifici e i giudizi fra gli uomini; essi erano detti díar o drótnar. A loro tutto il popolo doveva tributare servizio e venerazione.
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [2]

Affiora qui il medesimo sistema che avevamo già incontrato nel racconto mitologico. Ásgarðr è un luogo di particolare sacralità, in cui Óðinn presiede a un collegio di dodici capi, i díar «dèi» o drótnar «signori», a cui sono attribuite funzioni di sacerdoti e giudici. È ovvio che in un contesto storico non si può parlare di vere e proprie divinità (per quanto la parola díar, mutuata dal celtico, sia assai trasparente) ma è evidente che ai dodici sacerdoti di Ásgarðr, nell'Ynglinga saga, corrispondono i dodici troni degli Æsir, in Gylfaginning [14] (e, per analogia, ai dodici nomi che «anticamente» Óðinn aveva in Ásgarðr, in Gylfaginning [3])

In un capitolo successivo, Snorri è un po' più preciso riguardo la collocazione del regno di Óðinn. Egli scrive:

Fjallgarðr mikill gengr af landnorðri till útsuðrs; sá skilr Svíþjóð hina miklu ok ǫnnur ríki. Fyrir sunnan fjallit er eigi langt til Tyrklands; þar átti Óðinn eignir stórar... Una grande catena montuosa si estende da nord-est verso sud-ovest, dividendo la Svíþjóð inn mikla dagli altri regni. A sud delle montagne non c'è una grande distanza dal Tyrkland. Là Óðinn aveva grandi possedimenti...
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [4]

Mappamondo a «O-T».
British Library. Ms. C-5933-06; Royal 12 F. IV; f.135v.

Snorri ha in mente l'orbe terrestre secondo la concezione espressa dai geografi medievali: un mondo tripartito tra Asia, Africa ed Europa. L'immagine è quella dei mappamondi medievali «O-T», dove il mondo è di forma circolare e l'Asia occupa metà del disco. Il Nilo, il Mediterraneo e il Mar Nero s'incontrano al centro del cerchio, formando una caratteristica T e dividendo tra loro i tre continenti.

La «grande catena montuosa» [fjallgarðr mikill] a cui accenna Snorri, sono i monti Urali, i quali sembrano chiudere Ásaheimr a est. Poiché i territori posseduti da Óðinn comprendono la regione tra la sponda orientale del Tanakvísl (il Don) e il Tyrkland (la Turchia), la città di Ásgarðr dovrebbe sorgere – secondo le ipotesi geografiche di Snorri – in punto vicino al centro del mondo, sul lato «asiatico» dello Svartahaf (il Mar Nero, che nella cartina è il braccio sinistro della T). Questo spiegherebbe anche il breve inciso di Gylfaginning [9] che pone Ásgarðr al centro del mondo [í miðjum heimi].

Il seguito della narrazione di Ynglinga saga narra della guerra tra goli Æsir e i Vanir, il cui territorio di Vanaheimr viene collocato da Snorri sempre lungo il Don, probabilmente ad ovest di Ásaheimr. Conclusa la guerra, Óðinn abbandona la sua terra e, per sfuggire all'espansione romana, conduce gli Æsir verso il nord Europa: nel Danmǫrk e poi in Svíþjóð. Qui, Óðinn fonda dei regni, crea un sistema di leggi e, dopo aver equamente diviso il potere tra i suoi dodici capi (Baldr, Njǫrðr, Freyr, Heimdallr, Þórr...), istituisce il suo stesso culto.

A questo punto, Snorri spiega che gli uomini del nord cominciarono a distinguere tra un mondo umano e uno divino, tanto che presero a distinguere la Svíþjóð dalla Svíþjóð inn mikla, chiamando l'una Mannheimr, «mondo degli uomini», e l'altra Goðheimr, «mondo degli dèi» (Ynglinga saga [8]), proprio perché gli Æsir erano arrivati da laggiù. Il dettaglio è necessario in quanto, nell'ottica del testo, gli Æsir sono un popolo terreno e Ásaheimr è semplicemente il paese da cui provengono. Il passaggio da «Ásaheimr» a «Goðheimr» sancisce, nelle intenzioni di Snorri, la trasformazione di un dato prettamente storico in una verità mitologica. L'autore aggiunge:

Óðinn varð sóttdauðr í Svíþjóð; ok er hann var at kominn bana, lét hann marka sik geirsoddi ok eignaði sér alla vápndauða menn; sagði hann sik mundu fara í Goðheim ok fagna þar vinum sínum. Nú hugðu Svíar, at hann væri kominn í hinn forna Ásgarð, ok mundi þar lifa at eilífu. Hófst þá at nýju átrúnaðr við Óðin ok áheit. Óðinn morì di malattia in Svíþjóð. Quando fu vicino alla morte, si fece segnare con la punta della spada e dichiarò suoi tutti gli uomini uccisi dalle armi, poi disse che sarebbe andato in Goðheimr per accogliervi i suoi amici. Così gli Svedi pensarono che egli fosse tornato nell'antico Ásgarðr per vivervi in eterno. Si accrebbe allora la fede in Óðinn e l'invocazione a lui.
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [9]

In questo modo, pur fornendo una geografia e una storia «realistiche» su Ásgarðr, Snorri giustifica lo sviluppo del pensiero cosmologico e mitologico dei popoli del nord, fornendo anche un'interpretazione della religione vichinga e delle credenze sulla Valhǫll quale dimora ultraterrena destinata ai caduti in battaglia. È interessante che Snorri definisca Ásgarðr hinn forni («l'antica Ásgarðr») questa proiezione di una capitale ormai perduta in uno spazio mitico. La stessa espressione ricompare nella Prose Edda, dove si dice che Óðinn sposò Frigg e che i loro figli, i sapienti Æsir, «popolarono l'antica Ásgarðr e quei regni che le appartengono» [er bygt hafa Ásgarð hinn forna ok þau ríki er þar liggja til] (Gylfaginning [9]).

La medesima lettura storicizzante del mito scandinavo ricompare nel prologo introduttivo della Prose Edda, dove Snorri si premura di illustrare la «realtà storica», prima di intraprendere l'imponente trattazione mitologica che sarà l'argomento del Gylfaginning. L'interpretazione evemeristica è qui ancora più decisa. Se nell'Ynglinga saga, egli si era limitato a collocare Ásgarðr a est del fiume Tanakvísl e ad assegnare a Óðinn dei generici possedimenti nel Tyrkland, qui identifica tout-court la capitale degli Æsir con la Troíē omerica, giustificando così il solitario accenno di Gylfaginning [9].

Nær miðri verǫldinni var gǫrt þat hús ok herbergi er ágætast hefir gǫrt verit, er kǫlluð var Troja, þar sem vér kǫllum Tyrkland. Þessi staðr var miklu meiri gǫrr en aðrir ok með meira hagleik á marga lund með kostnaði ok fǫngum, er þar váru. Þar váru tólf konungdómar ok einn yfirkonungr, ok lágu mǫrg þjóðlǫnd til hvers konungdóms. Þar váru í borginni tólf hǫfuðtungur. Þessir hǫfðingjar hafa verit um fram alla menn, þá er verit hafa í verǫldu, um alla manndómliga hluti. Vicino al centro del mondo fu innalzata quella dimora che divenne famosissima, la quale fu chiamata Troja, nella terra che noi chiamiamo Tyrkland. Questa città fu costruita molto più grande di altre e con maggiore abilità, con maggiore dispendio di mezzi e fatica di quanto fosse stato fatto fino ad allora. Dodici regni vi erano con un solo re supremo ed ampie tenute appartenevano a ciascun regno. C'erano in città dodici comandanti, i quali superavano gli altri uomini che vi sono al mondo in tutte le umane abilità.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Formáli [3]

Non si fa qui menzione di Ásgarðr, ma è ovvio che Snorri sta parlando della rocca degli Æsir. La descrizione è ancora più precisa di quanto non sia nell'Ynglinga saga e, in controluce, persino i dettagli mitologici affiorano con maggiore evidenza. Anche se in questo passo l'interpretazione evemeristica ha trasformato il mito in storia e la cosmologia in geografia, possiamo ancora intravedere il profilo del materiale originale. I «dodici regni» [tólf konungdómar] che dipendono da «Troja», corrispondono alle dodici dimore del Grímnismál. La città [staðr] principale, che nel Formáli è Troja, è la maschera pseudostorica dietro cui Snorri individua l'Ásgarðr di cui tratterà nell'Edda. Ai «dodici comandanti» [tólf hǫfuðtungur] corrispondono gli dèi destinati a occupare i dodici troni che, secondo lo Snorri mitografo, si trovavano nel palazzo di Glaðsheimr. Il «re supremo» [konungdóms] di Troja, che è a capo dei dodici comandanti, corrisponde all'Óðinn mitologico, identificato a sua volta con Príamos, il cui seggio dominava dall'alto i dodici troni degli dèi (Gylfaginning [14]).

Scrive ancora Snorri:

Ok svá mikill kraptr fylgði þessum mǫnnum at mǫrgum ǫldrum síðar, þá er Pompeius einn hǫfðingi Rómverja herjaði í austrhálfuna, flýði utan Óðinn ór Asía ok hingat í norðrhálfuna, ok þá gaf hann sér ok sínum mǫnnum þeira nǫfn ok kallaði Príamum hafa heitit Óðin, en dróttning hans Frigg, ok af því tók ríkit síðan nafn ok kallaði Frigía þar sem borgin stóð. Ok hvárt er Óðinn sagði þat til metnaðar við sik, eða þat hafi svá verit með skipti tungnanna, þá hafa þó margir frœðimenn haft þat fyrir sannenda sǫgn, ok þat var lengi ævi eptir at hverr sem mikill hǫfðingi var tók sér þar dœmi eptir. E così tanto potere accompagnò questi uomini per molti anni in seguito, che quando Pompeius, un condottiero romano, attaccò le regioni ad est, Óðinn fuggì dall'Ásíá e da lì andò verso nord, e quindi diede a se stesso e ai suoi uomini i loro nomi, e disse che Príamus fosse chiamato Óðinn e la sua regina Frigg, e da essa quel regno in seguito fu chiamato Frigía, dove si trovava la città. Sia che Óðinn avesse raccontato queste cose di sé per orgoglio, o che queste cose fossero state modificate a causa del mutare delle lingue, comunque molti saggi uomini lo avrebbero ritenuto vero, e per molto tempo ancora ogni grande condottiero seguì il suo esempio.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Formáli [3]

Segue, con maggiori libertà genealogiche, la stessa vicenda già riferita nell'Ynglinga saga, con la migrazione degli Æsir nel nord Európá, l'esordio del loro culto e quindi la proiezione della loro antica capitale in uno spazio non più geografico ma mitico. In quest'ottica, non è così assurdo che Ásgarðr (anzi, Ásgarðr hinn forni, l'«antica Ásgarðr») venisse identificata con Troíē, visto che molti popoli medievali, così come i Romani prima di loro, facevano risalire la loro etnogenesi agli stessi Troiani.

Evidentemente, il mito classico era considerato più autorevole, nonché storicamente più attendibile, di quello scandinavo. Non importa. L'interpretazione evemeristica getta luce sui dettagli scombinati dei poemi eddici, e l'una e l'altra lettura si sorreggono a vicenda e forniscono un quadro preciso e rassicurante sull'antico regno degli dèi.

V - DODICI (PIÙ UNO)

Valhǫll (✍ XVII sec.)

Dal ms. ÁM 738 4°, Edda oblongata, Stofnum Árna Magnússonar, Reykjavík (Islanda).

Museo [Edda Oblongata]►

Il regno degli Æsir sembra caratterizzato da una numerazione ricorrente di dodici dimore, divinità o comandanti. A volte, questi dodici elementi sono retti da un tredicesimo, che li sovrasta e li governa. Ma facciamo il punto della situazione:

Nei suoi vari esiti, il sistema è abbastanza coerente ed è facile risalire a un archetipo in cui il regno divino era composto da dodici dimore celesti, ognuna retta da una divinità, e tutte quante erano dominate da un santuario principale, sacro all'intero pántheon. Óðinn sovrastava i dodici dèi, così come il santuario governava le dodici dimore. Questo del dodici più uno è un sistema piuttosto ricorrente in molte tradizioni: si pensi ai dodici figli di Yaʿăqōḇ, ai dodici apostoli di Yēšûʿ, ai dodici paladini di Charlemagne nelle chansons de geste. Quale proiezione astronomica, si può citare lo zodiaco che rotea attorno al polo celeste, o l'anno che governa sui dodici mesi.

Pur rientrando in quest'ordine di idee, i vari esiti del sistema scandinavo presentano però molte incoerenze, difficili da superare. In Snorri, la dimora centrale è Ásgarðr, con il suo palazzo di Glaðsheimr, dove si trovano i dodici seggi degli dèi e l'alto trono di Óðinn. Nel Grímnismál, invece, Glaðsheimr è solo la quinta delle dodici dimore, per quanto abbia certamente uno status speciale, essendo la sede della Valhǫll.

In quanto alle divinità coinvolte, il Grímnismál ne cita dodici: Þórr, Ullr, Freyr, Sága, Skaði, Baldr, Heimdallr, Freyja, Forseti, Njǫrðr, Víðarr. Infatti Glaðsheimr è retta da Hroptr, epiteto di Óðinn, a cui è già attribuita la potestà su Valaskjálf. Nel Grímnismál, Óðinn sembra una sorta di primus inter pares. È uno dei dodici æsir, e regge la sua dimora personale. Ma allo stesso tempo, governa Glaðsheimr.

Nella Prose Edda, quando Gangleri domanda quali siano gli dèi a cui gli uomini dovrebbero credere, si sente rispondere: «Dodici sono i divini Æsir» [Tólf eru æsir goðkunnigir] (Gylfaginning [20]). Segue una bella esposizione dei principali numi, che occupa interamente i capitoli [20-33]. Ma se contiamo le figure descritte, scopriamo che sono quattordici: Óðinn, Þórr, Baldr, Njǫrðr, Freyr, Týr, Bragi, Heimdallr, Hǫðr, Víðarr, Váli, Ullr, Forseti e Loki. L'ultimo nome possiamo escluderlo dal computo. Rimangono tredici divinità, e poiché i troni in Glaðsheimr sono dodici più uno, bisogna pensare che appartengano ad essi.

La differenza principale con l'elenco del Grímnismál, è che Snorri enumera unicamente delle divinità maschili, mentre nel poema eddico ve ne sono sia maschili che femminili. Ma Snorri corre ai ripari, elencando delle ásynjur da opporre agli æsir, e anche qui ne presenta quattordici: Frigg, Sága, Eir, Gefjun, Fulla, Freyja, Sjǫfn, Lofn, Vár, Vǫ́r, Syn, Hlín, Snotra e Gná. Prudentemente, associa alle dee un santuario che si affianchi a quello maschile. Scrive che, subito dopo la costruzione di Glaðsheimr, gli dèi...

...annan sal gǫrðu þeir, þat var hǫrgr er gyðjurnar áttu, ok var hann allfagrt hús. Hann kalla menn Vingólf. ...costruirono un'altra sala: il santuario che andò alle dee, meraviglioso. Gli uomini lo chiamano Vingólf.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [14]

Nella Prose Edda, Vingólf non ha una fisionomia precisa: ora è il santuario delle dee, ora accoglie i caduti in battaglia, ora è addirittura una dimora escatologica destinata a sopravvivere al ragnarǫk, segno che Snorri sta pasticciando il suo materiale.

Insomma, è complicato far stare insieme le nostre fonti. Anche se il panorama è abbastanza preciso sul piano generale, i dettagli sono tra loro incongruenti. Snorri ha rielaborato il suo materiale per costruire un sistema apparentemente coerente, ma dimostra di non aver compreso molti dettagli. Nondimeno, ci ha presentato un mondo divino, nei suoi personaggi e nelle sue dimore, assai sfaccettato e affascinante.

VI - GLAÐSHEIMR, ÁSGARÐR, VALHǪLL: RELAZIONI E DIFFERENZE

Il Grímnismál, come abbiamo visto, evoca una «sacra terra» comune agli Æsir e agli Álfar, ed enumera le dodici dimore divine, tredici con Þrúðheimr. Ciascuna di esse è dedicata a una singola divinità, tranne la quinta dimora, Glaðsheimr, che è detta essere il luogo in cui si trova la Valhǫll e in cui Hroptr (Óðinn) sceglie ogni giorno i caduti degni di accedervi. È evidente che Glaðsheimr detiene un ruolo speciale nel computo delle dimore divine.

Glaðsheimr heitir enn fimti,
þars en gullbjarta
Valhǫll við of þrumir;
en þar Hroptr
kýss hverjan dag
vápndauða vera.
Glaðsheimr si chiama la quinta [dimora]
in cui splendente d'oro
la vasta Valhǫll si trova;
e là Hroptr
sceglie ogni giorno
gli uomini caduti nella mischia.
Ljóða Edda > Grímnismál [8]

Il termine Glaðsheimr vuol dire «mondo della gioia». È un composto in heimr, «mondo, patria, casa», termine che in norreno ha un significato quasi esclusivamente cosmologico. Nella letteratura mitologica, -heimr identifica le regioni che compongono l'universo e caratterizza i nomi di alcuni degli jǫrðar nío: Álfheimr, Niflheimr, Jǫtunheimr, Múspellsheimr, etc. Nel Grímnismál, Glaðsheimr ha quindi i connotati di un mondo a sé stante – forse una sorta di paradiso celeste – e Valhǫll è l'edificio che vi sorge.

A dispetto di quanto suggerito nel Grímnismál, però, Snorri afferma che Glaðsheimr non sia un mondo, o un territorio celeste, bensì un edificio [hús], il primo costruito dagli dèi in Ásgarðr affinché serva loro da santuario [hof].

Var þat hit fyrsta þeira verk at gǫra hof þat er sæti þeira standa í, tólf ǫnnur en hásætit þat Allfǫðr á. Þat hús er bezt gǫrt á jǫrðu ok mest, allt er þat innan ok útan svá sem gull eitt. Í þeim stað kalla menn Glaðsheim. La loro prima opera fu la costruzione di quella corte ove stanno i loro dodici seggi insieme all'altro, l'alto seggio che appartiene ad Allfǫðr. Questo edificio è il migliore costruito sulla terra e il più grande. Qui tutto, dentro e fuori, appare come oro puro. Questo posto gli uomini lo chiamano Glaðsheimr.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [14]

Snorri sta cercando di coordinare in un sistema coerente le notizie fornite dai poemi eddici, aggiungendovi le sue interpretazioni personali. Egli trasforma Glaðsheimr da mondo a edificio. Ma il Glaðsheimr dell'Edda sembra avere più o meno le funzioni che avrà Ásgarðr nella Prose Edda, se non altro perché è il luogo in cui si trova il salone di Valhǫll. Allorché re Gylfi accede nella rocca di Ásgarðr, quella che trova subito davanti a sé è la Valhǫll col suo tetto di scudi dorati (Grímnismál [8]). Ma il rapporto che Snorri stabilisce tra Ásgarðr e la Valhǫll è meglio esplicitato in un capitolo successivo, dove si narra il mito della costruzione delle mura di Ásgarðr. Così inizia il racconto:

Þat var snimma í ǫndverða bygð goðanna, þá er goðin hǫfðu sett Miðgarð ok gert Valhǫll, þá kom þar smiðr nǫkkvorr ok bauð at gera þeim borg á þrim misserum svá góða at trú ok ørugg væri fyrir bergrisum ok hrímþursum... Si era agli inizi, nei primi tempi in cui gli dèi si erano insediati nella loro dimora, quando avevano appena stabilito Miðgarðr e costruito Valhǫll. Un giorno giunse un artigiano che offrì loro di costruire in tre misseri una cittadella così ben fatta da essere solida e protetta contro i bergrisar e i hrímþursar...
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [42]

La Valhǫll sembra essere un edificio isolato, che ha perciò bisogno di una muraglia che lo cinga e lo protegga. È quanto il gigante si accinge a fare e completerà nel giro di sei mesi. È evidente che è proprio la costruzione di questa cinta muraria a individuare la rocca [borg] che sarà chiamata Ásgarðr, «recinto degli Æsir». Quindi, in un certo senso, la Valhǫll precede la stessa Ásgarðr. Anzi, in questo passo, Valhǫll sembra addirittura prendere il posto di Glaðsheimr come primo palazzo della cittadella divina. Dunque, oltre a trasformare Glaðsheimr in un edificio, Snorri sembra identificarlo in parte con la Valhǫll. D'altra parte, il fatto che Snorri descriva Glaðsheimr fatto «come oro puro» [sem gull eitt] (Gylfaginning [14]), è una evidente sovrapposizione con il motivo della Valhǫll «splendente d'oro» [gullbjarta] (Grímnismál [8]).

 

Grímnismál

Gylfaginning
 

Ásgarðr   È la rocca degli Æsir, nel quale si trova la Valhǫll.
 
Glaðsheimr È probabilmente un territorio celeste, nel quale si trova la Valhǫll. È il primo edificio costruito in Ásgarðr, dove si trovano i troni degli dèi.
 
Valhǫll È il principale edificio del territorio di Glaðsheimr. È il primo edificio costruito dagli dèi, intorno al quale viene creata la rocca di Ásgarðr.
 

VII - LA VALHǪLL: L'ASPETTO DEL SALONE

Le fonti che descrivono nei dettagli la Valhǫll, la dimora dei guerrieri caduti in battaglia, sono essenzialmente due: il Grímnismál, che dedica al vasto salone una decina di strofe, e la Prose Edda di Snorri che, citando e spiegando il complesso poema, dipinge un vivido quadro della Valhǫll, ricco di dettagli e sfumature.

Come abbiamo visto, il Grímnismál esordisce con un elenco delle dodici – in realtà tredici – dimore degli Æsir, a ciascuna delle quali è dedicata una strofa. Arrivato alla quinta dimora, Glaðsheimr, il poema la definisce come il luogo in cui si trova il vasto salone di Valhǫll, splendente d'oro. A quel punto, l'elenco delle dimore divine s'interrompe e seguono due strofe – piuttosto ermetiche – che aggiungono alcuni pittoreschi dettagli del salone, dopodiché il Grímnismál riprende il novero delle dimore divine:

Glaðsheimr heitir enn fimti,
þars en gullbjarta
Valhǫll við of þrumir;
en þar Hroptr
kýss hverjan dag
vápndauða vera.
Glaðsheimr si chiama la quinta [dimora]
in cui splendente d'oro
la vasta Valhǫll si trova;
e là Hroptr
sceglie ogni giorno
gli uomini caduti nella mischia.
Mjǫk er auðkent
þeim er til Óðins koma
salkynni at sjá:
skǫptom er rann rept,
skjǫldom er salr þakiðr,
brynjom un bekki strát.
È assai riconoscibile
per quelli che vengono a Óðinn,
l'aspetto del salone:
da lance il tetto è sorretto,
da scudi il salone è coperto,
da corazze le panche son tratte.
Mjǫk er auðkent
þeim er til Óðins koma
salkynni at sjá:
vargr hangir
fyr vestan dyrr
ok drúpir ǫrn yfir.
È assai riconoscibile
per quelli che vengono a Óðinn,
l'aspetto del salone:
un lupo è appeso
dinanzi all'ingresso occidentale
e si leva l'aquila sopra.
Ljóða Edda > Grímnismál [8-10]

Nella strofa [8], la Valhǫll viene definita come il luogo dove Hroptr (Óðinn) accoglie i guerrieri caduti in combattimento, da lui scelti sui campi di battaglia del mondo. La strofa [9] fornisce l'aspetto del salone, tutto improntato a un'estetica guerresca e marziale: non sono colonne, ma lance, a sostenere il tetto, e questo è a sua volta ricoperto di scudi e non di tegole; le lunghe panche sono ricavate da corazze. Meno comprensibile è la strofa [10]: perché vi è un lupo sopra l'ingresso della Valhǫll? E cosa rappresenta l'aquila che vola sopra il salone? Non abbiamo altri riferimenti testuali a questi due strani dettagli.

Snorri descrive il pittoresco salone nel secondo capitolo della sua Edda. Quando re Gylfi accede ad Ásgarðr, trova infatti, davanti a sé, un palazzo immenso e meraviglioso.

En er hann kom inn í borgina, þá sá hann þar háva hǫll, svá at varla mátti hann sjá yfir hana. Þak hennar var lagt gyltum skjǫldum svá sem spánþak. [...] Quando [Gylfi] entrò nella rocca, vide una hǫll talmente alta che a stento ne scorgeva la sommità. Il tetto era ricoperto di scudi dorati disposti come tegole. [...]
Þar sá hann mǫrg gólf ok margt fólk, sumt með leikum, sumir drukku, sumir með vápnum ok bǫrðusk. Þá litaðisk hann um ok þóttu margir hlutir ótrúligir þeir er hann sá. Là egli vide molte stanze e una gran folla di gente; alcuni giocavano, altri bevevano, altri, armati, si battevano. Gylfi si guardava intorno e molto di quel che vedeva gli sembrava incredibile.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [2]

Se re Gylfi non può ancora sapere di trovarsi di fronte alla Valhǫll, la cosa non sfugge al lettore dell'Edda. Snorri non può esimersi di giustificare la sua descrizione esibendosi in una nota erudita: «Così dice Þjóðólfr ór Hvíni, che la Valhǫll era coperta di scudi» [Svá segir Þjóðólfr inn hvinverski at Valhǫll var skjǫldum þǫkð] (Gylfaginning [2]). E cita alcuni versi tratti da un poema scaldico:

Á baki létu blíkja,
barðir váru grjóti,
Sváfnis salnæfrar
seggir hyggjandi.
Sul dorso facevano splendere,
mentr'eran da pietra colpiti,
le tegole della sala di Sváfnir,
credendo di essere astuti.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning {2} = Hrafnsmál [11]

Ma Snorri sbaglia attribuendo il brano allo scaldo Þjóðólfr ór Hvínir (860-935). Esso è tratto dal Hrafnsmál, il «Discorso del corvo», di Þorbjǫrn Hornklofi (± 855-920). Nell'ingegnosa kenning, Sváfnir, «[colui che] addormenta», è Óðinn, la «sala di Sváfnir» è la Valhǫll, e le «tegole della sala di Sváfnir» sono gli scudi, che i guerrieri di re Haralðr hárfagri – a cui è dedicato il poema – si sono issati sul dorso per difendersi dalle pietre con cui vengono bersagliati dai nemici.

Un'altra affascinante descrizione della Valhǫll, Snorri la fornisce nel primo capitolo dello Skáldskaparmál, allorché Ægir si mette in viaggio per Ásgarðr, per partecipare al banchetto degli dèi.

Ok um kveldit, er drekka skyldi, þá lét Óðinn bera inn í hǫllina sverð, ok váru svá bjǫrt at þar af lýsti, ok var ekki haft ljós annat meðan við drykkju var setit. Þá gengu æsir at gildi sínu ok settusk í hásæti tólf æsir, þeir er dómendr skyldu vera ok svá váru nefndir [...]. Ægi þótti gǫfugligt þar um at sjásk, veggþili ǫll váru þar tjǫlduð með fǫgrum skjǫldum. Þar var ok áfenginn mjǫðr ok mjǫk drukkit. All'imbrunire, quando era ora di bere, Óðinn portò nella hǫll delle spade così splendenti che da esse emanava luce e non vi furono altri lumi mentre si svolgeva il convivio. Giunsero dunque gli Æsir a banchetto e presero posto nei troni i dodici che dovevano essere giudici [...]. Ad Ægir parve meraviglioso ciò che vedeva attorno a sè. Tutti i rivestimenti erano ricoperti di bellissimi scudi. C'era anche un idromele inebriante e molto se ne bevve.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Skáldskaparmál [1]

Dove si trova la Valhǫll? Grímnismál [8] asserisce si trovi in Glaðsheimr. Come abbiamo visto, questo luogo, il «mondo della gioia», sembrerebbe essere una regione celeste. Se non ché Snorri afferma sia un edificio, di fatto il primo costruito dagli dèi in Ásgarðr, e lo descrive tutto d'oro zecchino (Gylfaginning [14]). Vi è una contraddizione, non facilmente risolvibile affermando che Glaðsheimr fosse un edificio e la Valhǫll una delle sue sale. Tutte le descrizioni della Valhǫll disegnano il profilo di un edificio a sé stante, fornito di un tetto, di un gran numero di porte, persino di un cancello. Snorri, dunque, non solo interpreta erroneamente le sue fonti affermando che Glaðsheimr sia un edificio, ma vi sovrappone alcuni dettagli caratteristici della Valhǫll, come il fatto che sia d'oro. Ricapitolando, mentre, nel Grímnismál Glaðsheimr è il territorio in cui sorge Valhǫll, in Snorri Glaðsheimr e la Valhǫll vengono più o meno a confondersi.

In un altro capitolo della sua opera, Snorri ci narra il mito della costruzione delle mura di Ásgarðr. Egli esordisce affermando che, al principio del tempo, gli dèi avevano innalzato la Valhǫll, che qui sembra prendere il posto di Glaðsheimr come primo edificio della cittadella divina. Solo più tardi, con la costruzione della possente cinta muraria, il luogo sarebbe divenuto una vera e propria rocca [borg], meritandosi il nome di Ásgarðr (Gylfaginning [42]).

Nella Ljóða Edda compaiono pochi altri riferimenti alla Valhǫll, e si tratta sovente di dettagli poco comprensibili. Ad esempio, nel Grímnismál c'è una sequenza di due strofe che sembra narrare dell'arrivo dei guerrieri defunti ai cancelli della Valhǫll:

Þýtr þund,
unir þjóðvitnis
fiskr flóði í;
árstraumr
þikkir ofmikill
valglaui at vaða.
Il Þund rumoreggia,
nuota di «Þjóðvitnir
il pesce» nell'onda.
Il vortice
si mostra periglioso
al guado delle schiere dei caduti.
Valgrind heitir,
er stendr velli á
heilǫg fyr helgom durom;
forn er sú grind,
en þat fáir vito,
hvé hón er i lás lokin.
Valgrind si chiama
quel che s'erge sul campo,
sacro dinanzi alle sacre porte;
antico è quel cancello:
e in pochi sanno
come funzioni il chiavistello.
Ljóða Edda > Grímnismál [21-22]

Non abbiamo qui le spiegazioni di Snorri. Il Þund sembra essere un fiume che sia necessario guadare per arrivare alla Valhǫll, ma di esso non si parla altrove, così come non sappiamo chi sia Þjóðvitnir, né che cosa sia il suo «pesce» ①. Del cancello di Valgrind, parimenti, non si parla altrove: sembra sia necessario oltrepassarlo per arrivare alle porte di Valhǫll.

Nello Skáldskaparmál è pure citato un boschetto (o un albero) chiamato Glasir, dalle foglie dorate, che si troverebbe dinanzi alle porte di Valhǫll. Snorri, al riguardo, cita alcuni versi da un poema andato perduto:

Hví er gull kallat barr eða lauf Glasis? Í Ásgarði fyrir durum Valhallar stendr lundr, sá er Glasir er kallaðr, en lauf hans allt er gull rautt, svá sem hér er kveðit, at... Perché l'oro è detto «foglie» o «fronde di Glasir»? In Ásgarðr, davanti alle porte di Valhǫll, sta un boschetto chiamato Glasir, e tutte le sue fronde sono di fulvo oro, perciò qui si dice che...

Glasir stendr
með gullnu laufi
fyrir Sigtýs sǫlum.

Glasir sta
con le sue fronde dorate
dinanzi alle sale di Sigtýr.

Sá er viðr fegrstr með goðum ok mǫnnum. Questa foresta è la più bella tra gli dèi e gli uomini.
 Snorri Sturluson: Prose Edda > Skáldskaparmál [42 {108}]
Ljóða Edda [fragmenta] > VII

Tra le notazioni enigmatiche del salone, possiamo segnalare un passo della Voluspá, dove si dice che, quando Baldr fu ucciso, Frigg pianse la «sventura della Valhǫll» [vá Valhallar] (Voluspá [33]), espressione che potrebbe nascondere significati sottili.

Infine, nell'incipit dell'Hyndluljóð, così Freyja desta la vǫlva Hyndla:

Vaki mær meyja,
vaki mín vina,
Hyndla systir,
er í helli býr;
nú er rǫkkr rǫkkra,
ríða vit skulum
til Valhallar
ok til vés heilags.
Svegliati, fanciulla tra le fanciulle!
Svegliati,amica mia,
sorella Hyndla
che abiti nella caverna!
È ora la tenebra delle tenebre:
cavalchiamo
verso Valhǫll
e i santi templi!
Ljóða Edda > Hyndluljóð [1]

VIII - LA VALHǪLL: I SUOI OSPITI

Nella sua Prose Edda, Snorri ci ricorda innanzitutto che il salone di Valhǫll viene assegnato da Óðinn ai guerrieri uccisi in battaglia, e sottolinea un legame di adozione tra il dio e coloro che, caduti valorosamente nella mischia, sono divenuti suoi figli:

Hann heitir ok Valfǫðr, þvíat hans óskasynir eru allir þeir er í val falla. Þeim skipar hann Valhǫll ok Vingólf, ok heita þeir þá Einherjar. [Óðinn] si chiama anche Valfǫðr perché sono suoi figli adottivi tutti coloro che cadono uccisi. A loro assegna Valhǫll e Vingólf, ed essi si chiamano Einherjar.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [20]

Riguardo all'esistenza che gli Einherjar conducono nella Valhǫll, è Gylfi stesso – dissimulato sotto il nome di Gangleri – a chiedere lumi al suo anfitrione Hár. Che cosa mangiano gli Einherjar? Che cosa bevono? Chi li serve? E cosa fanno quando non sono a banchetto? Il Grímnismál è la fonte da cui Snorri trae le sue informazioni e cita ogni volta le strofe del poema, a prova della correttezza del suo racconto, dandone al contempo preziose spiegazioni.

Sappiamo così che vi sono, nella Valhǫll, tre animali: un porco, una capra e un cervo, a cui il Grímnismál dedica altrettante strofe. Queste ultime sarebbero rimaste piuttosto ostiche se Snorri non ne avesse fornito colorite esplicazioni, così da rispondere alle domande di re Gylfi. La prima di esse, isolatamente citata dal poema in coda al novero delle dimore divine, dice:

Andhrímnir
lætri í Eldhrímne
Sæhrímne soðinn,
fleska bezt;
en þat fáir vito
við hvat einherjar alaz.
Andhrímnir
fa in Eldhrímnir
Sæhrímnir bollire,
la carne migliore.
E questo in pochi lo sanno,
di che cosa gli Einherjar si nutrano.
Ljóða Edda > Grímnismál [18]

Snorri spiega:

Þá mælti Gangleri: Þat segir þú at allir þeir menn er í orrostu hafa fallit frá upphafi heims eru nú komnir til Óðins í Valhǫll. Hvat hefir hann at fá þeim at vistum? Ek hugða at þar skyldi vera allmikit fjǫlmenni”. Quindi disse Gangleri: “Tu dici che tutti gli uomini che sono caduti in battaglia dall'inizio del mondo sono ora giunti nella Valhǫll, da Óðinn. Cos'ha egli da offrire loro per sostentarli? Immagino che là vi sia una folla immensa”.
Þá svarar Hár: Satt er þat er þú segir, allmikit fjǫlmenni er þar, en miklu fleira skal enn verða, ok mun þó oflítit þykkja þá er úlfrinn kemr. En aldri er svá mikill mannfjǫlði í Valhǫll at eigi má þeim endask flesk galtar þess er Sæhrímnir heitir. Hann er soðinn hvern dag ok heill at aptni. En þessi spurning er nú spyrr þú, þykki mér líkara at fáir muni svá vísir vera at hér kunni satt af at segja. Andhrímnir heitir steikarinn, en Eldhrímnir ketillinn. Rispose quindi Hár: “Ciò che dici è vero. Una grande folla si trova là e diverrà ancora più grande, ma sembrerà comunque troppo piccola quando arriverà il lupo. Mai però la moltitudine di Valhǫll sarà grande abbastanza da finire la carne di quel cinghiale che si chiama Sæhrímnir. Esso viene cotto ogni giorno, ma alla sera è di nuovo intero. Riguardo a ciò che ora domandi, credo proprio che pochi siano abbastanza sapienti da rispondere correttamente. Andhrímnir si chiama il cuoco ed Eldhrímnir il calderone”.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [38]

Per quanto riguarda la capra e il cervo, essi compaiono, nel Grímnismál, in due strofe affiancate, anch'esse piuttosto ermetiche. I due animali sono detti trovarsi «nella sala di Herjafǫðr» [á hǫllo Herjafǫðrs], dove brucano le fronde di un albero – mai citato altrove – chiamato Læraðr.

Heiðrún heitir geit,
er stendr hǫllo á [Herjafǫðrs]
ok bítr af læraðs limom;
skapker fylla
hón skal ins skíra mjaðar,
knáat sú veig vanaz.
Heiðrún si chiama la capra
che si erge sulla sala [di Herjafǫðr]
e bruca le fronde del Læraðr.
Il calderone riempirà
lei di quel chiaro idromele,
un liquore che non può mancare.
Eikþyrnir heitir hjǫrtr,
er stendr á hǫllo Herjafǫðrs
ok bítr af Læraðs limom;
en af hans hornom
drýpr i Hvergelmi,
þaðan eigo vǫtn ǫll vega.
Eikþyrnir si chiama il cervo
che si erge sulla sala di Herjafǫðr
e bruca le fronde del Læraðr.
Dalle sue corna
cadono gocce in Hvergelmir,
da cui prendono le acque ogni via.
Ljóða Edda > Grímnismál [25-26]

Poiché Herjafǫðr, il «padre delle schiere», è Óðinn, possiamo bene immaginare che la sala in questione sia la Valhǫll, pur non espressamente citata. È la stessa conclusione di Snorri, che v'imbastisce sopra un dialogo deliziosissimo:

Þá mælti Gangleri: “Hvat hafa einherjar at drykk þat er þeim endisk jafngnógliga sem vistin, eða er þar vatn drukkit?” Quindi chiese Gangleri: “Per gli Einherjar c'è qualcosa da bere che possa bastare per accompagnare il loro cibo, oppure là si beve acqua?”
Þá segir Hár: “Undarliga spyrðu nú, at Allfǫðr mun bjóða til sín konungum eða jǫrlum eða ǫðrum ríkismǫnnum ok muni gefa þeim vatn at drekka, ok þat veit trúa mín at margr kemr sá til Valhallar er dýrt mundi þykkjask kaupa vatnsdrykkinn ef eigi væri betra fagnaðar þangat at vitja, sá er áðr þolir sár ok sviða til banans. Disse quindi Hár: “È strano che tu adesso chieda se Allfǫðr possa chiamare a sé regnanti, jarlar e altri uomini di rango e dar loro da bere acqua. E in fede mia, tanti giungerebbero a Valhǫll pensando di aver pagato a caro prezzo quell'acqua da bere, se non vi fosse un miglior desco a cui sfamarsi per chi in precedenza ha sofferto atroci dolori nel momento della morte.
Annat kann ek þér þaðan segja. Geit sú er Heiðrún heitir stendr uppi á Valhǫll ok bítr barr af limum trés þess er mjǫk er nafnfrægt, er Léraðr heitir, en ór spenum hennar rennr mjǫðr sá er hon fyllir skapker hvern dag. Þat er svá mikit at allir einherjar verða fulldruknir af”. Posso raccontarti ancora una cosa. Quella capra che si chiama Heiðrún sta nella parte alta di Valhǫll e mangia le bacche dai rami di quel famosissimo albero chiamato Léraðr. Dalle sue mammelle l'idromele scorre copioso, tanto che ogni giorno ne riempie un barile. Questo è così grande da ubriacare tutti gli Einherjar”.
Þá mælti Gangleri: “Þat er þeim geysihaglig geit. Forkunnar góðr viðr mun þat vera er hon bítr af!” Quindi parlò Gangleri: “È proprio una capra utile per loro. Dev'essere poi prodigioso l'albero da cui bruca”.
Þá mælti Hár: “Enn er meira mark at of hjǫrtinn Eirþyrni, er stendr á Valhǫll ok bítr af limum þess trés, en af hornum hans verðr svá mikill dropi at niðr kemr í Hvergelmi, en þaðan af falla ár þær er svá heita... Quindi disse Hár: “Ancora più notevole è il cervo Eikþyrnir: anche lui si trova in Valhǫll e bruca i rami dell'albero. Dalle sue corna stillano tantissime gocce che cadono in Hvergelmir e da qui nascono i fiumi che così si chiamano...
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [39]

La meraviglia di Gylfi/Gangleri è la stessa del lettore, e Snorri la orchestra con l'abilità di un romanziere moderno. Più tardi, il protagonista pone una domanda della quale, almeno in teoria, dovrebbero già conoscere la risposta, visto che si trova sul posto e sta già assistendo a quanto accade giornalmente nella Valhǫll.

Þá mælti Gangleri: “Allmikill mannfjǫlði er í Valhǫll, svá njóta trú minnar at allmikill hǫfðingi er Óðinn er hann stýrir svá miklum her. Eða hvat er skemtun einherjanna þá er þeir drekka eigi?” Quindi parlò Gangleri: “Un'enorme folla si trova nella Valhǫll. E per quanto posso comprendere, Óðinn è un grandissimo condottiero, lui che comanda un esercito così grande. Ma qual è il passatempo degli Einherjar quando non bevono?”
Hár segir: “Hvern dag þá er þeir hafa klæzk, þá hervæða þeir sik ok ganga út í garðinn ok berjask ok fellr hverr á annan. Þat er leikr þeira. Ok er líðr at dǫgurðarmáli, þá ríða þeir heim til Valhallar ok setjask til drykkju, svá sem hér segir”. Disse Hár: “Ogni giorno, dopo essersi vestiti, si armano ed escono nel cortile, dove lottano e si abbattono l'un l'altro. Questo è il loro svago. Quando si avvicina l'ora del dagverðr, allora tornano alla Valhǫll, la loro casa, e siedono a bere”.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [40]

La fonte, qui, non è più il Grímnismál, ma il Vafþrúðnismál:

Allir einherjar
Óðins túnum í
hǫggvask hverjan dag.
Val þeir kjósa
ok ríða vígi frá,
sitja meir um sáttir saman.
Gli Einherjar tutti
alla corte di Óðinn
ogni giorno si battono.
Il caduto essi scelgono
dalla battaglia ritornano,
poi in concordia siedono insieme.
Ljóða Edda > Vafþrúðnismál [41]

Hár continua quindi il suo racconto, spiegando che le Valkyrjur hanno il compito di servire da bere agli Einherjar (Gylfaginning [36]). Ma la curiosità di Gylfi/Gangleri sembra inesauribile: alla sua meraviglia immaginando l'affollamento che deve esservi dinanzi alle porte di Valhǫll, Hár gli chiede: “Perché non chiedi piuttosto quante porte ci siano in Valhǫll o quanto grandi?” (Gylfaginning [40]). La risposta alla domanda retorica formulata da Hár, viene però fornita da un'ulteriore strofa del Grímnismál, citata da Snorri:

Fimm húndruð dura
ok um fjórom tøgom,
svá hygg ek at Vallhǫllo vera;
átta hundruð einherja
ganga senn ór einom durom,
þá er þeir fara at vitni at vega.
Cinquecento porte
e ancora quaranta
credo vi siano nella Valhǫll;
ottocento Einherjar
usciranno insieme da ciascuna porta
quando andranno a battersi col lupo.
Ljóða Edda > Grímnismál [24]

Riguardo al numero di porte della Valhǫll, cinquecentoquaranta o seicentoquaranta, a seconda del significato che si voglia dare a húndruð (parola che originariamente indicava il «centinaio» di dodici decine e solo in epoca tarda il «centinaio» di dieci decine), abbiamo dato altrove una possibile interpretazione. ①

IX - LA VALHǪLL: ISTRUZIONI D'ACCESSO

Con il poema eroico Helgakviða Hundingsbana ǫnnur entriamo finalmente dal punto di vista del guerriero caduto in battaglia che viene ammesso al grande salone. Il nobile e valoroso Helgi, ucciso a tradimento dal cognato Dagr, sale nella Valhǫll e viene ben accolto da Óðinn, il quale gli affida importanti incarichi nella dimora celeste. Subito, Helgi destina Hundingr, il suo antico nemico, anch'egli nella Valhǫll, a fungere da servo degli altri guerrieri. Sappiamo così che tra gli Einherjar vigevano distinzioni di rango.

En er hann kom til Valhallar, þá bauð Óðinn honum ǫllu at ráða með sér. Helgi kvað: E quando [Helgi] giunse nella Valhǫll, Óðinn lo invitò a prendere tutte le decisioni insieme a lui. Disse Helgi:

Þú skalt, Hundingr,
hverjum manni
fótlaug geta
ok funa kynda,
hunda binda,
hesta gæta,
gefa svínum soð,
áðr sofa gangir.

Tu dovrai, Hundingr,
a ogni uomo
lavare i piedi
e accendere il fuoco,
legare i cani,
custodire i cavalli,
dare la broda ai maiali
prima di andare a dormire.

Ljóða Edda > Helgakviða Hundingsbana ǫnnur [39]

Intanto, sulla terra, il tumulo di Helgi viene visitato ogni giorno dall'inconsolabile vedova Sigrún, la quale era stata una valorosa valchiria. Una sera, al tramonto, ella vede lo spettro di Helgi in piedi accanto al suo luogo di sepoltura. È una scena di grande effetto. I due si parlano e, piangendo, la donna afferma di volere essere seppellita accanto allo sposo defunto. Helgi le annuncia che questo suo desiderio si sarebbe presto avverato e le dipinge l'esistenza che essi, di nuovo riuniti, avrebbero condotto nella Valhǫll. Quindi Helgi si congeda, dicendo che è giunto il momento per lui di tornare alla sua dimora celeste.

Vel skulum drekka
dýrar veigar,
þótt misst hafim
munar ok landa;
skal engi maðr
angrljóð kveða,
þótt mér á brjósti
benjar líti;
nú eru brúðir
byrgðar í haugi,
lofða dísir,
hjá oss liðnum.
Berremo di buon vino
sorsi preziosi
anche se perdemmo
terre e valore.
Non canterà nessuno
canti di morte
anche se ferite letali
vedrà sul mio petto:
ora le spose giacciono
vicine, nel tumulo,
donne di guerrieri,
accanto a noi, trapassati.
Mál er mér at ríða
roðnar brautir,
láta fǫlvan jó
flugstíg troða;
skal ek fyr vestan
vindhjalms brúar,
áðr Salgófnir
sigrþjóð veki.
Tempo è per me di cavalcare
per strade vermiglie;
livido il mio cavallo
calpesterà sentieri del cielo;
percorrerà ad occidente i ponti
della volta celeste,
prima che Salgófnir
risvegli i vittoriosi.
Ljóða Edda > Helgakviða Hundingsbana ǫnnur [46] e [49]

D'altra parte, nella redazione evemeristica dell'Ynglinga saga, l'Óðinn pseudostorico traccia una serie di leggi che hanno tutta l'aria di rispecchiare i più antichi costumi scandinavi. Egli dà molta importanza ai rituali funerari perché, leggiamo, da essi dipendeva lo status del defunto nella Valhǫll.

Svá setti hann, at alla dauða menn skyldi brenna ok bera á bál með þeim eign þeirra; sagði hann svá, at með þvílíkum auðǿfum skyldi hverr koma til Valhallar, sem hann hafði á bál; þess skyldi hann ok njóta, er hann sjálfr hafði í jǫrð grafit: en ǫskuna skyldi bera út á sjá eða grafa niðr í jǫrð. En eptir gǫfga menn skyldi haug gera til minningar; en eptir alla þá menn, er nǫkkut mannsmót var at, skyldi reisa bautasteina; ok hélzt sjá siðr lengi síðan. [Óðinn] stabilì che tutti i morti dovessero essere cremati e posti sul rogo con i loro averi. Disse che ognuno sarebbe giunto nella Valhǫll con le ricchezze che aveva sulla pira e che vi avrebbe usufruito anche di ciò che personalmente aveva sotterrato. Le ceneri dovevano essere portate via sul mare o essere sepolte nelle viscere della terra. In ricordo degli uomini eminenti si sarebbe eretto un tumulo, e per tutti coloro che avessero mostrato qualità di veri uomini si sarebbero innalzate pietre sepolcrali; questo uso fu da allora conservato a lungo.
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [8]

Nella Njáls saga troviamo questo significativo scambio di battute, in cui un giovane impugna l'alabarda di suo padre prima della battaglia, in modo che, morendo, possa portarla alla Valhǫll e riconsegnarla al proprietario:

Eftir það tóku þeir vopn sín þá er allir menn voru í rekkjum. Hǫgni tekur ofan atgeirinn og sǫng í honum hátt. Quindi presero le loro armi, appena tutti si trovarono nei loro giacigli. Hǫgni prese l'alabarda, che mandò il suo canto.
Rannveig spratt upp af æði mikilli og mælti: “Hver tekur atgeirinn þar er eg bannaði ǫllum með að fara?” Rannveig si alzò di scatto, furiosa, e chiese: “Chi impugna l'alabarda? Ho proibito a tutti di avvicinarsi a quell'arma!”
“Eg ætla,” segir Hǫgni, “að færa fǫður mínum og hafi hann til Valhallar og beri þar fram á vopnaþingi”. “Voglio portarla a mio padre” disse Hǫgni. “Dovrà averla con sé nella Valhǫll, quando si verrà al convegno delle armi!”
Njáls saga [79]

Nella stessa saga, troviamo anche una preziosa indicazione del fatto che, come Óðinn accoglieva i valorosi guerrieri nella Valhǫll, altri poteva escluderli se giudicati immeritevoli di tale onore. Di fronte alla visione di un tempio arso e spogliato, uno dei personaggi della saga commenta:

“Maðr mun brennt hafa hofið en borið út goðin. En goð hefna eigi alls þegar. Mun sá maðr braut rekinn úr Valhǫllu og þar aldrei koma er þetta hefir gert.” “Deve essere stato un uomo a incendiare il tempio e a portare fuori gli idoli. Ma gli dèi non hanno fretta di vendicarsi. Sarà escluso dalla Valhǫll l'uomo che ha compiuto questo, e per sempre.”
Njáls saga [88]

Che la morte non fosse esattamente una livella, per coloro che cadevano in battaglia, e che nella Valhǫll venissero mantenute le distinzioni di rango e ricchezza di cui i defunti avevano goduto in vita, ci viene confermato anche dalla letteratura scaldica. Nel poema anonimo Eiríksmál, il «discorso per Eiríkr», panegirico scritto per commemorare la morte del re di Nóregr, Eiríkr blóðøx, «ascia di sangue», avvenuta nel 954, Óðinn e Bragi attendono nella Valhǫll il trionfale arrivo del defunto sovrano. Trepidanti, i due æsir invitano i mitici eroi Sigmundr e Sinfjǫtli ad accogliere personalmente il sopraggiunto.

Kvað Óðinn: Disse Óðinn:
“Hvat's þat drauma?
hugðumk fyr dag rísa
Valhǫll at ryðja
fyr vegnu fólki;
vakðak Einherja,
baðk upp at rísa,
bekki at stráa,
bjórker at leyðra,
valkyrjur vín bera,
sem vísi kœmi.
Che sogni sono questi?
Mi è parso di alzarmi all'alba
a sgombrare la Valhǫll
per ospiti in arrivo.
Ho svegliato gli Einherjar,
gli ho chiesto di levarsi
a impagliare le panche
e lavare le brocche della birra
e alle Valkyrjur, di portare vino
come se stesse per venire un principe.
Erum ór heimi
hǫlða vánir
gǫfugra nǫkkurra,
svá's mér glatt hjarta”.
Sono gonfio di attese:
per l'arrivo dal mondo
di un uomo straordinario
mi esulta dentro il cuore”.
Kvað Bragi: Disse Bragi:
“Hvat þrymr þar
sem þúsund bifisk
eða mengi til mikit?
Braka ǫll bekkþili
sem myni Baldr koma
eptir í Óðins sali”.
Cos'è questo fracasso?
È il calpestio di mille
o di una folla immensa?
Tutte le panche stridono:
sembra che Baldr ritorni
nella sala di Óðinn”.
Kvað Óðinn: Disse Óðinn:
“Heimsku mæla
skalat enn horski Bragi,
þvít þú vel hvat vitir;
fyr Eiríki glymr,
es hér mun inn koma
jǫfurr í Óðins sali.
Non raccontare storie,
Bragi, sei troppo saggio.
La verità la sai;
Eiríkr causa il frastuono:
sta per entrare un principe
nella sala di Óðinn.
Sigmundr ok Sinfjǫtli,
rísið snarliga
ok gangið í gǫgn grami,
inn þú bjóð,
ef Eirekr sé,
hans es mér nú ván vituð”.
Sigmundr e Sinfjǫtli,
alzatevi in fretta
e andate incontro al re.
Pregatelo di entrare,
se si tratta di Eiríkr;
la mia attesa è per lui”.
Eiríksmál [1-4]

Chiaramente ispirato a quest'ultimo, è l'Hákonsmál, il «discorso per Hákon», dove lo scaldo Eyvindr Finnsson skáldaspillir crea una situazione analoga per commemorare Hákon goði, il «buono», fratello di Eiríkr blóðøx, morto nella battaglia di Stǫrð (960). Il poema è molto pittoresco nel descrivere le fasi nella battaglia sostenute da Hákon, sia dal punto di vista dei mortali, sia da quello delle potenze soprannaturali che stabiliscono le sorti dei guerrieri. Il poema inizia con una strofa in cui Óðinn invia le Valkyrjur sul campo di battaglia per decidere chi, dei sovrani impegnati nello scontro, sarà destinato a salire nella Valhǫll:

Gǫndul ok Skǫgul
sendi Gautatýr
at kjósa of konunga,
hverr Yngva ættar
skyldi með Óðni fara
ok í Valhǫllu vesa.
Gǫndul e Skǫgul
mandò Gautatýr
a scegliere tra i principi
della casa degli Ynglingar
chi partisse con Óðinn
per restare nella Valhǫll.
Eyvindr Finnsson skáldaspillir: Hákonsmál [1]

Nel corso di una tremenda battaglia, in cui il poeta intreccia visioni laceranti dove il fragore delle armi si mescola al galoppo delle Valkyrjur, il re cade ucciso insieme a un gran numero dei suoi uomini e, ritrovandosi avviato sulla strada per la Valhǫll, è per un momento sgomento e contrariato. Perché questa sconfitta? Egli meritava la vittoria! Ma le valchirie Gǫndul e Skǫgul gli fanno comprendere, con pochi accenni, che il suo vasto esercito arricchirà quello degli Einherjar.

Sö́tu þá dǫglingar
með sverð of togin,
með skarða skjǫldu
ok skotnar brynjur;
vasa sá herr
í hugum ok átti
til Valhallar vega.
Ecco accasciati i principi,
con le spade sguainate,
con gli scudi spaccati,
e le cotte stracciate.
Disperato l'esercito,
si era ormai avviato
sulla via per la Valhǫll.
Gǫndul þat mælti,
studdisk geirs skapti:
“Vex nú gengi goða,
es Hö́koni hafa
með her mikinn
heim bǫnd of boðit”.
Prese a parlare Gǫndul,
appoggiandosi all'asta:
“S'arricchisce la schiera divina,
se Hákon è oggi invitato
con il suo immenso esercito
nelle dimore dei potenti”.
Vísi þat heyrði,
hvat valkyrjur mæltu
mærar af mars baki;
hyggiliga létu
ok hjalmaðar sö́tu
ok hǫfðusk hlífar fyrir.
Ma ode il signore
le parole che le Valkyrjur
si scambiano in tono profetico,
dai loro cavalli
sedute elmo in testa
e lo scudo davanti.
“Hví þú svá gunni” kvað Hö́kon,
“skiptir, Geirskǫgul?
Vö́rum þó verðir gagns frá goðum”,
«Vér því vǫldum” kvað Skǫgul,
at þú velli helt,
en þínir fíandr flugu.
“Perché in tal guisa stabilisci” disse Hákon,
“l'esito dello scontro, Geirskǫgul?
Io merito dagli dèi la vittoria!”
“Noi ti abbiamo permesso” disse Skǫgul,
“di occupare il terreno
e abbiamo messo i tuoi nemici in fuga”.
“Ríða vit skolum”,
kvað hin ríkja Skǫgul,
“grǿnna heima goða,
Óðni at segja,
at nú mun allvaldr koma
á hann sjalfan at séa”.
“Ma ora risaliamo”,
aggiunse maestosa Skǫgul,
“alle verdi dimore degli dèi
per annunciare a Óðinn
che è in viaggio per incontrarlo
il sovrano in persona!”
Eyvindr Finnsson skáldaspillir: Hákonsmál [9-13]

Allora Óðinn manda Hermóðr e Bragi ad accogliere il sovrano. Re Hákon, ancora tutto insanguinato per le ferite ricevute in battaglia, sbircia da lontano il minaccioso volto di Óðinn ed è piuttosto restio ad avanzare. Ma Bragi lo rassicura:

“Herja grið
skalt þú allra hafa,
þigg þú at ásum ǫl.
Jarla bági,
þú átt inni hér
átta brǿðr” kvað Bragi.
“Godrai la stessa pace
di tutti gli Einherjar.
Accetta la birra degli Æsir.
Nemico degli jarlar,
troverai in questa casa
otto fratelli tuoi”, disse Bragi.
“Gerðar órar”,
kvað hinn góði konungr,
“viljum vér sjalfir hafa;
hjalm ok brynju
skal hirða vel,
gótt es til gǫrs at taka”.
“Le nostre armature”,
rispose il buon re,
“preferiamo tenercele;
l'elmo e la corazza
vanno tenuti da conto
ed è utile averli sottomano”.
Eyvindr Finnsson skáldaspillir: Hákonsmál [14-17]

Alcuni di questi versi sono citati, tra l'altro, nella Hákonar saga Góða, la «Saga di Hákon goði», dove si descrive il funerale pagano di re Hákon, destinato ad aprire al sovrano norvegese la strada per la Valhǫll.

X - IL MONDO DEGLI DÈI IN TERRA

Nel lessico popolare, Ásgarðr viene di solito identificato tout-court con il mondo degli dèi. È d'altra parte un termine in garðr. Come Miðgarðr è il «recinto degli uomini», Ásgarðr è il «recinto degli dèi». Un'interpretazione abbastanza ovvia ma, in fondo, superficiale. Intanto, il toponimo «Ásgarðr» compare solo in Snorri: invano lo cercheremo nella Ljóða Edda, dove, come abbiamo visto, troviamo altre figurazioni (Glaðsheimr sembra assolverne le funzioni). Se in Vǫluspá [24] si cita una «rocca degli Æsir» [borg ása], nel Grímnismál le dimore divine sono dodici, anzi, tredici.

Nella cosmologia nordica e nel vago sistema dei «nove mondi», sembrerebbe logico che anche il mondo degli dèi, nel suo complesso, abbia una sua identità specifica. Purtroppo al riguardo i testi sono piuttosto sfuggenti. Nella Ljóða Edda troviamo solo vaghe allusioni, come per esempio nel Grímnismál, dove leggiamo:

Land er heilagt
er ek liggia sé
ásom ok álfom nær....

Sacra è la terra
ch'io stendersi vedo
agli Æsir e agli Álfar vicina...

Ljóða Edda > Grímnismál [4]

Si sente qui l'esigenza di un termine cosmologico più ampio e rigoroso di quanto non sia «Ásgarðr», ma questo non viene mai fornito nella letteratura mitologica. Dobbiamo tornare ancora una volta ai testi pseudostorici. Nell'Ynglinga saga, Snorri trasforma gli dèi in condottieri ed eroi dell'antichità e, giocando sulla paraetimologia Æsir/Ásíá, localizza la loro sede originaria sulle sponde orientali del Tanakvísl (il Don), ed è lì che egli colloca il loro antico regno...

Fyrir austan Tanakvísl í Asía var kallat Ásaland eða Ásaheimr, en hǫfuðborgin, er var í landinu, kǫlluðu þeir Ásgarð. En í borginni var hǫfðingi sá, er Óðinn var kallaðr... La terra a oriente del fiume Tanakvísl, in Ásíá, era detta Ásaland o Ásaheimr, e la capitale del paese fu detta Ásgarðr. Nella fortezza c'era un capo che si chiamava Óðinn...
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [2]

Possiamo chiederci da dove Snorri abbia tratto i termini Ásaland e Ásaheimr. Li ha coniati lui per l'occasione, o li ha desunti dalla mitologia? E in quest'ultimo caso, perché i due termini non vengono mai citati, non solo nella Ljóða Edda, ma nemmeno dallo stesso Snorri nella Prose Edda? L'impressione è che lo scrittore islandese abbia introdotto questi due termini solo nel momento in cui ne ha avuto la necessità. Il materiale mitologico che Snorri aveva tratto dai poemi eddici, e che si era limitato a illustrare in modo più o meno rigoroso nella Prose Edda, viene pesantemente interpretato e manipolato per gli scopi dell'Ynglinga saga. Nel trasformare il mito in storia, Snorri razionalizza il suo materiale e lo colloca in realtà geografiche concrete, ragionando quindi in funzione di regni e città.

Saremmo del tutto giustificati se togliessimo a termini come Ásaland e Ásaheimr qualsiasi fondamento mitologico. Il fatto sospetto, però, sta in questa curiosa duplicazione del termine in due sinonimi o quasi-sinonimi: Ásaland eða Ásaheimr, come se Snorri abbia avuto uno scrupolo nell'utilizzare un termine desunto dalla cosmologia pagana e abbia cercato di edulcorarlo aggiungendone un altro più pertinente. L'impressione è che Ásaheimr, «mondo degli Æsir», abbia un'origine mitologica, essendo un termine in -heimr. Al contrario, Ásaland, «terra degli Æsir», sembra essere la dizione storicizzata che Snorri sovrappone a quella mitica, come per rassicurare il lettore che il mitico Ásaheimr fosse soltanto un Ásaland; in altre parole, che il mondo celeste degli Æsir, di cui favoleggiavano le leggende precristiane, fosse stato nella realtà storica il regno terreno di un popolo dallo stesso nome.

Il passaggio da storia a mito, Snorri lo illustra in un passo successivo dello stesso libro, dove spiega come gli uomini del nord cominciarono a distinguere tra un mondo umano e uno divino, chiamando l'uno Mannheimr, «mondo degli uomini», e l'altro Goðheimr, «mondo degli dèi» (Ynglinga saga [8]). Dopodiché...

Ok er hann var at kominn bana, lét hann marka sik geirsoddi ok eignaði sér alla vápndauða menn; sagði hann sik mundu fara í Goðheim ok fagna þar vinum sínum. Nú hugðu Svíar, at hann væri kominn í hinn forna Ásgarð, ok mundi þar lifa at eilífu. Quando [Óðinn] fu vicino alla morte, si fece segnare con la punta della spada e dichiarò suoi tutti gli uomini uccisi dalle armi, poi disse che sarebbe andato in Goðheimr per accogliervi i suoi amici. Così gli Svíar pensarono che egli fosse tornato nell'antico Ásgarðr per vivervi in eterno.
Snorri Sturluson: Ynglinga saga [9]

Giustificando in questo modo la nascita del paganesimo scandinavo, Snorri intende spiegare qui come Ásaland o Ásaheimr – il territorio storico da cui sarebbero venuti gli Æsir – si fosse trasformato, nella coscienza dei popoli del nord, nel Goðheimr, il «mondo degli dèi» della religione pagana (Ynglinga saga [8]). In realtà, Snorri ci fornisce una precisa indicazione mitologica che ci permette di dare una connotazione cosmologica al regno degli dèi scandinavi, suggerendo la concezione originaria di un mondo divino o Ásaheimr.

XI - LE DIMORE DIVINE E LO ZODIACO

Le complesse figurazioni cosmologiche esposte nel Grímnismál hanno suggerito a molti studiosi delle possibili letture astronomiche. Perché il frassino Yggdrasill e le bizzarre creature che lo abitano non potrebbero essere delle costellazioni? Sono stati fatti molti tentativi per rintracciare tra le stelle il falco Veðrfǫlnir, lo scoiattolo Ratatoskr o il serpente Níðhǫggr. Il guaio è che, a parte i nomi di pochi asterismi trasmessi dalle saghe, poco o nulla sappiamo dell'astronomia vichinga. E per quanto ingegnose, certe ipotesi sono destinate a rimanere fini a sé stesse.

In particolare, la dettagliata enumerazione delle dodici dimore celesti effettuata dal Grímnismál sembra particolarmente significativa ai sensi di un'interpretazione zodiacale. Non è un'ipotesi peregrina. La divisione dell'eclittica in dodici «segni» era sicuramente ben conosciuta anche nella Scandinavia medievale, per quanto ignoriamo come fossero disegnate le costellazioni e cosa rappresentassero esattamente. Ciò non ha impedito al filologo Marcello Meli, in un suo affascinante studio, di associare ogni dimora divina a un segno zodiacale. Le sue proposte sono le seguenti:

  1. Ýdalir (Ullr) → Sagittarius
  2. Álfheimr (Freyr) → Capricornus
  3. Valaskjálf (Óðinn) → Aquarius
  4. Søkkvabekkr (Sága) → Pisces
  5. Glaðsheimr (Hroptr) → Aries
  6. Þrymheimr (Skaði) → Taurus
  7. Breiðablik (Baldr) → Gemini
  8. Himinbjǫrg (Heimdallr) → Cancer
  9. Fólkvangr (Freyja) → Leo
  10. Glitnir (Forseti) → Virgo
  11. Nóatún (Njǫrðr) → Libra
  12. Þrúðheimr (Þórr) → Scorpio

Perlopiù Meli non giustifica le relazioni che imbastisce, ma per alcune avanza delle ipotesi interessanti. Ad esempio, Álfheimr corrisponderebbe a Capricornus perché in dicembre, quando si trova in questo segno, il corso giornaliero del sole appare basso sull'orizzonte, e giacché Freyr è una divinità legata alla fertilità, a Meli sembra ovvio associarlo al solstizio d'inverno. Al perfetto contrario, Breiðablik, il cui nome significa «vasto splendore», viene associato a Gemini perché in giugno, quando si trova in questo segno, il sole è alto e fulgido in cielo, e il luminoso Baldr sembra incarnare perfettamente l'equinozio d'estate. Ma non tutte le interpretazioni avanzate da Meli sono stagionali. Ýdalir, ad esempio, viene associato a Sagittarius semplicemente perché Ullr è un dio-arciere, così come l'immagine tradizionale del segno zodiacale. Il salone di Søkkvabekkr è associato a Pisces poiché coperto dalle onde. Meno chiaro perché Þrymheimr sia Taurus e Nóatún Libra, ma si noti la sottigliezza che localizza le due dimore in punti diametralmente opposti dello zodiaco, dando una giustificazione astronomica al mito del difficile ménage matrimoniale di Njǫrðr e Skaði. (Meli 2004)

Seppure affascinante, il giochino di Meli lascia in realtà il tempo che trova. Per quanto l'ipotesi non sia affatto infondata, non vi è alcuna chiave univoca che ci permetta di associare le dodici dimore ai segni dello zodiaco. Ad esempio, non c'è ragione per cui Baldr debba rappresentare il solstizio d'estate. In qualità di dio che muore e rinasce, signore della futura età aurea, Baldr potrebbe essere associato anche al solstizio d'inverno, esattamente come è accaduto a Yēšûʿ e per le medesime ragioni. Da un punto di vista puramente simbolico, il «vasto splendore» Breiðablik può rappresentare il motivo del ritorno della luce il 22 dicembre (antica celebrazione del Sol Invictus), e quindi corrispondere a Capricornus.

Ma anche Søkkvabekkr potrebbe essere un perfetto candidato per Capricornus. Nel sud della Norvegia, il 22 dicembre, il sole sorge intorno alle 10.00 e tramonta verso le 14.00: la costellazione di Capricornus non sale praticamente mai sopra l'orizzonte. Quale dimora sommersa dalle acque, Søkkvabekkr si presterebbe assai bene a simboleggiare un segno che non «emerge».

Assai interessante è la rocca di Himinbjǫrg, che Snorri ci dice essere il varco d'accesso per entrare in cielo. Come interpretare questo motivo dal punto di vista astronomico? Himinbjǫrg potrebbe corrispondere a uno dei due punti d'intersezione dell'eclittica con l'equatore celeste, punti tradizionali di passaggio dalla terra al cielo, che si trovano rispettivamente in Virgo e in Pisces. Alternativamente, se identifichiamo il ponte Bifrǫst con la Via Lattea, Himinbjǫrg potrebbe collocarsi là dove questa incontra l'eclittica, quindi presso Taurus o Gemini. Non scordiamo, infine, che Heimdallr viene esplicitamente associato con Aries. Come si vede, è facile gioco trovare moduli di identificazione tra le dimore celesti degli Æsir e i segni dello zodiaco.

La serie di identificazioni operate da Meli presenta infine una piccola forzatura. Lo studioso ha escluso la terra senza nome di Víðarr (che pure il Grímnismál assicura essere la dodicesima dimora celeste) e, per mantenere il computo a dodici, ha inserito al suo posto Þrúðheimr. Si ricorderà che, nel Grímnismál, Þrúðheimr introduceva l'enumerazione delle dodici dimore, ma non ne faceva parte. Il testo è piuttosto preciso su questo punto. Dunque, a rigore, Meli avrebbe dovuto tenere fuori la dimora di Þórr dalle sue identificazioni zodiacali.

Abbiamo parlato sopra delle possibili relazioni testuali di questo simbolismo del dodici più uno. Sarebbe utile capire quali ragioni abbiano indotto l'ignoto autore del Grímnismál ad escludere proprio Þrúðheimr dalla serie delle dodici dimore, nell'ipotesi che queste rappresentino i segni zodiacali. C'è innanzitutto la pur fragile possibilità che, come abbiamo suggerito prima, Þrúðheimr rappresenti – almeno nel Grímnismál – il mondo divino nel suo complesso e quindi l'intera serie dei dodici segni. Ma una soluzione più stringente a questo piccolo enigma va forse cercata nel personaggio di Þórr.

È un discorso piuttosto complesso. Per ora, basti segnalare che, come il suo omologo greco Hērakls (e come Gilgameš in Mesopotamia), anche Þórr è un «eroe zodiacale», il quale attraversa i confini del mondo per combattere i giganti. Dobbiamo qui proiettarci in una prospettiva astronomica: l'Utgarðr, il «recinto esterno», mèta dei viaggi di Þórr, rappresenta il confine dove la terra sfuma nel cosmo zodiacale. L'úthaf, l'oceano cosmico, dove Þórr si avventura in barca per pescare Jǫrmungandr, corrisponde all'Ōkeanós del mito greco, che è il luogo dove la barca del sole naviga dopo il tramonto, da occidente ad oriente, per sorgere l'alba successiva. Lo stesso Jǫrmungandr, il serpente che circonda il mondo, sembra figurare l'intero giro dell'eclittica. Ci sono addentellati astronomici interessanti, che saranno approfonditi altrove. Þrúðheimr potrebbe quindi essere un nome dell'intero mondo celeste, difeso da Þórr, il quale è un eroe errabondo che si muove lungo il corso del sole, attraverso lo zodiaco. ①

Studi: [Alla confluenza dei fiumi]►

BIBLIOGRAFIA ►
Intersezione: Aree - Holger Danske
Sezione: Miti - Asteríōn
Area: Germanica - Brynhilldr
Ricerche e testi di Dario Giansanti, Stefano Mazza e Oliviero Canetti.
Creazione pagina: 03.09.2010
Ultima modifica: 15.08.2022
 
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